BARELLI AND OTHERS v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice

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Sul provvedimento

Citazione :
BARELLI AND OTHERS v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
Giurisdizione : Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
Numero : 001-149027
Data del deposito : 27 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dalla dott.ssa Rita Pucci, funzionario linguistico

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court’s database HUDOC

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE SULLA RICEVIBILITA’
del ricorso no 15104/04
presentato da Roberta BARELLI ed altri contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 27 aprile 2010 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Kristina Pardalos, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 28 aprile 2004,
Vista la decisione della Corte di procedere all’esame congiunto della ricevibilità e del merito della causa, come consentito dall’articolo 29 § 3 della Convenzione,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle di replica presentate dai ricorrenti,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

I ricorrenti, Roberta Barelli, Ginetta Di Domizio, Carlo Barelli e Paolini Giada (la madre, i nonni e la sorellastra dei bambini M e A.) sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1970, 1936, 1935 e 1999 e residenti a Poggio Rusco e a Mirandola. Davanti alla Corte, dichiarano di agire anche a nome di M e A., nati il 16 giugno 1992 e il 5 marzo 1995. Sono rappresentati dinanzi alla Corte dall’Avv. G. Catellani, del foro di Reggio Emilia.
I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
Il 28 agosto 1997, i servizi sociali del comune di Mirandola inviarono al tribunale per i minorenni («il tribunale») di Bologna un rapporto sulla situazione della famiglia. Stando ad esso, il padre e la madre dei bambini erano tossicodipendenti, la situazione tra i coniugi conflittuale, le condizioni psicofisiche dei due bambini precarie e, per la maggior parte del tempo, essi erano tenuti dalla nonna. I servizi sociali suggerivano al tribunale di ordinare l’allontanamento dei bambini dai genitori e dai nonni e l’affidamento degli stessi ad una struttura d’accoglienza protetta stante l’incapacità dei genitori e dei nonni di svolgere il loro ruolo.
Il 30 settembre 1997, in considerazione della «necessità di procedere ad esami approfonditi» sui bambini, la procura chiese al tribunale, in virtù dell’articolo 330 del codice civile («CC»):

  • di ordinare l’allontanamento dei bambini dai genitori;
  • di ordinare l’affidamento dei bambini, tramite il servizio sanitario locale («AUSL») di Mirandola, ad una struttura di accoglienza «protetta» e di fissare un calendario di incontri;
  • di presentare entro il termine di due mesi un rapporto sulla situazione dei bambini e della famiglia.

A. fu affidato ad una casa di accoglienza “Cenacolo Francescano” e M ad una casa di accoglienza di Mirandola.
Il 10 ottobre 1997, i ricorrenti promossero opposizione dinanzi al tribunale per i minorenni, chiedendo l’annullamento della decisione del 30 settembre. Essi facevano notare che il rapporto dei servizi sociali era stato presentato in agosto, mentre la decisione del tribunale era di settembre. Inoltre, contestavano la decisione di allontanare i bambini dai nonni.

Con decreto del 29 ottobre 1997, il tribunale per i minorenni rigettò la domanda dei ricorrenti e confermò la decisione del 30 settembre.

Il 24 novembre 1997, i servizi sociali trasmisero al tribunale il rapporto richiesto, nel quale riferivano di incontri tra i bambini, i genitori e i nonni. A dire dei servizi sociali, i genitori si erano mostrati collaborativi.
Il 1o dicembre 1997, il tribunale per i minorenni sentì i genitori dei bambini. Con decisione del 27 dicembre 1997, il tribunale ritenne necessario confermare la misura dell’affidamento.
Il 19 ottobre 1998, il tribunale ricevette dai servizi sociali un nuovo rapporto sulla situazione, stando al quale vi erano stati diversi incontri tra i ricorrenti e i bambini. Tuttavia, a giudizio dei servizi sociali, i genitori dei bambini si mostravano incapaci di esercitare tutte le funzioni di un genitore. Gli incontri tra M e i nonni erano stati interrotti dai servizi sociali per la grande ansia manifestata dalla bambina. Inoltre, secondo i servizi sociali, il comportamento dei ricorrenti mirava a condizionare i bambini. Per giunta, M aveva riferito di avere subito, al pari del fratello e di altri bambini – abusi sessuali, in un’abitazione privata e durante riti satanici in un cimitero, da parte dei genitori, dei nonni e di altri adulti. I servizi sociali avevano quindi interrotto gli incontri con i genitori e segnalato i fatti al Procuratore della Repubblica.
Il 3 novembre 1998, la procura chiese al tribunale per i minorenni di sospendere ogni rapporto tra i bambini e i ricorrenti e di procedere al più presto alle visite medico legali e psicologiche al fine di accertare se i minori avessero subito abusi sessuali.

