Commissione Tributaria Regionale Friuli Venezia Giulia, sez. II, sentenza 20/07/2020, n. 75
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Con sentenza n. 55/1/19, dd. 16-30.4.2019, la CTP di Udine accoglieva solo limitatamente alle sanzioni il ricorso presentato da spa avverso l'atto di recupero e di contestuale irrogazione delle sanzioni n. TI Iva cred. imp. 2016, notificato il 31.10.2018, con il quale l'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Udine, contestava alla contribuente, ai sensi dell'art. l. comma 421, della legge n. 311/2004, la compensazione di crediti fiscali, effettuata nel 2016, in misura superiore al limite legislativo dei 700.000,00 euro per ciascun anno solare, previsto dall'art. 34, comma l, della legge n. 388/2000, dovendosi includere in tale limite, secondo l'ufficio, l'importo di euro 699.728,12 rimborsato nell'aprile del 2016 in conto fiscale dal concessionario secondo - la procedura semplificata.
L'atto di recupero impugnato fondava la pretesa erariale su tre norme:
a) l'art. 34, comma l, della legge n. 388/2000, per il quale "a decorrere dal 10 gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell'art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale ... è fissato in euro 516.546,60", limite elevato a 700.000,00 euro dal 1.1.2010;
b) l'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997, per il quale i contribuenti effettuano versamenti unitari delle imposte e dei contributi previdenziali con eventuale compensazione dei crediti dello stesso periodo risultanti dalle dichiarazioni e denunce periodiche;
c) l'art. 25, comma 4, dello stesso decreto, per il quale "i contribuenti titolari di partita IVA non ammessi alla compensazione o, seppure ammessi, per la parte che non trova capienza nella compensazione, pur nel rispetto del limite di cui al comma 2, possono ricorrere alla procedura di rimborso prevista dal regolamento sull'istituzione del conto fiscale". I limiti di cui al suddetto comma 2 sono quelli dei 700.000,00 euro di cui sopra. L'atto impugnato interpretava il combinato disposto di queste norme nel senso che "alla formazione del tetto dei 700.000,00 euro per ciascun anno solare concorrono le compensazioni orizzontali o esterne ed inoltre tutti i rimborsi, di qualsiasi tipo d'imposta, richiesti in conto fiscale all'agente della riscossione, come chiarito nella circolare n. 211/E del 3.9.1998".
Il primo motivo del ricorso di primo grado chiedeva la dichiarazione di nullità dell'atto impugnato per l'assenza di un Pvc e di un contraddittorio preventivo. L'Agenzia delle Entrate aveva obiettato che la scelta del metodo accertativo rientra nella piena disponibilità dell'ufficio e ricordava la giurisprudenza della Cassazione sulla possibilità delle verifiche a tavolino. La sentenza di primo grado ha motivato il rigetto del motivo in esame con il fatto che nella fattispecie la contribuente non aveva provato la concreta utilità che le sarebbe derivata dall'attivazione di una procedura comprendente una verifica corredata dall'emissione di un pvc, limitandosi a prospettare la mera possibilità che, se l'ufficio avesse effettuato una verifica con emissione di un pvc, avrebbe potuto chiedere un accertamento con adesione con possibile sviluppo del ravvedimento e definizione della vertenza in termini più favorevoli rispetto a quanto proposto dall'ufficio con l'autotutela parziale.
Il secondo motivo di ricorso faceva valere una interpretazione dell'art. 34, comma l, della legge n. 388/2000, sopra riportato, per la quale il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale vale, distintamente, sia per le compensazioni sia per i crediti d'imposta, nel senso che al limite dei 700.000,00 euro per le compensazioni si aggiunge, per lo stesso anno solare, un ulteriore limiti di 700,000,00 per i rimborsi, di modo che sarebbe possibile per un contribuente effettuare, con riferimento allo stesso anno, compensazioni entro 700.000,00 euro accompagnate da rimborsi in conto fiscale entro lo stesso limite, trattandosi, in sostanza, di un limite doppio, di 1.400.000,00 euro. Tale interpretazione per la contribuente sarebbe basata sulla diversa struttura giuridica degli istituti della compensazione e del rimborso in conto fiscale. Il motivo è stato respinto perché la diversa struttura dei due istituti non potrebbe fondare la tesi avanzata dalla contribuente di fronte al dato testuale della norma che, utilizzando la congiunzione "ovvero", intende dar vita ad un limite unitario, che comprende cumulativamente sia compensazioni che rimborsi. Per i primi giudici a tale conclusione si deve pervenire anche considerando l'art. 25 del d.lgs. n. 241/1997, per il quale "i contribuenti titolari di partita IVA non ammessi alla compensazione o, seppur ammessi, per la parte che non trova capienza nella compensazione, pur nel rispetto del limite di cui al comma 2, possono ricorrere alla procedura di rimborso prevista dal titolo II del regolamento concernente l'istituzione del conto fiscale ...", offrendo così la possibilità di chiedere il rimborso nei modi ordinari della parte dei crediti che supera il limite della compensazione: questa possibilità escluderebbe, invece, il cumulo, oltre il limite dei 700.000,00 euro, tra compensazioni e rimborsi a soggetti intestatari del conto fiscale.
