CASE OF AZIENDA AGRICOLA SILVERFUNGHI S.A.S. AND OTHERS v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice

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Sul provvedimento

Citazione :
CASE OF AZIENDA AGRICOLA SILVERFUNGHI S.A.S. AND OTHERS v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
Giurisdizione : Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
Numero : 001-148825
Data del deposito : 24 giugno 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

©Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Silvia Canullo, funzionario linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court’s database HUDOC

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA AZIENDA AGRICOLA SILVERFUNGHI S.A.S. E  ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 48357/07, 52677/07, 52687/07 e 52701/07)

SENTENZA

STRASBURGO

24 giugno 2014


La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Azienda agricola Silverfunghi S.a.s. e altri c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), riunita in una Camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Egidijus Kūris,
Robert Spano, giudici,
e Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 maggio 2014,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi sono quattro ricorsi (nn. 48357/07, 52677/0/07, 52687/07 e 52701/07) proposti contro la Repubblica italiana con i quali nel 2007 quattro aziende con sede legale in Italia (si veda  l’Allegato per i dettagli) hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).

2.  Le società ricorrenti sono state rappresentate dall’avv. Alessandra Mari, del foro di Roma. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, Ersiliagrazia Spatafora, e dal suo co-agente, Paola Accardo.



3. Le società ricorrenti hanno sostenuto di aver subito violazione dell’articolo 6 § 1 e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione in conseguenza di un intervento legislativo in procedimenti pendenti.

4.  L’11 ottobre 2012 i ricorsi sono stati comunicati al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

A.  Il contesto delle cause

5.  Le ricorrenti sono aziende agricole operanti nel settentrione e/o in aree svantaggiate dell’Italia così come definite dalla pertinente legislazione italiana.

6.  Negli anni ottanta il legislatore italiano adottò una serie di norme per favorire le attività economiche in generale e, in più in particolare, quelle agricole.

7.  Più specificamente, l’articolo 1, comma 6, della legge n. 48 del 1988 (decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536) (si veda “Il diritto interno pertinente” infra) introdusse una fiscalizzazione, ovvero, a partire dal 1o gennaio 1987 lo Stato si assumeva parte dei contributi versati dai datori di lavoro del settore agricolo per ogni dipendente ai fini dell’articolo 31, comma 1, della legge n. 41/48.

8.  Inoltre, l’articolo 9, comma 5, della legge n. 67 del 1988 (legge finanziaria 1988) (si veda “Il diritto interno pertinente” infra) introdusse un sistema di sgravi contributivi in ordine ai versamenti finalizzati ai premi e ai contributi relativi alle gestioni previdenziali e assistenziali. Tali versamenti erano dovuti nella misura del 15% (successivamente del 30%) dai datori di lavoro del settore agricolo delle regioni settentrionali e del 40% (successivamente del 60%) dai datori di lavoro del settore agricolo operanti in zone agricole svantaggiate del Mezzogiorno d’Italia.

9.  Secondo le società ricorrenti, l’articolo 9, comma 6, della legge n. 67 del 1988 (si veda “Il diritto interno pertinente” infra) indicava che l’ultimo beneficio non era alternativo a quello previsto dalla legge n. 48 del 1988. Tale comma specificava che ai fini del calcolo del summenzionato sgravio contributivo, non si dovesse tenere conto della fiscalizzazione. Esse ritenevano che ciò risultasse chiaro anche dalla scheda di lettura della legge (si veda “Il diritto interno pertinente” infra). 10.  A seguito di ulteriori modifiche normative apportate tra il 1988 e il 1996, l’onere di cui si doveva far carico lo Stato ammontava a quanto segue:

a ) 85.000 lire italiane (circa 44 euro (EUR)) per dipendente per dodici mensilità;

b)  5,62 punti percentuali globali per sgravi contributivi relativi ai contributi per TBC (tubercolosi), ENAOLI (orfani dei lavoratori italiani) e SSN (Servizio sanitario nazionale);

c)  4,92 punti percentuali globali per sgravi contributivi relativi ai suddetti contributi a favore dei braccianti e 5,02 punti percentuali a favore di dipendenti e dirigenti, a decorrere dal 1o giugno 1996.

11.  Nonostante la legge, con circolare n. 160 del 18 luglio 1988, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (“INPS”), ente previdenziale italiano, stabilì che i due benefici (le fiscalizzazioni e gli sgravi contributivi) non potessero essere cumulati e dovessero essere considerati alternativi.