Con decreto del 13 novembre 1998, tenuto conto del rapporto dei servizi sociali e dell’incapacità della ricorrente e del marito di esercitare le funzioni di genitori, il tribunale decise di sospendere l’autorità genitoriale della prima ricorrente e del marito, di sospendere i rapporti con i nonni, di nominare l’AUSL di Mirandola tutore di M e di A. incaricandola di affidare i bambini ad una struttura «protetta» e di avviare un’indagine psicologica. Infine, il tribunale avviò la procedura volta ad accertare la sussistenza dello stato di abbandono, ai sensi dell’articolo 10 della legge n. 184 del 1983.

Il 21 dicembre 1998, furono eseguite due perizie medico legali. I rapporti, presentati il 13 febbraio 1999, concludevano, quanto alla visita ginecologica, per «l’esistenza di lesioni legate a rapporti sessuali» e, quanto all’altra visita, per «un’elevata coerenza con l’ipotesi di atti di abusi sessuali riguardanti la regione anale».
Il 14 ottobre 1999, i servizi sociali segnalarono al tribunale che la prima ricorrente era incinta di un nuovo compagno e che il padre dei bambini era stato arrestato per furto aggravato.
Il 18 novembre 1999, la prima ricorrente diede alla luce una bambina (la quarta ricorrente).
Il 28 ottobre 1999, il tribunale per i minorenni dichiarò coperti dal segreto istruttorio gli atti processuali.

Con sentenza del 5 giugno 2000 del tribunale di Modena, la prima ricorrente fu assolta dall’imputazione di abusi sessuali su minori.

Il 27 novembre 2000, i nonni chiesero di avere in affidamento i bambini.
Il 13 novembre 2001, la prima ricorrente chiese al tribunale di poter incontrare i bambini. Essa faceva notare di avere dato alla luce una figlia e di essere stata ritenuta adatta ad occuparsi di lei dai servizi sociali del comune in cui viveva al momento e dal tribunale per i minorenni di Brescia. La prima ricorrente chiese al tribunale di potere riannodare i legami con i figli.
Il 24 dicembre 2001, ritenendo che i genitori dei bambini non avrebbero potuto fornire a questi ultimi la protezione necessaria in una situazione così grave, il tribunale considerò impraticabile il ritorno dei bambini a casa dei ricorrenti. Sebbene l’inchiesta penale si fosse chiusa con l’assoluzione della ricorrente, per il tribunale era necessario tutelare i bambini. Esso ordinò quindi ai servizi sociali di predisporre una perizia al fine di «verificare lo stato psicologico dei bambini, la personalità dei genitori e in particolare della madre, e la relazione tra questi e i figli, nonché di valutare l’opportunità di una ripresa degli incontri tra i bambini e la madre».
Il 10 settembre 2002, la psicologa presentò un rapporto in cui constatava un contesto di grande sofferenza psicologica dei bambini. In particolare, le condizioni psicologiche di M erano gravi: essa presentava sintomi psicotici.
Il rapporto fu discusso durante l’udienza del 15 gennaio 2003 alla presenza della psicologa, della prima ricorrente e dell’avvocato di questa.
Il 28 gennaio 2003, la prima ricorrente presentò una memoria dinanzi al tribunale per i minorenni. Essa sosteneva di avere dato alla luce un’altra figlia e di avere cambiato città per il timore che le fosse sottratta anche questa terza figlia. Infatti, secondo i ricorrenti, addirittura prima della nascita di quest’ultima, si era pensato di adottare un provvedimento di allontanamento, come dimostrava il fatto che i servizi sociali di Mirandola avevano informato la procura della nascita della bambina, per l’eventuale adozione di ogni decisione di competenza della procura. La decisione non era stata adottata in quanto il tribunale di Bologna non era più competente. I ricorrenti facevano notare che, a giudizio del tribunale di Brescia, la prima ricorrente era in grado di allevare il terzo figlio e che essa era stata assolta dall’accusa di avere commesso abusi sessuali.

