CASE OF S.H. v. ITALY - [Italian Translation] by the Italian Ministry of Justice
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© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.
Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court’s database HUDOC
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
QUARTA SEZIONE
CAUSA S.H. c. ITALIA
(Ricorso n. 52557/14)
SENTENZA
STRASBURGO
13 ottobre 2015
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa S.H. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita in una camera composta da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Paul Mahoney,
Faris Vehabović,
Yonko Grozev, giudici,
e da Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 22 settembre 2015,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 52557/14) proposto contro la Repubblica italiana con cui una cittadina italiana, la sig.ra S.H. («la ricorrente»), ha adito la Corte l’11 luglio 2014 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. La ricorrente è stata rappresentata dall’avv. M. Morcavallo del foro di Roma. Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3. La ricorrente lamenta in particolare una violazione del suo diritto al rispetto della vita famigliare, sancito dall’articolo 8 della Convenzione.
4. Il 23 ottobre 2014 il motivo di ricorso relativo alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione è stato comunicato al Governo e il ricorso è stato dichiarato irricevibile per il resto, conformemente all’articolo 54 § 3 del Regolamento della Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
5. La ricorrente è nata nel 1984 ed è residente a Sacile.
6. I fatti di causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
7. La ricorrente è madre di tre bambini: R., P. e J., nati rispettivamente nel 2005, 2006 e 2008.
8. All’epoca dei fatti la ricorrente viveva con il padre dei bambini, soffriva di depressione e seguiva una terapia farmacologica.
9. Nell’agosto 2009 i servizi sociali informarono il tribunale per i minorenni di Roma (di seguito «il tribunale») che i minori erano stati più volte ricoverati per avere ingerito accidentalmente dei farmaci e fu avviato un procedimento d’urgenza dinanzi al tribunale. Con un provvedimento emesso l’11 agosto 2009 il tribunale ordinò l’allontanamento dei minori dalla famiglia disponendo che fossero collocati in un istituto, e incaricò i servizi sociali di elaborare un progetto in favore dei minori stessi.
10. Il 20 ottobre 2009 la ricorrente e il padre dei minori furono sentiti dal tribunale. Essi ammisero che, a causa dello stato di salute della ricorrente e degli effetti secondari dei farmaci che assumeva per curare la depressione, essi avevano delle difficoltà ad occuparsi dei figli. Tuttavia, affermarono che potevano occuparsi in maniera adeguata dei bambini con l’aiuto dei servizi sociali e del nonno. La ricorrente indicò che seguiva una terapia e che gli effetti secondari inizialmente indotti dai farmaci non si erano più manifestati. I due genitori chiesero di prevedere un progetto di sostegno elaborato dai servizi sociali allo scopo di permettere il ritorno dei minori in famiglia.
11. Il 3 dicembre 2009 la psichiatra depositò il proprio rapporto relativo alla ricorrente. Da quest’ultimo risultava che essa seguiva una terapia farmacologica, che era disposta a seguire una psicoterapia e ad accettare l’aiuto dei servizi sociali, e che aveva un legame affettivo molto forte con i figli.
Alla stessa data, il Gruppo di lavoro integrato sulle adozioni («G.I.L.») depositò il proprio rapporto indicando che, nonostante le difficoltà famigliari, i genitori avevano reagito positivamente, avevano partecipato agli incontri organizzati ed erano disposti ad accettare il sostegno dei servizi sociali. Di conseguenza, il G.I.L. proponeva il ritorno dei minori presso i genitori e la realizzazione di un progetto di sostegno famigliare.
12.;Con un provvedimento emesso il 19 gennaio 2010 il tribunale, tenuto conto dei rapporti dei periti e del fatto che il nonno paterno era disposto ad aiutare il figlio e la ricorrente ad occuparsi dei bambini, ordinò che questi ultimi tornassero presso i genitori.
Il 24 marzo 2010, tuttavia, il progetto di riavvicinamento genitori-figli fu interrotto e i minori furono allontanati nuovamente dalla famiglia in quanto la ricorrente era stata ricoverata in seguito all’aggravarsi della sua malattia, il padre aveva lasciato l’abitazione famigliare e il nonno era malato. Il tribunale stabilì allora un diritto di visita per i due genitori, fissato nel modo seguente: per la ricorrente un’ora ogni quindici giorni;per il padre dei minori due ore a settimana.
13. Nel marzo 2010 la procura chiese che fosse avviata una procedura di dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori.
14. Il 10 giugno 2010 i genitori furono sentiti dal tribunale. La ricorrente affermò che si stava curando, sottolineò che il padre dei minori era disposto ad occuparsene e che, di conseguenza, questi ultimi non si trovavano in stato di abbandono. Il padre assicurava che, anche se lavorava, poteva occuparsi efficacemente dei minori, con l’aiuto di suo padre, e che aveva assunto una collaboratrice domestica che poteva aiutarlo.
15. Nell’ottobre 2010 il tribunale dispose una perizia per valutare la capacità della ricorrente e del padre dei minori di esercitare il ruolo di genitori. Il 13 gennaio 2011 il perito depositò un rapporto dal quale risultava:
- che il padre non presentava alcuna patologia psichiatrica, che aveva una personalità fragile ma era in grado di assumersi le proprie responsabilità;
- che la ricorrente era affetta da un «disturbo della personalità borderline che interferiva, in misura limitata, con la sua capacità di assumersi delle responsabilità legate al suo ruolo di madre»;
- che i bambini erano iperattivi, e che una parte importante di questa sintomatologia poteva essere l’espressione delle difficoltà famigliari.
