CASE OF A.I. v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
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© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
PRIMA SEZIONE
CAUSA A.I. c. ITALIA
(Ricorso n. 70896/17)
SENTENZA
Art. 8 • Vita familiare • Vittima di tratta, di origine nigeriana, privata di qualsiasi contatto con le sue figlie nonostante le raccomandazioni degli esperti e addirittura prima della decisione definitiva sulla loro adottabilità • Procedura sull’adottabilità delle minori pendente da più di tre anni • Interessi superiori delle minori non considerati preminenti • Mancata considerazione della vulnerabilità della madre vittima di tratta • Valutazione delle capacità genitoriali della madre senza considerare la sua origine nigeriana né il diverso attaccamento tra genitori e figli nella cultura africana.
STRASBURGO
1° aprile 2021
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa A.I. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso (n. 70896/17) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina nigeriana, la sig.ra A.I. («la ricorrente»), che il 13 ottobre 2017 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
Vista la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),
Viste le osservazioni delle parti,
Vista la decisione con la quale la Corte ha deciso di non divulgare l’identità della ricorrente,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 9 marzo 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
INTRODUZIONE
1. La causa verte sull'impossibilità per la ricorrente, madre di due figlie, di esercitare un diritto di visita a causa del divieto di contatti disposto dal tribunale nella sua decisione sullo stato di adottabilità, mentre la procedura sull’adottabilità delle figlie è ancora pendente da più di tre anni.
IN FATTO
2. La ricorrente è nata nel 1981 e risiede a Roma. È rappresentata dall’avvocato S F.
3. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, E S, e dal suo ex co-agente, MG. Civinini.
4. La ricorrente, una cittadina nigeriana, arrivò in Italia in una data non precisata in quanto vittima di tratta di esseri umani. È madre di due figlie, J e M, nate rispettivamente il 17 gennaio 2012 e il 20 maggio 2014.
5. A partire da aprile 2014, la ricorrente e sua figlia, J, furono ospitate presso il centro di accoglienza di «Via Staderini» di Roma.
6. Il 19 giugno 2014 M fu ricoverata in ospedale a Roma a causa di una varicella. I medici le diagnosticarono un'infezione da HIV. Secondo le informazioni dell'ospedale, la ricorrente si era opposta all'avvio di un percorso terapeutico, peraltro necessario per la minore che presentava un quadro clinico serio.
7. Il 25 giugno 2014 il procuratore presso il tribunale per i minorenni (di seguito «il tribunale») presentò al tribunale una richiesta di sospensione della responsabilità genitoriale della ricorrente nei confronti di sua figlia M
8. Il 2 luglio 2014 il tribunale accolse la richiesta del procuratore, nominò il sindaco di Roma tutore della minore e ordinò a quest’ultimo di collocarla – una volta dimessa dall'ospedale – in una casa di accoglienza con divieto di andarla a prendere o di allontanarla senza l’autorizzazione del tribunale. Chiese alla procura di verificare se l'altra figlia della ricorrente, J, si trovasse in situazione di pericolo.
9. Il 17 luglio 2014 M fu collocata nella casa di accoglienza «Gruppo Appartamento Il Girotondo».
10. Il 18 luglio 2014 il procuratore chiese al giudice di ordinare una misura di protezione nei confronti della figlia maggiore della ricorrente, J
11. Il 30 ottobre 2014 il tribunale constatò che la madre rifiutava che la figlia maggiore, J, fosse sottoposta a degli esami diagnostici, che la minore viveva in un centro di prima accoglienza inadatto alle sue esigenze e che la madre rifiutava che fosse trasferita in una casa di accoglienza.
12. Con una decisione del 27 novembre 2014, il tribunale decise di sospendere la responsabilità genitoriale della ricorrente sulla figlia maggiore, J Nominò il sindaco di Roma pro tempore tutore provvisorio della minore e lo incaricò di collocarla, insieme alla madre, se quest’ultima acconsentiva, in una struttura di accoglienza adeguata con divieto per chiunque di ritirarla senza l’autorizzazione del tribunale. Ordinò di verificare lo stato di salute di J e incaricò il centro di assistenza per l'infanzia maltrattata (di seguito il «centro») di effettuare una valutazione urgente della personalità e delle capacità genitoriali della ricorrente, dell'esistenza di risorse necessarie per occuparsi delle figlie e del livello psicofisico della minore J
13. La ricorrente e J furono trasferite in un'altra struttura di accoglienza.
14. Il tutore informò il centro che la ricorrente delegava spesso la sorveglianza della figlia per poter uscire, che la affidava a persone non autorizzate, e che non si preoccupava delle condizioni di salute della bambina, poiché non ritirava i risultati degli esami effettuati.