Con decreto definitivo dell’11 giugno 2003, il tribunale per i minorenni di Bologna dichiarò la decadenza dei due genitori dall’autorità genitoriale. Esso rilevò la precarietà delle condizioni psicofisiche dei bambini e l’esistenza di un contesto familiare e sociale rivelatore dell’incapacità affettiva, educativa e pedagogica dei genitori. Nella sua decisione, il tribunale, alla luce degli elementi raccolti sia nel corso dell’inchiesta da esso condotta sia nell’ambito del procedimento penale contro la prima ricorrente, ritenne che il padre non si fosse più interessato dei figli dopo il loro affidamento e che la madre non fosse né potesse apparire vicina al vissuto dei figli né fosse ancora in grado di aiutare M e A. a comprendere il loro vissuto e le loro sofferenze. Il tribunale confermò l’affidamento dei bambini e l’interruzione dei rapporti con i genitori, e ordinò l’avvio di un percorso terapeutico per i bambini e per la prima ricorrente al fine di valutare l’opportunità, in futuro, di una ripresa degli incontri tra i bambini e la madre. Il tribunale rigettò la domanda della ricorrente di disporre il trasferimento della valutazione dei bambini ad un’altra AUSL.
I ricorrenti adirono la corte d’appello di Bologna. Chiesero la revoca del decreto del tribunale, il trasferimento della valutazione dei bambini ad un’altra AUSL – perché, a loro dire, i bambini erano manipolati dagli psicologi dell’AUSL di Mirandola – nonché l’affidamento dei bambini alla prima ricorrente o ai nonni.

Con decreto del 5 novembre 2003, la corte d’appello rigettò la domanda dei ricorrenti, giudicando corretta l’analisi della situazione fatta dal tribunale per i minorenni e le conclusioni cui esso era giunto. In particolare, essa rilevò la gravità della situazione dei bambini ed espresse dubbi in merito all’assoluzione della ricorrente da parte dei giudici penali, stanti i comportamenti «di natura erotica» dei due bambini. Ad avviso della corte, l’eventuale ripristino dei rapporti tra la prima ricorrente e i figli – impossibile nell’immediato – dipendeva da un processo di maturazione della donna e dalla  presa di coscienza delle sofferenze vissute dai figli. Infine, secondo la corte, i genitori avevano tenuto una condotta violenta nei confronti dei figli e recato loro molto danno.

Il 7 aprile 2006, i ricorrenti chiesero al tribunale di potere incontrare i bambini. Il 3 luglio 2006 il tribunale per i minorenni chiese all’AUSL di predisporre un rapporto sulla situazione dei bambini per il 21 ottobre 2006. Il rapporto fu presentato il 24 ottobre 2006.
Secondo i servizi sociali, la prima ricorrente aveva iniziato un trattamento terapeutico al fine di comprendere il suo vissuto. Tuttavia, stando al rapporto, essa continuava a negare la possibilità che M avesse subito abusi sessuali e sosteneva che le affermazioni della bambina erano dovute alla manipolazione da parte dei servizi sociali.
Il 12 ottobre 2006, i nonni chiesero al giudice delle tutele di potere incontrare i bambini.
Il 16 novembre 2006, il giudice delle tutele incaricò i servizi sociali di presentare un resoconto sulla fattibilità di un eventuale ripristino dei rapporti tra i bambini e i nonni. I servizi sociali fissarono tre incontri con i nonni.
Il 31 ottobre 2006, il tribunale convocò la prima ricorrente e la psicologa. Quest’ultima informò che M era affidata alla stessa famiglia di accoglienza dal 1997 e frequentava la scuola con profitto. Dal punto di vista psicologico, essa mostrava una grande sofferenza ed aveva incubi, alla notizia dei passi fatti dalla madre naturale per poterla incontrare. Quanto ad A., egli aveva dovuto cambiare famiglia di accoglienza a causa dei suoi «comportamenti sessualizzanti compulsivi». L’inserimento nella nuova famiglia aveva costituito un cambiamento positivo per A., il quale era rimasto impassibile alla notizia delle iniziative prese dalla madre. Secondo la psicologa, un’eventuale ripresa dei rapporti con la madre poteva essere estremamente traumatizzante per i bambini.
Il 7 dicembre 2006, la procura chiese al tribunale di sentire i bambini.
Il 22 febbraio 2007, i servizi sociali presentarono una relazione sulla fattibilità di un eventuale ripristino dei rapporti tra i bambini e i nonni. Secondo i servizi sociali, i nonni erano interessati più a proteggere la posizione della figlia che a sviluppare empatia verso i bambini. Essi non avevano preso coscienza delle sofferenze vissute da questi ultimi. Inoltre, i bambini non erano pronti psicologicamente ad incontrare i ricorrenti.

Con decreto definitivo del 3 maggio 2007, il tribunale per i minorenni si pronunciò negativamente sulla domanda della ricorrente di sospendere il decreto dell’11 giugno 2003. Stando al tribunale, i bambini non erano pronti ad accogliere la madre, ed avevano ancora bisogno di elaborare ed accettare la loro infanzia.

