TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2021-11-05, n. 202111407

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2021-11-05, n. 202111407
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202111407
Data del deposito : 5 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/11/2021

N. 11407/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02537/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2537 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato G L M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato M T in Roma, Via Carlo Mirabello, 14;

contro

Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
CUSE – Centro Unico Stipendiale Esercito;

per l’esecuzione

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, Sezione Prima Bis, 13 settembre 2018, n. 9325.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Vista la sentenza di questa Sezione n. 10537 del 2019;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2021 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro, mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’articolo 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e successive modificazioni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. -OMISSIS- ha agito innanzi a questo Tribunale amministrativo al dichiarato fine di ottenere l’esecuzione della sentenza della Sezione n. 9325 del 13 settembre 2018, che ha annullato il provvedimento della Direzione generale per il personale militare del Ministero della difesa del 5 marzo 2018. Mediante il suddetto provvedimento, era stata disposta a carico del ricorrente, sergente maggiore dell’Esercito italiano, la perdita del grado per rimozione all’esito di procedimento disciplinare, ai sensi degli articoli 861, comma 1, lettera d) , 865 e 1357, lettera d) , del Codice dell’ordinamento militare.

2. Con la proposizione del ricorso, il sig. -OMISSIS-, dopo aver illustrato le vicende del procedimento disciplinare conclusosi con il provvedimento annullato, nonché l’attività compiuta dall’Amministrazione successivamente alla sentenza di annullamento, ha sostenuto – in estrema sintesi – che il Ministero della difesa non avesse provveduto alla corretta ricostruzione giuridica ed economica della carriera del medesimo militare.

In particolare, la riammissione in servizio sarebbe avvenuta soltanto “a titolo precario” e, inoltre, la liquidazione degli emolumenti spettanti in relazione al lungo periodo di sospensione dal servizio che ha preceduto tale riammissione sarebbe stata inizialmente determinata dal Centro Unico stipendiale Esercito (CUSE) in modo sostanzialmente corretto (salva la contestazione relativa al solo periodo dal 27 marzo 2015 al 20 luglio 2015), per poi essere rivista dall’Amministrazione, la quale sarebbe pervenuta a negare qualsivoglia spettanza da corrispondere al ricorrente.

In questa prospettiva, il sig. -OMISSIS- ha affermato che la corretta esecuzione della sentenza azionata dovrebbe comportare che:

- il militare sia considerato riammesso in servizio a tutti gli effetti, e non “a titolo precario”;

- al medesimo spetti la ricostruzione economica elaborata e quantificata dal CUSE nel prospetto del 22 ottobre 2018, da integrare con l’aggiunta della ricostruzione economica del periodo dal 27 marzo 2015 al 20 luglio 2015;

- le predette somme debbano essere maggiorate di interessi e rivalutazione.

La parte ha chiesto, quindi, a questo Tribunale amministrativo l’adozione delle misure necessarie all’esecuzione della sentenza azionata.

3. Il Ministero della difesa, costituitosi in giudizio, ha eccepito che la reintegrazione nel grado del militare e la sua riammissione in servizio, nonché la determinazione dei periodi e dei criteri relativi alla ricostruzione economica della carriera, sono stati stabiliti con il decreto ministeriale del 28 settembre 2018, mai impugnato dal ricorrente.

Ha, inoltre, diffusamente contestato la ricostruzione operata dal ricorrente dei periodi di carriera e del relativo regime giuridico ed economico, concludendo con la richiesta di reiezione del ricorso.

4. In esito all’udienza camerale del 14 giugno 2019, la Sezione ha emesso la sentenza n. 10537 del 19 agosto 2019, con la quale:

- ha preliminarmente rilevato che la sentenza n. 9325 del 2018, di cui il ricorrente ha domandato l’esecuzione, risulta passata in giudicato, in quanto l’appello proposto dalla difesa erariale, pur essendo stato notificato, non è stato successivamente depositato;

- ha poi affermato che “ Dalla disamina degli atti di causa emerge che la p.a. ha eseguito la sentenza di cui in epigrafe, sia con riferimento alla riammissione in servizio, che in relazione ai ratei di stipendio reclamati dal ricorrente, seppure respingendo la relativa istanza.

Ne consegue che con riferimento alla chiesta ottemperanza il ricorso deve essere respinto.

Nondimeno la parte ricorrente con il gravame oggetto del presente scrutinio ha reclamato anche la corresponsione di ratei stipendiali asseritamente dovuti e non corrisposti.

Si tratta, in buona sostanza, di evenienze economiche afferenti alla posizione paritetica del ricorrente cui consegue, in tesi, un suo diritto soggettivo.