15. J fu ricoverata in ospedale dal 27 febbraio al 10 marzo 2015.
16. Il 10 marzo 2015 la casa di accoglienza e il centro che seguiva la famiglia sottoposero al tribunale una relazione sulla situazione delle minori e sull'evoluzione dei rapporti con la ricorrente.
17. Il 14 maggio 2015 il tutore chiese al tribunale di poter continuare a osservare la relazione tra la minore, J, e la ricorrente per verificarne i progressi, di permettere alla madre di uscire liberamente con la bambina, e di mantenere la frequenza delle visite con J, limitata a una a settimana. Il procuratore chiese che la ricorrente e le due figlie fossero collocate nella stessa struttura.
18. Con una decisione dell'11 giugno 2015, il tribunale incaricò il tutore di collocare le minori insieme, con la loro madre, in una struttura adeguata e gli ordinò di concedere alla madre brevi uscite dalla struttura di accoglienza in funzione degli eventuali progressi fatti da quest'ultima nel modo di prendersi cura delle figlie.
19. Il 26 giugno 2015 M fu collocata nella stessa casa di accoglienza insieme a sua madre e a sua sorella.
20. Il 27 ottobre 2015 il centro presentò un rapporto in cui si menzionava che la ricorrente si prendeva cura delle figlie, ma aveva ancora grandi difficoltà a stabilire delle relazioni interpersonali con gli operatori della struttura di accoglienza.
21. Il 4 novembre 2015 l'avvocato della ricorrente chiese che l'interessata potesse beneficiare di un percorso di autonomia in una casa presa in affitto o messa a sua disposizione, e di revocare la sospensione della responsabilità genitoriale. Affermò che il padre di M era titolare di un permesso di soggiorno di protezione internazionale, che lavorava a Malta, che aveva ripreso il rapporto con la ricorrente, e che intendeva riconoscere M e sostenere le spese dell'interessata e delle due figlie.
22. Il 21 dicembre 2015 il tribunale respinse la domanda della ricorrente;chiese all'ospedale di redigere una relazione sulle attuali condizioni di salute della ricorrente e convocò il tutore, il responsabile della struttura di accoglienza e il responsabile del centro per riesaminare la situazione.
23. Il 29 febbraio 2016 il centro presentò al tribunale e al tutore una relazione in cui si affermava che era difficile avere contatti regolari con la ricorrente, la quale manifestava irritazione per la sua presenza permanente nella struttura di accoglienza. Secondo la relazione, la ricorrente era incapace di rendere concreto il suo progetto di autonomizzazione, e si limitava a nutrire e a giocare con le bambine senza rispettare gli orari della scuola.
24. Il 14 marzo 2016 il procuratore chiese al tribunale di verificare se le minori si trovassero in uno stato di abbandono, condizione necessaria per poter dichiarare la loro adottabilità.
25. Con decisione del 18 marzo 2016, il tribunale ordinò l'avvio del procedimento per stabilire se le minori fossero in stato di abbandono, confermò la sospensione della responsabilità genitoriale della ricorrente e del padre di J, e ordinò il collocamento delle minori in una casa di accoglienza con possibilità, per la madre, di andare a visitarle una volta a settimana.
26. Il 24 marzo 2016 le minori furono collocate nella casa di accoglienza «Casa Famiglia Mirella».
27. Con una decisione del 23 maggio 2016, il tribunale ordinò una perizia sulle condizioni psicofisiche, le eventuali problematiche psichiatriche o psicologiche della ricorrente e il loro impatto sulle sue capacità genitoriali. Accordò alla ricorrente un diritto di visita nella misura di due ore a settimana.
