Commissione Tributaria Regionale Abruzzo, sez. VI, sentenza 18/03/2021, n. 204
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La Commissione Europea, chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza o meno di una ipotesi di aiuti di Stato", in presenza dell'art. 149 comma 4 del d.p.r. 917/1986, con decisione del 19 dicembre 2012, ha precisato, al paragrafo 152, che "per quanto riguarda gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, la circolare dell'agenzia delle entrate n. 124/E del 12 maggio 1998, ha chiarito che gli enti ecclesiastici possono beneficiare del trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali soltanto se non hanno per oggetto principale l'esercizio di attività commerciali. In ogni caso, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono conservare la prevalenza dell'attività istituzionale di ispirazione eminentemente idealistica"; "pertanto, l'articolo 149, quarto comma, del Tuir si limita a escludere l'applicazione di particolari parametri temporali e di commercialità di quell'articolo 149, primo e secondo comma, agli enti ecclesiastici e alle associazioni sportive dilettantistiche, ma non esclude che tali enti possono perdere la qualifica di enti non commerciali". Al paragrafo 158 nella Decisione si è aggiunto che "in realtà, tanto gli enti ecclesiastici quanto le associazioni sportive dilettantistiche possono perdere la qualifica di ente non commerciale se svolgono attività prevalentemente economiche.
Testo completo
Con sentenza n. 772/1/2019 del 16.12.2019 e depositata in data 18.12.2019 la Commissione tributaria provinciale di Pescara accoglieva il ricorso presentato dalla Fondazione O. Onlus. in persona del l.r. pro tempore A., avverso l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate recuperava maggiori redditi da impresa per l'anno di imposta 2013, oltre sanzioni ed interessi. Avverso detta statuizione ha proposto appello la difesa erariale che, richiamando sostanzialmente le stesse argomentazioni sostenute nelle controdeduzioni in primo grado, ha ritenuto erroneo l'iter motivazionale seguito dal primo giudice. In particolare secondo l'amministrazione finanziaria nelle annualità 2012/2013 l'Ente non ha svolto corsi di formazione e non avendo svolto attività istituzionale, ha svolto solo attività commerciale, rappresentata dalla cessione di energia pulita al G. Spa, disattendendo il requisito di cui alla lett. b) e e) dell'art. 10 del D.Lgs 460/97, ossia lo svolgimento esclusivo di finalità di solidarietà sociale ed il divieto di svolgere attività diverse da quelle istituzionali ad eccezione di quelle connesse o accessorie. Ulteriori anomalie riscontrate dal controllo della documentazione esibita, riguardano il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione. In particolare l'esercizio sociale 2012 si chiude con un avanzo di gestione di euro 82.392,00, mentre l'esercizio 2013 si chiude con un avanzo di gestione di euro 33.275,00. Entrambi non risultano reinvestiti nello svolgimento di attività istituzionali in quanto l'ente stesso dichiara che "l'avanzo di gestione ha incrementato il fondo di dotazione". Tale circostanza disattende la lettera c) del citato art. 10 che prescrive l'obbligo, di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione di attività istituzionali e vanno pertanto considerati quali entrate che nulla hanno a che fare con le finalità socio-sanitarie e assistenziali. La stessa attività di reperimento fondi non può costituire un'autonoma attività, ma deve svolgersi nel contesto dell'attività istituzionale e in stretta connessione con quest'ultima. A tale riguardo si rappresenta che l'articolo 10, comma 1, lettera b), D.lgs 460/1997, stabilisce che le Onlus devono perseguire esclusivamente finalità di solidarietà sociale. I commi 2, 3 e 4 dello stesso articolo 10 delimitano il concetto di solidarietà sociale, dettando precise indicazioni sulla qualificazione solidaristica delle attività proprie di ciascun settore indicato nell'articolo 10, comma 1, lettera a). L'articolo 10, comma 1, lettera c), del D.lgs 460/1997 vieta alle Onlus di svolgere attività diverse da quelle istituzionali nei settori tassativamente individuati, ad eccezione di quelle a queste direttamente connesse. Lo stesso articolo 10, comma 5, primo periodo, fornisce la seguente nozione di attività direttamente connesse;'Si considerano direttamente connesse a quelle istituzionali le attività