Il terzo motivo di ricorso lamentava la violazione dei principi comunitari in materia di Iva, dato che, operando la contribuente con il regime dello split payment e trattenendosi le p.a. nei cui confronti opera .. l'imposta dovuta da essa stessa, con l'imposizione del limite di 700.000,00 euro anche per i rimborsi verrebbe ostacolato in modo evidente il rimborso di somme che l'erario ha già percepito dal soggetto passivo. I primi giudici ritengono che la criticità derivante dal fatto che il credito fiscale che si crea attraverso lo split payment sia rimborsabile solo con la procedura di rimborso ordinaria rimanga sul piano delle scelte politiche e non possa essere risolta in assenza di una normativa ad hoc che compensi la distorsione.
Il quarto motivo di ricorso, che sosteneva che per il calcolo del limite dei 700.000,00 euro ci si doveva riferire, per le compensazioni, all'anno solare di formazione/provenienza del credito e non all'anno di suo effettivo utilizzo, è stato respinto per il fatto che dal tenore letterale di cui all'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 241/1997 risulterebbe chiaramente che il legislatore si è riferito all'anno di utilizzo e non a quello di formazione del credito.
Il quinto motivo, concernente le sanzioni, è stato parzialmente accolto, con riduzione delle sanzioni al 20% della misura irrogata, in considerazione dell'incertezza della soluzione da dare al caso deciso e dell'assenza di precedenti giurisprudenziali specifici e di indicazioni di prassi. Per lo stesso motivo sono state compensate le spese.
Questa sentenza è stata impugnata da spa con ricorso in appello depositato il 6.6.2019, in cui si chiede la riforma della decisione di primo grado, in via principale, con annullamento dell'atto di recupero impugnato ed in via subordinata con annullamento della sanzione irrogata.
Con il primo motivo d'appello spa chiede nuovamente la dichiarazione di nullità dell'atto impugnato per l'assenza di un Pvc e di un contraddittorio preventivo. Per l'appellante l'immediata notifica dell'atto di recupero, non preceduta da una verifica conclusa con un Pvc, ha comportato la violazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 472/1997, che consente al contribuente di definire in modo agevolato le sanzioni connesse alle violazioni tributarie;non vi sarebbe, di conseguenza, alcuna necessità di dimostrare l 'utilità che sarebbe derivata al contribuente dal contraddittorio preventivo.
spa lamenta, inoltre, che la procedura seguita dall'Agenzia sia stata diversa da quella percorsa nel 2017 con riferimento all'anno di imposta 2015.
Con il secondo motivo l'appellante ripropone la tesi per cui i limiti quantitativi posti alla compensazione dei crediti Iva e ai rimborsi degli stessi non sarebbero cumulabili fra loro in virtù della diversità dell'istituto del rimborso in conto fiscale mediante procedura semplificata e della compensazione, il primo comportante una istanza del contribuente cui segue un controllo dell'Agenzia sulla sussistenza del diritto, la seconda costituendo un atto unilaterale del contribuente cui soggiace l'erario. La non cumulabilità dei limiti quantitativi dei rimborsi semplificati e delle compensazioni deriverebbe, inoltre, dalla direttiva europea sull'Iva, che consacra il diritto alla detrazione, sia nella sua applicazione diretta sia nella sua applicazione indiretta, vale a dire tramite l'interpretazione conforme del diritto interno. Il contrasto della tesi propugnata dall'ufficio con le regole euro unitarie sarebbe, poi, evidente considerando la situazione specifica di spa, società interamente partecipata da pubbliche amministrazioni che svolge attività di igiene ambientale quasi esclusivamente nei confronti dei suoi soci p.a., con applicazione del regime dello split payment e conseguente situazione di eccedenza strutturale di Iva detraibile rispetto a quella dovuta, derivante dal fatto che l'imposta dovuta da spa viene trattenuta e versata all'erario dalle p.a. committenti.