28. La perizia indicava che la ricorrente era affetta da disturbo di personalità misto con prevalenti tratti paranoici, accompagnati da aspetti narcisistici, nonché da una generalizzata povertà delle capacità di logica e di astrazione. Dall'esame diretto delle interazioni tra madre e figlia, nonché dall'analisi dei rapporti medici, risultava che la ricorrente soffriva di disturbi psichici che interferivano in modo significativo nell'espressione delle capacità genitoriali. La ricorrente non separava i propri bisogni da quelli delle minori, mancava di astrazione rispetto alle necessità delle sue figlie e appariva eccessivamente superficiale nella valutazione degli aspetti logistici riguardanti le bambine. In particolare, «i deficit della genitorialità [erano] nelle aree della funzione regolatrice, normativa, significante e rappresentativa».
29. Con sentenza del 9 gennaio 2017, il tribunale, basandosi sulle conclusioni della perizia, dichiarò che le minori erano in stato di abbandono e adottabili. Motivò la sua decisione sottolineando che non era possibile accordare ulteriori aiuti alla ricorrente e che inoltre le figlie non potevano rimanere collocate in una struttura in attesa che la ricorrente recuperasse le sue capacità genitoriali. Al fine di gestire la situazione delle bambine, confermò la nomina del tutore, ordinò il collocamento delle minori in una casa di accoglienza e proibì ogni contatto tra le figlie e la ricorrente.
30. Il 1° marzo 2017 la ricorrente interpose appello avverso la sentenza e presentò una richiesta di provvedimenti d’urgenza, conformemente all'articolo 700 del codice di procedura civile, ai fini della sospensione del divieto dei contatti.
31. Con decisione del 13 marzo 2017, il presidente della corte d'appello di Roma fissò la comparizione delle parti all'udienza prevista per il 20 giugno 2017 e ordinò ai servizi sociali di redigere una relazione sulle condizioni di vita della ricorrente.
32. All'udienza del 7 novembre 2017, la corte d'appello constatò che la ricorrente non era stata trovata nell'abitazione in cui aveva eletto domicilio e che non si era mai messa in contatto con i servizi sociali. Durante l'udienza, l'interessata fu informata che le figlie erano state affidate a due famiglie diverse in vista della loro adozione.
33. Con ordinanza in pari data, la corte d'appello esaminò la richiesta di provvedimenti d’urgenza volta a ottenere la sospensione del divieto dei contatti e sottolineò che, anche se la dichiarazione di adottabilità fosse stata confermata in appello, in caso di ripresa dei contatti le minori avrebbero sofferto di un ulteriore allontanamento dalla madre. Era nell'interesse delle figlie mantenere la sospensione dei contatti durante il procedimento d’appello. Tuttavia, la corte d'appello ordinò una nuova perizia e chiese al perito:
«di descrivere e valutare, con l'aiuto di un mediatore culturale e, se necessario, con un interprete in lingua inglese, l'attuale condizione psicofisica e la personalità della ricorrente, precisando le patologie di cui essa [era] affetta e acquisendo la documentazione medica di quest'ultima presso l'ospedale, nonché le conseguenze che ne sono residuate sul piano fisico e psichico e la loro incidenza sulla sua capacità genitoriale, con specifico riferimento alla sua idoneità alla cura materiale e morale delle figlie.»
L'esperto doveva inoltre precisare se vi fossero delle possibilità concrete che la ricorrente recuperasse le sue capacità genitoriali, tenuto conto della sua storia personale e della sua situazione attuale: quali fossero, in caso affermativo, gli interventi di sostegno necessari a questo fine e se il tempo occorrente per il recupero fosse compatibile con le esigenze evolutive delle figlie. Inoltre, l'esperto doveva verificare le condizioni psicofisiche delle minori, valutare le conseguenze che potevano derivare alle stesse dal ripristino degli incontri con la madre e indicare le modalità con le quali tale ripristino potesse eventualmente attuarsi senza pregiudizio per le bambine.