12. In realtà le società ricorrenti avevano beneficiato solo degli sgravi contributivi e non della fiscalizzazione. Esse ritennero che tale interpretazione contrastasse con quanto previsto dalla legge.

13. In effetti, sin dal 1994 diverse aziende agricole (in particolare la Floramiata S.p.a.)  avevano promosso dei procedimenti (a seguito di rigetti a livello amministrativo) lamentando la questione, e i tribunali italiani, compresa la Corte di Cassazione, avevano stabilito una costante giurisprudenza a favore delle aziende agricole. Le società ricorrenti hanno dedotto che tra il 1997 e il 2003 erano state emesse oltre venticinque sentenze di primo grado e oltre cinque sentenze di appello sulla stessa materia, nonché due sentenze della Corte di Cassazione (si veda “Il diritto e la prassi interni pertinenti” infra) che avevano concluso a favore delle aziende agricole.

14.  Alla luce di ciò, nel 2000/2002 le società ricorrenti iniziarono i procedimenti giudiziari spiegati infra, nelle more dei quali fu promulgata la legge 24 novembre 2003 n. 326 (d’ora innanzi legge n. 326/03) (si veda “Il diritto interno pertinente” infra), che prevedeva che i benefici non potessero essere cumulati.

15.  Con sentenza n. 274 del 7 luglio 2006 la Corte costituzionale giudicò la legge n. 326/03 legittima e non incostituzionale (si veda “Il diritto e la prassi interni pertinenti” infra).

B.  I procedimenti interni promossi dalle società ricorrenti

1.  Azienda Agricola Silverfunghi S.a.s.

16.  Il 7 novembre 2000 la società ricorrente chiese all’INPS di restituire le somme che aveva trattenuto in violazione di quanto previsto dalla legge quando aveva omesso di applicarle la fiscalizzazione, per il periodo compreso tra il 1o aprile 1990 e il 31 dicembre 1997, pari a 173.738.951 lire italiane (circa EUR 90.000), oltre gli interessi e la rivalutazione.

17.  Poiché la mancata risposta dell’INPS equivaleva a un implicito rigetto (silenzio-rifiuto), il 26 giugno 2001 la società ricorrente iniziò una procedura amministrativa dinanzi all’INPS. Ancora una volta quest’ultimo non rispose.
18.  Pertanto, il 4 gennaio 2002 la società ricorrente ricorse in giudizio per recuperare le somme dovute (sopra specificate) per il periodo non coperto da prescrizione (a decorrere dal 2000).

19.  Con sentenza (n. 56/2003) del 13 febbraio 2003 il Tribunale di Bergamo si pronunciò a favore della società ricorrente. Ritenendo che i due benefici potessero essere cumulati e che  la società ricorrente avesse versato i relativi importi, ordinò all’INPS di restituire le somme di cui si era ingiustamente appropriato (a decorrere dal 2000), con gli interessi e la rivalutazione, e dispose la compensazione delle spese processuali.

20. Con sentenza (n. 276/03) del 25 settembre 2003, depositata nella pertinente cancelleria il 4 novembre 2003, la Corte di Appello di Brescia respinse l’appello dell’INPS e confermò la sentenza di primo grado.
21.  A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 326/03 l’INPS propose ricorso alla Corte di Cassazione.

22.  La società ricorrente resistette con un controricorso, sostenendo che l’applicazione della legge 24 novembre 2003 n. 326 alla sua causa sarebbe equivalsa a violazione dell’articolo 6 della Convenzione e a violazione della Costituzione italiana nella misura in cui essa obbligava lo Stato a rispettare la Convenzione europea, questione che la Corte costituzionale non aveva minimamente preso in considerazione nella sua sentenza del 7 luglio 2006.

23.  Con sentenza (n. 10110/07), depositata nella pertinente cancelleria il 2 maggio 2007, la Corte di Cassazione accolse il ricorso dell’INPS sulla base della legge n. 326/03. I restanti motivi di ricorso furono respinti poiché la legge n. 326/03 aveva natura di interpretazione autentica ed era pertanto solo apparentemente retroattiva, in quanto era stato restituito alla legge il significato che si intendeva darle originariamente. In realtà, come dimostrato da un esame approfondito delle leggi pertinenti, i benefici in questione non potevano essere accordati cumulativamente, si dovevano piuttosto individuare i benefici più favorevoli a un’azienda in base alla sua situazione specifica. Inoltre lo Stato aveva un legittimo potere discrezionale di decidere se i benefici potessero essere concessi cumulativamente o meno,  pertanto non si poteva ritenere che sorgesse alcuna questione relativa all’equo processo. Le spese dell’intero procedimento furono compensate tra le parti delle spese.