Infatti, la quantificazione al riguardo disposta dalla p.a. non costituisce un atto autoritario, come sostiene l’avvocatura erariale, ma una mera attività ricognitiva che non incide sull’eventuale diritto soggettivo della parte.

Sotto tale profilo, il ricorso risulta contenere tutti i necessari elementi sostanziali per una sua conversione a mente dell’art. 32, comma 2, cpa ”;

- ha quindi concluso disponendo “ la conversione del presente ricorso, affinché sia successivamente accertato il diritto alle somme reclamate ”.

5. In prossimità dell’udienza pubblica fissata per la trattazione della causa, il solo ricorrente ha effettuato produzioni difensive.

In particolare, nella memoria del 6 maggio 2021, la parte, dopo aver nuovamente e diffusamente contestato quanto allegato dalla difesa erariale, ha concluso richiedendo a questo Tribunale amministrativo di:

- accertare e dichiarare il diritto soggettivo del sergente maggiore -OMISSIS- alla ricostruzione economica della propria carriera, a titolo di restitutio in integrum , come da “prospetto di conguaglio” in favore del ricorrente di euro 89.851,64 datato 22 ottobre 2018 e allegato alla lettera prot. 0112284 07-11-2018 del CUSE;

- accertare e dichiarare che al predetto importo di euro 89.851,64 devono aggiungersi le spettanze economiche relative al periodo fra l’11 novembre 2014 e il 20 luglio 2015 (pari a otto mesi e nove giorni), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal giorno del dovuto sino al saldo;

- disporre che l’Amministrazione provveda alla corresponsione in favore del sergente maggiore -OMISSIS- delle spettanze economiche sopra indicate;

- nominare un commissario ad acta per il caso di ulteriore inadempimento dell’Amministrazione, con condanna di quest’ultima al pagamento della sanzione pecuniaria di cui all’articolo 114, comma 4, cod. proc. amm., nella misura determinata da questo Tribunale amministrativo.

6. All’udienza pubblica fissata, tenutasi con modalità da remoto a norma di legge, la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Al fine di inquadrare correttamente le contestazioni del ricorrente e le contrapposte allegazioni dell’Amministrazione resistente è necessario preliminarmente ricostruire nel dettaglio, sulla base della documentazione versata agli atti del giudizio, la complessa vicenda penale e amministrativa che è all’origine della controversia.

7.1. Con decreto della Direzione generale del Ministero della difesa del 2 agosto 2010, il sergente maggiore -OMISSIS- è stato sospeso precauzionalmente dall’impiego, a decorrere dal 20 luglio 2010, ai sensi dell’articolo 20, secondo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 599 (“ Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica ”).

Il predetto articolo 20 – ora abrogato – prevedeva al primo comma che “ Il sottufficiale che sia sottoposto a procedimento penale per imputazione da cui possa derivare la perdita del grado, o che sia sottoposto a procedimento disciplinare per fatti di notevole gravità, può essere sospeso precauzionalmente dall’impiego, a tempo indeterminato, fino all’esito del procedimento penale o disciplinare ”. Il secondo comma – applicato, come detto, nei confronti del ricorrente – stabiliva che “ Tale provvedimento è sempre adottato nei confronti del sottufficiale a carico del quale sia stato emesso ordine o mandato di cattura o che si trovi comunque in stato di carcerazione preventiva ”.

In particolare, la sospensione è stata disposta nei confronti del sergente maggiore -OMISSIS- in quanto il medesimo è stato sottoposto dal 20 luglio 2010 alla misura della custodia cautelare in carcere, in applicazione di apposita ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma;
misura sostituita con gli arresti domiciliari a far data dal 22 luglio 2010.

7.2. Con successivo decreto della Direzione generale per il personale militare del 13 maggio 2011, l’Amministrazione ha nuovamente provveduto sulla situazione dell’odierno ricorrente, rilevando che la misura degli arresti domiciliari era stata revocata, con rimessione in libertà del militare a far data dal 14 febbraio 2011, e che, peraltro, il medesimo era stato rinviato a giudizio immediato per i reati di associazione per delinquere, concussione, turbata libertà degli incanti e violenza o minaccia per costringere a commettere un reato.

Sulla scorta di queste premesse, la sospensione precedentemente adottata è stata revocata dal 14 febbraio 2011 e, con effetto dalla medesima data, il militare è stato sospeso precauzionalmente dall’impiego a titolo facoltativo, ai sensi dell’articolo 916 cod. ord. mil. fino ad esito cognito del procedimento penale e del conseguente procedimento disciplinare ”.