L'interpretazione difesa dall'appellante sarebbe, poi, coerente sia con le norme che danno priorità ai rimborsi richiesti dai contribuenti assoggettati al sistema dello split payment, sia con l'art. 8 dello Statuto del contribuente, che vieterebbe anche l'apposizione di ostacoli all'esercizio del diritto di credito non giustificati da un interesse pubblico evidente.
Con il terzo motivo l'appellante ribadisce che per il calcolo del limite dei 700.000,00 euro ci si deve riferire, per le compensazioni, all'anno solare di formazione/provenienza del credito e non all'anno di suo effettivo utilizzo. Ciò troverebbe conferma nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 1 dd. 15.1.2015, che per le compensazioni orizzontali dei crediti Iva riferisce il limite dei 10.000,00 euro all'anno di maturazione del credito e non all'anno solare di utilizzazione dello stesso. Nel caso in esame, la contestata utilizzazione in compensazione di crediti Iva riguardava il 2016, mentre il precedente rimborso con procedura semplificata atteneva a crediti formatisi nel 2015. La pretesa fiscale sarebbe, dunque, infondata.
Con il quarto motivo l'appellante censura la sentenza impugnata laddove, considerando la buona fede del contribuente, ha ridotto la sanzione al 20% dell'irrogato, invece che annullarla del tutto. Nel caso di specie vi sarebbe stato un affidamento incolpevole di spa, che ha prima chiesto a rimborso con procedura semplificata e poi utilizzato in compensazione crediti Iva formatisi in anni solari diversi, nei limiti di 700.000,00 euro per anno di formazione, confidando nell'esistenza di un doppio plafon, il primo riferito al credito risultante dalla dichiarazione Iva relativa al 2015, il secondo riferito al credito infrannuale risultante dalla liquidazione del primo trimestre dell'anno in corso al momento dell'utilizzo, il 2016: al massimo ci sarebbe stato un errore incolpevole sulla complessa normativa applicata e sull'individuazione della procedura di rimborso da seguire, dato che se in luogo del rimborso semplificato la contribuente avesse chiesto il medesimo rimborso con procedura ordinaria, nessuno "splafonamento" si sarebbe verificato. Si tratterebbe, comunque, di una irregolarità formale, sanata nel corso del 2019.
L'Agenzia delle Entrate si è costituita nel giudizio di secondo grado con controdeduzioni ed appello incidentale depositati il 12.8.2019, in cui si chiede la conferma della legittimità dell'atto di recupero e della sanzione irrogata.
Al primo motivo d'appello l'Agenzia obietta che la scelta del metodo accertativo rientra nella piena disponibilità dell'ufficio e ricorda la giurisprudenza della Cassazione sulla possibilità delle verifiche a tavolino.
Al secondo motivo d'appello l'Agenzia oppone che la cumulabilità di rimborsi accelerati e compensazioni ai fini del limite dei 700.000,00 euro risulta chiaramente dall'art. 34, comma l, della legge n. 388/2000 e dall'art.25 del d.lgs. n. 241/1997, rispetto al cui significato sarebbero del tutto irrilevanti sia il sistema dello split payment che la previsione di rimborsi in via prioritaria dei crediti di contribuenti sottoposti al sistema stesso. Quanto alla conformità alla normativa euro unitaria, l'appellata ricordava come i limiti quantitativi alla compensazione dei crediti Iva siano stati ritenuti non contrari alla normativa stessa sia dalla sentenza della Corte di Giustizia del 16.3.2017, C- 211/16, Bimotor spa/Agenzia delle Entrate, sia da varie pronunce della Corte di Cassazione.
Al terzo motivo l'appellata replica che il riferimento dei limiti in questione all'anno solare deriva dalla piana lettera della norma.
Con l'appello incidentale l'Agenzia delle Entrate chiede la riforma della sentenza di primo grado relativamente al capo relativo alle sanzioni, dato che la riduzione da essa operata non troverebbe alcun riscontro normativo. La violazione contestata, poi, non potrebbe dirsi di carattere formale.
