Commissione Tributaria Regionale Toscana, sez. II, sentenza 06/04/2022, n. 525

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Commissione Tributaria Regionale Toscana, sez. II, sentenza 06/04/2022, n. 525
Giurisdizione : Comm. Trib. Reg. per la Toscana
Numero : 525
Data del deposito : 6 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

MOTIVAZIONE

La contribuente A. S. s.r.l. in liq.ne (esercente attività di commercio all'ingrosso e al dettaglio di altri autoveicoli), rappresentata dal liquidatore B. F., proponeva ricorso contro avviso di accertamento n. T8R030100XX/2015 notificato il

6.11.2015 a seguito
di p.v.c. della GdF concernente attività ispettiva e controllo relativo al periodo d' imposta 2010, con rilievi IVA, IRES, IRAP e accertamento d'ufficio volto alla determinazione del reddito complessivo. In particolare, stante l'omessa dichiarazione dei redditi ed IVA per l'anno 2010 l'Ufficio aveva proceduto alla determinazione ai sensi degli artt. 41 DPR n. 600/1973 e 55 DPR n. 633/1972.
La
ricorrente esponeva che l'Ufficio, muovendo dalla quantificazione dei costi come rilevati dalla GdF, aveva proceduto alla ricostruzione del "costo del venduto" ed a quella presuntiva dei ricavi, applicando una percentuale di ricarico del 36% sulla base di presunte medie settore. Era stato così ricostruito un reddito d'impresa di euro 72.992,02, con una maggiore imposta IRES accertata di? 20,073,00, IRAP di euro4.732,00 oltre ad un recupero IVA per euro88.197,00 applicando l'aliquota del 20 % al complesso dei ricavi ricostruiti;
con conseguente applicazione delle sanzioni.
La
ricorrente dunque deduceva:
1
) - sulla determinazione del reddito ex art. 41 DPR n.600/1973 (IRES ed IRAP) che l'Ufficio, mentre aveva utilizzato il dato "costi" così come fomiti dalla GdF, aveva ricostruito i ricavi con metodo induttivo, per modo che "operando a tenore dell' art 41 dpr 600/73 (presunzioni c.d. "super semplici") l'Agenzia estrapola i presunti ricavi dell'azienda tramite il meccanismo matematico del "costo del venduto" (Esistenze iniziali - acquisti - rimanenze finali) e applica infine la percentuale di ricarico di settore del 36 %, percentuale a parere di questa difesa assolutamente arbitraria" (cfr. ricorso). La ricorrente aggiungeva che, pur essendo nel caso di omessa dichiarazione ammissibile l'accertamento induttivo, l'Ufficio doveva utilizzare in primo luogo, "dati e notizie raccolti" o "venuti a sua conoscenza" (in particolare i ricavi), laddove, invece, aveva tenuto conto delle risultanze del p.v.c. solo in "malam partem" (i costi ma non i ricavi), senza alcuna motivazione al riguardo, e ciò in violazione dell'art. 42 DPR n. 600/1973.
2) - Sul calcolo
dei redditi IRES ed IRAP, che ove anche si ritenesse corretto l'operato dell'Ufficio, il contribuente è legittimato a fornire in giudizio prova contraria agli accertamenti presuntivi.
3) - Sulla
ricostruzione del reddito e rimanenze, che la ricorrente, come da dichiarazione allegata al p.v.c., aveva fornito i dati di euro125.950,00 quali rimanenze iniziali al 1.1.2010 (con ciò correggendo il dato di euro 680.000,00 finali 2009 e allineandosi al criterio di valutazione del costo di carico seguito dall'Ufficio in un precedente accertamento) e di euro 102,335,45 quali rimanenze finali al 31.12.2010.