7.3. L’Amministrazione ha nuovamente provveduto con il decreto della Direzione generale per il personale militare del 23 maggio 2012, rilevando che, con la sentenza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma n. 98/12 del 19 gennaio 2012, acquisita dal Ministero della difesa il 26 marzo 2012, il sottufficiale era stato condannato alla pena di tre anni di reclusione per i reati di associazione per delinquere aggravata, concorso continuato in concussione, concorso in turbata libertà degli incanti aggravata, nonché concorso in violenza o minaccia per costringere a commettere un reato aggravata.

In conseguenza di tale mutata situazione, con il predetto decreto del 23 maggio 2012 è stata stabilita, a decorrere dal 26 marzo 2012, la revoca della precedente sospensione precauzionale dall’impiego a titolo facoltativo ed è stata disposta la sospensione precauzionale obbligatoria dall’impiego, ai sensi dell’articolo 922 cod. ord. mil., che rinvia all’articolo 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (“ Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche ”). La disposizione richiamata prevede, al comma 1, che: “ Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall’articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio ”.

7.4. La posizione del militare è stata successivamente oggetto del decreto della Direzione generale per il personale militare del 10 agosto 2015.

Con il suddetto provvedimento, l’Amministrazione ha evidenziato che, alla data del 20 luglio 2015, era decorso il termine massimo di sospensione cautelare di cinque anni, previsto dall’articolo 919, comma 1, cod. ord. mil., e che, con atto del 23 luglio 2015, il Comandante per la formazione, specializzazione e dottrina dell’Esercito aveva contestato gli addebiti al militare “ in relazione alla previsione dell’eventuale sospensione dal servizio, ai sensi del combinato disposto degli articoli 919, comma 3, lettera a) e 917, comma 1, del richiamato D.Lgs. n. 66/2010 ”. Sulla base della proposta formulata dal medesimo Comandante, è stata quindi disposta la commutazione, a decorrere dal 20 luglio 2015, della sospensione precauzionale obbligatoria dall’impiego in sospensione dal servizio, ai sensi delle disposizioni ora richiamate.

Al riguardo, occorre tenere presente che l’articolo 919, comma 3, cod. ord. mil. stabilisce che: “ Scaduto il quinquennio di cui al comma 1, se è ancora pendente procedimento penale per fatti di eccezionale gravità, l’amministrazione, valutato specificamente ogni aspetto oggettivo e soggettivo della condotta del militare, previa contestazione degli addebiti:

a) sospende l’imputato dall’impiego ai sensi dell’articolo 917;

b) sospende il procedimento disciplinare ai sensi dell’articolo 1393 ”.

L’articolo 917, comma 1, cod. ord. mil., a sua volta, stabilisce che: “ La sospensione precauzionale può essere disposta durante lo svolgimento del procedimento disciplinare di stato instaurato per fatti di notevole gravità da cui possa derivare la perdita del grado ”.

7.5. Successivamente, la Direzione generale per il personale militare ha adottato, nei confronti del ricorrente, il decreto in data 8 agosto 2016, con il quale ha preso atto della conferma della condanna di primo grado disposta dalla Corte d’appello di Roma, Sezione III Penale, con la sentenza n. 7373/2014 del 24 ottobre 2014, divenuta irrevocabile dal 18 settembre 2015 e acquisita dal Ministero della difesa il 14 ottobre 2015, nonché dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma del 20 maggio 2016, ricevuta dall’Amministrazione il 7 luglio 2016, con la quale è stata dichiarata l’applicazione al militare della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per una durata pari a due anni e quattro mesi.

Con il predetto decreto in data 8 agosto 2016, è stata quindi disposta, nei confronti del sergente maggiore -OMISSIS-, la sanzione disciplinare della perdita del grado per condanna penale, senza procedimento disciplinare, ai sensi dell’articolo 866 cod. ord. mil., con decorrenza dal 18 settembre 2015, data di irrevocabilità della sentenza di condanna della Corte d’appello, nonché, ai soli fini giuridici, dal 20 luglio 2020, data di applicazione della sospensione precauzionale obbligatoria dall’impiego.

7.6. Il suddetto provvedimento è stato, tuttavia, annullato dalla sentenza di questa Sezione n. 7043 del 15 giugno 2017, sulla base della considerazione che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 268 del 2016, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli articoli 866, comma 1, 867, comma 3 e 923, comma 1, lettera i) , cod. ord. mil., “ nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione dal servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici ”.

7.7. Con decreto in data 11 settembre 2017, la Direzione generale per il personale militare, al fine di dare esecuzione alla sentenza del Giudice amministrativo, ha annullato il precedente decreto in data 8 agosto 2016, con il quale era stata disposta la perdita del grado per condanna penale e la contestuale cessazione dal servizio dell’odierno ricorrente e ha conseguentemente reintegrato il militare nel grado di sergente maggiore “ a ‘titolo precario’ in attesa della definizione della relativa posizione disciplinare di stato ”.

