CASE OF CENI v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
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© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo.
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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CENI c. ITALIA
(Ricorso n. 25376/06)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
4 febbraio 2014
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Ceni c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 7 gennaio 2014,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
- All’origine della causa vi è un ricorso (n. 25376/06) proposto contro la Repubblica italiana con cui una cittadina di tale Stato, la sig.ra Rolanda Ceni («la ricorrente»), ha adito la Corte il 17 giugno 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
- La ricorrente è stata rappresentata dall’avvocato C. Colinet, del foro di Firenze. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, G.M. Pellegrini.
- La ricorrente sostiene che la decisione di sciogliere un contratto preliminare di compravendita immobiliare di cui essa era parte contraente, presa dal curatore nell’ambito della procedura fallimentare riguardante il suo co-contraente, ha leso i suoi diritti garantiti dagli articoli 6, 8 e 13 della Convenzione e dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
- Il 22 marzo 2013 il ricorso è stato comunicato al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
- La ricorrente è nata nel 1953 e risiede a Firenze.
- Nel giugno 1992 la ricorrente decise di acquistare dall’impresa X un appartamento in costruzione al prezzo di 310.000.000 lire italiane (ITL), ossia circa 160.101 euro (EUR). Il 13 giugno 1992 versò un acconto di 10.000.000 ITL (circa 5.164 EUR) a titolo di cauzione. Il 3 luglio 1992 la ricorrente firmò un contratto preliminare di compravendita, versò un ulteriore acconto di 36.500.000 ITL (circa 18.850 EUR) ed effettuò altri pagamenti scaglionati in funzione dell’avanzamento dei lavori di costruzione versando così all’impresa X la somma totale di 415.577.434 ITL (circa 214.627 EUR), superiore al prezzo di vendita convenuto.
- Nel marzo 1995 la ricorrente si sistemò nell’appartamento in questione dove stabilì la sua residenza principale.
- Il 14 marzo 1997, basandosi sull’articolo 2932 del codice civile («il CC»), la ricorrente, al fine di ottenere il trasferimento della proprietà per via giudiziaria, convenne dinanzi al tribunale di Firenze il rappresentante dell’impresa X, il quale si rifiutava di stipulare il contratto di vendita definitivo.
- Il 26 novembre 1997 l’impresa X fu dichiarata in stato di fallimento, fatto che provocò l’interruzione de jure del procedimento civile avviato dalla ricorrente.
- Il 3 febbraio 1998 il curatore fallimentare nominato nell’ambito della procedura di fallimento comunicò alla ricorrente la sua decisione di sciogliere il contratto preliminare di compravendita in applicazione dell’articolo 72, comma 4, della legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942).
- Il 5 maggio 1998 il curatore informò l’interessata che i beni immobiliari che costituivano l’attivo fallimentare sarebbero stati venduti all’asta e invitava la ricorrente a restituire l’appartamento che occupava senza titolo. A seguito delle trattative avviate dalla ricorrente, il curatore indicò a quest’ultima che, per evitare la vendita all’asta dell’appartamento, avrebbe dovuto versare la somma di 324.000.000 ITL (circa 167.332 EUR). Poiché la ricorrente non disponeva di questa somma, il 21 gennaio 1999 le fu chiesto di pagare una indennità d’occupazione mensile di 700.000 ITL (circa 361 EUR), con decorrenza dicembre 1997, ossia la somma complessiva di 9.100.000 ITL (circa 4.699 EUR).
- Il 25 febbraio 1999 l’appartamento fu venduto all’asta. La ricorrente afferma di non aver avuto alcuna comunicazione in proposito. Il bene in questione fu acquistato dai coniugi Y al prezzo di 227.000.000 ITL (circa 117.235 EUR), e l’iscrizione dell’azione introdotta dalla ricorrente ai sensi dell’articolo 2932 CC fu cancellata dai registri immobiliari.
- Il 18 maggio 1999 la ricorrente avviò un’azione giudiziaria per ottenere l’annullamento della decisione con cui il curatore fallimentare scioglieva il contratto preliminare di compravendita e del trasferimento della proprietà dell’appartamento ai coniugi Y.
- Il 25 maggio 1999 la ricorrente chiese l’ammissione al passivo fallimentare delle somme che aveva pagato all’impresa X. Il 22 luglio 1999 chiese al giudice delegato del fallimento di revocare la cancellazione della sua azione giudiziaria basata sull’articolo 2932 CC.
- Nel frattempo, il 12 luglio 1999, i coniugi Y avevano intimato alla ricorrente di lasciare l’appartamento in causa entro dieci giorni. L’interessata si oppose all’esecuzione del suo sfratto in pendenza delle azioni giudiziarie aventi ad oggetto il titolo di proprietà di questo bene. Il giudice di Pontassieve (Firenze) accolse la richiesta di sospensione temporanea di tale esecuzione, previo pagamento da parte della ricorrente di una cauzione di 5.000.000 ITL (circa 2.582 EUR).
- Nel frattempo, su richiesta della ricorrente, era stato riassunto il procedimento avviato da quest’ultima in base all’articolo 2932 CC.
- Con sentenza del 4 ottobre 1999, depositata il 23 ottobre 1999, il tribunale di Firenze respinse la richiesta della ricorrente.