2.  S S.r.l.

24.  Il 9 luglio 2001 e nuovamente il 29 gennaio 2002 la società ricorrente chiese all’INPS di restituire le somme che aveva trattenuto in violazione di quanto previsto dalla legge quando aveva omesso di applicarle la fiscalizzazione, per il periodo compreso tra il 1o aprile 1990 e il 31 dicembre 1997, pari a 413.928.856 lire italiane (circa EUR 213.776), oltre gli interessi e la rivalutazione.

25.  Poiché la mancata risposta dell’INPS equivaleva a un implicito rigetto (silenzio-rifiuto), il 7 giugno 2002 la società ricorrente iniziò una procedura amministrativa dinanzi all’INPS. Ancora una volta quest’ultimo non rispose.

26.  Pertanto, in data 11 giugno 2002 la società ricorrente ricorse in giudizio per recuperare le somme dovute (sopra specificate) per il periodo non coperto da prescrizione.

27.  Con sentenza (n. 58/2003) del 13 febbraio 2003, il Tribunale di Bergamo si pronunciò a favore della società ricorrente. Ritenendo che i due benefici potessero essere cumulati e che la ricorrente avesse versato i relativi importi, ordinò all’INPS di restituire le somme di cui si era ingiustamente appropriato (a decorrere dal 2001, data di interruzione della prescrizione), con gli interessi e la rivalutazione, e dispose la compensazione delle spese processuali.

28.  Con sentenza (n. 277/03) del 25 settembre 2003, depositata nella pertinente cancelleria il 4 novembre 2003, la Corte di Appello di Brescia respinse l’appello dell’INPS e confermò la sentenza di primo grado.

29.  A seguito dell’entrata in vigore della legge 24 novembre 2003 n. 326, l’INPS propose ricorso alla Corte di Cassazione.

30.  La società ricorrente resistette con un controricorso con argomenti analoghi a quelli menzionati sopra.

31.  Con sentenza (n. 12863/07) depositata nella pertinente cancelleria il 1o giugno 2007, la Corte di Cassazione accolse il ricorso dell’INPS sulla base della legge 24 novembre 2003 n. 326. I restanti motivi di ricorso furono respinti per gli stessi motivi esposti sopra. Le spese dell’intero procedimento furono compensate tra le parti.

3.  S.A.P. Pietrafitta S.r.l.

32.  Il 14 e il 30 luglio 1999 la società ricorrente chiese all’INPS di restituire le somme che aveva trattenuto in violazione di quanto previsto dalla legge quando aveva omesso di applicarle la fiscalizzazione, per il periodo compreso tra il 1o gennaio 1989 e il 31 dicembre 1997, pari a 210.609.000 lire italiane (circa EUR 108.770), oltre gli interessi e la rivalutazione.

33.  L’INPS non rispose.

34.  Pertanto, il 25 gennaio 2000 la società ricorrente ricorse in giudizio  per recuperare le somme dovute (sopra specificate) per il periodo non coperto da prescrizione.

35.  Con sentenza (n. 8/2001) del 3 aprile 2001, il Tribunale di Siena si pronunciò a favore della società ricorrente. Ritenendo che i due benefici potessero essere cumulati e che la ricorrente avesse versato i relativi importi, ordinò all’INPS di restituire le somme di cui si era ingiustamente appropriato, con gli interessi e la rivalutazione (a decorrere dal 1999, data dell’istanza amministrativa), e di pagare tutte le spese del procedimento.

36.  Con sentenza (n. 249/02) del 16 aprile 2002, depositata nella pertinente cancelleria il 24 aprile 2002, la Corte di Appello di Firenze respinse l’appello dell’INPS e confermò la sentenza di primo grado.

37. A seguito dell’entrata in vigore della legge 24 novembre 2003 n. 326, l’INPS propose ricorso alla Corte di Cassazione.