Ha, inoltre, disposto che, a far data dal 14 ottobre 2015 – data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza dell’irrevocabilità della sentenza di condanna della Corte d’appello – “ il Militare in argomento è impossibilitato a prestare la propria attività lavorativa in esecuzione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 2 (due) anni e 4 (quattro) mesi, applicata dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, con ordinanza n. 61/2016 del 20 maggio 2016 ”.

7.8. Successivamente, con decreto della Direzione generale per il personale militare del 5 marzo 2018, è stata nuovamente disposta, nei confronti del militare, la sanzione della perdita del grado per rimozione, questa volta all’esito di apposito procedimento disciplinare, stabilendo inoltre – ai sensi dell’articolo 867, commi 5 e 6, cod. ord. mil. – che la sanzione decorresse dalla data del medesimo decreto e, ai soli fini giuridici, dalla data di applicazione della sospensione precauzionale obbligatoria dall’impiego di cui al decreto del 2 agosto 2010.

Dalle premesse del richiamato decreto del 5 marzo 2018 risulta che il procedimento disciplinare si era articolato nei seguenti snodi:

- con atto del 14 settembre 2017 il Comandante per la formazione, specializzazione e dottrina dell’Esercito aveva disposto la riapertura dell’inchiesta formale, precedentemente sospesa;

- l’Ufficiale inquirente aveva elaborato la relazione finale del 21 novembre 2017, con la quale riteneva parzialmente fondati gli addebiti contestati all’inquisito;

- con atto del 7 dicembre 2017 il Comandante aveva proposto di definire la posizione del militare con una sospensione disciplinare dall’impiego per dodici mesi;

- il Direttore generale per il personale militare, con nota del 10 gennaio 2018, aveva tuttavia disposto il deferimento del sottufficiale a una Commissione di disciplina;

- la Commissione di disciplina aveva concluso, nel verbale del 23 febbraio 2018, ritenendo il militare non meritevole di conservare il grado.

7.9. Come sopra detto, il provvedimento del 5 marzo 2018, che ha nuovamente disposto, nei confronti del sergente maggiore -OMISSIS-, la sanzione della perdita del grado, è stato annullato da questa Sezione con la sentenza n. 9325 del 13 settembre 2018, in ragione della violazione del termine decadenziale per la conclusione del procedimento disciplinare, stabilito in 270 giorni dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza divenuta irrevocabile, ai sensi dell’articolo 1392, comma 3, cod. ord. mil.

Come pure detto, l’Avvocatura dello Stato ha notificato all’odierno ricorrente l’appello avverso la suddetta sentenza, ma l’atto di impugnazione non è mai stato depositato, con la conseguenza che la sentenza è passata in giudicato.

7.10. Con decreto del 28 settembre 2018, la Direzione generale per il personale militare, al fine di dare esecuzione alla sentenza di questa Sezione, ha annullato il provvedimento del 5 marzo 2018 e ha conseguentemente reintegrato l’odierno ricorrente nel grado di sergente maggiore. Con tale nuova determinazione, “ fatte salve le decisioni che l’Amministrazione della Difesa potrà assumere all’esito di eventuale appello al Consiglio di Stato ”, il militare è stato riammesso in servizio “ a titolo precario ”.

Si è, inoltre, disposto che al sottufficiale “ compete la ricostruzione giuridica ed economica della carriera per i periodi che vanno dal 20 luglio 2010 al 25 marzo 2012 e dal 20 luglio 2015 alla data di emanazione dell’attuale provvedimento secondo i criteri dettati dal combinato disposto di cui agli articoli 918, comma 1 lettera c), e 921, commi 1 e 2, lettere a), b), e c), del Codice dell’Ordinamento Militare ”.

7.11. Con nota del 7 novembre 2018, il Centro Unico Stipendiale Esercito ha reso noto alla Direzione generale per il personale militare di aver provveduto alla ricostruzione giuridica ed economica della carriera del militare, sulla base del predetto decreto del 28 settembre 2018.

In particolare, il CUSE evidenziava di aver liquidato gli emolumenti indicati in un apposito prospetto, recante la somma di euro 89.851,04 a favore del militare, e di essere pronto al pagamento di tale importo con le competenze del mese di dicembre 2018, salva la rappresentazione di eventuali motivi ostativi entro il 19 novembre 2018.

7.12. La Direzione generale per il personale militare, con nota del 16 novembre 2018 – preceduta dalle comunicazioni informali di posta elettronica depositate in atti dal ricorrente – ha rappresentato al CUSE “ che il conguaglio inerente alla ricostruzione economica della carriera del Sottufficiale in oggetto appare non tenere conto, effettivamente, dei criteri dettati dall’articolo 921, commi 1 e 2, lettere a), b) e c), del Codice dell’Ordinamento Militare. La norma prevede, espressamente, che dall’importo determinato ai sensi del 1° comma – ovvero “tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità per servizi o funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario – vadano dedotti:

- l’assegno alimentare corrisposto;

- ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito in dipendenza di prestazioni e attività svolte grazie alla sospensione dal servizio (o all’assenza dal servizio);

- il periodo corrispondente alla pena detentiva inflitta, nonché all’interdizione temporanea dai pubblici uffici e alle altre pene accessorie che comunque incidono sul rapporto di servizio, ancorché tali pene non sono state in concreto scontate, ovvero sono state dichiarate estinte ”.

7.13. Il legale del ricorrente, con nota del 12 dicembre 2018, ha rimarcato nei confronti del CUSE che il proprio assistito: (i) non aveva ricevuto lo stipendio del mese di ottobre 2018;
(ii) con riferimento agli emolumenti spettanti nel mese di novembre 2018, si era visto applicare, in unica soluzione, le trattenute corrispondenti a nove rate delle addizionali IRPEF regionali e comunali, a nove rate di acconto dell’addizionale comunale, al conguaglio fondo credito e al conguaglio fondo pensione;
sostanzialmente, sarebbero state applicate ritenute come se il militare avesse percepito l’intero reddito annuale, mentre il sig. -OMISSIS- non aveva percepito alcun reddito dal mese di marzo 2018;
(iii) con riguardo al trattamento economico del mese di dicembre 2018, si era visto trattenere l’acconto di 1.000,00 euro, richiesto in conseguenza della mancata erogazione della retribuzione del mese di ottobre 2018;
(iv) non aveva ricevuto gli emolumenti arretrati a conguaglio liquidati dal CUSE, senza che il Centro avesse reso note le ragioni di tale inadempimento.

In conclusione, si chiedeva di corrispondere quanto dovuto al militare e di chiarire le ragioni del comportamento dell’Amministrazione.

7.14. Con nota del 12 dicembre 2018, il CUSE ha comunicato alla Direzione generale per il personale militare di aver provveduto a rielaborare il conguaglio relativo alla ricostruzione economica della carriera del sergente maggiore -OMISSIS-, pervenendo alla conclusione che “ ai sensi dell’art. 4 della legge n. 97/2001, il periodo 26 marzo 2012 – 19 luglio 2015 non risulta utile ai fini della ricostruzione stante la condanna in sede penale ” e che “ rimane fermo il riconoscimento dell’assegno alimentare, per tutto il periodo compreso tra il 20 luglio 2010 (primo giorno di sospensione dal servizio) ed il 4 marzo 2018 (dal 05 marzo 2018 cessazione del rapporto d’impiego) ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 918, comma 1, lettera c) e 921 commi 1 e 2, lettere a), b) e c) del Codice dell’Ordinamento Militare tenendo conto della pena detentiva (anni 3) e dell’interdizione dai pubblici uffici (anni 2 e mesi 4) ”.

Alla nota è stato allegato un prospetto, nel quale si evidenziava l’assenza di spettanze da corrispondere il favore del militare e si precisava che “ Ai sensi dell’art. 921 comma 1 e 2 del Codice dell’Ordinamento Militare non si procede ad attribuire le competenze per i periodi:

1) pena detentiva (3 anni);

2) interdizione dai pubblici uffici (2 anni e 4 mesi).

Alla data del 04/10/2018, giorno di riammissione in servizio mancano mesi 5 e giorni 8 al raggiungimento della pena accessoria (anni 2 e mesi 4) ”.

Con la stessa nota si chiedeva alla Direzione generale per il personale militare di fornire il proprio avviso sulla “ procedura adottata per addivenire al conguaglio di cui trattasi ”.

7.15. Con nota del 14 dicembre 2018, la Direzione generale per il personale militare, rispondendo alla richiesta di parere del CUSE, ha comunicato che “ il conguaglio inerente alla ricostruzione economica della carriera del Sottufficiale in oggetto tiene conto dei criteri dettati dagli articoli 918 e 921, commi 1 e 2, lettere a), b) e c), del Codice dell’Ordinamento Militare, di cui, pure, al Decreto Ministeriale n. M_D GMIL REG2018 0575090 in data 28 settembre 2018 ”.

7.16. Il ricorrente, per il tramite del proprio legale, ha contestato la ricostruzione delle spettanze operata dal CUSE e il parere della Direzione generale, con due note inviate nella medesima data del 14 dicembre 2018.

In particolare, nella prima di tali note si affermava di aver avuto copia di corrispondenza mediante posta elettronica tra un ufficiale del CUSE e un ufficiale della Direzione generale e che da tale corrispondenza, ritenuta irrituale, emergeva come fosse stata concordata la cancellazione del conguaglio previsto in favore del sig. -OMISSIS-.

7.17. Con nota del 21 dicembre 2021, la Direzione generale per il personale militare, riscontrando la nota del ricorrente del precedente 14 dicembre, ha rappresentato che, nell’emanare la nota del 16 novembre 2018, “ la Scrivente non ha prodotto alcun appunto istruttorio interno ” e ha indicato le date e gli orari nei quali il ricorrente, previo appuntamento, avrebbe potuto prendere visione del fascicolo.

7.18. Nella stessa data del 21 dicembre 2018 il legale del ricorrente ha comunicato al CUSE e alla Direzione generale per il personale militare il passaggio in giudicato della sentenza di questa Sezione n. 9325 del 2018.

Poco dopo, il medesimo legale ha diffidato il CUSE a corrispondere gli emolumenti dovuti al proprio assistito (nota del 15 gennaio 2019) e ha chiesto alla Direzione generale chiarimenti sulla vicenda, nonché l’accesso agli atti (nota del 21 gennaio 2019).

7.19. Con nota del 13 febbraio 2019, la Direzione generale per il personale militare ha ribadito la legittimità dell’operato dell’Amministrazione e ha trasmesso copia di alcuni atti, confermando la possibilità per il ricorrente di prendere visione dell’intero fascicolo.

7.20. Da ultimo, il CUSE ha indirizzato al ricorrente la nota del 15 febbraio 2019, con la quale, riscontrando le istanze di riesame avanzate dal sottufficiale, ha rappresentato che “ non sono emersi ulteriori elementi che inducono ad una modifica delle conclusioni già partecipate (...) ” e che “ gli ulteriori approfondimenti condotti hanno confermato una sostanziale regolarità delle procedure amministrative adottate, tanto più che il conguaglio stipendiale scaturente dalla ricostruzione giuridico-economica della carriera del militare risulta aderente:

- ai criteri dettati dal combinato disposto di cui agli articoli 918, comma 1, lettera c) e 921, commi 1 e 2, lettere a), b) e c) del Codice dell’Ordinamento Militare;

- al Decreto Ministeriale M_D GMIL REG2018 0575090 in data 28 settembre 2018 della Direzione Generale per il Personale Militare ”.

Nella nota si è evidenziato, ancora, che:

- la ricostruzione stipendiale riguarda, in base al decreto ministeriale 28 settembre 2018, l’arco temporale che va dal 20 luglio 2010 al 25 marzo 2012 e dal 20 luglio 2015 al 3 ottobre 2018, atteso che dal 4 ottobre 2018 il sottufficiale è in servizio;

- tale ricostruzione “ non deve tenere conto del tempo corrispondente alla pena detentiva inflitta e all’interdizione temporanea dai pubblici uffici (citato articolo 921, comma 1, lettera c) del richiamato Codice), i cui periodi si cumulano in cinque anni e quattro mesi ”;

- “ al militare spetta (...) il trattamento retributivo che avrebbe percepito se fosse rimasto in servizio, al netto del citato periodo di cumulo (e dell’assegno alimentare percepito) ”;

- tuttavia, il periodo di 4 anni, 10 mesi e 20 giorni “ interessato alla ricostruzione economica della carriera risulta (...) integralmente assorbito dalla maggiore durata del cumulo della pena detentiva e della misura interdittiva ”;

- ne deriva che “ il saldo stipendiale “dare/avere” (...) non possa che risultare evidentemente pari a zero ”.

8. Alle vicende sopra riportate ha fatto seguito la proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio, con il quale il sergente maggiore -OMISSIS- ha diffusamente contestato la posizione dell’Amministrazione, sostenendo che la corretta esecuzione della sentenza di questa Sezione n. 9325 del 2018 avrebbe dovuto comportare la corresponsione in suo favore degli emolumenti inizialmente liquidati dal CUSE nel prospetto trasmesso con la nota del 7 novembre 2018, nonché degli ulteriori emolumenti spettanti per il periodo dal 27 marzo al 20 luglio 2015 – eccedente la durata di tre anni della pena detentiva – con interessi e rivalutazione monetaria.

Il ricorrente ha affermato che non potrebbe tenersi conto dei periodi di sospensione del sottufficiale, in quanto disposti con decreti successivamente revocati, e ha sostenuto che la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici sarebbe, in realtà, giuridicamente inesistente, per cui non andrebbe detratta dai periodi da riconoscere.

9. Occorre tenere presente che, con la sentenza non definitiva n. 10537 del 2019, la Sezione ha ritenuto di non ravvisare, nella prospettazione di parte ricorrente, profili di inottemperanza al giudicato e ha disposto la conversione del rito, al fine della trattazione della domanda di accertamento del diritto del sig. -OMISSIS- alla corresponsione degli emolumenti riferiti alla ricostruzione economica della carriera.

Come sopra detto, con la predetta sentenza, si è affermato che “ la quantificazione al riguardo disposta dalla p.a. non costituisce un atto autoritario, come sostiene l’avvocatura erariale, ma una mera attività ricognitiva che non incide sull’eventuale diritto soggettivo della parte ”. Deve intendersi che, con tale statuizione, sia stata rigettata l’eccezione sollevata dall’Amministrazione resistente, secondo la quale il ricorrente avrebbe avuto l’onere di impugnare nei termini il provvedimento del 28 settembre 2018, recante la cristallizzazione del quadro giuridico ed economico della ricostruzione della carriera. La sentenza ha, invece, riconosciuto natura esclusivamente di diritto soggettivo alla situazione giuridica azionata nel presente giudizio.

Le suddette statuizioni rimangono intangibili nella presente sede e delimitano il residuo thema decidendum .

10. Ciò posto, va sgombrato il campo dalle diffuse contestazioni del ricorrente, volte ad allegare il ritenuto carattere irrituale delle comunicazioni intercorse tra un ufficiale del CUSE e un ufficiale della Direzione generale per il personale militare – comunicazioni di cui il legale della parte è venuto in possesso – che hanno preceduto il mutamento di posizione dell’Amministrazione segnato dalla nota della Direzione generale del 16 novembre 2018 e il conseguente disconoscimento degli emolumenti che il CUSE aveva inizialmente liquidato con la nota del 7 novembre 2018.

Nella presente sede, si tratta, infatti, di accertare il diritto vantato dal ricorrente alla percezione di emolumenti conseguenti alla ricostruzione economica della carriera e la tutela di tale situazione soggettiva non potrebbe in alcun modo risentire di eventuali comportamenti reputati non rituali dell’Amministrazione o di suoi funzionari.

11. Deve, ancora, evidenziarsi che risulta superata e, quindi, non deve essere affrontata in questa sede l’ulteriore contestazione con la quale il ricorrente lamenta di essere stato reintegrato nel grado e riammesso in servizio soltanto “a titolo precario”, e non invece a pieno titolo.

Questa Sezione ha già ritenuto, infatti, di non rilevare profili di inottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza che ha annullato il provvedimento di rimozione per perdita del grado.

Del resto, la difesa erariale ha rappresentato come l’espressione “a titolo precario” fosse stata utilizzata soltanto in quanto l’Amministrazione non aveva ancora stabilito, momento dell’adozione del decreto del 28 settembre 2018, se avrebbe proposto appello avverso la sentenza che aveva annullato il provvedimento di rimozione del militare per perdita del grado.

Conseguentemente, una volta che la sentenza è passata in giudicato, la reintegrazione opererebbe a pieno titolo.

Il ricorrente non ha, peraltro, svolto ulteriori contestazioni al riguardo.

12. Ciò posto, venendo al punto centrale della controversia, deve osservarsi che, sulla base della documentazione agli atti del giudizio, le posizioni delle parti possono essere ricostruite nei termini seguenti.

12.1. L’Amministrazione ha ritenuto di non dover corrispondere alcun conguaglio al sig. -OMISSIS-, in quanto:

- ha considerato non dovuto alcun emolumento per il periodo dal 26 marzo 2021 al 19 luglio 2015, in quanto nel suddetto arco temporale il militare è stato assoggettato alla misura della sospensione precauzionale obbligatoria dall’impiego, ai sensi dell’articolo 922 cod. ord. mil., che rinvia all’articolo 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97;
secondo l’avviso dell’Amministrazione, poiché la condanna in base alla quale è stata disposta tale misura è divenuta definitiva, sarebbe esclusa, per tale arco temporale, la ricostruzione della carriera (v., al riguardo, la memoria dell’Avvocatura dello Stato depositata il 7 giugno 2019, p. 4);

- ha detratto dai residui periodi, ai sensi dell’articolo 921, comma 1, lett. c) , cod. ord. mil., il periodo di tempo corrispondente alla pena detentiva inflitta (tre anni) e alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici (due anni e quattro mesi);

- è, quindi, pervenuta alla conclusione che non residuasse alcun periodo utile in favore del ricorrente.

12.2. Il sig. -OMISSIS- sostiene, invece, che tutti i provvedimenti di sospensione dall’impiego disposti dall’Amministrazione sarebbero stati revocati mediante provvedimenti successivi, a eccezione della sospensione facoltativa disposta con decreto del 10 agosto 2015, ai sensi degli articoli 919, comma 3, lett. a) , e 917, comma 1, cod. ord. mil. Tale sospensione sarebbe, tuttavia, venuta meno ai sensi dell’articolo 917, comma 2, cod. ord. mil., a causa della tardiva contestazione degli addebiti (avvenuta, secondo il ricorrente, il 17 ottobre 2015, quando erano trascorsi più di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento di sospensione, avvenuta il 18 agosto 2015).