statutarie di assistenza sanitaria., istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell'arte e tutela dei diritti civili, di cui ai numeri 2), 4), 5) 6), 9) e 10) del comma 1, lettera a), svolte in assenza delle condizioni previste ai commi 2 e 3, nonché le attività accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse". Ha chiesto, pertanto, la riforma dell'impugnata sentenza con vittoria di spese del giudizio. Si è costituita in giudizio la contribuente, contestando diffusamente la ricostruzione operata dall'amministrazione finanziaria ed ha chiesto il rigetto dell'appello con vittoria di spese processuali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il nodo centrale della controversia è rappresentato dalla qualificazione dell'attività svolta dalla Fondazione O. Onlus, canonicamente eretta con decreto del Vescovo di xx in data xxx1967, riconosciuta della personalità giuridica con D.pr. n. xxx del xxx1968 ed iscritta al n.x dell'anagrafe unica delle Onlus in data xxx1999. A dire della difesa erariale la fondazione nell'anno 2013 non ha svolto attività istituzionale mentre avrebbe svolto attività commerciale, evincibile dalla cessione di energia pulita al G. spa, in tal modo disattendendo il requisito di cui alla lett. b) e c) dell'art. 10 del D.Lgs.460/97, ossia lo svolgimento esclusivo di finalità di solidarietà sociale ed il divieto di svolgere attività diverse da quelle istituzionali, ad eccezione di quelle connesse accessorie, con la conseguenza che tutte le attività, indistintamente, sono state considerate ricavi commerciali e, quindi, reddito di impresa tassabile nei modi ordinari. La tesi sostenuta dalla difesa erariale non appare condivisibile alla luce degli elementi probatori offerti agli atti del presente giudizio. E' pacifico agli atti, alla stregua dello statuto, che la fondazione persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale ed ha per scopo esclusivo un solido insegnamento catechistico e religioso della gioventù, di assisterla spiritualmente e di attendere alla formazione professionale mediante lo svolgimento di attività nei settori dell'assistenza sociale e sociosanitaria, dell'istruzione e della formazione, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 10 co.5 del D.Lgs. 4.12.1977 n.460 (Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di u sociale. (GU Serie Generale n.1 del 02-01-1998 - Suppl. Ordinario n. 1) Per comprendere appieno la questione è opportuno richiamare l'art. 73, primo comma, lettera e) del d.p.r. 917/1986, dedicato ai soggetti passivi per l'imposta sul reddito delle società, ove si prevede che, oltre alle società e agli enti pubblici e privati che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, 'sono soggetti all'imposta sul reddito delle società: Gli enti pubblici e privati diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale...'. L'art. 143, primo comma (reddito complessivo), del d.p.r. 917/1986, dedicato agli "enti non commerciali residenti", e quindi anche agli enti ecclesiastici, dispone che "il reddito complessivo degli enti non commerciali di cui alla lettera c) del comma i dell'art. 73 è formato dei redditi fondiari, di capitale, d'impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione, ad esclusione di quelli esenti dall'imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva. Per i medesimi enti non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell'articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell'ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione". Pertanto, il reddito degli enti non commerciali è computato come quello per le persone fisiche, avendo riguardo alle varie tipologie di reddito, fondiario, di capitale, di impresa e diversi. Al comma 2 dell'art. 143 si dispone che "il reddito complessivo è determinato secondo le disposizioni dell'articolo 8", e quindi sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a formano e sottraendo le perdite derivanti dall'esercizio di imprese commerciali e quelle derivanti dall'esercizio di arti e professioni. Il comma 3, invece, indica i redditi che non possono essere presi in considerazione per il calcolo del reddito complessivo degli enti non commerciali ("non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali di cui alla lettera c del comma 1, dell'art, 73: a) i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;b) i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche ai predetti enti per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento... di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi". Se, dunque, gli enti, compresi quelli commerciali, come pure quelli dilettantistici, sono qualificati come "non commerciali", non si può tenere conto, ai fini della determinazione del reddito complessivo dei "contributi corrisposti da Amministrazioni pubbliche ai detti enti", ai sensi dell'art. 143 comma 3 lettera b d.p.r. 917/1986, L'art. 144, poi, indica le modalità di computo del reddito complessivo degli enti non commerciali, ivi compresi, come detto gli enti ecclesiastici riconosciuti dallo Stato, prevedendo che "i redditi e le perdite che concorrono a formare il reddito complessivo degli enti non commerciali sono determinati distintamente per ciascuna categoria in base al risultato complessivo di tutti i cespiti che vi rientrano". L'art. 144, comma secondo, del d.p.r. 917/1986, dispone, poi, per gli enti non commerciali, quindi anche per gli enti ecclesiastici, che esercitano, però, anche attività commerciale, ma non come oggetto principale ed esclusivo della propria specifica attività, che 'per l'attività commerciale esercitata gli enti non commerciali hanno l'obbligo di tenere la contabilità separata". Ovviamente la qualifica di ente non commerciale può essere perduta, come prevede espressamente l'art. 149, primo comma, d.p.r. 917/1986, per il quale "indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d'imposta". Si chiariscono, poi, al secondo comma i parametri da considerare per la perdita della qualifica di ente non commerciale "ai fini della qualificazione commerciale dell'ente si tiene conto anche dei seguenti parametri: a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività;b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative;d) prevalenza delle componenti negative inerenti all'attività commerciale rispetto alle restanti spese". Per il comma 3 dell'art, 149 "il mutamento di qualifica opera a partire dal periodo d'imposta in cui vengono meno le condizioni che legittimano le agevolazioni e comporta l'obbligo di comprendere tutti i beni facenti parte del patrimonio dell'ente nell'inventario di cui all'art. 15 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600". La norma cardine per gli enti ecclesiastici è però quella di cui al comma 4 dell'art. 149 del d.p.r. 917/1986, in base alla quale "le disposizioni di cui ai commi uno e due non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili ed alle associazioni sportive dilettantistiche", Di qui due tesi contrapposte. Per la prima gli enti ecclesiastici non possono mai perdere la qualifica di "enti non commerciali", neppure quando svolgono attività commerciale prevalente, in base ai parametri di cui alla norma suddetta. Vi sarebbe una implicita conferma dalla relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 460 del 1997, sicché gli enti ecclesiastici potrebbero essere definiti come enti commerciali "di diritto". Il riconoscimento civile come ente ecclesiastico presuppone sempre che il medesimo abbia ad oggetto esclusivo o principale un'attività di religione o di culto che non può mai essere commerciale;sicché il legislatore ha giudicato superfluo aggiungere un controllo fiscale sull'effettiva natura non commerciale dei soggetti che lo hanno tenuto. Tuttavia, si rileva che tali argomentazioni valgono per alcuni enti ecclesiastici, ma non per tutti, sicché è improprio ricavare dall'articolo 149 comma quarto Tuir la prova della non commercialità legale dell'intera categoria degli enti ecclesiastici. In dottrina, si è ritenuto che gli enti ecclesiastici non possono mai perdere la loro connotazione di enti non commerciali, in quanto quasi tutte le attività commerciali svolte da tali enti, altro non sono che le attività nelle quali, dalla loro fondazione, si svolge l'apostolato delle singole congregazioni e che, pertanto, anche se svolta in forma organizzata, non modificano lo "spirito originale di missione religiosa" e, correttamente, non provoca per il nostro ordinamento tributario la perdita della qualifica di ente non commerciale. Il vantaggio fiscale spetterebbe, dunque, gli enti ecclesiastici indipendentemente dal tipo di attività e da come questa sia svolta per conseguire lo scopo sociale.Per il secondo orientamento il comma 4 dell'art, 149 Tuir, in realtà, detta solo la regola che non è sufficiente svolgere attività prevalente per un solo esercizio per perdere la qualifica di "ente non commerciale", per gli enti ecclesiastici, ma occorre che nel corso dei vari anni di attività l'ente ecclesiastico abbia in realtà svolto in prevalenza attività commerciale. Il comma 4 dell'art. 149 quindi attiene solo al "singolo esercizio" di attività ed impedisce che l'ente ecclesiastico perda la qualifica di "ente non commerciale" se lo "sforamento" dai parametri avvenga in un "singolo esercizio", ma se tale "sforamento" avviene in più esercizi, allora, la natura di "ente non commerciale" può venire meno. In tal modo il legislatore non ha inteso attribuire ope iegis a tali enti la qualifica di enti non commerciali, dovendosi, comunque, applicare i criteri dell'articolo 73, sicché gli enti ecclesiastici sono non commerciali fintanto che il loro oggetto principale, almeno sotto il profilo qualitativo, continui ad essere costituito da un'attività non commerciale. Si prescinde, dunque, in sostanza, per gli enti ecclesiastici dalla verifica delle dichiarazioni statutarie. atteso che in base al documento conclusivo della commissione paritetica italo-vaticana (pubblicato nel S.O. n. 210 alla Gazzetta Ufficiale del 15 ottobre 1997. n. 241. circolare n. 168/E del 1998). a tali enti non sono applicabili ... le norme, dettate dal codice civile in terna di Costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private. Non può dunque a richiedersi ad essi, ad esempio, la costituzione per atto pubblico, il possesso in ogni caso dello statuto, né la conformità del medesimo, ove l'ente ne sia dotato, alle prescrizioni riguardanti le persone giuridiche private". Sul punto la Commissione Europea, chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza o meno di una ipotesi di aiuti di Stato", in presenza dell'art. 149 comma 4 del d.p.r. 917/1986, con decisione del 19 dicembre 2012, ha precisat, al paragrafo 152, che "per quanto riguarda gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, l'Italia ricorda che la circolare dell'agenzia delle entrate n. 124/E del 12 maggio 1998, ha chiarito che gli enti ecclesiastici possono beneficiare del trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali soltanto se non hanno per oggetto principale l'esercizio di attività commerciali. In ogni caso, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono conservare la prevalenza dell'attività istituzionale di ispirazione eminentemente idealistica";ed ha aggiunto che "pertanto, l'articolo 149, quarto comma, del Tuir si limita a escludere l'applicazione di particolari parametri temporali e di commercialità di quell'articolo 149, primo e secondo comma, agli enti ecclesiastici e alle associazioni sportive dilettantistiche, ma non esclude che tali enti possono perdere la qualifica di enti non commerciali".Al paragrafo 158 nella Decisione si è aggiunto che "in realtà, tanto gli enti ecclesiastici quanto le associazioni sportive dilettantistiche possono perdere la qualifica di ente non commerciale si svolgono attività prevalentemente economiche. Pertanto, anche gli enti ecclesiastici e le associazioni sportive dilettantistiche possono perdere il beneficio del trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali in genere. Non risulta pertanto sussistere quel sistema di qualifica permanente di ente non commerciale". A conclusioni analoghe è giunta la Suprema Corte con riferimento alla possibilità di dimezzamento dell'aliquota Irpeg per gli enti ecclesiastici, con la valorizzazione o del tenore dello Statuto oppure della attività esercitata in concreto che non deve essere attività commerciale prevalente. L'art. 6, comma 1, lettera a), d.p.r. 601 del 1973, prevedeva, sino alla intervenuta abrogazione da parte della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che "l'imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti dei seguenti soggetti: a) enti e istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficenza... a condizione che abbiano personalità giuridica". Si è affermato, infatti, che, al fine del riconoscimento del beneficio della riduzione alla metà dell'aliquota dell'Irpeg, ai sensi dell'articolo 6, lettera h. del d.p.r. n. 601 del 1973, in favore degli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, non è sufficiente che essi siano sorti con tali enunciati fui. ma occorre altresì accertare, alla stregua del coordinamento con gli articoli i e 2 del d.p.r. , n. 598 del 1973, l'attività in