CASE OF MINISCALCO v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice

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Sul provvedimento

Citazione :
CASE OF MINISCALCO v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
Giurisdizione : Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
Numero : 001-212905
Data del deposito : 17 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MINISCALCO c. ITALIA

(Ricorso n. 55093/13)

SENTENZA

Art 3 P1  - Divieto di candidarsi alle elezioni regionali, determinato dalla condanna penale definitiva per abuso d’ufficio - Misura prevedibile e proporzionata allo scopo legittimo di contrasto alla corruzione e alla criminalità organizzata all’interno dell’amministrazione

Art 7 - Applicabilità - Misura non assimilata a una sanzione penale - Misura che non ha comportato la perdita del diritto di elettorato «attivo» - Procedimenti in contraddittorio associati all’adozione e all’esecuzione della misura

STRASBURGO
17 giugno 2021

DEFINITIVA
17/09/2021

 

Questa sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Miniscalco c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:

  • Ksenija Turković, presidente,
  • Alena Poláčková,
  • Péter Paczolay,
  • Gilberto Felici,
  • Erik Wennerström,
  • Raffaele Sabato,
  • Lorraine Schembri Orland, giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visti:

il ricorso (n. 55093/13) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. M M («il ricorrente»), che, il 2 agosto 2013, ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

l’astensione del giudice G R, eletto per l’Italia, (articolo 28 del regolamento della Corte),
la nomina, da parte dell’ex presidente della camera, del giudice I C per partecipare alla seduta in qualità di giudice ad hoc (articolo 29 del regolamento),
la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),
le osservazioni delle parti,
l’astensione del giudice C (articolo 29 del regolamento della Corte),
la sostituzione di quest’ultima con il giudice R S, eletto per l’Italia (articolo 26 § 4 della Convenzione),
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 18 maggio 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. La presente causa riguarda il divieto di candidarsi alle elezioni regionali imposto al ricorrente a seguito della sua condanna definitiva per il reato di abuso d’ufficio. Essa verte su doglianze che fanno riferimento agli articoli 7 della Convenzione e 3 del Protocollo n. 1.

IN FATTO

  1. Il ricorrente è nato nel 1965 e risiede a Rocchetta a Volturno. È stato rappresentato dagli avvocati Guzzetta, U. Corea e F.S. Marini, del foro di Roma.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora.

 

  1. La LEGGE ANTICORRUZIONE

 

  1. Il 28 novembre 2012 entrò in vigore la legge anticorruzione (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione – «la legge n. 190/2012»). L’articolo 1, comma 1, di questa legge prevede, in particolare, in applicazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata a New York il 31 ottobre 2003 (ratificata dall’Italia nell’ottobre 2009), e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 (ratificata dall’Italia nel giugno 2013), l’istituzione di un’Autorità nazionale anticorruzione e di un piano d’azione nazionale per «controllare, prevenire e contrastare la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione». Come precisato nella relazione di presentazione al Parlamento del progetto che divenne poi la legge n. 190/2012, l’introduzione di un piano nazionale di contrasto alla corruzione era divenuta un’esigenza tenuto conto, da una parte, delle conclusioni della valutazione effettuata nel 2008 e nel 2009 dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) e, dall’altra, della constatazione secondo la quale la maggior parte degli Stati europei aveva già un piano di questo tipo.
  2. Il comma 63 dell’articolo 1 della legge n. 190/2012 delegava al governo il potere di adottare, entro un anno, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità, tra altre, alle elezioni regionali, provinciali e circoscrizionali. Il comma 64 fissava il quadro rigoroso dei criteri da applicare.

 

  1. IL DECRETO LEGISLATIVO N. 235

    DEL

    31

    DICEMBRE

    2012

 

  1. Nei limiti del suo potere delegato, il 6 dicembre 2012, il governo adottò il decreto legislativo n. 235 («il decreto legislativo n. 235/2012»), entrato in vigore il 5 gennaio 2013.
  2. Ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c), non possono essere candidati alle elezioni regionali coloro che hanno riportato una condanna definitiva per diversi reati, tra cui l’abuso d’ufficio (articolo 323 del codice penale).
  3. Secondo l’articolo 9, in occasione della presentazione delle liste, i candidati devono rendere, in particolare, una dichiarazione attestante l’insussistenza delle cause di incandidabilità di cui all’articolo 7. Gli uffici preposti all’esame delle liste dei candidati cancellano dalle liste stesse i nomi di coloro che non hanno reso la dichiarazione o per i quali è stata accertata la sussistenza di una condizione di incandidabilità.

