CASE OF BEG S.P.A. v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice

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Sul provvedimento

Citazione :
CASE OF BEG S.P.A. v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
Giurisdizione : Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
Numero : 001-212911
Data del deposito : 20 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

 

CAUSA BEG S.P.A. C. ITALIA

(Ricorso n. 5312/11)

SENTENZA

Articolo 6 § 1 (civile) - Tribunale imparziale - Difetto di oggettiva imparzialità di un arbitro, dirigente e difensore dell’entità capogruppo della società avversaria della ricorrente nel procedimento civile connesso - Assenza di rinuncia inequivocabile della ricorrente al diritto alla determinazione della controversia da parte di un organo imparziale in un procedimento di arbitrato volontario 

STRASBURGO

20 maggio 2021

DEFINITIVA
20/08/2021

 

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Beg S.p.a. c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

  • Ksenija Turković, Presidente,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Alena Poláčková,
  • Péter Paczolay,
  • Gilberto Felici,
  • Erik Wennerström,
  • Raffaele Sabato, giudici,
  • e Renata Degener, Cancelliere di Sezione,

visti:

il ricorso (n. 5312/11) presentato contro la Repubblica italiana con il quale una società costituita in Italia, la Beg S.p.a. (“la ricorrente”), ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) in data 21 gennaio 2011;

la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”) la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 della Convenzione;

le osservazioni formulate dalle parti;

la domanda della ricorrente tesa a ottenere lo svolgimento di un’udienza sulla ricevibilità e sul merito della causa e la decisione della Camera del 13 aprile 2021, che ha ritenuto che un’udienza orale non fosse necessaria;

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 13 aprile 2021,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. La causa concerne, ai sensi 6 § 1 della Convenzione, l’asserita iniquità del procedimento di arbitrato volontario, in particolare l’asserito difetto di imparzialità di uno degli arbitri che avevano pronunciato un lodo arbitrale tra la società ricorrente e l’ENELPOWER S.p.a., una società italiana.

IN FATTO

  1. La ricorrente è una società italiana, rappresentata dagli avvocati A. Saccucci, A.G. Lana e M. Desario, del Foro di Roma.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex co-agente, la Sig.ra M.G. C.
  3. I fatti oggetto della causa, come presentati dalle parti, possono essere riassunti come segue.
  1. IL CONTESTO FATTUALE
  1. La ricorrente è una società italiana che opera nel settore della costruzione e della gestione di centrali idroelettriche e dell’installazione di impianti di energia rinnovabile.
  2. In data 12 febbraio 1996 la ricorrente inviò una missiva all’ENEL, con la quale le comunicava che stava per iniziare la costruzione di una centrale idroelettrica in Albania. La ricorrente desiderava valutare l’interesse dell’ENEL a raccogliere l’energia elettrica che sarebbe stata prodotta nella centrale. L’ENEL, acronimo che sta per Ente nazionale per l’energia elettrica, era stato istituito come ente pubblico nel 1962 mediante la nazionalizzazione di diverse società private operanti nel campo dell’energia elettrica. Nel 1999, con la costituzione di diverse società controllate e la vendita del 32% del suo capitale sul mercato azionario, iniziò un processo di privatizzazione dell’ente. Nel 1996 esso aveva ancora un monopolio nel settore dell’energia italiano. All’epoca N.I. era Vice-Presidente dell’ENEL e componente del Consiglio di amministrazione.
  3. L’ENEL inviò una prima risposta positiva il 29 febbraio 1996, mediante una nota firmata da due dirigenti della società, C.P. e G.P., che dichiarava che sarebbe stata in linea di principio disponibile a esaminare la proposta di fornitura di energia, a condizione che fossero ultimate le attività necessarie ad assicurare la realizzabilità tecnica del progetto.
  4. Nel giugno del 1996 la ricorrente ricevette una concessione dal Governo albanese per costruire la centrale idroelettrica. La ricorrente firmò la concessione nel maggio del 1997. Nel marzo del 1999 fu successivamente firmato un accordo preliminare tra l’ENEL e la ricorrente, contenente un impegno delle parti a realizzare il progetto.
  5. Nel 1999, dopo essere precedentemente stata una divisione interna nell’ambito dell’ENEL, l’ENELPOWER S.p.a. (“ENELPOWER”) fu costituita come società distinta, benché interamente controllata dall’ENEL e collegata alla Divisione Ingegneria e Costruzione di quest’ultima.
  6. In data 2 febbraio 2000, dopo quasi quattro anni di trattative con l’ENEL, la ricorrente firmò un accordo di collaborazione con l’ENELPOWER, entità costituita in epoca recente. L’accordo prevedeva la costruzione della summenzionata centrale idroelettrica in Albania. Una delle principali disposizioni dell’accordo prevedeva l’obbligo della ricorrente di vendere, all’ENEL (l’entità capogruppo), l’energia elettrica che sarebbe stata prodotta nella centrale idroelettrica, al fine della distribuzione ai clienti dell’ENEL in Italia.
  7. Ai sensi dell’articolo 11 dell’accordo di collaborazione le parti si impegnavano a deferire ogni futura controversia alla Camera arbitrale della Camera di commercio di Rome (la “CAR”).
  8. In data 16 marzo 2000, entrambe le parti convennero di affidare all’A.A., revisore dei conti dell’ENELPOWER, l’incarico di determinare il valore della concessione della ricorrente. Il fine di tale valutazione era stabilire l’importo del capitale che avrebbe dovuto essere conferito a una società albanese costituita in epoca recente, al fine della realizzazione del progetto. L’A.A. presentò la sua valutazione in data 19 aprile 2000. L’ENELPOWER non concordò con i metodi e l’esito della valutazione, ed espresse anche dubbi in ordine alla realizzabilità del progetto, e decise di non adempiere l’accordo di collaborazione.
  1. IL PROCEDIMENTO DI ARBITRATO
  1. In data 23 novembre 2000 la ricorrente depositò presso la CAR una domanda di arbitrato nei confronti della ENELPOWER. In particolare, la ricorrente chiese alla CAR di accertare la violazione dell’accordo di collaborazione da parte dell’ENELPOWER e la risoluzione di quest’ultimo, unitamente alla condanna al risarcimento dei danni stimati in 237.500.000.000 lire italiane (ITL) (circa 130.000.000 euro (EUR)). Contestualmente, la ricorrente nominò quale suo arbitro G.G.
  2. L’ENELPOWER presentò la sua comparsa di risposta in data 28 dicembre 2000 e nominò quale suo arbitro N.I.
  3. In data 12 febbraio 2011 la CAR inviò una comunicazione agli arbitri menzionati per informarli della loro nomina e invitarli a comunicare per iscritto qualsiasi potenziale conflitto di interesse. La dichiarazione di accettazione fornita da N.I. non menzionava esplicitamente l’assenza di conflitti di interesse.
  4. In data 6 marzo 2001 fu completato il collegio arbitrale con la nomina, da parte delle parti, di un terzo arbitro con funzioni di Presidente, ovvero P.D.L. A seguito della rinuncia all’incarico da parte di quest’ultimo, in data 7 novembre 2001 la CAR designò quale Presidente A.V.
  5. All’epoca dei fatti, N.I. rappresentava l’ENEL in qualità di difensore in una controversia civile parallela conclusasi con la sentenza n. 15029 del 27 novembre 2001 (R.G. 4386/1999) della Corte di cassazione. La controversia, tra l’ENEL e, inter alia, l’Istituto italiano per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), concerneva il pagamento di domande di indennizzo assicurativo derivanti da incidenti connessi al lavoro.
  6. In data 17 giugno 2002 la CAR informò i difensori delle parti che il termine per il deposito del lodo sarebbe spirato il 15 dicembre 2002.
  7. Le versioni dei fatti fornite dalle parti in ordine agli eventi del 25 novembre 2002 differiscono radicalmente:
  • Il Governo ha affermato che, in data 25 novembre 2002, la CAR aveva rigettato, nel corso di una conferenza cui gli arbitri avevano partecipato personalmente (“conferenza personale”), tutte le domande della ricorrente. Ai sensi dell’articolo 823 del Codice di procedura civile italiano (c.p.c.), il lodo era stato deliberato a maggioranza ed era stato depositato, con le firme di A.V. e N.I., alle ore 16:34 del 6 dicembre 2002. Secondo il Governo durante la conferenza personale gli arbitri avevano chiesto al Presidente di redigere il lodo e G.G. aveva espresso l’intenzione di non sottoscrivere il lodo.
  • Secondo la ricorrente non era vero che durante tale riunione gli arbitri avessero raggiunto un accordo sulla decisione. La ricorrente ha sostenuto che G.G. non aveva mai manifestato espressamente l’intenzione di non sottoscrivere il lodo o di consentire che quest’ultimo fosse depositato senza la sua opinione dissenziente. Inoltre, G.G. non aveva compreso che la riunione fosse stata indetta per adottare la decisione definitiva.
     
  1. Nel frattempo, in data 6 dicembre 2002, la ricorrente, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, trasmessa anticipatamente via fax alla CAR e ai tre arbitri alle ore 16:50, aveva presentato un’istanza di ricusazione di N.I. In particolare, la ricorrente aveva sostenuto che il giorno prima, ovvero il 5 dicembre, era venuta a conoscenza del fatto che l’arbitro designato dall’ENELPOWER, N.I., era stato componente del Consiglio di amministrazione, Vice-Presidente e quindi legale rappresentante dell’ENEL, entità capogruppo dell’ENELPOWER, tra il 1995 e il 1996. Inoltre, la ricorrente aveva appreso anche che N.I. era stato, e continuava a essere, difensore dell’ENEL. La ricorrente ha sostenuto che in data 5 dicembre 2002 il suo legale rappresentante F.B., parlando con terzi di una conferenza tenuta dall’ENEL presso la Borsa di Milano in data 8 novembre 2002, aveva appreso per caso tali informazioni.
  2. Il medesimo giorno la Camera arbitrale aveva trasmesso a N.I. e G.G. una comunicazione, con allegato l’intero testo del lodo. La comunicazione recitava:

“Vi trasmetto, da parte del Presidente del Collegio, la redazione per iscritto del lodo arbitrale del procedimento in oggetto e Vi comunico che le tre versioni originali sono a Vostra disposizione presso questa Segreteria Tecnica, per essere sottoscritte. Nell’opportunità che tale sottoscrizione avvenga nel più breve tempo possibile – si rammenta che la scadenza per il formale deposito del lodo è stata fissata nel prossimo 15 dicembre -, si prega di segnalare eventuali difficoltà così da concordare ogni soluzione possibile al fine di garantire una rapida e corretta conclusione del procedimento.”

  1. In data 12 dicembre 2002, G.G., asseritamente ignaro del fatto che il lodo fosse stato nel frattempo depositato (si veda il paragrafo 19 supra), aveva trasmesso il proprio motivato dissenso alla CAR, e aveva contestato in esso lo svolgimento delle fasi finali del procedimento arbitrale. Aveva rinviato al fatto che era stato violato il principio della collegialità;
    aveva inoltre lamentato il fatto che non fosse stato svolto alcun dibattito collegiale, e la presenza di una segretaria durante la riunione del 25 novembre 2002. Quest’ultima circostanza lo aveva condotto a ritenere che la riunione non fosse stata indetta per adottare la decisione, ma che fosse un’informale adunanza del collegio. Secondo la ricorrente, il fatto che il verbale della riunione indicasse che gli arbitri avevano affidato al Presidente il compito di redigere il lodo non dimostrava nulla, in quanto esso era stato redatto qualche tempo dopo la riunione.
  2. In data 13 dicembre 2002 la CAR rigettò l’istanza di ricusazione di N.I., in quanto i rilievi presentati dalla ricorrente erano stati depositati tardivamente e il lodo era già diventato vincolante tra le parti, ai sensi dell’articolo 823 c.p.c.
  3. Nel frattempo, in data 10 dicembre 2002, la ricorrente aveva depositato presso la cancelleria del Tribunale di Roma un’istanza di ricusazione dell’arbitro N.I., ai sensi degli articoli 815 e 51 c.p.c.
  4. In data 20 febbraio 2003 il Presidente del Tribunale di Roma rigettò l’istanza di ricusazione presentata dalla ricorrente, dichiarandola inammissibile in quanto depositata tardivamente. In particolare, secondo il Tribunale, il procedimento arbitrale si era concluso il 25 novembre 2002 (data della conferenza tra gli arbitri) o, al più tardi, al momento della sottoscrizione del lodo da parte dei due arbitri, il 6 dicembre 2002. Secondo il Tribunale se i motivi di ricusazione erano appresi successivamente alla conclusione del procedimento arbitrale essi potevano essere dedotti soltanto nell’ambito di un ricorso di ricusazione straordinario.
  5. N.I. dichiarò spontaneamente dinanzi al Tribunale di Roma di aver precedentemente rappresentato l’ENEL in due procedimenti, per i quali era stato nominato difensore prima dell’inizio del procedimento arbitrale.
  6. Per i medesimi motivi indicati nel paragrafo 25 supra, in data 29 aprile 2003 il Presidente del Tribunale di Roma rigettò in quanto inammissibile un’ulteriore istanza di ricusazione di N.I., che era stata presentata dalla ricorrente in data 27 gennaio 2003. Quale ulteriore motivo di rigetto il Tribunale rinviò al fatto che, nell’ambiente in cui operavano le parti della controversia, era alquanto improbabile che esse non fossero a conoscenza, ben prima del 5 dicembre 2002, delle attività professionali di N.I.
  7. Il lodo fu dichiarato esecutivo (ai sensi dell’articolo 825 c.p.c.) in data 19 dicembre 2003, mediante decisione del Tribunale di Roma.
  1. I PROCEDIMENTI CIVILI NEI CONFRONTI DELLA CAR
  1. In data imprecisata, la ricorrente instaurò un procedimento nei confronti della CAR per negligenza, chiedendo un risarcimento pari a EUR 374.482,91. La ricorrente lamentò, inter alia, il fatto che la CAR non avesse richiesto e ottenuto l’esplicita dichiarazione relativa a un eventuale conflitto di interesse da parte degli arbitri, in violazione dell’articolo 6 del suo Regolamento, e che essa aveva indicato erroneamente il 6 dicembre 2002 quale data di deposito del lodo.
  2. In data 14 marzo 2005 il Tribunale di Roma rigettò le domande della ricorrente. In particolare, sostenne che il collegio arbitrale aveva tenuto una conferenza personale in data 25 novembre 2002 e che, in tale occasione, l’arbitro dissenziente non aveva firmato il lodo. Tutti i requisiti dell’articolo 823 c.p.c. erano stati debitamente osservati. La CAR aveva pertanto indicato correttamente il 6 dicembre 2002 quale data del deposito e non poteva esserle imputata alcuna negligenza. Allo stesso tempo, la CAR non poteva essere ritenuta responsabile del fatto che N.I. non avesse indicato nella sua dichiarazione l’assenza di qualsiasi conflitto di interesse, in quanto la CAR non aveva l’obbligo di esigere tale esplicita dichiarazione negativa.
  1. L’IMPUGNAZIONE PER NULLITÁ
  1. In data 2 dicembre 2003, ai sensi dell’articolo 828 c.p.c., la ricorrente impugnò il lodo arbitrale dinanzi alla Corte di appello di Roma. Nella sua impugnazione la ricorrente chiese ai giudici di accertare l’inesistenza o la nullità del lodo arbitrale emesso il 25 novembre 2002, e, di conseguenza, di rimettere la causa al Collegio per l’ulteriore corso del giudizio. La ricorrente sostenne che, inter alia, poiché egli non aveva rivelato la sua incompatibilità nella dichiarazione di indipendenza prevista dal Regolamento della CAR, la nomina di N.I. quale arbitro difettava di legittimità. Lamentò anche il suo difetto di imparzialità a causa dei suoi legami con il gruppo ENEL.
  2. In data 7 aprile 2009 la Corte di appello di Roma rigettò l’impugnazione proposta dalla ricorrente. Sostenne che il lodo era stato adottato nel corso della conferenza personale (si veda il paragrafo 19 supra) in data 25 novembre 2002;
    che l’articolo 823 c.p.c. era stato osservato, nel senso che la maggioranza degli arbitri aveva firmato il lodo;
    che l’assenza della dichiarazione di indipendenza era del tutto irrilevante e che il presunto difetto di imparzialità non avrebbe potuto comunque incidere sulla validità del lodo, in quanto una questione relativa all’imparzialità di un arbitro avrebbe potuto essere sollevata soltanto in un’istanza di ricusazione e, in ogni caso, non avrebbe mai potuto comportare la nullità del lodo.
  3. La ricorrente propose ricorso avverso tale sentenza alla Corte di cassazione. Quest’ultima, in data 15 novembre 2010, rigettò il ricorso della ricorrente in via definitiva. La Corte di cassazione, tuttavia, modificò radicalmente la motivazione della sentenza impugnata. Essa ritenne infatti ammissibile la censura della ricorrente relativa alla nullità del lodo derivante dal difetto di imparzialità di N.I., in quanto era stata depositata, benché successivamente alla deliberazione del lodo, prima che esso fosse sottoscritto, quindi nel corso del procedimento arbitrale (come richiesto dall’articolo 829, comma 1, n. 2, c.p.c.). Allo stesso tempo, tuttavia, la Corte di cassazione dichiarò che non era stara dimostrata l’esistenza di un legame tra l’arbitro e l’ENELPOWER, che comportasse una “coincidenza di interessi” a una determinata soluzione di quella causa (articolo 51, comma , n. 1, c.p.c.).
  1. IL PROCEDIMENTO PENALE NEI CONFRONTI DI A.V., G.G. E N.I.
  1. A seguito degli eventi del 6 dicembre 2002, il legale rappresentante della ricorrente depositò presso la CAR un reclamo contro il suo arbitro, G.G., che l’aveva ricattata in data 10 dicembre 2002, ingiungendole di rinunciare all’istanza di ricusazione di N.I. altrimenti G. non si sarebbe opposto all’approvazione definitiva del lodo, anche se a suo avviso esso era viziato da gravi irregolarità. La Procura di Roma, essendo stata informata dalla CAR di tale reclamo, avviò un’indagine penale per estorsione.
  2. A seguito dell’indagine penale e dell’acquisizione di ulteriori prove, il Pubblico ministero formulò imputazioni nei confronti di N.I. e di A.V. L’imputazione nei confronti di N.I. concerneva diversi reati, che andavano dalla falsità ideologica (articolo 479 del Codice penale) per avere, inter alia, omesso di dichiarare il suo rapporto professionale con una delle parti, all’abuso d’ufficio (articolo 323 del Codice penale) per avere dolosamente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale all’ENELPOWER.
  3. Il procedimento fu archiviato in data 13 settembre 2004 (riguardo all’imputazione per falsità ideologica) e in data 30 settembre 2005 (riguardo alle imputazioni per abuso d’ufficio). In particolare, riguardo al reato di abuso d’ufficio per avere dolosamente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale a una delle parti del procedimento arbitrale, il giudice per le indagini preliminari rinviò al consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale l’arbitrato era di natura privata e gli arbitri non potevano essere considerati dei pubblici ufficiali, non essendo pertanto responsabili a norma della pertinente disposizione penale.
  4. In data 30 settembre 2005 fu archiviato anche il procedimento penale nei confronti di G.G. per false dichiarazioni al pubblico ministero.

IL QUADRO GIURIDICO PERTINENTE

  1. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
  1. La Corte di cassazione ha ripetutamente dichiarato (si vedano, tra le altre, le sentenze nn. 3804 del 25 febbraio 2015, 8532 del 28 maggio 2003, e 10922 del 25 luglio 2002) che si deve ritenere che la procedura di arbitrato sia in corso quando la parte ricorrente ha notificato all’altra la sua intenzione di fare decidere la controversia dagli arbitri (domanda di accesso agli arbitri), in quanto la notifica comprende la natura e la base giuridica del procedimento.

 

  1. Il Codice di procedura civile italiano (nella versione vigente al momento pertinente)
  1. Le disposizioni del Codice di procedura civile (c.p.c.) applicabili, nella versione vigente al momento pertinente, recitano come segue:

Articolo 51 – Astensione del giudice

“Il giudice ha l’obbligo di astenersi:

  1. se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
  2. se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado [o legato da vincoli di affiliazione], o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  3. se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
  4. se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
  5. se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti;
    se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche no riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi;
quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore (...)”

Articolo 815 – Ricusazione degli arbitri

“La parte può ricusare l’arbitro, che essa non ha nominato, per i motivi indicati nell’articolo 51.

La ricusazione è proposta mediante ricorso al presidente del tribunale (...) entro il termine perentorio di dieci giorni (...) dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il Presidente pronuncia con ordinanza non impugnabile, sentito l’arbitro ricusato e assunte, quando occorre, sommarie informazioni.”

Articolo 820 – Termini per la decisione

“Se le parti non hanno disposto altrimenti, gli arbitri debbono pronunciare il lodo nel termine di centottanta giorni dall’accettazione della nomina. Se gli arbitri sono più e l’accettazione non è avvenuta contemporaneamente da parte di tutti, il termine decorre dall’ultima accettazione. Il termine è sospeso quando è proposta istanza di ricusazione e fino alla pronuncia su di essa, ed è interrotto quando occorre procedere alla sostituzione degli arbitri.

(...)”

Articolo 823 – Deliberazione e requisiti del lodo

“Il lodo è deliberato a maggioranza di voti dagli arbitri riuniti in conferenza personale ed è quindi redatto per iscritto.

Esso deve contenere:

  1. l’indicazione delle parti;
  2. l’indicazione dell’atto di compromesso o della clausola compromissoria e dei quesiti relativi;
  3. l’esposizione sommaria dei motivi;
  4. il dispositivo;
  5. l’indicazione della sede dell’arbitrato e del luogo e del modo in cui è stato deliberato;
  6. la sottoscrizione di tutti gli arbitri, con l’indicazione del giorno, mese ed anno in cui è apposta;
    la sottoscrizione può avvenire anche in luogo diverso da quello della deliberazione ed anche all’estero;
    se gli arbitri sono più di uno, le varie sottoscrizioni, senza necessità di ulteriore conferenza personale, possono avvenire anche in luoghi diversi.

Tuttavia, è valido il lodo sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri, purché si dia atto che esso è stato deliberato in conferenza personale di tutti, con l’espressa dichiarazione che gli altri non hanno voluto o non hanno potuto sottoscriverlo.

Il lodo ha efficacia vincolante tra le parti dalla dara della sua ultima sottoscrizione.”

Articolo 825 – Deposito del lodo

“Gli arbitri redigono il lodo in tanti originali quante sono le parti e ne danno comunicazione a ciascuna parte mediante consegna di un originale, anche con spedizione in plico raccomandato, entro dieci giorni dalla data dell’ultima sottoscrizione.

La parte che intende far eseguire il lodo nel territorio della Repubblica è tenuta a depositarlo in originale o in copia conforme, insieme con l’atto di compromesso o con l’atto contenente la clausola compromissoria o con documento equipollente, in originale o in copia conforme, nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato.

Il tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione la sentenza avente il medesimo contenuto.

(...)”

Articolo 827 – Mezzi di impugnazione

“Il lodo è soggetto soltanto all’impugnazione per nullità, per revocazione o per opposizione di terzo.

I mezzi di impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo.

(...)”

Articolo 828 – Casi di nullità

“L’impugnazione per nullità si propone, nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato.

L’impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione.

(...)”

Articolo 829 – Casi di nullità

“L’impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque rinuncia, nei seguenti casi:

(...)

 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi I e II del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale;

(...)”

Articolo 830 – Decisione sull’impugnazione per nullità 

“La corte d’appello quando accoglie l’impugnazione, dichiara con sentenza la nullità del lodo, qualora il vizio incida soltanto su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo.

Salvo volontà contraria di tutte le parti, la corte d’appello pronuncia anche sul merito, se la causa è in condizione di essere decisa, ovvero rimette con ordinanza la causa all’istruttore, se per la decisione del merito è necessaria una nuova istruzione.

In pendenza del giudizio, su istanza di parte, la corte d’appello può sospendere con ordinanza l’esecutorietà del lodo.”

  1. Il Decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40
  1. Il Decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40, entrato in vigore successivamente alla conclusione del procedimento arbitrale relativo al caso di specie, ha rafforzato radicalmente le norme concernenti la ricusazione degli arbitri, modificando l’articolo 815 c.p.c. Il nuovo testo modificato dell’articolo 815 recita:

“Un arbitro può essere ricusato:

  1. se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
  2. se egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;
  3. se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;
  4. se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;
  5. se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza;
    inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti;
  6. se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone.

Una parte non può ricusare l'arbitro che essa ha nominato o contribuito a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina.

(...)”

  1. Il Regolamento della CAR
  1. L’articolo 6 del Regolamento della CAR, nella versione vigente al momento pertinente, recita come segue:

Articolo 6 – Accettazione e dichiarazione d’indipendenza dell’arbitro

“Tutti gli arbitri devono essere imparziali ed indipendenti rispetto alle parti.

L’arbitro, ricevuta dalla Camera arbitrale la comunicazione della propria nomina, deve trasmettere alla stessa la propria accettazione entro dieci giorni.

In una con l’accettazione, l’arbitro deve segnalare attraverso dichiarazione scritta:

  • qualunque relazione con le parti o i loro difensori che possa incidere sulla sua indipendenza ed imparzialità;
  • qualunque interesse personale o economico, diretto o indiretto, relativo all’oggetto della controversia;

(...)”

  1. Il Codice deontologico forense italiano
  1. L’articolo 55 del Codice deontologico forense italiano, nella versione vigente al momento pertinente, stabiliva che gli avvocati non potevano assumere le funzioni di arbitro se avevano in corso rapporti professionali con una delle parti e che, in ogni caso, avevano l’obbligo di comunicare ogni circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori e/o le parti che potevano incidere sulla loro indipendenza.
  1. IL MATERIALE INTERNAZIONALE PERTINENTE
  1. Le norme sulla rivelazione del conflitto di interessi e sull’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri sono esposte in diversi regolamenti o linee-guida internazionali, che si applicano tuttavia principalmente all’arbitrato commerciale internazionale o all’arbitrato in materia di investimenti (si vedano, tra gli altri, le Linee-guida dell’associazione internazionale degli avvocati in materia di conflitti di interesse nell’arbitrato internazionale (“le Linee-guida dell’IBA”), il Regolamento della Camera di commercio internazionale (“ICC”), il Regolamento di arbitrato della Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (“UNCITRAL”), il Regolamento della Camera di commercio di Stoccolma (“SCC”), e il Regolamento di arbitrato del Centro internazionale per la risoluzione delle controversie in materia di investimento (“ICSID”)).
  2. In particolare, le Linee-guida dell’IBA del 2004, riviste nel 2014, rispecchiano il giudizio della Commissione arbitrale dell’IBA sulla migliore prassi internazionale esistente. Tentano di assistere le parti, i professionisti, gli arbitri, le istituzioni e i tribunali nel trattare le importanti questioni dell’imparzialità e dell’indipendenza.
  3. Il Principio generale 1 recita:

“Ogni arbitro sarà imparziale e indipendente dalle parti al momento dell’accettazione della nomina a svolgere le funzioni e lo rimarrà fino alla pronuncia del lodo definitivo o della definitiva risoluzione del procedimento in altro modo.”

  1. Le Linee-guida categorizzano, in tre liste codificate cromaticamente, le situazioni che possono verificarsi durante un procedimento arbitrale in cui sorge l’obbligo di fornire informazioni. In particolare, la Lista rossa enumera specifiche situazioni che, a seconda dei fatti di un determinato caso, possono dare luogo a dubbi giustificabili sull’imparzialità e l’indipendenza dell’arbitro. È divisa in due sottocategorie, “una Lista rossa facoltativa” (situazioni che possono dare luogo a un conflitto di interesse che impedisce a una persona di accettare o di continuare a svolgere le funzioni di arbitro, salvo nel caso in cui le parti concordino diversamente o siano pienamente a conoscenza del conflitto di interesse) e “una lista rossa obbligatoria” (situazioni di gravità tale che qualsiasi rinuncia di una parte o accordo delle parti saranno considerati nulli).
  2. La Lista rossa facoltativa comprende la seguente situazione:

“2.3.1 L’arbitro rappresenta o fornisce attualmente consulenza a una delle parti, o a un affiliato di una delle parti.”

  1. La Lista rossa obbligatoria comprende la seguente situazione:

“1.4 L’arbitro o la sua impresa fornisce regolarmente consulenza alla parte, o a un affiliato della parte, e l’arbitro o la sua ditta trae da tale attività un notevole guadagno.”

IN DIRITTO

  1. QUESTIONI PRELIMINARI
  1. Il diritto del co-agente di rappresentare il Governo e firmare le osservazioni scritte di quest’ultimo
  1. In una nota inviata alla Corte in data 18 marzo 2019 la ricorrente, nel chiedere una proroga del termine per presentare le osservazioni di replica, ha eccepito che le osservazioni scritte del Governo erano state firmate soltanto dalla Sig.ra M. G. C, nella sua qualità di co-agente del Governo.
  2. La ricorrente ha rilevato che le suddette osservazioni erano state depositate in data 26 febbraio 2019, vale a dire successivamente all’entrata in vigore del Decreto legge 4 ottobre 2018 n. 113 (“Decreto legge n. 113/2018”), il quale, nell’articolo 15 comma 1, aggiunto dalla Legge 1° dicembre 2018 n. 132 (“Legge n. 132/2018”), prevedeva che “le funzioni di agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo sono svolte dall'Avvocato generale dello Stato, che può delegare un avvocato dello Stato”. La ricorrente ha espresso pertanto i suoi dubbi circa il fatto che la Sig.ra C fosse stata debitamente autorizzata a rappresentare il Governo italiano nel procedimento dinanzi alla Corte.
  3. La ricorrente ha ribadito i suoi dubbi in una nota del 23 agosto 2019.
  4. La Corte rileva che l’articolo 35 del Regolamento della Corte recita:

“Le Parti contraenti sono rappresentate da agenti, che possono farsi assistere da avvocati o consulenti.”

  1. La Corte rileva inoltre che il Rappresentante permanente presso il Consiglio d’Europa ha l’obbligo di informare la Corte della nomina di un agente o di un co-agente del Governo o della cessazione della sua nomina.
  2. A tale riguardo la Corte osserva che non è contestato che il Decreto legge n. 113/2018, come modificato dalla Legge n. 132/2018, prevedesse che le funzioni di agente del Governo dovessero essere svolte dall’Avvocato generale dello Stato. La Corte rileva che, in data 5 dicembre 2018, il Rappresentante permanente dell’Italia presso il Consiglio d’Europa ha informato la Corte che era stato nominato quale nuovo agente del Governo il Sig. M. M D T, Avvocato generale dello Stato. In data 24 dicembre 2018, il Rappresentante permanente ha comunicato alla Corte che, in data 21 dicembre 2018, il Sig. M D T aveva delegato le funzioni di agente al Sig. L. D’Ascia, avvocato dello Stato.
  3. Poiché le summenzionate notifiche concernevano esclusivamente le funzioni dell’agente principale del Governo e non le funzioni del suo co-agente, che sono state esercitate dalla Sig.ra C precedentemente e successivamente alle summenzionate nomine, in assenza di una formale comunicazione del Rappresentante permanente presso il Consiglio d’Europa circa la cessazione dell’incarico della stessa, la Corte non ha individuato alcun incidente procedurale che avrebbe sollevato dubbi sullo status di rappresentante del Governo della Sig.ra C. La Corte non vede pertanto alcun motivo per concludere che le osservazioni del Governo non fossero state presentate in modo valido. Qualsiasi altra considerazione concernerebbe e opererebbe soltanto nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale.
  1. L’articolo 47 del Regolamento della Corte
  1. Il Governo ha eccepito che la ricorrente non aveva dimostrato che F.B., che era asseritamente il suo rappresentante legale, fosse stato autorizzato a depositare il ricorso alla Corte nel suo interesse. Ha invocato a tale riguardo l’articolo 47 § 3.1, lettera d) del Regolamento della Corte e ha sostenuto che la ricorrente non aveva fornito alla Corte il rapporto di registrazione della società (visura), che era asseritamente l’unico documento che avrebbe potuto provare il ruolo di F.B. quale suo rappresentante legale.
  2. La ricorrente ha invocato l’articolo 2384 del Codice civile italiano e l’articolo 75 c.p.c. italiano, in base ai quali il Presidente del Consiglio di amministrazione ha il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.
  3. La Corte osserva che soltanto a decorrere dal 1° gennaio 2014 l’articolo 47 modificato ha applicato condizioni più rigide per la presentazione di un ricorso alla Corte (si veda, mutatis mutandis, Oliari e altri c. Italia, nn. 18766/11 e 36030/11, § 68, 21 luglio 2015).
  4. La Corte rileva inoltre che all’epoca del deposito del presente ricorso, la ricorrente aveva fornito alla Corte un documento che attestava che F.B. era il Presidente del Consiglio di amministrazione e il rappresentante legale della ricorrente. Egli aveva inoltre firmato il modulo di autorizzazione ai sensi dell’articolo 36 del Regolamento della Corte nella sua qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione. Tale modulo è datato 14 gennaio 2011.
  5. La Corte rileva che la ricorrente ha presentato il ricorso nel 2011, e non vi è alcun motivo per ritenere che esso non soddisfacesse i requisiti dell’articolo 47 del Regolamento applicabile all’epoca. Il Governo ha inoltre lamentato unicamente che la ricorrente non aveva fornito alla Corte il rapporto di registrazione della società, senza contestare l’effettivo ruolo di F.B. Vista la sua prassi ai sensi dell’articolo 47 del Regolamento e della legislazione interna applicabile all’epoca, la Corte è pertanto convinta che i documenti presentati dalla ricorrente all’atto del deposito del ricorso dimostrino che B. fosse autorizzato a rappresentare la ricorrente dinanzi alla Corte. 
  6. L’eccezione del Governo deve pertanto essere respinta.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’
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