4) - Sui ricavi e
presupposto di vendita di sole vetture nuove;4a) che la ricostruzione dei ricavi era stata fatta sulla base di semplici presunzioni e non tenendo conto delle risultanze della GdF, la quale aveva verificato fatture, registri IVA e relative liquidazioni, da cui emergevano ricavi per euro 431.745,00 dati dalla vendita di vetture nuove e usate e dallo svolgimento di attività di agenzia di pratiche auto;
con ciò utilizzando i dati del p.v.c. soltanto "in malam partem", con IVA al 20% come se si fosse trattato solo di vendita di auto nuove, e senza adeguata motivazione;
4b) che
la percentuale di ricarico medio (del 36%) utilizzata per la ricostruzione dei ricavi è un elemento non reale ma statistico e non corrispondente alla realtà dell'impresa, sia perché nel precedente accertamento anno 2009 l'Ufficio aveva indicato un ricarico del 3,83%, sia perché la società, anche destinataria di numerosi decreti ingiuntivi, si trovava in una situazione di grave indebitamento, onde il ricarico del 36% appariva illogico;
5) - Sulla mancanza
dei presupposti per l'accertamento induttivo, che l'accertamento induttivo extracontabile, trattandosi di un metodo che prescinde da valutazioni oggettive del caso concreto, è consentito dalla legge solo quale "extrema ratio" (in deroga all'accertamento analitico), quando la contabilità risulti completamente inattendibile o sia assente, laddove nella fattispecie le scritture, come risultava dal controllo formale, erano regolarmente istituite e tenute sia in riferimento all'anno di verifica che per gli anni successivi.
C
hiedeva pertanto l'annullamento dell'avviso impugnato, in tutto o in parte, o, in subordine, la rideterminazione del reddito d'impresa previa CTU.
Co
n atto distinto, B. E.e B. D. proponevano ricorso contro gli avvisi di accertamento a loro riferiti (n. T8RO 1010XX0 e n. T8R01010XXX IRPEF e altro 2010) quali soci ciascuno al 50% e con imputazione degli utili non contabilizzati mediante presunzione per le società di capitali a ristretta base partecipativa.
I ricorr
enti, mentre richiamavano il ricorso proposto dalla società, m quanto pregiudicante, lamentavano la violazione del divieto della "doppia presunzione", in quanto l'Ufficio faceva discendere un fatto ignoto (percezione di utili) da altro fatto ignoto (utili occulti della società), nonché la insufficienza, a supporto della presunzione di distribuzione di utili occulti, della ristretta base sociale in mancanza di altri elementi concreti;
deducevano altresì il vizio di mancanza di motivazione dell'avviso di accertamento, in quanto motivato solo per relationem all'avviso di accertamento emesso nei confronti della società;
deducevano infine che la presenza di utili occulti appariva incompatibile con gli ingenti finanziamenti soci, ottenuti con mutui ipotecari, emergenti dal p.v.c. Chiedevano pertanto l'annullamento degli atti impugnati.
L
' Ufficio si costituiva e controdeduceva:
- quant
o al ricorso della società: - che la GdF non aveva quantificato i ricavi in misura minore rispetto a quelli contestati dall'Ufficio, essendo i due dati sostanzialmente coincidenti;
- che la percentuale di ricarico applicata era conforme ai parametri del settore di riferimento in cui l'impresa era stata inquadrata (percentuale di ricarico media del settore di appartenenza 36% e propria delle imprese di analoghe caratteristiche strutturali ed economiche ubicate nella regione Toscana), in quanto tali non contestati dalla ricorrente;
che, con riguardo all'IVA sulle autovetture usate, la ricorrente non aveva dimostrato la sussistenza dei requisiti per poter applicare il "regime del margine" di cui all'art. 36 del D.L. n. 41/1995;
- che sussistevano i presupposti per effettuare l'accertamento induttivo puro attesa l'inattendibilità della contabilidella società;
- che l'operato dell'Ufficio era dunque legittimo;
- qu
anto al ricorso dei soci, richiamati gli argomenti svolti in relazione al ricorso della società, che non vi era alcuna doppia presunzione, trattandosi di società a ristretta base familiare, e che gli avvisi erano motivati sia in sé, sia con allegazione dell'avviso nei confronti della società.
C
hiedeva pertanto il rigetto dei ricorsi.