 

  1. I PROCEDIMENTI AVVIATI DAL RICORRENTE

 

  1. Il 27 gennaio 2013, l’Ufficio Centrale Regionale («l’UCR»), costituito presso la corte d’appello di Campobasso in vista delle elezioni regionali del 24 e 25 febbraio 2013, esaminò la lista di candidati nella quale era inserito il nome del ricorrente. L’UCR constatò che, a differenza di quelle degli altri candidati, la dichiarazione del ricorrente attestante l’assenza di cause di incandidabilità alle elezioni non era veritiera. Dal certificato del casellario giudiziale risultava che l’interessato aveva riportato tre condanne per abuso di ufficio: le prime due erano state pronunciate nell’ambito di due procedimenti semplificati (patteggiamento) ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale («CPP»), e la terza, divenuta definitiva il 19 dicembre 2011, era relativa a un procedimento con rito ordinario. Peraltro, il ricorrente aveva dapprima richiesto il beneficio della riabilitazione, e poi vi aveva rinunciato.
  2. L’UCR cancellò il nome del ricorrente dalla lista in quanto la condanna in questione era una delle condizioni di incandidabilità previste dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 235/2012.
  3. L’UCR si espresse come segue: «(...) questo ufficio ritiene che il decreto legislativo [di cui si tratta] sia di immediata applicabilità non soltanto con riferimento alle sentenze successive alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle precedenti, come dimostra pure il disposto del già richiamato art. 16, comma 1, il quale esclude la candidabilità per le sole sentenze ex art. 444 c.p.p. pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo».
  4. Il 28 gennaio 2013, contestando la retroattività dell'articolo 7, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 235/2012, il ricorrente adì l’UCR per denunciare il carattere penale di una norma retroattiva e la mancata previsione di un limite temporale all'incandidabilità, contrariamente a quanto previsto dallo stesso testo per le elezioni dei membri del parlamento nazionale e del parlamento europeo. Sottolineando di aver rinunciato a presentare domanda di riabilitazione «in quanto il decreto legislativo non era ancora in vigore», chiese di essere reinserito nella lista e, in subordine, di esservi inserito con riserva in attesa del decreto di riabilitazione che avrebbe nuovamente richiesto.
  5. Il 28 gennaio 2013 una diversa composizione dell’UCR respinse la domanda di riesame della sua decisione del 27 gennaio. L’UCR ritenne che il decreto legislativo n. 235/2012 non fosse di natura penale e che il legislatore rimanesse libero di dettare regole diverse per le elezioni dei membri del Parlamento e di prevedere, in particolare, un termine massimo di durata dell’incandidabilità per le cariche elettive.
  6. L’UCR rilevava anche che il certificato del casellario giudiziale del ricorrente menzionava otto condanne, tra cui quella per abuso d’ufficio che, giustamente, aveva comportato la cancellazione del suo nome dalla lista dei candidati.
  7. Il 29 gennaio 2013, ribadendo gli stessi argomenti e basandosi sull'articolo 7 della Convenzione, il ricorrente adì il tribunale amministrativo regionale della regione Molise («il TAR»).
  8. Con sentenza del 1° febbraio, il TAR respinse il ricorso in quanto, come correttamente affermato dall’UCR, il decreto legislativo in questione non era di natura penale, ma si trattava piuttosto di una «norma extra penale che fa discendere un effetto amministrativo dal presupposto di una condanna». Poiché l'interpretazione del decreto legislativo era conforme alle sue disposizioni, i diritti elettorali dell'interessato non erano stati in alcun modo violati.
  9. Il 2 febbraio 2013 il ricorrente si rivolse al Consiglio di Stato che, il 6 febbraio, confermò la sentenza impugnata. Secondo questo organo giurisdizionale, l'applicazione immediata dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 235/2012 non si poneva in contrasto con il dedotto principio, ricavabile dalla Carta Costituzionale e dalle disposizioni della CEDU, della irretroattività delle norme penali. Facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale relativa all’analoga fattispecie delle cause di incandidabilità previste, in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, dalla legge n. 16 del 18 gennaio 1992, il Consiglio di Stato precisò che la misura in questione non aveva natura di sanzione penale né di sanzione amministrativa. Lo scopo perseguito dalla disposizione del decreto legislativo «era quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità fosse conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia». La condanna penale definitiva costituiva, quindi, un requisito negativo» o una «qualificazione negativa» ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica. Secondo il Consiglio di Stato, l'applicazione del decreto legislativo controverso ai procedimenti elettorali successivi alla sua entrata in vigore costituiva «l'applicazione del principio generale tempus regit actum che impone, in assenza di deroghe, l'applicazione della legge sostanziale vigente al momento dell'esercizio del potere amministrativo».
  10. Quanto all'assenza di un limite temporale per l’incandidabilità, analogo a quello previsto per le elezioni al Parlamento, la giurisdizione lo considerò «ragionevole posto che la diversità delle elezioni e delle cariche elettive non consente di sindacare l’apprezzamento discrezionale operato dal legislatore nel quadro di una disciplina complessivamente eterogenea, anche sul piano sostanziale, delle fattispecie de quibus.»
  11. Nel 2017, dopo aver ottenuto la riabilitazione, il ricorrente ha potuto nuovamente candidarsi alle elezioni regionali.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