L'appello del contribuente è infondato relativamente ai primi tre motivi, mentre è fondato e va accolto per quanto attiene al quarto motivo, concernente le sanzioni.
Circa il primo motivo la Commissione osserva che l'avviso di recupero, con contestuale irrogazione delle sanzioni, impugnato dalla società contribuente, esige il pagamento di un importo a titolo di Iva non versata alle debite scadenze, negando la legittimità della compensazione effettuata dall'appellante oltre il limite dei 700.000,00 euro. La pretesa fiscale concerne, dunque, l'Iva, tributo armonizzato, in relazione al quale la giurisprudenza ormai consolidata della Cassazione, a partire dalla fondamentale sentenza resa a Sezioni Unite il 9.12.2015, n. 24823, ritiene che la violazione dell'obbligo di contraddittorio endoprocedimentale da parte della p.a. comporta l'invalidità dell'atto adottato al termine del procedimento solo se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento "avrebbe potuto comportare un risultato diverso", vale a dire solo quando in giudizio risulti "che il contraddittorio endoprocedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in un puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d'essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi e strumentali". Nel caso di specie non vi è stato contraddittorio endoprocedimentale, ma la contribuente non ha indicato gli elementi di difesa che avrebbe potuto far valere e che avrebbero potuto portare ad un esito diverso. La Commissione ritiene che la giurisprudenza della Cassazione nella materia ora in esame si riferisca ad argomenti di difesa diretti a contestare il merito della pretesa tributaria, mentre l'appellata dall'omissione del contradditorio preventivo fa derivare la violazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 472/1997, che consente al contribuente di definire in modo agevolato le sanzioni connesse alle violazioni tributarie, versando contestualmente l'imposta dovuta. Per l'appellata si tratterebbe di una forzatura procedimentale contraria ai principi dello Statuto del contribuente e non giustificata anche alla luce della diversa procedura utilizzata nel 2017 dalla stessa Agenzia delle Entrate. Questa ha precisato che tale diversa procedura, comprensiva del contraddittorio preventivo, era imposta dal fatto che vi era stato un accesso mirato presso la sede della contribuente. La sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie fosse non sufficiente, ai fini della declaratoria dell'invalidità dell'avviso di recupero dell'Iva non versata, la mera prospettazione della possibilità che la contribuente, in presenza di una verifica conclusa con un Pvc e susseguente possibilità di contraddittorio, versasse l'imposta e beneficiasse della riduzione delle sanzioni. Questa Commissione condivide la soluzione dei giudici di primo grado, perché non è detto che spa avrebbe voluto o potuto versare l'imposta e chiedere l'applicazione delle sanzioni in misura ridotta;la società ha ben chiarito, poi, che la questione che solleva è di natura procedimentale e non attiene al merito della pretesa fiscale. Va anche considerato, infine, che le sanzioni, per quanto si dirà in relazione al quarto motivo d'appello, non sono dovute.
Quanto al secondo complesso motivo, che ripropone la tesi per la quale i limiti quantitativi posti alla compensazione dei crediti Iva e ai rimborsi degli stessi, nel medesimo anno fiscale, non sarebbero cumulabili fra loro, la Commissione premette che la lettera dell'art. 34, comma l, della legge n. 388/2000, (per il quale "il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell'art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale ... è fissato in euro ... ") non è chiara nello stabilire se, ai fini dell'individuazione del tetto di 700.000,00 euro, crediti di imposta compensabili e crediti rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale debbano essere sommati tra loro oppure no. La norma non chiarisce nemmeno quali tipi di rimborso entrino nel conteggio dei 700.000,00 euro. Per scogliere questo dilemma non pare decisivo nemmeno l'art. 25 del d.lgs. n. 241/1997, per il quale "i contribuenti titolari di partita IVA non ammessi alla compensazione o, seppur ammessi, per la parte che non trova capienza nella compensazione, pur nel rispetto del limite di cui al comma 2, possono ricorrere alla procedura di rimborso prevista dal titolo II del regolamento concernente l'istituzione del conto fiscale ... ": non si capisce, in vero, se anche quest'ultima procedura di rimborso (per l'Iva disciplinata dall'art. 19 del d.m. 28.12.1993, n. 567) debba rispettare il limite dei 700.000,00 euro oppure no e se si, in che modo.
