Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sez. XIII, sentenza 23/03/2022, n. 1114

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Sul provvedimento

Citazione :
Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sez. XIII, sentenza 23/03/2022, n. 1114
Giurisdizione : Comm. Trib. Reg. per la Lombardia
Numero : 1114
Data del deposito : 23 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano proponeva appello avverso la sentenza n. 403/15/2021 della Commissione tributaria provinciale di Milano, emessa in data 18/12/2020 e depositata in data 27/01/2021- successivamente oggetto di ordinanza su istanza di correzione n. 732/15/2021-, pronunciata e depositata dalla Commissione Tributaria di Milano in data 12/03/202.

Si costituiva in giudizio la contribuente che chiedeva il rigetto dell'appello con vittoria di spese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano proponeva appello avverso la sentenza n. 403/15/2021 della Commissione tributaria provinciale di Milano, emessa in data 18/12/2020 e depositata in data 27/01/2021- successivamente oggetto di ordinanza su istanza di correzione n. 732/15/2021-, pronunciata e depositata dalla Commissione Tributaria di Milano in data 12/03/202 avente ad oggetto la seguente vicenda.

In data 08.11.2019 la dott. Lxxxx presentava all'Agenzia delle Entrate istanza di rimborso delle somme indebitamente versate a titolo di maggiore aliquota sul T.F.R. a seguito della notifica della comunicazione n. 0032827716201 del 05.07.2019. In data 24.03.2019, a seguito del silenzio-rifiuto serbato dall'Ufficio, la contribuente presentava istanza di reclamo/ricorso, dolendosi della mancata applicazione della clausola di salvaguardia sul TFR. Parte ricorrente rappresentava in particolare che dal 29 ottobre 2001 al 27 novembre 2015 aveva svolto attività di lavoro dipendente con qualifica di Quadro presso la Sxxxx Uxxxx Pxxxx Sxxxx Ixxxx S.r.l. (c.f. xxxx).

Al termine del rapporto di lavoro, la Società aveva liquidato il suo T.F.R. sulla scorta della normativa di cui all' art. 17, comma 1, D.P.R. n. 917/1986 (c.d. T.U.I.R.), applicando nello specifico la cd. "Clausola di salvaguardia" secondo cui, ai fini del calcolo dell'Imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sui T.F.R., sulle indennità equipollenti e somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro, si applicano, se più favorevoli, le aliquote e gli scaglioni di reddito vigenti al 31 dicembre 2006.

L'Amministrazione finanziaria, in sede di riliquidazione dell'imposta sul T.F.R., aveva applicato erroneamente l'aliquota media ordinaria dell'ultimo quinquennio, ossia pari al 35,10%, superiore di circa 5 punti percentuali a quella prevista dalla clausola di salvaguardia. In data 06/11/2020 l'Ufficio si costituiva in giudizio, con proprie controdeduzioni, ribadendo la legittimità del proprio operato. In esito al giudizio di prime cure, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano emetteva la sentenza n. 403/15/2021, pronunciata in data 18/12/2020, depositata in data 27/01/2021 e successivamente oggetto di ordinanza di correzione n. 732 del 12/03/2021. Nella motivazione di tale pronuncia l'organo giudicante accoglieva il ricorso, condannando l'ufficio alle spese, sostenendo: "Secondo l'Agenzia delle Entrate (…) l'applicazione della clausola di salvaguardia invocata dalla ricorrente è da intendersi, secondo le indicazioni ricevute dal Dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell'Economia e delle Finanze, limitata alla quota di TFR maturata al 31.12.2000. La legge di stabilità del 2013 avrebbe, infatti, abrogato il comma 9 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, e cioè della clausola di salvaguardia, introdotta per evitare che le nuove aliquote e gli scaglioni in vigore dal 11 gennaio 2007 si ripercuotessero negativamente sulla tassazione del trattamento di fine rapporto. Ritiene, tuttavia, la Commissione adita che tale ultima interpretazione sia errata. L'art. 1, comma 9, della legge 296 del 2006 non risulta espressamente abrogato e, pertanto, in assenza di fenomeni di abrogazione tacita, neppure allegati da parte resistente, deve intendersi ancora vigente. La stessa parte resistente, peraltro, non ha indicato quale sia stata la disposizione specifica che avrebbe abrogato la disposizione di cui si controverte. La legge di stabilita del 2013, peraltro, non ha abrogato la disposizione di cui ci controverte, in quanto l'articolo del disegno di legge che prevedeva tale abrogazione è stata superata nel corso dei lavori parlamentari non è stato approvato. Il diniego dell'istanza di rimborso formulata della ricorrente è, pertanto, illegittimo".