  1. LE DISPOSIZIONI DELLA COSTITUZIONE

 

  1. Le disposizioni pertinenti della Costituzione sono così formulate:

Articolo 2

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.»

Articolo 4

«(...)

  1. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.»

Articolo 25

«(...)

  1. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in
    vigore prima del fatto commesso.

(...)»

Articolo 51

«Tutti i cittadini (…) possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge (...)».

Articolo 54

«(...)

I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore (…)».

Articolo 97

«(...)

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

(...)»

Articolo 117

(articolo modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001)

«La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato;
rapporti dello Stato con l’Unione europea;
diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;

b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate;
sicurezza dello Stato;
armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari;
tutela della concorrenza;
sistema valutario;
sistema tributario e contabile dello Stato;
armonizzazione dei bilanci pubblici;
perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali;
referendum statali;
elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali;
ordinamento civile e penale;
giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo;
coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale;
opere dell’ingegno;

s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
  • commercio con l’estero;
    tutela e sicurezza del lavoro;
  • istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
    professioni;
  • ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  • tutela della salute;
    alimentazione;
    ordinamento sportivo;
    protezione civile;
    governo del territorio;
    porti e aeroporti civili;
    grandi reti di trasporto e di navigazione;
    ordinamento della comunicazione;
    produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
    previdenza complementare e integrativa;
    coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
    valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  • casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
    enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

(...).»

Articolo 122

«Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.»

 

  1. La legge N. 190 del 6 novembre 2012 (DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E DELL’ILLEGALITà NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE)

 

  1. L’articolo 1, comma 1, della legge n. 190/2012 prevede, in particolare, l’istituzione di una Autorità nazionale anticorruzione e un piano d’azione nazionale per «controllare, prevenire e contrastare la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione».
  2. Il comma 63 dello stesso articolo definisce i principi e i criteri fondamentali del decreto legislativo che il governo doveva adottare allo scopo di riunire in un testo unico le disposizioni relative all’incandidabilità, tra l’altro, alle elezioni regionali.

Secondo il comma 64,

«Il decreto legislativo di cui al comma 63 provvede al riordino e all’armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

(...)

  1. i) individuare (…) le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali (…) conseguenti a sentenze definitive di condanna;

(...).»

  1. Secondo la sua relazione illustrativa, l’obiettivo della legge era la prevenzione e la repressione del fenomeno della corruzione mediante un approccio multidisciplinare nell’ambito del quale le sanzioni costituiscono soltanto una parte degli elementi della lotta alla corruzione e all’illegalità nell’azione dell’amministrazione. Alla base della legge vi sono le esigenze di trasparenza e di controllo da parte dei cittadini, e di adeguamento del sistema giuridico italiano con le norme internazionali. La relazione precisava, inoltre, che la corruzione minava la credibilità del paese e scoraggiava gli investimenti, anche stranieri, rallentando così lo sviluppo economico.

 

  1. IL DECRETO LEGISLATIVO N. 235
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