La prima ricorrente interpose appello avverso il decreto del tribunale per i minorenni.
Il 21 giugno 2007, il giudice delle tutele rigettò le domande dei nonni.
Il 28 settembre 2007, la corte d’appello chiese all’AUSL di presentare un nuovo rapporto sulla situazione dei bambini.
Il 7 novembre 2007, il tutore dei bambini si costituì nel procedimento.

Con sentenza del 5 dicembre 2007, la corte d’appello di Bologna rigettò il ricorso della prima ricorrente. La corte osservò che la decisione di dichiarare la decadenza della prima ricorrente dall’autorità genitoriale era stata adottata nell’interesse superiore dei bambini. In particolare, la corte d’appello osservò che M non voleva riannodare il legame con la prima ricorrente per il ricordo ancora vivo degli abusi subiti durante l’infanzia. Quanto ad A., la corte osservò che egli si era inserito bene nella nuova famiglia di accoglienza. Secondo la corte, un riavvicinamento immediato dei bambini alla madre non era prevedibile a breve, soprattutto a causa del rifiuto dei bambini, ormai adolescenti, di incontrarla.

Nel frattempo, i ricorrenti interposero appello avverso il decreto del giudice delle tutele del 21 giugno 2007.

Con decreto del 25 marzo 2008, il tribunale dichiarò il ricorso manifestamente infondato. A suo giudizio, le condizioni psicologiche dei bambini erano ancora fragili, a causa dell’esperienza traumatizzante vissuta nell’infanzia. Essi avevano reagito male alla notizia delle iniziative prese dai ricorrenti. Malgrado ciò, la corte d’appello sottolineò che non era esclusa un’eventuale ripresa dei rapporti in futuro.
Il 2 luglio 2009, i servizi sociali presentarono una relazione sulla situazione dei bambini. A loro avviso, i rapporti tra i bambini erano molto stretti: essi si incontravano in occasione dei compleanni e delle vacanze scolastiche. Entrambi avevano affermato di non volere incontrare i ricorrenti. A tutt’oggi, i due bambini seguono ancora un percorso psicologico.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

Il diritto e la prassi interni pertinenti riguardanti l’adozione sono riportati nelle sentenze Bronda c. Italia (Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-IV, 9 giugno 1998, §§ 36 43) e Roda e Bonfatti c. Italia (n. 10427/02, del 21 novembre 2006, §§ 77-78), mentre quelli relativi alla decadenza dall’autorità genitoriale sono riportati nella sentenza C e M c. Italia (n. 52763/99, 9 maggio 2003, §§ 71-76).

MOTIVI DI RICORSO

  1. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, i ricorrenti affermano che il modo in cui M e A. sono stati presi in consegna dai servizi sociali, la rottura radicale di ogni contatto con la famiglia e le condizioni in cui si sarebbero svolti gli incontri dei bambini con i periti devono essere considerati trattamenti degradanti. Secondo loro, i servizi sociali non hanno operato per il ritorno dei bambini in famiglia.
  2. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano, anche per conto di M e di A., l’interruzione prolungata dei rapporti con i bambini e dei rapporti di questi tra loro, nonché l’affidamento dei bambini a due strutture diverse, pregiudizievole, nella loro opinione, per i rapporti tra i piccoli.
  3. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’assenza di equità del procedimento civile. In particolare, denunciano l’assoluta mancanza di considerazione per i loro interessi in un procedimento così delicato. A loro dire, nelle decisioni pronunciate, i giudici civili non hanno tenuto in alcun conto l’esito del procedimento penale. Essi lamentano inoltre la durata eccessiva dei procedimenti, a loro giudizio doppiamente iniqua, perché le lungaggini processuali avrebbero protratto la loro separazione dai bambini.

IN DIRITTO

A.  Tesi del Governo

Il Governo sostiene che la prima ricorrente non dispone del locus standi per agire dinanzi alla Corte a nome dei figli perché dichiarata decaduta dall’autorità genitoriale con decreto del tribunale per i minorenni dell’11 giugno 2003, molto prima della presentazione del ricorso. Quanto agli altri ricorrenti, il Governo non vede a quale titolo essi potrebbero essere autorizzati a rappresentare gli interessi dei bambini dinanzi alla Corte, essendo da sempre privi di autorità legale sugli stessi.
A dire del Governo, è vero che l’interpretazione dell’articolo 34 della Convenzione data dalla Corte è molto elastica, al punto che i requisiti per presentare un ricorso non coincidono necessariamente con i criteri nazionali di locus standi, tuttavia, nel caso Scozzari e Giunta c. Italia ([GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 138,

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