Co
n sentenza n. 46/01/2017 la CTP Pistoia respingeva i ricorsi, previa riunione degli stessi, con condanna dei soccombenti alle spese.
La sen
tenza motivava:
-
quanto al ricorso della società:
- c
he "risulta infatti che la GdF abbia quantificato i ricavi non dichiaratidella società in misura sostanzialmente omogenea rispetto a quellaritenuta dall'Agenzia dal momento che quelli indicati nel PVC ammontanoad euro 580. 868, 66 laddove quelli quantificati dall'Ufficio sono pari aeuro 586.651,71 ";
- che "ricorrevano, inoltre, i presupposti perl'applicazione del metodo presuntivo: l'art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973dispone infatti che nel caso di omessa presentazione della dichiarazionel'ufficio determina il reddito complessivo del contribuente "sulla base deidati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, confacoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzocomma dell'art. 38 e di prescindere in tutto o in parte dalle risultanzedella dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali scritture contabili delcontribuente ancorché regolarmente tenute". Orbene, nel caso di specieneppure tali scritture erano correttamente tenute dal momento che la GdFha accertato che nell'anno di imposta 2010la società non aveva esibito illibro degli inventari e il libro giornale era stato fornito "solo su supportoinformatico modificabile senza scritture di assestamento e chiusura ";
- che "quanto, infine, alle contestazioni concernenti la applicazione dell'IVA al20%, effettivamente dal PVC emerge che sono stati accertali ricavi percessioni di auto nuove pari a euro 87.858,33 e cessioni per auto usate paria euro 318. 670, 00. La ricorrente, inoltre, ha allegato le fatture relative atali cessioni nelle quali è specificato l'assoggettamento dell'operazione alregime del margine di cui all'art. 36 D.L. n. 41del1995. Essa tuttavia nonha provato l'esistenza dei presupposti cui l'art. 36 ancora l'applicazionedel regime del margine. Inoltre, pur dovendosi riconoscerel'incompletezza dell'accertamento IVA effettuato dall'Ufficio senza tenerconto delle auto usate, la società non ha fornito il dettaglio delle autousate acquistate nel corso del 2010da considerare nel conteggio, di talche non è possibile pervenire ad un dato sicuro a cui applicare il regimedel margine invocato";- quanto al ricorso dei soci:
-
che la giurisprudenza espressamente citata "(Cass., sez. 6 - 5, Ordinanzan. 5581 del 19/03/2015, Rv. 635-194 - 01)" legittimava la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili, nel caso di società di capitali a ristretta base sociale e in presenza di un accertamento a carico della società pur ancora non definitivo, riscontrandosi nella fattispecie due soci familiari;
-
che non si rilevava un difetto di motivazione, poiché l'avviso di accertamento "contiene l'esposizione, sia pure sintetica, delle ragioni chehanno portato alla sua emanazione e allo stesso è allegato l'avviso diaccertamento emesso nei confronti della socieche costituisce ilpresupposto dell'atto impugnato".Avverso detta sentenza hanno proposto appello, con unico atto, la società e i soci.
Ne
ll'atto di appello, dopo avere riproposto testualmente gli argomenti degli originari ricorsi, si censurava la sentenza impugnata per difetto di motivazione, in quanto "estremamente laconica'', in particolare con riferimento alla società, ed appiattita acriticamente sulle argomentazioni dell'Ufficio.
Si
lamentava la carente motivazione in ordine alle censure mosse sull'accertamento induttivo e alla percentuale di ricarico del 36% priva di ogni giustificazione e incongrua alla luce sia della situazione economica assai sfavorevole per l'azienda sia della ben più bassa percentuale applicata per il 2009, rilevando altreche in sede di accertamento con adesione, sullo stesso p.v.c. e con riferimento all'anno 2011, si era applicata una percentuale di ricarico dell'8,70%, come da documento prodotto in questa sede (doc.2).
L
'atto di appello censurava poi la sentenza impugnata per non avere tenuto conto del fatto che in ogni caso l'aliquota IVA al 20% non doveva essere applicata ai ricavi per euro318.670,00 poiché inerenti alle cessioni di beni usati di cui pure si era dato atto nella stessa sentenza, producendosi in questa sede le copie dei registri IVA e degli atti di acquisto delle vetture usate acquistate nel corso del 2010(doc.3).