Nelle sue conclusioni, il perito osservò che i due genitori erano disposti ad accettare gli interventi necessari al fine di migliorare il loro rapporto con i figli e formulò le seguenti proposte: mantenere l’affidamento dei bambini all’istituto, predisporre un percorso di riavvicinamento tra i genitori e i figli e intensificare gli incontri. Fu proposta anche una nuova valutazione della situazione della famiglia dopo sei mesi.
16. Con una sentenza emessa il 1o marzo 2011, tuttavia, il tribunale dichiarò i minori adottabili e gli incontri tra i genitori e i minori furono interrotti.
Nelle motivazioni, il tribunale considerò che nel caso di specie non fosse necessaria una nuova valutazione della situazione famigliare. Esso sottolineò le difficoltà dei genitori a esercitare il loro ruolo genitoriale, difficoltà che erano state indicate dal perito, e fece riferimento alle dichiarazioni della direttrice dell’istituto, secondo la quale la ricorrente soffriva di «gravi disturbi mentali», il padre «non era capace di dimostrare il suo affetto e si limitava a interagire con gli assistenti sociali in modo polemico» e i genitori «non erano in grado di dare ai figli le attenzioni e le terapie di cui avevano bisogno ». Tenuto conto di questi elementi, il tribunale dichiarò i minori adottabili.
17. La ricorrente e il padre dei minori interposero appello avverso tale sentenza e chiesero la sospensione dell’esecuzione della stessa. Essi affermavano:
- che il tribunale aveva erroneamente dichiarato l’adottabilità in assenza di una «situazione di abbandono», condizione necessaria ai sensi della legge n. 184 del 1983 per poter dichiarare l’adottabilità;
- che la dichiarazione di adottabilità doveva costituire soltanto una extrema ratio e che, nella fattispecie, essa non era necessaria in quanto le loro difficoltà famigliari, legate soprattutto alla malattia della ricorrente, erano di natura transitoria e avrebbero potuto essere superate con il sostegno degli assistenti sociali.
Gli stessi sottolinearono infine che il tribunale non aveva tenuto conto della perizia depositata nel gennaio 2011 che ordinava la realizzazione di un percorso di sostegno e il riavvicinamento dei minori ai loro genitori.
18. Nel luglio 2011 il tribunale ordinò che ciascuno dei figli fosse dato in affidamento a una famiglia diversa.
19. Con una sentenza resa il 7 febbraio 2012 la corte d’appello di Roma rigettò l’appello della ricorrente e confermò l’adottabilità.
La corte d’appello osservò che le autorità competenti avevano compiuto gli sforzi necessari per garantire un sostegno ai genitori e preparare il ritorno dei bambini presso la loro famiglia. Tuttavia, il progetto non era andato a buon fine, il che dimostrava l’incapacità dei genitori di esercitare il loro ruolo genitoriale e l’assenza di carattere transitorio della situazione. Basandosi sulle conclusioni dei servizi sociali, la corte d’appello sottolineò che il fallimento del progetto aveva avuto conseguenze negative per i minori e che l’adottabilità mirava a tutelare il loro interesse ad essere accolti in una famiglia capace di prendersi cura di loro in maniera adeguata, cosa che la loro famiglia di origine non era in grado di fare a causa dello stato di salute della madre e delle difficoltà del padre. La corte d’appello osservò che vi erano stati sviluppi positivi della situazione, come la presa di coscienza della madre dei suoi problemi di salute e la sua volontà di seguire un percorso terapeutico, nonché gli sforzi del padre per trovare delle risorse per occuparsi dei figli o la disponibilità del nonno ad aiutare il figlio. Tuttavia, secondo la corte d’appello, questi elementi non erano sufficienti ai fini della valutazione della capacità dei due genitori di esercitare il loro ruolo genitoriale. Tenuto conto di questi elementi e allo scopo di salvaguardare l’interesse dei minori, la corte d’appello concludeva perciò confermando l’adottabilità.
20. La ricorrente e il padre dei bambini presentarono ricorso per cassazione. Con una sentenza depositata il 22 gennaio 2014, la Corte di cassazione respinse il ricorso della ricorrente, considerando:
- che la corte d’appello avesse correttamente valutato l’esistenza di una situazione di abbandono morale dei minori e l’irreversibilità della incapacità dei genitori di esercitare il loro ruolo, tenuto conto del fallimento del primo progetto di sostegno messo in atto dai servizi sociali;
- che la dichiarazione di adottabilità avesse debitamente tenuto conto dell’interesse dei minori a essere accolti in una famiglia capace di occuparsene efficacemente.
21. Nel febbraio 2014 la ricorrente chiese al tribunale per i minorenni di Roma la revoca della dichiarazione di adottabilità (sulla base dell’articolo 21 della legge n. 184 del 1983). A sostegno della sua domanda, la ricorrente produsse diversi documenti medici che attestavano che il suo stato di salute nel frattempo era migliorato, allo scopo di dimostrare che le condizioni previste dall’articolo 8 della legge n. 184 del 1983 per poter dichiarare l’adottabilità erano ormai venute meno.
Con una sentenza resa in data 14 maggio 2014 il tribunale per i minorenni di Roma rigettò la domanda della ricorrente.
22. L’esito della procedura di adozione dei minori non è ancora noto.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
23. Il diritto interno pertinente è descritto nelle cause Aun c. Italia, (n. 9056/14, § 45, 16 luglio 2015) e Z c. Italia, (n. 33773/11, §§ 24-26, 21 gennaio 2014).
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’