Per risolvere questi problemi ermeneutici vanno considerati altri elementi, non traibili dalla lettera delle norme di legge su richiamate.
La Corte di Cassazione, innanzitutto, ha ben distinto, nell'ambito della disciplina del "conto fiscale", i rimborsi che il concessionario della riscossione è tenuto ad effettuare sulla base di una richiesta del contribuente da quelli che vanno eseguiti in base ad una comunicazione dell'ufficio;i primi, che in certi casi richiedono la prestazione di una garanzia, non sono preceduti da alcun controllo sostanziale il quale viene effettuato a posteriori proprio per la presenza della copertura assicurativa;i secondi non richiedono, invece, alcuna garanzia e sono disposti dall'ufficio dopo una attività di verifica ed accertamento dei requisiti necessari;il controllo a posteriori dei rimborsi disposti a richiesta può condurre al loro recupero se risultano non dovuti. Il conto fiscale è orientato alla semplificazione e velocizzazione dei rimborsi (Cass. 10.3.2017, n. 6195, che si rifà a Cass. 10.1.2012, n. 65 e a Cass. 29.7.2004, n. 14506).
Altra giurisprudenza della Suprema Corte, in secondo luogo, ha considerato conformi alla normativa comunitaria i limiti quantitativi posti, per ciascun anno solare, alla compensazione dei crediti Iva, rifacendosi alla sentenza della Corte di Giustizia Ue 16.3.2017, C-211/16, Bimotor spa/Agenzia delle Entrate, che ha ritenuto che la fissazione di tali limiti non osta alle previsioni delle direttive europee sull'Iva, "a condizione che l'ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d'imposta sul valoreaggiunto entro un termine ragionevole". Nelle sue pronunce la Cassazione ha statuito che la legislazione italiana consente un recupero del credito entro un termine ragionevole, potendo essere riportato in compensazione nel successivo esercizio o chiesto a rimborso (così, ad es., Cass. 22.10.2019, n. 26927, Cass. 7.12.2018, n. 31706 e Cass. 21.7.2017, n. 18080) Quest'ultima decisione chiarisce che la condizione richiesta dalla Corte di Giustizia è rispettata dal nostro ordinamento per il fatto che, una volta raggiunto il limite massimo per la compensazione, il contribuente può:
a) riportare al periodo successivo il credito residuo per imputare nuovamente il credito a compensazione (interna o esterna) avvalendosi o delle liquidazioni infrannuali oppure, se il credito residuo supera comunque il limite massimo, riportarlo all'annualità successiva insieme a quello nel frattempo maturato;
b) chiedere il rimborso del maggior credito, tenendo presente che non esistono limiti per i rimborsi disposti dagli uffici. Questa stessa giurisprudenza chiarisce, inoltre, che i limiti quantitativi posti alle compensazioni ed ai rimborsi hanno la legittima finalità di consentire allo Stato di disporre della liquidità necessaria (ad es., Cass. 27.12.2018, n. 33413) e di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale (ad es., Cass. 22.2.2019, n. 5281). Si deve ritenere, quindi, che i limiti in questione valgano per le compensazioni ed i rimborsi effettuati dal concessionario su richiesta del contribuente, e non per i rimborsi disposti dall'ufficio dopo un controllo sostanziale.
A questo punto va considerata la situazione in cui si trova l'appellante spa è una società partecipata da vari enti locali, che si occupa di smaltimento dei rifiuti urbani e industriali, eroga le sue prestazioni quasi esclusivamente a soggetti pubblici e quindi è sottoposta al regime dello splitpayment, autorizzato per l'Italia, in deroga alle norme comunitarie sull'Iva e soprattutto al principio di neutralità, dal 1.1.2015 al 30.6.2020 da due Decisioni di Esecuzione (UE), la prima n. 2015/1401, dd. 14.7.2015, la seconda n. 2017/784, dd. 25.4.2017. Il regime dello split payment comporta una eccedenza strutturale di Iva detraibile rispetto a quella dovuta, dato che l'imposta dovuta viene trattenuta e versata all'erario dalle p.a. committenti. spa nell'aprile 2016 ha chiesto a rimborso con procedura semplificata crediti Iva nel limite dei 700.000,00 euro e poi, nell'estate dello stesso anno, ha utilizzato in compensazione crediti Iva sempre nei limiti di 700.000,00 euro, confidando nell'esistenza di un doppio plafon, il primo riferito al credito risultante dalla dichiarazione Iva relativa al 2015, il secondo riferito al credito infrannuale risultante dalla liquidazione del primo trimestre del 2016: la stessa contribuente sostiene che se in luogo del rimborso semplificato avesse chiesto il medesimo rimborso con procedura ordinaria, nessuno "splafonamento" si sarebbe verificato.