- Il tribunale osservò che, ai sensi dell’articolo 72, comma 4, della legge fallimentare, se la proprietà del bene venduto non era stata trasferita all’acquirente, il curatore fallimentare poteva scegliere tra l’esecuzione del contratto e il suo scioglimento precisando che, secondo la dottrina e la giurisprudenza nazionali, questa scelta poteva essere effettuata anche in pendenza dell’azione basata sull’articolo 2932 CC. Peraltro, il tribunale rilevò che se il liquidatore giudiziario optava per lo scioglimento, non era più possibile pronunciare un giudizio in base a tale articolo. Aggiunse che, in questo caso, il contratto firmato il 3 luglio 1992 era un contratto preliminare di compravendita e che, indipendentemente dalla presa di possesso dell’appartamento e dal pagamento del prezzo di vendita da parte della ricorrente, non aveva come effetto quello di trasferire la proprietà. Poiché la ricorrente aveva invocato l’articolo 47 della Costituzione, relativo alla tutela del diritto all’acquisto dell’abitazione principale, per eccepire l’incostituzionalità dell’articolo 72, comma 4, della legge fallimentare, il tribunale di Firenze respinse questa eccezione di incostituzionalità in quanto manifestamente infondata, dal momento che il legislatore poteva operare un bilanciamento tra questo diritto e altri motivi di interesse pubblico.
- La ricorrente interpose appello. Inoltre, il 12 novembre 1999 chiese alla procura di Firenze di indagare sull’esistenza di eventuali reati di cui essa avrebbe potuto essere vittima;in merito a questa richiesta non ricevette alcuna risposta.
- Con sentenza del 10 luglio 2001, depositata il 14 agosto 2001, la corte d’appello di Firenze confermò la sentenza di primo grado ritenendo che il tribunale di Firenze avesse correttamente motivato tutti i punti controversi. Osservò tuttavia che lo scioglimento di contratti analoghi a quello firmato dalla ricorrente era spesso fonte di gravissimo disagio economico perché, in caso di fallimento dei costruttori, gli acquirenti rischiavano di perdere non soltanto i loro beni immobiliari ma anche le somme che avevano versato. Indicò che poteva soltanto auspicare un intervento del legislatore a tale proposito.
- La ricorrente propose ricorso per cassazione.
- Con sentenza del 21 settembre 2005, depositata il 22 dicembre 2005, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d’appello avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il ricorso della ricorrente.
- Nel frattempo, il 26 giugno 2001, il tribunale di Pontassieve aveva respinto l’opposizione formulata dalla ricorrente avverso l’esecuzione del suo sfratto. Questa sentenza fu confermata in appello il 23 aprile 2004. La ricorrente ricevette più visite dell’ufficiale giudiziario e una parte del suo stipendio fu assoggettata a pignoramento.
- Sempre nello stesso periodo, il 25 febbraio 2004 la ricorrente aveva presentato una nuova istanza di sospensione del suo sfratto per ragioni di salute, e il giudice aveva quindi fissato l’udienza al 9 marzo e poi al 29 marzo 2004.
- In tale ultima data i coniugi Y proposero alla ricorrente di venderle l’appartamento al prezzo di 190.000 EUR.
- L’esecuzione forzata dello sfratto, fissata al 28 luglio 2004 non riuscì e fu rinviata al 22 ottobre 2004 in quanto il prefetto non aveva autorizzato l’ufficiale giudiziario a far intervenire la forza pubblica. Lo sfratto fu successivamente rinviato di tre mesi in tre mesi in quanto l’ufficiale giudiziario si presentava ogni volta non accompagnato da agenti della forza pubblica.
- Nel maggio 2005 la ricorrente firmò con i coniugi Y un preliminare di compravendita per un prezzo di 190.000 EUR. Il contratto di vendita fu firmato il 6 ottobre 2005, data in cui la ricorrente divenne proprietaria dell’appartamento in cui risiedeva.
- La ricorrente indica che, non avendo avuto accesso al prestito bancario, ha dovuto indebitarsi presso famigliari e amici per raccogliere la somma richiesta e che suo marito è stato costretto ad accettare un lavoro in Siberia per ottenere un’entrata economica più consistente.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
- L’articolo 2932 CC recita:
«Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.» - Così come era in vigore all’epoca dei fatti, l’articolo 72, comma 4, della legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942) è così formulato:
« In caso di fallimento del venditore, se la cosa venduta è già passata in proprietà del compratore, il contratto non si scioglie. Se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore ha la scelta fra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto. In caso di scioglimento del contratto il compratore ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.» - La legge fallimentare è stata poi modificata da più interventi del legislatore (decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006, decreto legislativo n. 169 del 12 settembre 2007 e legge n. 134 del 7 agosto 2012). Nelle sue parti pertinenti al caso di specie, l’articolo 72 della suddetta legge è ormai così formulato:
«Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto (...) rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.
Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell’art. 72-bis.
In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.
(...)
In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis del codice civile, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.
Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente.» - Il legislatore ha anche aggiunto a questa legge l’articolo 72 bis intitolato «contratti relativi ad immobili da costruire», ai sensi del quale:
«I contratti di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 20 giugno 2005 n. 122 si sciolgono se, prima che il curatore comunichi la scelta tra esecuzione o scioglimento, l’acquirente abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, dandone altresì comunicazione al curatore. In ogni caso, la fideiussione non può essere escussa dopo che il curatore ha comunicato di voler dare esecuzione al contratto.»
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’