Commissione Tributaria Regionale Marche, sez. III, sentenza 26/07/2022, n. 939
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Tanto maggiore è l'importo di una fattura, tanto maggiore deve essere la diligenza del ricevente nel pretendere che la stessa sia specifica e dettagliata, così come - trattandosi di software - che sia specificata l'ampiezza del diritto d'autore concesso, che potrebbe essere totale o parziale e riguardare solo l'utilizzo e magari per un tempo determinato. Ciò non solo per rispetto delle esigenze dell'Erario, quanto a tutela dell'acquirente stesso, che non può rischiare di trovarsi nell'impossibilità di sostenere o contestare eventualmente l'inesatto adempimento della commissione del software stesso, laddove questo dovesse presentare difetti di funzionamento. Ancora, nel processo tributario la sentenza penale di assoluzione del contribuente passata in giudicato non produce effetti sui fatti alla base dell'accertamento fiscale (art. 654 c.p.p.). Perfino nell'ipotesi di assoluzione in sede penale con formula piena, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall'art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna.
Sul provvedimento
Testo completo
Alla società P Studio Dottori Commercialisti Associati D M. è stato notificato in data 16/12/2014 l'avviso di accertamento n. TQY-2014 per l'anno d'imposta 2011 attraverso il quale l'Ufficio determinava un maggior reddito di lavoro autonomo rettificando il reddito dichiarato da Euro 155.956,00 a Euro 221.932,90 che, ai fini delle imposte sui redditi, rileva in capo ai singoli associati in ragione della loro quota di partecipazione. Nell'avviso di accertamento veniva inoltre rilevata la mancata presentazione della dichiarazione l'RAP in presenza dei requisiti per l'assoggettamento all'imposta. Altri avvisi di accertamento analoghi venivano notificati anche per gli anni 2008, 2009 e 2010. Il recupero scaturisce da una verifica fiscale effettuata per i periodi d'imposta 2008-2009-2011 al termine della quale è stato notificato in data 30/07/2014 Processo Verbale di Constatazione. Per il periodo d'imposta 2008 veniva evidenziato come l'operazione documentata dalla fattura n. 29/2008 emessa in data 13/11/2008 dalla Q SRL in liquidazione fosse da riferire ad operazione oggettivamente inesistente e che gli elementi probatori fomiti dal contribuente non venivano ritenuti idonei per ritenere esistente l'operazione in oggetto. Per gli anni d'imposta successivi veniva anche contestata, per le stesse ragioni l'oggettiva inesistenza della fattura n. 2/2009 emessa in data 15/02/2009. Entrambe le fatture hanno per oggetto lo sviluppo di un software (P - L), quella del 2008 per l'importo totale di Euro 81.269,17 ed iva pari ad Euro 16.253,83 e quella del 2009 per l'importo totale di Euro 61.322,00 ed iva pari ad Euro 12.264,40. Tali importi venivano portati in ammortamento negli anni successivi e la quota corrispondente a ciascun ammortamento veniva recuperata a tassazione per ciascun anno d'imposta nei confronti della società e, pro quota, nei confronti dei due soci. I verificatori facevano rilevare che, per ciò che concerne l'aspetto soggettivo dell'operazione, che non sussiste un reale rapporto di terzietà tra la Q SRL e la P (aspetto ampiamente ed esaustivamente evidenziato nel PVC), mentre per ciò che concerne l'aspetto oggettivo della fattura numerosi ed importanti sono stati i rilievi riportati nel processo verbale, posti a supporto dell'insistenza oggettiva delle operazioni fatturate. Sulla base di tali rilievi, riportati e spiegati nell'avviso di accertamento, veniva motivata la contestazione circa l'inesistenza oggettiva della fattura n. 29/2008 del 13/11/2008 emessa dalla società Q SRL per un importo pari ad euro 81.269,17 oltre ad IVA 20% per euro 16.253,83 e tale contestazione veniva fatta propria nell'avviso di accertamento. Anche ai due soci, sig.ri M e D, veniva notificato per ciascun anno d'imposta avviso di accertamento, con cui veniva rettificato il reddito da lavoro autonomo in ragione della partecipazione allo studio professionale per la quota del 50%. A seguito della notifica degli avvisi di accertamento i contribuenti presentavano istanza di accertamento con adesione. Le parti, tuttavia, non addivenivano ad un accordo e sia la società che i soci presentavano ricorso. Si costituiva in giudizio l'agenzia delle entrate con apposite controdeduzioni, allegando tra le altre cose il PVC notificato in data 30/07/2014 alla P, per il tramite del suo rappresentante legale, dott. D. Con separate sentenze tutte del gennaio 2016 la Commissione Provinciale di Ancona accoglieva parzialmente il ricorso come da parte motiva e condannava la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Con i rispettivi atti di appello sia la società P che i contribuenti impugnavano ciascuna delle sentenze che li avevano visti soccombenti, chiedendone la riforma e la declaratoria di illegittimità dell'avviso di accertamento. Nell'impugnazione si lamentava il mancato accoglimento dell'eccezione di nullità dell'avviso di accertamento. La parte appellante faceva rilevare che "i verificatori erano gli stessi per le società verificate (Studio Associato e B srl) e i rappresentanti legali diversi. Di conseguenza, non sarebbe stato possibile procedere contemporaneamente sia alla redazione del processo verbale giornaliero delle operazioni compiute presso" le due società in orari parzialmente coincidenti dello stesso giorno 1 luglio 2014. Altro motivo di nullità sarebbe la violazione dell'art. 43, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 57 comma 1 del D.P.R. 11. 