Lamentava in questa sede l'ufficio che i giudici di prime cure, nell'esporre le ragioni giuridiche poste a fondamento del ricorso, si fossero focalizzati unicamente sulla circostanza inerente la mancata espressa abrogazione dell'art. 1, comma 9, della legge 296 del 2006, non prendendo in alcun modo in esame la deduzione, mossa dall'Ufficio in via principale, concernente l'applicabilità della clausola di salvaguardia, in ogni caso ed indipendentemente dall'esistenza di successivi fenomeni abrogativi, limitatamente alla quota di TFR maturata al 31.12.2000. Ne conseguiva che la sentenza impugnata, sorvolando su fatti che secondo l'appellante assumevano rilevanza decisiva ai fini della decisione, fosse in aperta violazione del principio generale secondo cui il giudice deve valutare tutte le ragioni delle parti, a maggior ragione le difese sviluppate in via principale ed assorbente.

L'applicabilità della clausola di salvaguardia ai trattamenti di fine rapporto maturati fino al 31 dicembre 2000 non costituirebbe, infatti, un modus operandi dell'Ufficio sfornito di ogni supporto normativo, realizzando al contrario una precisa scelta volta a preservare l'operatività dell'articolo 19, comma 1, del TUIR il quale prevede, per i TFR maturati dal 2001, la riliquidazione dell'imposta in base all'aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione: in tali casi l'operatività della clausola di salvaguardia, comportando, di fatto, l'applicazione delle aliquote e degli scaglioni di reddito vigenti nel 2006, in quanto più favorevoli, porrebbe nel nulla gli effetti della disposizione di cui al citato articolo 19. Inoltre, a sostegno dell'applicazione della clausola di salvaguardia soltanto al trattamento di fine rapporto maturato fino al 31 dicembre 2000, era altresì utile, sotto il profilo sistematico, richiamare la legge finanziaria 289/2002 (e la relativa relazione tecnica) la quale, nell'innalzare le aliquote al primo scaglione Irpef da 18 al 23 per cento (mentre nulla disponeva in punto di TFR, generando così numerose interrogazioni parlamentari e proposte di legge -vedasi proposta di legge Benvenuto del 2003- miranti a colmare siffatta lacuna normativa), dettava una specifica disciplina tesa a evitare che il suddetto innalzamento si ripercuotesse negativamente sulla tassazione degli arretrati di lavoro dipendente. Tale legge finanziaria, differendo al 1 gennaio 2005 l'applicazione degli emolumenti arretrati di lavoro dipendente della revisione delle aliquote e degli scaglioni di reddito, e, di fatto, neutralizzando le ripercussioni negative della suddetta revisione per il solo biennio 2003/2004, costituiva un elemento significativo a sostegno della tesi per la quale lo strumento della clausola di salvaguardia fosse fisiologicamente volto a tutelare "il pregresso" e ad avere pertanto un'applicazione limitata nel tempo.

La soluzione prospettata, inoltre, si presterebbe a un'applicazione pratica chiaramente più lineare e semplice, postulando, indirettamente, l'incompatibilità del criterio della riliquidazione con aliquota media determinata con riferimento alla capacità contributiva del contribuente nel quinquennio precedente l'anno di insorgenza del diritto alla percezione del TFR con l'applicazione della clausola di salvaguardia. Alla luce delle argomentazioni esposte l'ufficio riteneva che la propria l'interpretazione fosse anche sotto il profilo sistematico la più coerente.

La decisione impugnata, pertanto, in quanto, in contrasto con l'illustrato dettato normativo sarebbe da annullare con accoglimento dell'appello dell'ufficio e vittoria di spese.