38.  La società ricorrente resistette con un controricorso con argomenti analoghi a quelli  menzionati sopra.

39.  Con sentenza (n. 13291/07) depositata nella pertinente cancelleria il 7 giugno 2007, la Corte di Cassazione accolse il ricorso dell’INPS sulla base della legge 24 novembre 2003 n. 326. I restanti motivi di ricorso furono respinti per gli stessi motivi esposti sopra. Le spese dell’intero procedimento furono compensate tra le parti.

4.  Floricultura Zanchi

40.  Il 10 dicembre 2001 la società ricorrente chiese all’INPS di restituire le somme che aveva trattenuto in violazione di quanto previsto dalla legge quando aveva omesso di applicarle la fiscalizzazione, per il periodo compreso tra il 1o aprile 1991 e il 31 dicembre 1997, pari a 163.373.972 lire italiane (circa EUR 84.375), oltre gli interessi e la rivalutazione.

41.  Poiché la mancata risposta dell’INPS equivaleva a un implicito rigetto (silenzio-rifiuto), il 15 maggio 2002 la società ricorrente iniziò una procedura amministrativa dinanzi all’INPS. Ancora una volta quest’ultimo non rispose.

42. Pertanto, in data 11 settembre 2002 la società ricorrente ricorse in giudizio per recuperare le somme dovute (sopra specificate) per il periodo non coperto da prescrizione (a decorrere dal 2001).

43.  Con sentenza (n. 57/2003) del 13 febbraio 2003, il Tribunale di Bergamo si pronunciò a favore della società ricorrente. Ritenendo che i due benefici potessero essere cumulati e che la ricorrente avesse versato i relativi importi, ordinò all’INPS di restituire le somme di cui si era ingiustamente appropriato (a decorrere dal 2001), con gli interessi e la rivalutazione, e dispose la compensazione delle spese processuali.

44. Con sentenza (n. 278/03) del 25 settembre 2003, depositata nella pertinente cancelleria il 4 novembre 2003, la Corte di Appello di Brescia respinse l’appello dell’INPS e confermò la sentenza di primo grado.

45.  A seguito dell’entrata in vigore della legge 24 novembre 2003 n. 326, l’INPS propose ricorso alla Corte di Cassazione.

46. La società ricorrente resistette con un controricorso con argomenti analoghi a quelli menzionati sopra.

47.  Con sentenza (n. 12864/07) depositata nella pertinente cancelleria il 1o giugno 2007, la Corte di Cassazione accolse il ricorso dell’INPS sulla base della legge 24 novembre 2003 n. 326. I restanti motivi di ricorso furono respinti per gli stessi motivi esposti sopra. Le spese dell’intero procedimento furono compensate tra le parti.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. La fiscalizzazione degli oneri sociali

48.  L’articolo 1, comma 6, della legge n. 48 del 1988 (decreto-legge 30 dicembre 1987 n. 536) recita:

“A favore dei datori di lavoro del settore agricolo è concessa, a  decorrere dal periodo di paga in corso al 1 gennaio 1987 e fino a tutto  il  periodo di paga in corso al 30 novembre 1988, per ogni mensilità fino alla dodicesima compresa, una riduzione sul contributo di cui all’articolo 31, comma 1, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, di lire 133.000 per ogni dipendente. Da tale riduzione sono esclusi i datori di lavoro del settore agricolo operanti nei territori di cui all’articolo 1 del testo unico delle leggi sugli interventi  nel  Mezzogiorno, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218”.

B. Gli sgravi contributivi

49.  L’articolo 9, commi 5 e 6, della legge n. 67 del 1988 (legge finanziaria 1988) recita:

“5. A decorrere dal 1 gennaio 1988, i premi ed i contributi relativi alle gestioni previdenziali ed assistenziali sono dovuti nella misura del 15 per cento dai datori di  lavoro agricolo per il proprio personale dipendente, occupato a tempo indeterminato  e a tempo determinato nei territori montani di cui all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601. I predetti premi e contributi sono dovuti per i medesimi lavoratori dai datori di lavoro agricolo operanti nelle  zone agricole svantaggiate, delimitate ai sensi dell’articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984, nella misura del 40 per cento, e dai datori di  lavoro  operanti nelle zone  agricole  svantaggiate comprese nei territori di cui all’articolo 1 del testo unico delle  leggi  sugli  interventi  nel Mezzogiorno, approvato con decreto del Presidente della Repubblica  6 marzo 1978, n. 218, nella misura del 20 per cento.

 

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