Sulla base di questi elementi si può giungere ad una prima conclusione. Se la ratio della normativa in esame è quella di garantire allo Stato una relativa certezza sul gettito fiscale di un determinato anno, il limite quantitativo dei 700.000,00 euro all'anno, pur nella scarsa chiarezza della lettera del dato normativo in esame, può essere inteso, come proposto dall'appellata, nel senso del cumulo tra compensazioni e rimborsi non controllati sostanzialmente dagli uffici, dato che se il limite complessivo fosse stato di 1.400.000,00 euro il legislatore lo avrebbe detto chiaramente. Ed è logico pensare, invece, che stiano fuori da questi limiti i rimborsi effettuati dopo un controllo sostanziale degli uffici, i quali, nel disporli, devono contare su di una copertura finanziaria.
Questa prima conclusione deve essere confrontata con la direttiva comunitaria e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia. Si è più sopra riportata la pronuncia dei giudici di Lussemburgo per la quale la fissazione dei limiti quantitativi alla compensazione dei crediti Iva non contrasta con le previsioni delle direttive europee "a condizione che l'ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d'imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole" e si sono ricordate le pronunce la Cassazione che ritengono che la legislazione italiana consenta un recupero del credito entro un termine ragionevole, potendo essere riportato in compensazione nel successivo esercizio o chiesto a rimborso dopo un controllo degli uffici. Se fosse possibile solo la prima alternativa, le imprese italiane di notevoli dimensioni soggette allo split payment, nel portare in compensazione il credito nel periodo successivo si troverebbero comunque a superare il limite quantitativo e così di seguito per ogni anno, palesandosi, in tal modo, un netto contrasto con la disciplina euro unitaria. Tali imprese, tuttavia, hanno la possibilità di chiedere il rimborso all'ufficio nello stesso anno in cui il credito si manifesta. Al riguardo il MEF ha dichiarato che i rimborsi richiesti agli uffici con la dichiarazione annuale o con le richieste infrannuali sono stati nel 2018 disposti dagli uffici stessi in una media di 82 giorni e questo termine per la Commissione pare rientrare in quel termine ragionevole richiesto dalla Corte di Giustizia ed affermato tale dalla Cassazione. E d'altra parte l'appellante non ha fornito indicazioni sul punto né lamentato l'eccessivo tempo che richiedono i rimborsi d'ufficio che rimangono esclusi dai limiti quantitativi qui in discussione.
In conclusione, l'interpretazione della norma in esame in base alla sua ratio porta a ritenere che il limite dei 700.000,00 valga cumulativamente sia per le compensazioni che per i rimborsi non preceduti da controlli sostanziali degli uffici e dato che questa interpretazione non contrasta con la normativa comunitaria, deve essere respinto il secondo motivo d'appello.
Non può essere accolto nemmeno il terzo motivo, che sostiene che per il calcolo del limite dei 700.000,00 euro ci si deve riferire, per le compensazioni, all'anno solare di formazione/provenienza del credito e non all'anno di suo effettivo utilizzo. Ciò troverebbe conferma nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. l dd. 15.1.2015, che per le compensazioni orizzontali dei crediti Iva riferisce il limite dei 10.000,00 euro all'anno di maturazione del credito e non all'anno solare di utilizzazione dello stesso. Nel caso in esame, la contestata utilizzazione in compensazione di crediti Iva riguardava il 2016, mentre il precedente rimborso con procedura semplificata atteneva a crediti formatisi nel 2015 e per tale ragione per l'appellante la pretesa fiscale sarebbe, dunque, infondata. Il motivo va disatteso perché il riferimento all'anno solare effettuato dall'art. 34 della legge 23.12.2000, n.388, pur equivoco in base alla lettera della norma, se collocato all'interno di un contesto normativo inteso a non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale, non può che concernere l'anno di utilizzo dei crediti fiscali e non l'anno della loro formazione: quest'ultima, in vero, è indifferente rispetto all'esigenza di garanzia di un certo gettito, mentre ciò che conta è l'anno in cui i crediti vengono fatti valere senza controllo sostanziale degli uffici. La Circolare fatta valere dall'appellante, infine, pur potendo ingenerare notevoli equivoci, riguarda una questione diversa da quella qui in discussione, vale a dire il tetto minimo di 10.000,00 euro.