Si costituiva in giudizio la dott. Lxxxx deducendo che in data 5 luglio 2019, l'Agenzia delle Entrate le aveva notificato l'avviso di liquidazione dell'imposta sulle somme ricevute a titolo di Trattamento di Fine Rapporto (c.d. T.F.R.) e altre indennità nel corso dell'anno 2015, richiedendole il pagamento dell'importo complessivo di Euro 4.037,88.

La Lxxxx, dal 29 ottobre 2001 al 27 novembre 2015 aveva svolto attività di lavoro dipendente con qualifica di Quadro presso la Società Uxxxx Pxxxx Sxxxx Ixxxx S.r.l. (c.f.xxxx). Al termine del rapporto di lavoro, la Società aveva liquidato il T.F.R. sulla scorta della normativa di cui al D.P.R. n. 917/1986 (c.d. T.U.I.R.). In particolare, come emerge dal "Prospetto individuale del Trattamento di Fine Rapporto", la Società, quale sostituto d'imposta, aveva correttamente applicato la "Clausola di salvaguardia" prevista dall'art. 17, comma 1, T.U.I.R., secondo cui ai fini del calcolo dell'Imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sui Trattamenti di Fine Rapporto, sulle indennità equipollenti e sulle altre indennità e somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro, si applicavano, se più favorevoli, le aliquote e gli scaglioni di reddito vigenti al 31 dicembre 2006. Come emerge nella ricostruzione calcolo aliquote T.F.R. all'atto della liquidazione del T.F.R. della Lxxxx l'aliquota media per il 2015 (anno maturazione diritto) era al 31,40% mentre l'aliquota determinata con la clausola di salvaguardia ammontava al 30,70%, sicché la Società, in qualità di sostituto d'imposta, aveva liquidato il T.F.R. applicando la minore aliquota risultante dalla clausola di salvaguardia. A distanza di anni, l'Ufficio liquidava nuovamente il T.F.R. erogato alla Lxxxx applicando l'aliquota media ordinaria dell'ultimo quinquennio, ossia pari al 35,10% (superiore di circa 5 punti percentuali a quella applicata dalla Società in sede di erogazione del T.F.R.), senza tener conto della disposizione normativa relativa alla clausola di salvaguardia. Stante l'errore di calcolo commesso dall'Ufficio in sede di riliquidazione, la Lxxxx presentava in data 11 luglio 2019 istanza di annullamento in autotutela, chiedendo l'applicazione della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 17, comma 1, T.U.I.R. Invero la Contribuente evidenziava che l'art. 1, comma 9, L. n. 296/2006, avesse modificato l'art. 17, T.U.I.R., prevedendo l'adozione dell'imposizione in base agli scaglioni e alle aliquote vigenti nel 2006 laddove questi risultassero essere più favorevoli al contribuente, come nel caso di specie (aliquota del 30,70%, a fronte di quella maggiore del 35,10% applicata dall'Agenzia). L'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale II di Milano - Ufficio di Milano 6 respingeva l'istanza, ritenendo inapplicabile l'aliquota conseguente alla clausola di salvaguardia in parola in quanto il T.F.R. era maturato a partire dal 1° gennaio 2001, laddove, secondo le indicazioni ricevute dal Dipartimento delle Politiche Fiscali del Ministero dell'Economia e delle Finanze, la clausola di salvaguardia in esame era limitata alla quota di TFR maturata al 31.12.2000".

La Lxxxx al solo fine di evitare un aggravio sotto il profilo sanzionatorio e senza nulla riconoscere in ordine alla fondatezza della pretesa avanzata dall'Ufficio, nonché stante l'immediata esecutività della pretesa fiscale, versava l'importo preteso dall'Agenzia delle Entrate in data 31 ottobre 2019.

Con istanza di rimborso del 8 novembre 2019, poi, la Contribuente intimava alla Amministrazione finanziaria la restituzione delle somme indebitamente versate a titolo di maggior aliquota sul tfr, attesa l'illegittimità la infondatezza della pretesa tributaria.