Gli appellanti
hanno chiesto, pertanto, la riforma della sentenza impugnata, con accoglimento delle conclusioni già formulate in primo grado.
L
'Ufficio si costituiva ed eccepiva preliminarmente l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 53, co. 1, D.Lgs. 546/1992 per mancata sottoscrizione delle parti personalmente, nonché, sempre in via preliminare, " l'intervenuta definitività dei recuperi ad imposizione (con connessa Iva indetraibile) afferenti ai costi di esercizio indebitamente dedotti dalla società in violazione dell'art. 109 TUIR (arg. ex art. 115 c.p.c.) pari a complessivi euro 45.832,00 (euro 20.231,70 più25.600,00), in quanto eccezione non confutata dall'avversario".
Ne
l merito, richiamati gli argomenti svolti in primo grado, controdeduceva:
- quanto
alla percentuale di ricarico applicata: - che l'appellante non contestava i parametri del settore di riferimento in cui era stata inquadrata la società (ricavi compresi tra euro400.000,00 ed euro700.000,00 - ubicazione territoriale e codice attività), limitandosi a richiamare lo stato di crisi e le percentuali applicate nl 2009 e nel 201 1 (circostanza, quest'ultima, neppure dedotta in primo grado);
- che l'Ufficio "non ha emesso alcun accertamento per l'anno d'imposta 2009 a carico dell'appellante;
inoltre la dedotta situazione di indebitamento con (pare di capire) paventata insolvenza, non c'entra niente con la redditività in contestazione per un semplice motivo: la percentuale in questione è stata calcolata esclusivamente sulla base dei dati ricavati dalla gestione operativa (leggasi allegato all'accertamento) per cui la gestione finanziaria e/o straordinaria non ha inciso in quanto irrilevante, mentre la dedotta crisi economica non può non aver trovato riscontro nei dati stessi";
- che per il 2011 "l'adesione risponde a una logica valutativa che non può essere mutuata al diverso fine di stabilire la correttezza della percentuale applicata per l'anno oggetto di controversia", oltre ad essere argomento nuovo;
- che "gli esiti dell'accertamento induttivo non possono essere ridotti dal giudice in via "equitativa", in assenza di qualsiasi prova proveniente dalla controparte, che infatti ha l'onere di provare in modo preciso i fatti impeditivi del maggiore ricarico di cui all'accertamento effettuato dall'Ufficio (cfr. Cass. n. 3984/17)", onde la questione attiene alla ricostruzione induttiva dei ricavi di esercizio non dichiarati;
- quanto
ai ricavi, che "il totale dei ricavi constatati dalla G.d.F. sulla base dell'esame della contabilità societaria (conti di mastro) è pari a euro 580.868,66 (vedasi fogli nn. 7, 17 e 22 del p.v.c.) e non ad euro 431.745,00 come erroneamente affermato dall' avversario", e tale importo collima sostanzialmente con quello accertato (euro586.651,71), come rilevato nella sentenza di primo grado;
- quanto a
lla quantificazione del reddito d' impresa: - che "dai dati forniti dalla G.d.F. risultano: ricavi per euro 580.868,66 e costi per euro428.180,91, il che, tenendo conto del surplus di rim. iniz. (euro 125.950,00) rispetto a quelle finali (euro102.535,45) pari a euro 23.415,00 comporterebbe il seguente risultato reddituale: euro580.868,66 - (euro 428.180,91 più23 .415,00) = euro 129.273,00.