34. Risultava dalla perizia che, per quanto riguardava le valutazioni delle competenze genitoriali fatte in precedenza, l'atteggiamento diffidente della ricorrente descritto dagli operatori sociali poteva derivare dalle implicazioni psicologiche della condizione di vittima di tratta, piuttosto che dalle caratteristiche della personalità dell'interessata o da disturbi mentali importanti. La relazione precisava che, a causa del trauma migratorio subito dalla ricorrente, «[l'atteggiamento di quest'ultima] suscitava una reazione poco solidale da parte dei servizi sociali, non formati all'accoglienza di persone appartenenti ad altre culture». Secondo l’esperto, «l'origine nigeriana della ricorrente [poteva] aver contribuito ad alimentare una visione stereotipata di una famiglia considerata inaffidabile e [poteva] far credere che le donne di tale origine [fossero] spesso coinvolte nei circuiti della prostituzione». La relazione indicava che la ricorrente presentava dei tratti della personalità, nonché dei disturbi psichici, che si ripercuotevano in modo significativo sulla sua capacità genitoriale, e che la possibilità di recuperare una piena funzione parentale era difficilmente compatibile con le esigenze delle bambine. A questo proposito, la perizia metteva in evidenza la scarsa consapevolezza di sé della ricorrente e la sua scarsa propensione a chiedere aiuto. Per quanto riguarda la sua capacità di educare le figlie da un punto di vista morale, aveva sempre mostrato un forte attaccamento al suo ruolo di madre. La relazione conteneva i seguenti passaggi:
«La ricorrente si è trovata disorientata di fronte alla condizione di madre sola in un paese straniero in cui i sistemi di cure e di istruzione differiscono notevolmente da quelli del suo paese e la cui presa in carico delle figlie sembra essere profondamente influenzata dalla sua cultura di origine. Infatti, lo scambio tra madre e figli nella cultura africana è permeato più da contatti corporei che da scambi verbali e da contatti diretti di sguardo o di attività di gioco condiviso. La ricorrente è stata accusata, come spesso accade per le donne migranti provenienti dall'Africa subsahariana, di non saper giocare con le figlie e di limitarsi all'accudimento primario. Un intervento più attento agli elementi culturali impliciti tanto nella relazione di accudimento verso le figlie quanto nella modalità di approccio con il mondo esterno, avrebbe potuto meglio orientare verso un accompagnamento alla maternità e alla valorizzazione delle sue competenze genitoriali.
La ricorrente, pur avendo delle buone capacità per quanto attiene all’accudimento morale e affettivo delle bambine, presenta caratteristiche di personalità e/o elementi psicopatologici che inducono ad un atteggiamento di prudenza rispetto ad una piena assunzione della responsabilità genitoriale.»
35. L’esperto sottolineava che la ricorrente era stata vittima per anni di violenze sessuali e che soffriva di stress post-traumatico. Inoltre, osservava che:
«È del tutto ragionevole supporre che, se adeguatamente sostenuta in un percorso psicoterapeutico, la ricorrente potrebbe mantenere un ruolo del tutto positivo nella vita delle figlie, seppure inserite in altri contesti. A questo proposito, il legame con la madre può fornire quell’altrettanto indispensabile rispecchiamento culturale che, come sappiamo, assume un importante significato nella costruzione di una propria identità.»
36. Secondo l’esperto, la ripresa dei rapporti tra la ricorrente e le figlie poteva garantire loro un riconoscimento e un rispecchiamento culturale identitario nell’ambito di una relazione caratterizzata da grande affettività. L’esperto raccomandava di ripristinare il rapporto con la ricorrente e al contempo di stabilire il rapporto con la coppia collocataria.
37. Con sentenza del 2 ottobre 2018, la corte d'appello, composta da due magistrati professionisti e da due consiglieri onorari, confermò la sentenza del tribunale. Essa rilevò che la perizia aveva messo in evidenza che la ricorrente era priva di capacità genitoriali e che la possibilità di recuperarle non era compatibile con le esigenze delle minori. Inoltre, la ricorrente non era pienamente consapevole della sua malattia, della malattia delle figlie e delle sue difficoltà psicologiche.
38. La corte d’appello respinse la domanda con cui la ricorrente chiedeva di ordinare «esclusivamente un affidamento extrafamiliare» permettendo alle figlie di rimanere nelle famiglie di accoglienza a cui erano affidate. A questo proposito, la corte d’appello rilevò che tale forma di affidamento doveva essere considerata temporanea, mentre nel caso di specie l'incapacità della ricorrente di esercitare le sue capacità genitoriali era definitiva e l'unica soluzione era quindi dichiarare lo stato di adottabilità delle figlie. Respinse la domanda della ricorrente volta a ottenere la sospensione del divieto di contatti, sebbene le conclusioni della perizia attestassero la necessità di mantenerli, senza motivare la sua decisione su questo punto, limitandosi, tuttavia, ad affermare che la dichiarazione di adottabilità rompeva tutti i legami con la famiglia d'origine. La corte d’appello respinse anche la domanda volta a ottenere un’adozione semplice, rammentando che la legge non prevedeva tale adozione, e che l'adozione prevista dall'articolo 44 d), quando non era possibile procedere ad un affidamento preadottivo (paragrafo 44 infra), non era oggetto del procedimento.