In detta istanza veniva evidenziato come, tanto per dettato normativo, quanto per prassi e giurisprudenza, la vigente clausola di salvaguardia fosse applicabile anche al T.F.R. successivo al 31 dicembre 2000 in sede di riliquidazione delle imposte da parte dell'Agenzia delle Entrate. L'Agenzia delle Entrate non accoglieva l'istanza in esame e, trascorsi novanta giorni, maturava il silenzio rifiuto avverso la stessa. La Dott.ssa Lxxxx impugnava il diniego tacito di rimborso innanzi alla C.T.P. di Milano, con ricorso notificato in data 24 marzo 2020, con il quale la Contribuente evidenziava l'erroneo modus operandi adottato dall'Ufficio, ricostruendo l'intero quadro normativo, di prassi e di giurisprudenza, per dimostrare come la vigente clausola di salvaguardia fosse applicabile anche al T.F.R. successivo al 31 dicembre 2000 per effetto delle modifiche introdotte al T.U.I.R. dal D.Lgs. n 47/2000, e come essa dovesse essere tenuta in considerazione anche in sede di riliquidazione delle imposte da parte dell'Amministrazione finanziaria. Si costituiva in giudizio l'Agenzia delle Entrate, ribadendo l'inapplicabilità della clausola di salvaguardia per il periodo successivo al 1° gennaio 2001, atteso che la legge di stabilità 2013 aveva infatti disposto l'abrogazione del comma 9 dell'articolo 1 della legge 296/2006, e cioè della clausola in esame, con la conseguenza che per i rapporti di lavoro che cessavano dal 31 dicembre 2012, la percentuale da applicare sul Tfr era riferita alle aliquote ed agli scaglioni in vigore dal 1° gennaio 2013.

La contribuente deduceva ulteriormente in ordine all'infondatezza della pretesa erariale dimostrando la spettanza del credito vantato, atteso che non vi era stata alcuna abrogazione della c.d. clausola di salvaguardia, essendo l'originaria ipotesi espunta nel testo definitivo della legge di stabilità.

La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva integralmente il ricorso della contribuente, condannando l'ufficio al pagamento di mille euro di spese.

In sede di appello la Lxxxx affermava che la sentenza impugnata fosse adeguatamente motivata, avendo i Giudici illustrato il percorso logico argomentativo seguito.

Deduceva, altresì, che molti dei profili sollevati da controparte in sede di appello costituissero motivo nuovo, atteso che l'unico motivo sollevato in primo grado dall'appellante era quello della abrogazione della clausola di salvaguardia.

Nel proprio atto di appello, l'Agenzia delle Entrate contestava invece la clausola di salvaguardia a prescindere dalla sua mancata abrogazione, negando l'applicabilità dell'art. 17, T.UI.R. (che la contempla) a partire dal 1 gennaio 2001, e quindi al T.F.R. successivo al 31 dicembre 2000;
ciò in quanto così facendo si svuoterebbe di contenuto l'art. 19, T.U.I.R., ritenuto prevalente dall'ufficio.

Se si accogliesse questa nuova tesi, secondo la contribuente, si dovrebbe concludere che anche il raffronto tra aliquota dell'ultimo quinquennio e aliquota ordinaria, ai sensi dell'art. 17, T.U.I.R. c. 3, svuoti di significato l'operatività dell'articolo 19, T.U.I.R.). Dunque, se davvero l'art. 19, T.U.I.R. avesse esautorato l'art. 17, T.U.I.R. dal 1 gennaio 2001, non si comprenderebbe come mai questo sia avvenuto per il comma 1 (clausola di salvaguardia) ma non per comma il 3 (aliquota ordinaria), e sempre sulla base di disposizioni interne all'Amministrazione finanziaria assunte a valore abrogativo.

Secondo la Lxxxx, invece, la clausola di salvaguardia e aliquota ordinaria, come termini di raffronto per l'aliquota dell'ultimo quinquennio, non svuotavano di portata l'art. 19 T.U.I.R, rafforzandone invece la valenza in qualità di meccanismi a tutela del contribuente.