La Commissione ritiene di accogliere, invece, il quarto motivo d'appello.
spa ha prima chiesto a rimborso con procedura semplificata e poi utilizzato in compensazione crediti Iva formatisi in anni solari diversi, nei limiti di 700.000,00 euro per anno di formazione, confidando nell'esistenza di un doppio plafon, il primo riferito al credito risultante dalla dichiarazione Iva relativa al 2015, il secondo riferito al credito infrannuale risultante dalla liquidazione del primo trimestre dell'anno in corso al momento dell'utilizzo, il 2016. L'appellante sostiene che, se fosse fondata la tesi dell'ufficio nel senso della cumulabilità di rimborsi e compensazioni ai fini del calcolo del limite massimo dei 700.000,00 annui, il suo operato dovrebbe essere considerato come il frutto di un errore incolpevole sulla complessa normativa da applicarsi e sulla procedura di rimborso da seguire: se in luogo del rimborso semplificato fosse stato chiesto il rimborso con procedura ordinaria, nessuno "splafonamento" si sarebbe verificato. Si tratterebbe, comunque, di una irregolarità formale, sanata nel corso del 2019.
La giurisprudenza della Cassazione è costante nel considerare quella in questione una irregolarità sostanziale e non formale, dato che la stessa si risolve in un mancato versamento di imposte. La Commissione ritiene, tuttavia, che nel caso specifico sottoposto al suo giudizio l'irregolarità sostanziale sia stata effettivamente frutto di un errore incolpevole sulla complessa normativa da applicarsi e sulla procedura di rimborso da seguire, regolate da norme di incerta portata ed ambito di applicazione. La Commissione ha già sostenuto più sopra che la lettera delle norme su cui l'ufficio fa valere le sue pretese non è chiara e che solo una sua interpretazione orientata alle finalità da esse perseguite può giustificare l'accoglimento delle tesi dell'Agenzia. Sul punto della cumulabilità di compensazioni e rimborsi di cui sin qui si è discusso mancano sia pronunce della Cassazione sia indicazioni di prassi espresse. Va pure ricordato che la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. l dd. 15.1.2015 per le compensazioni orizzontali dei crediti Iva riferisce il limite dei 10.000,00 euro all'anno di maturazione del credito e non all'anno solare di utilizzazione dello stesso, ciò avendo potuto indurre l'appellante ad applicare il medesimo ragionamento al limite massimo di 700.000,00 euro. La giurisprudenza della Cassazione cui sopra ci si è riferiti spesso menziona anche la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 5.12.2003, n. 218/E, per la quale non concorrevano alla determinazione del limite massimo qui in discussione, tra gli altri, anche "i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche Iva": solo con successivo comunicato stampa del 20.7.2004 l'Agenzia ha precisato che anche il rimborso dei crediti Iva trimestrali rientravano in tale determinazione. Poiché la compensazione censurata con l'atto di recupero impugnato concerneva proprio crediti Iva trimestrali, la Commissione ritiene che anche questo ondeggiare dell'amministrazione fiscale abbia potuto indurre ad un errore scusabile. Per tutte queste ragioni per la Commissione nel caso di specie manca un comportamento della contribuente definibile come negligente. I giudici di primo grado, per l'incertezza delle norme applicate, per il fatto che l'ufficio ha dovuto rettificare la propria iniziale posizione con un atto di autotutela, per la condotta leale della contribuente, hanno ridotto le sanzioni al 20% della misura irrogata, ma questa Commissione ritiene che per le specifiche ragioni su ricordate si debba giungere ad un totale annullamento delle sanzioni.
L'accoglimento del quarto motivo dell'appello principale comporta automaticamente il rigetto dell'appello incidentale proposto dall'Agenzia.
La reciproca soccombenza e la rilevante incertezza della normativa applicabile al caso di specie giustificano la compensazione delle spese anche del secondo grado.