L
'Ufficio ha invece accertato un reddito d'impresa di euro72.992,02";
- quanto ai pre
supposti dell'accertamento induttivo puro: - che la legittimità di esso può derivare dalla sola omessa (e nella specie non contestata) presentazione delle prescritte dichiarazioni fiscali;
- che in ogni caso si riscontra, oltre alla omessa presentazione del bilancio, la "irregolare tenuta della contabilità a motivo della mancata esibizione del libro inventari e della tardiva esibizione (in data 17/09/13 a fronte della verifica iniziata il 05/09/13) e non completa compilazione (assenza delle scritture di assestamento e rettifica) del libro giornale, peraltro riportato su supporto informatico modificabile";
- quanto, in
via generale, all'accertamento induttivo: - che la giurisprudenza consente, nei casi analoghi alla odierna fattispecie, il ricorso a presunzioni c.d. super semplici, incombendo sul contribuente l'onere probatorio di addurre fatti ed elementi di prova contrari;
- qu
anto all'IVA 20%: - che, come rilevato dalla sentenza di primo grado, la contribuente non ha provato i presupposti per l'applicazione del regime del margine, in quanto regime speciale derogatorio all'ordinario e perciò essendovi un preciso onere dimostrativo del contribuente, nella fattispecie inadempiuto, al di là delle espressioni formali indicate in fattura;
che
peraltro, "le fatture di vendita e gli atti di acquisto delle vetture depositate in giudizio dalla Parte non possono essere prese in considerazione, in quanto non prodotte in sede di verifica fiscale della G.d.F. all'Ufficio, ciò senza che venga a tal fine eccepita dimostrata una eventuale causa di non imputabilità (cfr. all'uopo Cass. n. 9094 del 7 aprile 2017;
n. 5734
del 24/03/2016 e n. 21665 del 22 ottobre 2013)" e comunque non potendosi produrre in appello documenti nuovi.
L'Ufficio
ha chiesto pertanto il rigetto dell'appello.
All'esito dell'udienza, il Collegio osserva anzitutto,
sulla eccezione preliminare, che l'interpretazione della procura alle liti è soggetta al principio ermeneutico stabilito per gli atti di parte dagli artt. 1367 c.c. e 159 c.p.c. e pertanto deve essere compiuta nel rispetto della regola della conservazione del negozio. Nella fattispecie, il "mandato" conferito in calce al ricorso di primo grado fa riferimento alla fase davanti alla CTP nonché "a quelle eventuali di opposizione ed esecutiva, con ogni facoltà di legge", per modo che tale locuzione appare di ampia portata e, siccome riferita espressamente anche alla fase di opposizione ed esecutiva, idonea a ricomprendere l'impugnazione in appello quale sviluppo naturale del procedimento in ogni fase.
La sentenza
di primo grado non appare affatto carente di motivazione o acritica, poiché ha sviluppato un percorso motivazionale ben intellegibile supportato anche da riferimenti giurisprudenziali.
La motivazione della
sentenza di primo grado appare condivisibile.
Dato
atto che sui recuperi ad imposizione afferenti ai costi di esercizio (indebitamente dedotti) pari a complessivi euro45.832,00 non sono stati svolti specifici argomenti, la Commissione osserva dunque, nel merito, che tema centrale di causa è rappresentato dalla legittimità dell'accertamento induttivo, contestata da parte contribuente.
In proposito
, si rileva il consolidato orientamento per cui "in tema di rettifica dei redditi d'impresa, il discrimine tra l'accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la "incompletezza, falsità od inesattezza" degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l'Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell'esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all'art. 2729 c.c.;
nel secondo caso, invece, "le omissioni o le false od inesatte indicazioni" sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l'attendibilità - e dunque l'utilizzabilità, ai fini dell'accertamento - anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l'amministrazione finanziaria può "prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti" ed è legittimata a determinare l'imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c." (Cass., Sez. V, ord. 18.12.2019, n. 33604;
cfr. anche Cass., Sez. V, ord. 8.3.2019 n. 6861).
Dunque, in caso
di irregolarità estreme o assai gravi l'Ufficio ha facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili nei casi in cui siano esistenti e di utilizzare, oltre che prove dirette, anche elementi indiziari connotati da una valenza dimostrativa non particolarmente pregnante, vale a dire presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (presunzioni c.d. super semplici).
Nell
' ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione dunque, l'Ufficio può fare ricorso alle presunzioni c.d. super semplici, "comportanti l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata induttivamente dall'Amministrazione" (Cass., Sez. V, 16.7.2020 n. 15167).