633/1972, per decorrenza del termine ordinario e impossibilità da parte dell'Ufficio di invocare il raddoppio dei termini ai sensi dell'art. 43 comma 3, D.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 57, comma 3, D.P.R n. 633/1972. il D.Lgs n. 128/2015 ha statuito che il raddoppio dei termini deve essere applicato solo in presenza di effettiva presentazione della denuncia penale entro il termine previsto per la scadenza ordinaria dell'accertamento. Il comma dell'art. 2 del D.lgs n. 128/2015 ha, altresì, previsto un regime transitorio il quale prevedeva che si faceva salva la possibilità del "raddoppio" a tutto il 2015 anche quando l'azione penale si realizzava dopo i termini ordinari di decadenza dell'accertamento. La legge di Stabilità 2016 (n. 208 del 2015), peraltro, ha previsto un altro regime transitorio, stabilendo che per i periodi di imposta fino al 2015, l'eventuale raddoppio dei termini può operare solo se la denuncia ex articolo 331 del c. p. penale viene presentata entro i termini ordinari di accertamento. Altro motivo di nullità dell'avviso di accertamento sarebbe quanto all'IRAP, "inapplicabilità dell'art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973." Ad avviso della parte ricorrente, viceversa, la tesi dei Giudici di primo grado troverebbe un "limite insuperabile nella circostanza che la violazione dell'IRAP non è penalmente rilevante". Ancora, la CTP avrebbe errato nel non accogliere l'eccezione di nullità dell'avviso di accertamento "in conseguenza dell'omessa sottoscrizione dell'atto da parte del direttore dell'Ufficio o, alternativamente, in conseguenza dell'assenza di prova dell'eventuale esistenza di un valido provvedimento di delega a sottoscrivere l'atto conferito ad altro funzionario in possesso dei requisiti richiesti". I Giudici di primo grado avrebbero omesso di esprimersi sulla validità della delega, la quale secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 22803 del 21 ottobre - 9 novembre 2015) per ritenersi valida deve avere determinate caratteristiche. Nel caso specifico si tratterebbe di una delega "in bianco" e come tale nulla "non essendo possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario avesse il potere di sottoscrivere l'atto impugnato e non essendo ragionevole attribuire al contribuente una tale indagine amministrativa al fine di verificare la legittimità dell'atto." (Corte di Cassazione sentenza n. 22803/15). Nel merito, la CTP avrebbe aderito alla tesi "alla tesi dell'ufficio motivando che gli elementi portati a supporto dall'ufficio siano tali da confermare l'oggettiva inesistenza dell'operazione contestata e la ripresa effettuata ai fini fiscali senza alcuna valutazione dei rilievi avanzati dal ricorrente". La commissione, inoltre, non avrebbe tenuto in considerazione le dichiarazioni rilasciate in sede penale dal dr. C e dal sig. P, indicati come soggetti estranei alla parte contribuente. Costoro avrebbero testimoniato che il programma "Job Manager serve in sostanza come controllo di gestione all'interno dell'attività dello studio;
in particolare serve per attribuire pratiche ai collaboratori, controllare quanto tempo uno lavora su una determinata pratica o un determinato cliente;
è stato utilizzato anche per procedure di adeguata verifica della clientela ai fini della normativa antiriciclaggio. Invece Kim è un programma che favoriva la ricerca dei diversi file salvati all'interno del server ed a catalogarli attraverso delle cosiddette virgolette chiavi semantiche". Ancora, la CTP nulla avrebbe detto in merito al fatto che l'Ufficio aveva contestato l'operazione di cessione del software, lamentando in capo al ricorrente, acquirente, "una serie di eccezioni che sono da imputare al fornitore Q srl in liquidazione". Si faceva presente "che il programma in questione è tutt'ora in uso presso lo studio! Più volte i ricorrenti in occasione della verifica hanno invitato i funzionari dell'Ufficio a prendere visione del software e del suo reale utilizzo. Richiesta che è rimasta inevasa." Tale rifiuto dipenderebbe dal fatto che secondo i verificatori l'inesistenza del software Job Manager sarebbe da attribuire al fatto che diverse società hanno stabilito la loro sede legale in Via xxxxxx. Le motivazioni dell'Ufficio sarebbero "tra loro contraddittorie perché da un lato sostiene che l'operazione sia oggettivamente inesistente e dall'altro che l'importo complessivo della cessione del software per euro 142.591,17 sia "sproporzionato" (pag. 6 dell'avviso di accertamento) e quindi, ritiene, implicitamente, che sia inerente". La parte appellante contestata poi l'assoggettabilità ad IRAP dell'associazione dei commercialisti in questione, in quanto l'orientamento della Cassazione sarebbe "pressoché unanime nel ritenere che i compensi derivanti da incarichi di amministratore o sindaco di società, qualora percepiti da dottori commercialisti siano esclusi da IRAP, in quanto il professionista, anche qualora fosse in possesso di un'autonoma organizzazione, non se ne avvarrebbe per l'esercizio di tali attività, essendo inserito nella struttura della società." Pertanto la parte appellante chiedeva l'accoglimento dell'appello e la riforma della sentenza impugnata, con annullamento dell'avviso di accertamento e condanna dell'Ufficio alle spese processuali ed alla responsabilità aggravata di cui all'art. 96 C.P.C. Nell'appello si chiedeva anche la riunione di ciascun appello della società con quelli proposti dai due soci, dr.i D e M. L'Ufficio si costituiva regolarmente nel giudizio di appello e contestava dettagliatamente i motivi proposti dalla parte