concreto esercitata dagli stessi (come descritta nell'atto costitutivo, con precisa indicazione dell'oggetto. ovvero, in difetto, come effettivamente svolta), non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un'attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti, dovendo altrimenti essere classificata come attività diversa, soggetta all'ordinaria tassazione (Cass., sez. 6-5, 13 dicembre 2016, n. 25586;Cass., sez. 1, 15 febbraio 1995, n. 1633;Cass., 29marzo 1990, n. 2573). L'art. 6 del d.p.r. 601/1973, in quanto norma agevolativa a carattere eccezionale può pertanto essere applicata solo a fronte dell'attività specificamente previste. Analogamente a quanto affermato in materia di lei, dunque, lo svolgimento di attività di assistenza o di altre attività equiparate, senza le modalità di un'attività commerciale, costituisce requisito oggettivo necessario ai fini dell'agevolazione e va accertata in concreto, con criteri di rigorosità, e. dunque, verificando le caratteristiche della clientela ospitata, della durata dell'apertura della struttura e, soprattutto, dell'importo delle rette, che deve essere significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato, onde evitare un'alterazione del regime di libera concorrenza e la trasformazione beneficio in un aiuto di Stato (Cass.. n. 13970/2016). Un primo elemento di contrasto rispetto al dettato normativo ed emergente dall'avviso di accertamento impugnato, è rappresentato dal fatto di avere ritenuto esistente una attività commerciale prevalente, tale da poter eliminare alla fondazione la natura di "ente non commerciale" o di "Ente Ecclesiastico non economico". Infatti, l'avviso di accertamento è riferito solo alla annualità 2013, mentre non risultano rilievi per altre annualità. Sulla base dell'art. 149 comma 4 Tuir. però, come detto, lo svolgimento di attività commerciale prevalente per un esercizio che fa perdere la qualifica di ente non commerciale a tutti gli enti, non trova applicazione agli enti ecclesiastici. Ora l'avviso di accertamento si fonda sostanzialmente sui seguenti presupposti: 1) la promozione dei corsi di formazione religiosa, spirituale etc. non sarebbe stata svolta per mancanza di bandi da parte della Regione Abruzzo e che avrebbe comportato la mobilità e la CIG in deroga per il personale;2) lo svolgimento di attività commerciale in conseguenza della cessione di energia pulita al G.;3) disavanzo di gestione non reinvestito in finalità istituzionali della Fondazione. Sul punto la difesa della Fondazione ha puntualmente ribattuto osservando che a) l'importo di ? 1.407,20 costituisce contributo in c/ capitale concesso da G. S.p.A. socio unico Ministero dell'Economia e delle Finanze D.Lgs. n. 79/99, per finanziamenti a fondo perduto per l'installazione di impianti fotovoltaici. Detti finanziamenti non possono essere ritenuti rilevanti ai fini della determinazione del reddito giacché a favore non di impresa, ma di ente non commerciale;b) analoghe considerazioni valgano per i contributi in c/capitale trentacinquennale di ? 20.484,77 elargiti dalla Regione Abruzzo per lavori di ampliamento, effettuati presso proprie strutture adibite a centri di formazione professionale. Essi, infatti, attengono strettamente alle attività istituzionali previste nello Statuto e concretamente svolte dalla Fondazione negli anni antecedenti il 2012, essendo appunto finalizzati alla ristrutturazione e all'ampliamento delle strutture della fondazione adibite a centri professionali. Ed è appena il caso di puntualizzare che trattasi di contributo trentacinquennale previsto dalla L.R. 27.3.1985 n, 19 (doc. 10 nota dep, docc. del 25.11.2019), erogato dunque in modo dilazionato negli anni dopo la verifica compiuta a suo tempo dell'effettività dei lavori edilizi (vds. delibere di G.M. nn. 1306/1982;3072/1983;7584/1988 docc. 6/9 nota dep. docc. del 25.11.2019), in contesto in cui la Fondazione svolgeva sicuramente la propria attività di svolgimento dei corsi di formazione professionale;c) la somma di ? 52.724,21, invece, costituisce il rimborso da parte del Centro di xxx, e fondazione C. di xxx inerenti alle spese sostenute dalla fondazione O. (spese di riscaldamento, spese di energia elettrica, acqua, vigilanza notturna, spese telefoniche, spese di manutenzione e riparazione, come sarà agevole dimostrare nel corso del presente giudizio) per l'utilizzo delle unità immobiliari in B., e in P. Trattandosi, dunque, di rimborso spese e non di corrispettivo (tra l'altro per costi sostenuti nello svolgimento dell'attività istituzionale e non di certo commerciale), anche detto importo non può concorrere alla formazione del reddito imponibile, privo di natura commerciale;d) quanto, infine, alla somma di ? 2.783,00, la Fondazione O. ha assoggettato ad imposizione tale provento, ritratto dalla vendita dell'energia pulita, avente natura di reddito diverso (a tutto concedere a titolo di reddito d'impresa occasionale), in quanto non connesso né funzionalmente collegato allo svolgimento delle attività istituzionali. Con riguardo a tale ultima voce va detto che appare condivisibile l'iter argomentativo seguito dal giudice di prime cure che ha affermato come la cessione di energia elettrica, anche per l'esiguità della somma stessa (? 2.783,00, peraltro sottoposta ad imposizione), non possa comportare il mutamento della natura della fondazione che ha continuato a svolgere attività assistenziale e sociale, senza alcuna trasformazione da ente non commerciale ad ente commerciale, con tutte le conseguenze in termini di imposizione (si veda al riguardo, in subiecta materia: Cass. Ord. N.8182 del 27.4.2020). Con riguardo al disavanzo di gestione, anche in tal caso appare condivisibile la motivazione della sentenza impugnata laddove si afferma che l'esistenza dei fondi è destinata ad aumentare la dotazione della fondazione e non costituisce elementi da cui poterne inferire una distribuzione di utili e, quindi, la natura commerciale, giacché è perfettamente in linea con l'art. 4 dello Statuto della ricorrente, che nel suo ultimo comma vieta la distribuzione di utili ed avanzi di gestione, nel pieno rispetto della normativa ONLUS e secondo il noto principio del no distribiition conslraint ed è coerente con l'art. 14 dello Statuto della fondazione. rubricato "estinzione della fondazione", secondo cui il caso di scioglimento della fondazione, il patrimonio residuo esaurita la liquidazione sarà devoluto ad un ente ecclesiastico Onlus sempre per attuare gli scopi di utilità sociali similari a quelli previsti dallo Statuto dell'O. Quanto poi al fatto che in data 16.08.2016 la Fondazione ha chiesto la revoca della qualifica di Onlus, appare evidente che detta formalità è in linea con la riorganizzazione e riordino in vista dell'avvento della nuova disciplina del terzo settore, entrato in vigore nel 2017, in cui, per la prima volta, si precisa quale è il contenuto della contabilità separata che prevede l'utilizzo proprio del conto economico e dello stato patrimoniale. Alle tre categorie fiscali individuate dall'articolo 73. comma 1. Tuir, e quindi le società, gli enti commerciali diversi dalle società e gli enti non comerciali, se ne sono aggiunte due nuove, ossia gli enti del terzo settore non commerciali, ex art. 79 CTS (codice terzo settore) e gli enti del terzo settore commerciali. Nella disciplina del terzo settore la qualifica di commercialità o meno dell'ente è diversa da quella tradizionalmente desumibile dal combinato disposto degli articoli 73 e 149 del Tuir. Nel terzo settore, invece, l'ETS è (o non commerciale) in base al solo criterio della prevalenza (o meno) delle entrate di natura commerciale, non rilevando il criterio formale fondato sulla disamina delle disposizioni statutarie, ex art. 79 comma 5 CTS. L'art. 13 del d.lgs. 117/2017 prevede che "gli enti del terzo settore devono redigere il bilancio di esercizio formato dallo stato patrimoniale, dal rendiconto gestionale. con l'indicazione dei proventi e degli oneri dell'ente, e dalla relazione di missione che illustra le poste di bilancio, l'andamento economico e gestionale dell'ente e le modalità di perseguimento delle finalità statutarie". L'art. 4, comma 4, del medesimo decreto legislativo (enti del terzo settore) dispone, poi, che "agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 5, a condizione che per tali attività adottino un regolamento...". con la precisazione che "per lo svolgimento ditali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 13". In conclusione deve escludersi che la fondazione abbia svolto attività commerciale secondo la ricostruzione operata dall'amministrazione finanziaria con la conseguenza che, per gli argomenti sopra esposti l'appello deve essere respinto ed in considerazione della particolarità della questione affrontata il Collegio ritiene di poter compensare tra le parti le spese del giudizio.