Nella
fattispecie, come si desume già dal p.v.c., per l'anno 2010 la A. s.r.l. "ha omesso di presentare sia la dichiarazione annuale che il relativo bilancio" (cfr. p.v.c. p.6), onde non è stata possibile la riconciliazione dei dati, dei conti e dei sottoconti con le relative voci di bilancio. Il Libro degli inventari risulta "non esibito" e il Libro giornale risulta esibito, pur tardivamente, "solo su supporto informatico con file modificabile" (p.5).
Appare
quindi legittimo il ricorso all'accertamento c.d. induttivo puro. Non di meno, nell'avviso di accertamento l'Ufficio ha tenuto conto di elementi comunque desumibili dagli atti.
Segnatamente, i ricavi ricostruiti
(sostanzialmente coincidenti con quelli del p.v.c.) sono stati indicati in euro 586.654,71 rappresentati dal costo del venduto (esistenze iniziali piùacquisti contabilizzati - rimanenze finali - totale euro 431.363, 76 su cui è stata applicata la percentuale di ricarico media di settore del 36% (come da tabella in atti). Il reddito d' impresa ricostruito è stato indicato in euro72.992,02 determinato dai ricavi ricostruiti a cui sono state sommate le rimanenze finali e da cui sono stati detratti gli acquisti deducibili, gli ammortamenti riconosciuti, le spese del personale e le rimanenze iniziali (si nota che i dati delle rimanenze iniziali e finali corrispondono a quelli che la stessa parte dichiara di avere fornito - cfr. all. 3 al p.v.c.).
Si
riscontra pertanto una coerenza logica.
L
' appellante ritiene abnorme la percentuale di ncarico applicata dall'Ufficio.
In proposito
si osserva che, con riguardo all'accertamento induttivo del reddito d'impresa, ai fini della determinazione della percentuale di ricarico i valori percentuali medi del settore non rappresentano un fatto noto storicamente provato, ma costituiscono il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei: essi, pertanto, non integrano presunzioni gravi, precise e concordanti, ma una semplice regola di esperienza'', che peraltro permette all'Ufficio di ricostruire il reddito sulla base di presunzioni c.d. super semplici (cfr. Cass., Sez. V, 30.3.2007, n. 7914).
Nella fattispecie,
non vi è contestazione del dato del 36% quale media di settore, ma vi è contestazione di tale dato quale abnorme in una situazione di crisi e di difficoltà aziendale, a tal fine producendo alcuni decreti ingiuntivi del 2011 e 2012 a carico della società, nonché riportandosi alla percentuale stabilita in sede di accertamento con adesione per il 2011.
Si
osserva che l'accertamento con adesione per diversa annualità non è in alcun modo vincolante in questa sede contenziosa, in quanto basato su un accordo (seppure un "accordo di diritto pubblico"), offre elementi oggettivi di riferimento per la determinazione della percentuale di ricarico utilizzabili nella odierna fattispecie. D'altra parte, la situazione di crisi e di difficoltà aziendale è genericamente dedotta, in quanto non supportata da elementi specifici attinenti alla percentuale di ricarico di fatto praticata nell'anno in contestazione o negli anni contigui, da cui poter desumere la congruità di una percentuale di ricarico attendibile e più favorevole al contribuente. Infine, l'Ufficio nega un precedente accertamento anno 2009, asserito dalla contribuente, con indicazione di un ricarico del 3,83%;
il p.v.c. peraltro, riguarda il 2010 ed annualità successive.
Si
ritiene pertanto che il contribuente non abbia fornito adeguata prova contraria, se non in via diretta quanto meno sul piano della congruenza logica rispetto ad elementi concreti contigui, non potendosi operare una riduzione della percentuale di ricarico su base meramente equitativa.
L'appellante reitera
inoltre la doglianza dell'IVA al 20% come se si fosse trattato della vendita di auto nuove senza considerare che lo stesso p.v.c. indica il ricavo per cessione auto usate euro318.670,00.
