GUEYE v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
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© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court’s database HUDOC
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
PRIMA SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n. 76823/12
Alle Fall GUEYE
contro l’Italia
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 31 maggio 2016 in una camera composta da:
Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
Ledi Bianku,
Guido Raimondi,
Kristina Pardalos,
Paul Mahoney,
Aleš Pejchal,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 22 novembre 2012,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo avere deliberato, rende la seguente decisione:
IN FATTO
1. Il ricorrente, sig. Alle Fall Gueye, è un cittadino senegalese nato nel 1967 e residente ad Arcola. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. R. Duykers Mannocci, del foro di La Spezia.
2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
A. Le circostanze del caso di specie
3. I fatti di causa, così come sono stati esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.
4. E. nacque a Genova il 15 agosto 2005 da una relazione tra il ricorrente e V.B. Il ricorrente non riconobbe suo figlio alla nascita.
5. Il 17 settembre 2005 il ricorrente chiese al tribunale per i minorenni di essere autorizzato a riconoscere suo figlio, dato che la madre vi si opponeva. V.B sosteneva che il ricorrente era alcolista, violento e che, essendo uno straniero in situazione irregolare, la sua domanda di riconoscimento era finalizzata ad ottenere un permesso di soggiorno.
6. Il 17 luglio 2007 il ricorrente chiese al tribunale di poter esercitare un diritto di visita. Tale istanza fu ripresentata nell’ottobre 2007. Dopo aver sentito le parti, il tribunale, il 7 marzo 2008, respinse la richiesta del ricorrente.
7. Tre anni dopo, nel marzo 2008, il tribunale ordinò una perizia sul minore.
8. La perizia fu depositata in cancelleria l’11 luglio 2008. L’esperto aveva esaminato il ricorrente, V.B. e il minore.
9. Secondo l’esperto, il ricorrente presentava una distorsione della realtà e aveva manifestato disturbi sessuali. Inoltre, il ricorrente non aveva mai chiesto notizie di suo figlio e non aveva mai allacciato dei rapporti con lui;aveva una vita precaria e non aveva un alloggio fisso. Aveva giustificato il suo comportamento aggressivo e più volte, durante la perizia, aveva ingiuriato V.B. A tale riguardo, egli aveva anche affermato di voler riconoscere il figlio per «correggere» i comportamenti di V.B, contraria, a suo parere, alla sua cultura e alla sua religione. Secondo l’esperto, il ricorrente aveva una personalità antisociale ed egocentrica, dei disturbi sessuali e la sua domanda di riconoscimento del figlio non era fondata sui suoi sentimenti.
10. Con decisione del 20 luglio 2008, il tribunale rammentò anzitutto la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui l’interesse del minore al riconoscimento da parte dei genitori è un diritto soggettivo all’identità personale previsto dall’articolo 30 della Costituzione, che può essere limitato solo se vi sono motivi gravi e irreversibili che possono compromettere lo sviluppo del minore e in particolare la sua salute mentale. Il tribunale ritenne che nel caso di specie occorreva valutare l’interesse del minore ad essere riconosciuto e osservò che il riconoscimento avrebbe comportato delle conseguenze negative per lui e per suo l’equilibrio psichico.
11. Il tribunale rammentò che il ricorrente era un cittadino straniero irregolare, che era già stato condannato in passato per uso e detenzione di sostanze stupefacenti, e che era stato aggressivo nei confronti della sua compagna. Basandosi sulle conclusioni della perizia, il tribunale ritenne che la domanda di riconoscimento non si basasse su un reale coinvolgimento affettivo, tenuto conto anche del fatto che il ricorrente non aveva mai chiesto notizie del figlio e non aveva mai tentato di instaurare un legame affettivo con lui, ma mirasse in realtà a ottenere vantaggi e, in particolare, i documenti di cui il ricorrente aveva bisogno per regolarizzare la sua situazione.
12. Il 9 febbraio 2010 il ricorrente interpose appello avverso tale decisione.
13. Contestò la decisione del tribunale e fece valere che le conclusioni dell’esperto non corrispondevano alla realtà, dal momento che le condanne alle quali il perito faceva riferimento risalivano a parecchi anni addietro. Inoltre, l’esperto non avrebbe valutato le conseguenze negative per il minore che era privato sin dalla nascita del contatto con suo padre.
14. Con sentenza del 18 dicembre 2009, la corte di appello confermò la decisione del tribunale facendo riferimento all’influenza negativa che il ricorrente avrebbe potuto esercitare sul minore e sul suo equilibrio psichico, alla perizia presentata al tribunale secondo la quale il ricorrente aveva una personalità antisociale, egocentrica e presentava dei disturbi sessuali e inoltre la sua domanda di riconoscimento del minore non era fondata sui suoi sentimenti. Il tribunale fece anche riferimento alla situazione irregolare del ricorrente sul territorio italiano e ritenne che l’interesse superiore del minore giustificasse la decisione di non riconoscimento.
15. Il ricorrente propose ricorso per cassazione. In particolare fece valere che non era stata condotta alcuna perizia sulla sua vita sociale. Fece notare che aveva un lavoro fisso, che la sua situazione sul territorio italiano era in corso di regolarizzazione. A suo parere, le conclusioni del suo psicologo non erano state prese in considerazione e inoltre non era stata eseguita alcuna perizia sul minore. Il ricorrente fece valere che le decisioni impugnate erano quindi contrarie alla giurisprudenza interna e all’articolo 8 della Convenzione.
16. Con sentenza del 2 aprile 2012, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente affermando che le decisioni impugnate erano state motivate in maniera logica e corretta. In particolare, i giudici nazionali avevano giustamente preso in considerazione una serie di circostanze concrete per valutare l’interesse del minore, tra l’altro, la sua personalità, il suo stato fisico e le sue condizioni economiche. Il riconoscimento, secondo la Corte, avrebbe potuto causare un effettivo pregiudizio al figlio.
B. Il diritto interno pertinente
17. Secondo l’articolo 250 del codice civile, il riconoscimento di un figlio di età inferiore a quattordici anni non può essere effettuato senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. Il consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il minore, nei casi in cui non vi è consenso dell’altro genitore, può presentare ricorso dinanzi al giudice competente. Se non vi è opposizione entro il termine di trenta giorni, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso. Qualora vi sia opposizione, il giudice, dopo aver ordinato un’indagine, e dopo aver sentito il minore, (...), adotta misure provvisorie e urgenti al fine di instaurare una relazione tra le parti, purché sia valida l’opposizione.
MOTIVI DI RICORSO
18. Invocando gli articoli 8 e 14 della Convenzione, il ricorrente lamenta che gli è stato impedito di riconoscere il figlio biologico e di creare dei legami di parentela con lui. Tale decisione sarebbe stata presa sulla base delle conclusioni erronee degli esperti e sul fatto che era un cittadino straniero in situazione irregolare in Italia.
IN DIRITTO
19. Il ricorrente lamenta che gli è stato impedito di riconoscere il figlio biologico e di creare dei legami di parentela con lui. Sostiene che tale rigetto è legato alla sua condizione di straniero in situazione irregolare e ritiene che ciò costituisca una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, che dispongono quanto segue:
Articolo 8
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.