39. La ricorrente propose ricorso per cassazione.
40. Con ordinanza depositata il 13 febbraio 2020, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte d'appello rinviando la causa a un'altra sezione della corte d'appello. La Suprema Corte rammentò che il minore, una volta dichiarato adottabile, veniva posto in affidamento preadottivo. L'interruzione dei rapporti tra il genitore biologico e il minore era la conseguenza dell'adozione e non della dichiarazione di adottabilità. Tuttavia, l'interruzione definitiva dei rapporti tra la famiglia biologica e il minore era una conseguenza diretta dell’affidamento preadottivo e, quindi, i legami giuridici tra i genitori biologici e il minore cessavano con la dichiarazione di adottabilità volta all’adozione piena che era incompatibile con la continuazione di una relazione che doveva essere interrotta una volta pronunciata l'adozione.
41. La Suprema Corte ritenne che l’adozione piena dovesse essere pronunciata in ultima ratio, quando non vi era interesse che il minore mantenesse un rapporto significativo con i suoi genitori biologici o quando tale legame poteva portargli pregiudizio. Essa constatò che la corte d'appello non aveva preso in considerazione la parte della perizia nella quale si sottolineava che il legame con la madre doveva essere preservato per costruire l'identità delle figlie, e rilevò che la corte d'appello non aveva ritenuto necessario valutare se vi fosse un diverso modello di adozione che, nell'interesse delle minori, avrebbe potuto essere applicato al caso di specie.
La Suprema Corte precisò che nel sistema italiano era possibile, in virtù dell'articolo 44 d) della legge sull'adozione (si veda il paragrafo 44 infra), procedere all'adozione in alcuni casi particolari. A tale riguardo, la giurisprudenza prevedeva che, nell'ambito della procedura che permetteva di valutare se il minore dovesse essere considerato in stato di abbandono, la corte d'appello dovesse interrogarsi immediatamente, alla luce della perizia, sulla necessità di mantenere dei legami tra il genitore biologico e il figlio, perché ciò aveva un’incidenza sull’esistenza o meno dello stato di abbandono e quindi sul tipo di adozione da pronunciare. A questo proposito, la Corte di cassazione rammentò che, in precedenti sentenze (paragrafo 49 infra), aveva sottolineato la necessità di effettuare una valutazione ex ante della possibilità di prevedere una procedura di adozione semplice.
Al momento della verifica dello stato di abbandono, la corte d’appello avrebbe dovuto esaminare se l'interesse a non rompere il legame con la ricorrente prevalesse sull'insufficienza delle sue capacità genitoriali. Se la corte d'appello avesse ritenuto indispensabile il mantenimento di un rapporto tra le bambine e la ricorrente, avrebbero potuto essere previste altre forme di adozione. Di conseguenza, la Corte di cassazione stabilì che «uno dei fondamenti dell’accertamento relativo alla dichiarazione di adottabilità [era] la corrispondenza all'interesse delle minori a conservare il legame con la madre». Secondo la Suprema Corte, non era esclusa la possibilità di procedere a una forma di adozione diversa da quella legittimante, che fosse compatibile con la conservazione del rapporto tra la madre e le minori e in conformità con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
42. Dalle ultime informazioni fornite dalle parti risulta che la causa è pendente dinanzi a un’altra sezione della corte d’appello.
I. IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
A. Il regime giuridico interno
43. Una parte del diritto interno pertinente nel caso di specie è descritta nelle sentenze Zhou c. Italia (n. 33773/11, §§ 24-26, 21 gennaio 2014) e Paradiso e Campanelli c. Italia ([GC], n. 25358/12, §§ 57-69, 24 gennaio 2017).
44. Le disposizioni relative alla procedura di adozione sono contenute nella legge n. 184/1983, intitolata «Diritto del minore ad una famiglia» (di seguito «la legge sull'adozione»), modificata dalla legge n. 149 del 2001.
«Titolo II – Dell’adozione
(...)
«Capo II - Della dichiarazione di adottabilità»
Articolo 8
«Sono dichiarati anche d'ufficio in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni, (…) i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.
(...)»
Articolo 10
«(...)