CASE OF MINISCALCO v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
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Testo completo
© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
PRIMA SEZIONE
CAUSA MINISCALCO c. ITALIA
(Ricorso n. 55093/13)
SENTENZA
Art 3 P1 - Divieto di candidarsi alle elezioni regionali, determinato dalla condanna penale definitiva per abuso d’ufficio - Misura prevedibile e proporzionata allo scopo legittimo di contrasto alla corruzione e alla criminalità organizzata all’interno dell’amministrazione
Art 7 - Applicabilità - Misura non assimilata a una sanzione penale - Misura che non ha comportato la perdita del diritto di elettorato «attivo» - Procedimenti in contraddittorio associati all’adozione e all’esecuzione della misura
STRASBURGO
17 giugno 2021
DEFINITIVA
17/09/2021
Questa sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Miniscalco c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
- Ksenija Turković, presidente,
- Alena Poláčková,
- Péter Paczolay,
- Gilberto Felici,
- Erik Wennerström,
- Raffaele Sabato,
- Lorraine Schembri Orland, giudici,
- e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Visti:
il ricorso (n. 55093/13) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. M M («il ricorrente»), che, il 2 agosto 2013, ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
l’astensione del giudice G R, eletto per l’Italia, (articolo 28 del regolamento della Corte),
la nomina, da parte dell’ex presidente della camera, del giudice I C per partecipare alla seduta in qualità di giudice ad hoc (articolo 29 del regolamento),
la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),
le osservazioni delle parti,
l’astensione del giudice C (articolo 29 del regolamento della Corte),
la sostituzione di quest’ultima con il giudice R S, eletto per l’Italia (articolo 26 § 4 della Convenzione),
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 18 maggio 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
INTRODUZIONE
- La presente causa riguarda il divieto di candidarsi alle elezioni regionali imposto al ricorrente a seguito della sua condanna definitiva per il reato di abuso d’ufficio. Essa verte su doglianze che fanno riferimento agli articoli 7 della Convenzione e 3 del Protocollo n. 1.
IN FATTO
- Il ricorrente è nato nel 1965 e risiede a Rocchetta a Volturno. È stato rappresentato dagli avvocati Guzzetta, U. Corea e F.S. Marini, del foro di Roma.
- Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora.
- La LEGGE ANTICORRUZIONE
- Il 28 novembre 2012 entrò in vigore la legge anticorruzione (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione – «la legge n. 190/2012»). L’articolo 1, comma 1, di questa legge prevede, in particolare, in applicazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata a New York il 31 ottobre 2003 (ratificata dall’Italia nell’ottobre 2009), e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 (ratificata dall’Italia nel giugno 2013), l’istituzione di un’Autorità nazionale anticorruzione e di un piano d’azione nazionale per «controllare, prevenire e contrastare la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione». Come precisato nella relazione di presentazione al Parlamento del progetto che divenne poi la legge n. 190/2012, l’introduzione di un piano nazionale di contrasto alla corruzione era divenuta un’esigenza tenuto conto, da una parte, delle conclusioni della valutazione effettuata nel 2008 e nel 2009 dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) e, dall’altra, della constatazione secondo la quale la maggior parte degli Stati europei aveva già un piano di questo tipo.
- Il comma 63 dell’articolo 1 della legge n. 190/2012 delegava al governo il potere di adottare, entro un anno, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità, tra altre, alle elezioni regionali, provinciali e circoscrizionali. Il comma 64 fissava il quadro rigoroso dei criteri da applicare.
- IL DECRETO LEGISLATIVO N. 235 DEL 31 DICEMBRE 2012
- Nei limiti del suo potere delegato, il 6 dicembre 2012, il governo adottò il decreto legislativo n. 235 («il decreto legislativo n. 235/2012»), entrato in vigore il 5 gennaio 2013.
- Ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c), non possono essere candidati alle elezioni regionali coloro che hanno riportato una condanna definitiva per diversi reati, tra cui l’abuso d’ufficio (articolo 323 del codice penale).
- Secondo l’articolo 9, in occasione della presentazione delle liste, i candidati devono rendere, in particolare, una dichiarazione attestante l’insussistenza delle cause di incandidabilità di cui all’articolo 7. Gli uffici preposti all’esame delle liste dei candidati cancellano dalle liste stesse i nomi di coloro che non hanno reso la dichiarazione o per i quali è stata accertata la sussistenza di una condizione di incandidabilità.
- I PROCEDIMENTI AVVIATI DAL RICORRENTE
- Il 27 gennaio 2013, l’Ufficio Centrale Regionale («l’UCR»), costituito presso la corte d’appello di Campobasso in vista delle elezioni regionali del 24 e 25 febbraio 2013, esaminò la lista di candidati nella quale era inserito il nome del ricorrente. L’UCR constatò che, a differenza di quelle degli altri candidati, la dichiarazione del ricorrente attestante l’assenza di cause di incandidabilità alle elezioni non era veritiera. Dal certificato del casellario giudiziale risultava che l’interessato aveva riportato tre condanne per abuso di ufficio: le prime due erano state pronunciate