In
proposito, si osserva che, come ha puntualizzato la sentenza impugnata, la società contribuente non ha provato l'esistenza dei presupposti per l'applicazione del regime del margine di cui all'art. 36 D.L. n. 41/1995 conv. con modif. in L. n. 85/1995.
In
virtù di detto regime è assoggettato a IVA il solo utile lordo realizzato dal rivenditore, cioè la differenza (c.d. "margine") fra il prezzo di vendita e quello di acquisto, maggiorato delle spese di riparazione e di quelle accessorie.
Il regime de
l margine costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell'imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi (cfr. Cass., Sez. Un., 12.9.2017 n. 21105).
E
poiché esso rappresenta un regime speciale, derogatorio dell'ordinaria disciplina fiscale degli acquisti intracomunitari, impone che il contribuente provi la sussistenza dei relativi presupposti di fatto.
L
' appellante ha prodotto in questa sede fatture di acquisto di autovetture usate anno 2010, di cui l'Ufficio ha eccepito l'inammissibilità e incongruenza probatoria.
Al
riguardo, ove anche si ritengano non operanti le preclusioni dell'art. 52 co.5 D.P.R. n. 633/1972, a cui rinvia l'art. 33 D.P.R. n. 600/1973, e sulla produzione di nuovi documenti in appello, l'Ufficio, oltre a manchevolezze documentali già emergenti dal p.v.c. e dagli atti (cfr. controdeduzioni in appello, p. 10-11), ha rilevato che in ogni caso "gli atti di acquisto di autovetture da privati depositati da controparte non risolvono la questione a motivo della rilevata assenza di un dettaglio delle rimanenze in violazione dell'art. 15, co. 2, DPR 600/73, per cui è impossibile la relativa riconciliazione con le fatture attive".
Del
resto, l'appellante neppure in primo grado ha offerto una specifica prospettazione di calcolo documentalmente verificabile. In primo grado si è limitato a dedurre (cfr. ricorso p.6) che è inverosimile "dal punto di vista probabilistico" la vendita di tutte auto nuove;
che, anche a non ritenere attendibili
i dati acquisiti dalla GdF, "l'Agenzia avrebbe potuto attingere ai dati contenuti nel Pubblico Registro Automobilistico";
che "le vetture usate entrano a far parte del regime del margine e non sono sottoposte a aliquota IVA, a meno che non provengano da soggetto IVA".
Si tratta di deduzioni
che appaiono irrilevanti sotto il profilo dell'onere probatorio del contribuente.
Quanto
all'impugnazione proposta dai soci personalmente, si osserva che, a parte la riproduzione testuale dell'originario ricorso, i motivi di appello non argomentano in senso critico avverso la sentenza di primo grado.
Essa appare,
invero, puntuale e corretta, laddove ha rilevato la ristrettezza della base sociale-familiare traendone le conseguenze secondo la consolidata giurisprudenza, puntualmente citata.
Appare
sufficiente ricordare che " l'avviso di accertamento nei confronti del socio per redditi da utili non dichiarati di società di capitali a ristretta base partecipativa è legittimamente emesso e adeguatamente motivato anche quando il socio non abbia partecipato all'accertamento nei confronti della società e l'atto contenga un mero rinvio "per relationem" ai redditi della società, non essendo i due accertamenti autonomi e indipendenti, in virtù dei poteri concessi ai soci, ai sensi dell'art. 2261 c.c., di consultare la documentazione contabile e di partecipare perciò agli accertamenti che riguardano la società, sicché essi non possono dolersi della definitività dell'accertamento, né riproporre doglianze ad esso riferibili" (Cass., Sez. VI-V, ord. 18.2.2020 n. 3980). Inoltre, in materia di imposte sui redditi, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell'assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria" (Cass., Sez. VI-V, ord. 24.1.2019 n. 1947).
I
soci appellanti non hanno dedotto/provato elementi specifici attinenti alla loro posizione.
L
' appello deve pertanto essere respinto, con conferma della sentenza di primo grado.
Le spese processuali del grado
seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi