CALISTI BRUNI ET D'ANGELANTONIO c. ITALIE - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
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© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra R C, assistente linguistico, e dalla dott.ssa M S, funzionario linguistico.
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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
PRIMA SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n 37197/18
Luigi CALISTI BRUNI e Santina D’ANGELANTONIO
contro l’Italia
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 16 marzo 2021 in un comitato composto da:
Alena Poláčková, presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 27 luglio 2018,
Vista la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo») il 19 dicembre 2018,
Viste le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:
IN FATTO
1. I ricorrenti, il sig. Luigi Calisti Bruni («il primo ricorrente») e la sig.ra Santina D’Angelantonio («la seconda ricorrente»), sono due cittadini italiani nati rispettivamente nel 1970 e nel 1931 e residenti a Teramo. Sono stati rappresentati dinanzi alla Corte dall’avvocato A. Galizia, del foro di Teramo.
2. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e successivamente dal suo ex co-agente, M.G. Civinini.
A. Le circostanze del caso di specie
3. I fatti della causa, esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
4. I ricorrenti sono rispettivamente lo zio paterno e la nonna paterna della minore F., nata il 12 febbraio 2010.
5. Al momento della separazione dei genitori della minore, era stato concordato che quest’ultima potesse incontrare i nonni materni e paterni.
6. Il 22 settembre 2012 il padre di F. decedette in un incidente automobilistico.
7. Il 23 novembre 2012 i ricorrenti, in base agli articoli 333 e 336 del codice civile, presentarono un ricorso al tribunale per i minorenni de L’Aquila («il tribunale») per chiedere l’adozione di misure volte a tutelare il diritto della minore a conservare un rapporto affettivo con loro in seguito alla morte di suo padre. I ricorrenti lamentavano che la loro relazione con F. era ostacolata dalla madre di quest’ultima, F.C.
8. Il giudice chiese ai servizi sociali di eseguire un’indagine sulla famiglia della minore.
9. Il 22 gennaio 2013 i carabinieri di Tossicia comunicarono alla procura e al tribunale che F.C. aveva sporto una denuncia contro il primo ricorrente perché quest’ultimo l’avrebbe chiamata tutti i giorni accusandola di aver provocato la morte di suo fratello, di essere incapace di occuparsi di sua figlia e di aver perso la testa.
10. Il 19 febbraio 2013 F.C. dichiarò dinanzi al tribunale di non aver mai impedito ai ricorrenti di vedere la minore, ma di avere chiesto di essere presente e di poter concordare delle date per gli incontri, come in passato. Indicò anche al tribunale che il comportamento del primo ricorrente le aveva fatto temere per la sua sicurezza e per quella di sua figlia. Chiedeva quindi che il ricorso presentato dai ricorrenti fosse respinto e, in subordine, che gli incontri tra sua figlia e questi ultimi si svolgessero in sua presenza.
11. Il 26 febbraio 2013 i servizi sociali depositarono una relazione secondo la quale il primo ricorrente diceva di essere convinto che suo fratello fosse stato reso fragile, anche economicamente, dalla sua separazione da F.C., chiedeva che la bambina continuasse a frequentare la casa in cui lui e la seconda ricorrente vivevano, e che l’accordo che era stato firmato dai genitori della minore continuasse ad essere valido. Secondo i servizi sociali, F.C. non accettava che il primo ricorrente assumesse il «ruolo di padre» nei confronti della bambina, e chiedeva che le visite si svolgessero a casa sua. Secondo l’esperto, era impossibile organizzare gli incontri senza un quadro rigoroso imposto dal tribunale.
12. All’udienza del 27 febbraio 2013 il giudice prese atto delle posizioni inconciliabili delle parti e del fatto che F.C. si rifiutava di partecipare a una mediazione familiare.
13. Con decreto dell’11 marzo 2013, il tribunale, dopo aver considerato che il rapporto tra i ricorrenti e la minore era positivo per la crescita serena di quest’ultima, anche in ragione del fatto che questo rapporto preesisteva al decesso del padre, ritenne che il conflitto tra i ricorrenti e F.C. non fosse un motivo sufficiente per interrompere la relazione in questione. Incaricò i servizi sociali di Tossicia di stabilire un calendario di incontri per favorire la ripresa dei rapporti tra i ricorrenti e la bambina.
14. In una relazione del 9 luglio 2013, i servizi sociali constatavano una grande difficoltà nell’organizzare gli incontri a causa delle resistenze di due gruppi familiari. Secondo questa relazione, si erano svolti sette incontri, la comunicazione tra la nonna e la bambina era inesistente mentre lo zio comunicava facilmente con lei e, tenuto conto dei rapporti tesi esistenti tra le due famiglie, non era possibile prevedere quando gli interessati sarebbero stati in grado di gestire le loro relazioni in modo autonomo, senza la presenza dei servizi sociali.
15. Il 29 luglio 2013 il giudice sentì un operatore dei servizi sociali che riferì una mancanza di collaborazione da parte dei ricorrenti a causa del fatto che la mediazione tra questi ultimi e F.C. non aveva avuto successo.
16. Nel frattempo, il 22 luglio 2013, la denuncia che F.C. aveva presentato contro il primo ricorrente per il reato di minacce fu archiviata.
17. Il 22 ottobre 2013 il tribunale chiese una relazione di aggiornamento ai servizi sociali.
18. Nella loro relazione del 14 novembre 2013, i servizi sociali confermarono che, a partire dal 21 maggio 2013, gli incontri si erano svolti una volta a settimana con regolarità fino al mese di agosto, durante il quale si era tenuto un solo incontro a causa delle vacanze estive, e che in seguito, quando la bambina era stata ricoverata in ospedale, gli incontri avevano avuto luogo tutti i giorni. I servizi sociali indicavano che, nel corso degli incontri, la bambina giocava volentieri con il primo ricorrente, ma non si interessava alla seconda ricorrente, con la quale non riusciva a comunicare. Aggiungevano che le relazioni tra gli adulti erano formali, che tutti, e soprattutto la bambina, erano visibilmente stanchi di questi incontri protetti ma che, tenuto conto della conflittualità acuta tra le parti, non era ipotizzabile, a loro parere, modificare la modalità di detti incontri.
19. Il 18 novembre 2013 il giudice ordinò la prosecuzione degli incontri protetti per due mesi.
20. Il 26 marzo 2014 F.C. comunicò la sua intenzione di interrompere questi incontri.
21. Il 2 aprile 2014 il tribunale revocò il suo precedente decreto. Osservò che l’interazione tra la nonna e la nipote era molto difficile e che la conflittualità tra gli adulti persisteva nonostante i ripetuti interventi dei servizi sociali. Il tribunale ritenne che non fosse nell’interesse della minore proseguire gli incontri, vista la stanchezza della bambina per questa modalità di visita, alla luce della mancanza di volontà delle parti di costruire una relazione serena tra di loro.
22. Il 10 luglio 2014 i ricorrenti contestarono dinanzi al tribunale l’azione dei servizi sociali e sostennero che la responsabilità del conflitto era ascrivibile a F.C.
23. Il 25 agosto 2014 il primo ricorrente presentò una denuncia contro F.C. per calunnia e diffamazione.
24. I ricorrenti impugnarono il decreto. La procura chiese la conferma della decisione di primo grado.
25. Il 28 ottobre 2014, ritenendo che non fosse nell’interesse della minore proseguire gli incontri, la corte d’appello respinse il ricorso. Essa ritenne che la situazione di odio tra le parti, mai cambiata nel tempo, fosse pregiudizievole per la minore, come testimoniava il Dipartimento di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, il quale aveva notato che la bambina «presentava disturbi legati allo stress in cui viveva la famiglia».
26. Questo provvedimento non fu oggetto di ricorso per cassazione e divenne definitivo.
27. Il 29 dicembre 2015, i ricorrenti chiesero alla corte d’appello la revoca del provvedimento del 28 ottobre 2014 e il ripristino degli incontri con la minore;in subordine, chiesero che la minore fosse sottoposta ad un controllo psicologico e/o psichiatrico volto a valutare il suo benessere.
28. Con decreto del 1º marzo 2016, la corte d’appello ordinò, in via provvisoria e urgente, che i servizi sociali preparassero un «programma di mediazione familiare» e ristabilissero gli incontri protetti su base settimanale. Osservò che la minore aveva ormai sei anni e una maggiore capacità di giudizio e che, essendo trascorsi due anni dall’ultima relazione dei servizi sociali, era necessario verificare nuovamente se le due famiglie avessero la volontà di superare le ostilità che esistevano tra loro.
29. Il 7 luglio 2016 i servizi sociali inviarono alla corte d’appello la relazione dell’associazione «Le ali della vita» sul percorso di mediazione effettuato. La relazione riportava che era scoppiato un grande conflitto tra le parti, in particolare tra F.C. e il primo ricorrente.
30. Il 21 luglio 2016 fu inviata alla corte d’appello una nuova relazione. Secondo questa relazione, avevano avuto luogo due incontri tra la minore e la famiglia paterna, e il secondo si era svolto presso la seconda ricorrente;F.C. aveva proposto che gli incontri continuassero con la seconda ricorrente, dato che non vi era conflittualità tra loro, ma il primo ricorrente si era opposto;dopo diverse sedute di mediazione, tenuto conto della mancanza di cooperazione e della conflittualità tra le parti, queste ultime non avevano trovato motivi di accordo per organizzare i futuri incontri con la minore.
31. Il 13 settembre 2016 l’associazione «Le ali della vita» informò il tribunale che non era stato possibile continuare la mediazione e che erano stati fatti numerosi sforzi per organizzare un calendario di incontri: la psicologa aveva suggerito alle parti la condotta da tenere con la bambina, che aveva cominciato ad avere delle reazioni di tristezza e di rifiuto di fronte al conflitto tra gli adulti.
32. Il 30 settembre 2016 i servizi sociali presentarono la loro relazione alla corte d’appello. Essi avevano constatato l’impossibilità di procedere alla mediazione familiare e, nonostante fosse stato predisposto un calendario di incontri, F.C. non aveva dato garanzie di partecipazione e il primo ricorrente aveva insistito per ricevere la bambina a casa sua.
33. Con decreto del 4 ottobre 2016, la corte d’appello confermò il provvedimento del 28 ottobre 2014. La corte d’appello sottolineò la mancanza di sforzi da parte degli adulti per superare le ostilità, il che aveva portato al fallimento del tentativo di ripresa degli incontri. Da un lato, F.C. esigeva di essere sempre presente agli incontri, che dovevano tenersi in luoghi neutrali, e dall’altro, il primo ricorrente insisteva per portare la bambina a casa sua, facendo valere i problemi di salute di cui avrebbe sofferto la seconda ricorrente. Un solo incontro aveva avuto luogo presso i ricorrenti, e F.C. aveva ripetutamente rifiutato di lasciar uscire la bambina. Quest’ultima provava sentimenti di tristezza, di intolleranza e di disinteresse, sentendosi probabilmente responsabile del clima conflittuale che percepiva attorno a sé. La corte d’appello confermò il suo precedente provvedimento con il quale aveva ordinato la sospensione degli incontri in quanto questi ultimi non erano nell’interesse della minore.
34. Il decreto non fu oggetto di ricorso per cassazione e divenne definitivo.
35. Il 9 maggio 2017 i ricorrenti presentarono una denuncia penale