La contribuente sosteneva, pertanto, che l'art. 17, T.U.I.R., così come modificato dal D.Lgs. n. 47/2000, avesse efficacia dal 1 gennaio 2001 per espresso richiamo all'art. 12 dello stesso D.Lgs., ed fosse pertanto applicabile al T.F.R. maturato dal 1 gennaio 2001 (cioè successivo al 31 dicembre 2000). In particolare, l'art. 17, comma 1, T.U.I.R., non prevedeva alcun contenimento temporale circa l'operatività della clausola di salvaguardia introdotta con la L. n. 296/2006, la quale si applica anche al T.F.R. maturato dal 1 gennaio 2001 proprio in virtù del richiamo all'art. 12, D.Lgs. n. 47/2000.

L'art. 17, T.U.I.R. novellato dal D.Lgs. n. 47/2000 e l'art. 19, T.U.I.R., inoltre, non sarebbero alternativi fra di loro, ma da interpretarsi in combinato disposto (art. 17, T.U.I.R. c. 1 e c. 3, art. 19, T.U.I.R). da cui discenderebbe che la clausola di salvaguardia introdotta con la L. n. 296/2006 debba essere applicata non solo da parte del sostituto d'imposta ma anche dall'Agenzia delle Entrate in sede di riliquidazione delle imposte. Tale riliquidazione ha infatti lo scopo di confrontare l'aliquota media dell'ultimo quinquennio con l'aliquota presa a riferimento nell'anno di erogazione del T.F.R. in via provvisoria dal sostituto d'imposta (art. 19, comma 1, T.U.I.R.). Fatta salva l'applicazione della clausola di salvaguardia e fatta salva l'applicazione dell'aliquota ordinaria (art. 17, T.U.I.R. commi 1 e 3), laddove l'una o l'altra siano più favorevoli al contribuente. La stessa prassi dell'Agenzia delle Entrate, di cui alla Circolare n. 15/E del 1marzo 2007 chiarisce che "Per quanto concerne il trattamento di fine rapporto di cui (…), è prevista una clausola di salvaguardia, diretta ad assicurare che il nuovo sistema non comporti per i contribuenti il pagamento di una imposta maggiore rispetto a quella che sarebbe stata dovuta sulla base delle aliquote in vigore nel 2006. L'articolo 1, comma 9 l.f. ha introdotto, con riferimento alla fattispecie disciplinata all'art. 17, comma 1, lettera a), del TUIR la possibilità di applicare la tassazione separata avvalendosi delle aliquote e degli scaglioni di reddito vigenti fino al 31 dicembre 2006, se più favorevoli. (…) La norma di cui al comma 9 l. f. non specifica se la clausola di salvaguardia debba essere applicata dal sostituto d'imposta ovvero dall'amministrazione finanziaria in sede di riliquidazione. Al riguardo si rileva (…) Se le somme sono erogate da un sostituto d'imposta, in base al tenore letterale della disposizione secondo la quale "ai fini della determinazione dell'imposta...si applicano, se più favorevoli " si ritiene che la verifica debba essere effettuata direttamente dal sostituto d'imposta il quale, in sede di determinazione dell'imposta, utilizzerà le aliquote e gli scaglioni di reddito vigenti al 31 dicembre 2006, se più favorevoli. (…) Successivamente, l'Amministrazione finanziaria di controllo e di riliquidazione dell'imposta, effettua nuovamente la verifica della tassazione più favorevole nei riguardi del contribuente confrontando i risultati ottenuti applicando il sistema della tassazione separata e quello della tassazione ordinaria. In base alla verifica effettuata, l'Amministrazione finanziaria applicherà la tassazione più favorevole per il contribuente". e) Oltre ad essere in contrasto con il dato normativo e con la prassi dell'Agenzia delle Entrate stessa, l'arbitraria omissione della clausola di salvaguardia in sede di riliquidazione delle imposte da parte dell'Agenzia delle Entrate, finirebbe per svuotare di significato l'art. 1, comma 9, L. n. 296/2006 e l'art. 17, comma 1, T.U.I.R., vanificandone la portata applicativa. Si verrebbe poi a creare una discriminazione tra contribuenti privi di sostituto d'imposta, per i quali l'Amministrazione finanziaria applicherebbe la clausola di salvaguardia come specificamente indicato al paragrafo 4.2, Circolare n. 15/E del 16 marzo 2007 e i contribuenti con sostituto d'imposta, ai quali l'Amministrazione finanziaria, come nel caso di specie, disconosce l'applicazione di detta clausola di salvaguardia precedentemente applicata anche laddove da questa emerga il regime più favorevole al contribuente.

Sull'obbligo di applicare la clausola di salvaguardia in sede di riliquidazione delle imposte sul T.F.R., inoltre, si era espressa anche la giurisprudenza di merito, con la sentenza della C.T.P. di Milano, n. 6687/36/2016, depositata il 5 settembre 2016 che aveva ad oggetto un caso analogo a quello in esame.

Né, invero, sarebbe legittima l'esclusione della operatività della clausola di salvaguardia, sulla base di non meglio precisate indicazioni del Mef e dunque non in base a provvedimenti normativi in contrasto con l'art. 23 della Costituzione.

Vigente sarebbe secondo la Lxxxx la clausola di salvaguardia in esame, atteso che, in base all'iter di approvazione del disegno di Legge di stabilità 2013, l'originaria proposta di abrogazione della suddetta clausola risulta stralciata nell'ambito di una serie di emendamenti nella seduta alla Camera dei Deputati del 18 ottobre 2012. Il disegno di Legge è stato così oggetto di approvazione definitiva con alcune modifiche, ma senza l'abrogazione della clausola di salvaguardia, come peraltro si riscontra nella versione finale della Legge di stabilità 2013, approvata come L. 228 del 24 dicembre 2012.

Sul punto, peraltro, non essendovi stata impugnazione, si sarebbe formato il giudicato.

La contribuente sosteneva, altresì, che le ulteriori fumose argomentazioni prospettate dall'ufficio a sostegno della propria tesi, fossero contrarie al principio di buona fede e leale collaborazione tra l'amministrazione finanziaria e i contribuenti.

Le argomentazioni in esame, inoltre, sarebbero contraddittorie atteso che l'ufficio sostiene che, laddove il legislatore intenda porre limiti temporali ad un regime di maggior favore per il contribuente, lo stabilisce in modo chiaro e incontrovertibile attraverso una norma specifica.

Ciò, secondo la contribuente, non era mai avvenuto per la clausola di salvaguardia introdotta con la L. n. 296/2006. In particolare, l'art. 17, comma 1, T.U.I.R., non prevedeva alcun contenimento temporale circa l'operatività della suddetta clausola, né siffatta limitazione poteva rinvenirsi in altra norma del nostro ordinamento.

La parte concludeva, pertanto, per la conferma della sentenza di primo grado e la condanna alle spese anche ex art. 96 cpc dell'ufficio.

Ritiene il Collegio che l'appello di primo grado vada rigettato e la sentenza di primo grado confermata.

Ed, invero, non si comprende da quale fonte normativa possa desumersi la limitazione temporale di applicazione della clausola di salvaguardia alla quota di tfr maturato al 31.12.2000, atteso che i lavori parlamentari relativi ad una sua possibile abrogazione non erano stati trasfusi nella legge di stabilità del 2013.

A fronte del chiaro ed espresso dettato letterale dell'art. 1 comma 9 della l. n. 296 del 2006, sulla applicabilità della stessa, senza limiti temporali, non convincono le argomentazioni dell'ufficio basate su interpretazioni sistematiche o su fonti di grado inferiore alla legge, con ogni conseguente riflesso sulla riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione.

Né, invero, può sostenersi che la sentenza di primo grado non fosse motivata, atteso che i Giudici hanno illustrato adeguatamente il condivisibile ragionamento logico giuridico sotteso al provvedimento impugnato.

Si badi, peraltro, che alla chiarezza del testo normativo vigente va rapportata la sinteticità della motivazione della sentenza impugnata, comunque completa ed altrettanto chiara.

L'appello va, pertanto, rigettato e la sentenza di primo grado confermata.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano in euro 2000 oltre accessori di legge se dovuti, per questo grado di giudizio, non ritenendo che possa ravvisarsi mala fede o colpa grave dell'ufficio, che giustifichi una condanna ex art. 96 c.p.c., essendosi comunque l'appellante adeguato ad un atto interno, sia pure opinabile.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti per la definizione del procedimento;
gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dalla Commissione ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

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