La parte evidenzia, ancora, l’annullamento di entrambi i provvedimenti di perdita del grado e sostiene, come detto, che la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici sarebbe giuridicamente inesistente, in quanto mai divenuta definitiva e successivamente annullata.

In conclusione, secondo il sig. -OMISSIS-, l’unico periodo per il quale non spetterebbe la ricostruzione economica corrisponderebbe a quello di sospensione ai sensi dell’articolo 922 cod. ord. amm., che richiama l’articolo 4 della legge n. 97 del 2001, applicato a far data dal 26 marzo 2012. Tale periodo assorbirebbe quello corrispondente alla pena detentiva, ai sensi dell’articolo 921, comma 1, lett. c) , cod. ord. mil., e – conseguentemente – dovrebbe essere bensì escluso dal computo, ma solamente nella misura corrispondente alla predetta pena (tre anni), ossia esclusivamente dal 26 marzo 2012 al 26 marzo 2015. Spetterebbe, invece, la ricostruzione economica della carriera per il periodo dal 27 marzo 2015 al 20 luglio 2015, in quanto periodo di sospensione eccedente rispetto alla pena detentiva irrogata.

12.3. Nella memoria depositata in vista dell’udienza di merito, il ricorrente ha poi affermato che, a seguito dell’anticipazione di 135 giorni della data di fine pena, la ricostruzione economica sarebbe dovuta anche per tali ulteriori 135 giorni.

Ha, quindi, sostenuto che, nell’ambito del periodo di sospensione ai sensi dell’articolo 922 cod. ord. amm. (26 marzo 2012 – 20 luglio 2015), il periodo corrispondente alla pena detentiva coprirebbe esclusivamente l’arco temporale dal 26 marzo 2012 al 10 novembre 2014. Per tutti i rimanenti periodi spetterebbe, invece, la ricostruzione economica della carriera.

13. Ciò posto, rileva il Collegio che, come correttamente evidenziato dal decreto del 28 settembre 2018, la ricostruzione giuridica ed economica della carriera spetta al ricorrente “ secondo i criteri dettati dal combinato disposto di cui agli articoli 918, comma 1 lettera c), e 921, commi 1 e 2, lettere a), b), e c), del Codice dell’Ordinamento Militare ”.

In base al richiamato articolo 918, comma 1, cod. ord. mil., “ La sospensione è revocata retroattivamente a tutti gli effetti: (...) c) se, per i medesimi fatti contestati in sede penale, il procedimento disciplinare si esaurisce senza dar luogo a sanzione di stato, ovvero si conclude con l’irrogazione della sospensione disciplinare per un periodo che non assorbe quello sofferto a titolo di sospensione precauzionale ”.

A sua volta, l’articolo 921, comma 1, cod. ord. mil. dispone che “ In caso di revoca della sospensione, ai sensi dell’articolo 918, comma 1, il militare ha diritto a tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario ”.

In base al successivo comma 2, inoltre, “ Dall’importo determinato ai sensi del comma 1 si deduce:

a) l’assegno alimentare corrisposto;

b) ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito in dipendenza di prestazioni e attività svolte grazie alla sospensione dal servizio;

c) il periodo di tempo corrispondente alla pena detentiva inflitta, nonché all’interdizione temporanea dai pubblici uffici e alle altre pene accessorie che comunque incidono sul rapporto di servizio, ancorché tali pene non sono state in concreto scontate, ovvero sono state dichiarate estinte;
(...)
”.

13.1. Rileva il Collegio che, ai fini della qualificazione dei periodi di sospensione dal servizio, entrambe le parti muovono da prospettazioni che non risultano pienamente condivisibili.

13.2. Il ricorrente evidenzia che tutti i periodi di sospensione disposti sono stati revocati. A suo avviso, la revoca avrebbe comportato la rimozione ex tunc di tutti tali provvedimenti e, conseguentemente, la necessità di operare, per quegli stessi periodi, la ricostruzione della carriera del militare, escluso soltanto il periodo corrispondente alla pena detentiva.

13.2.1. Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che – secondo quanto sopra riportato – i provvedimenti di sospensione sono stati revocati espressamente ciascuno dal successivo, semplicemente in considerazione del mutamento della situazione del militare. Tali revoche espresse non hanno, quindi, comportato il venir meno ex tunc dei provvedimenti di sospensione revocati, ma solo la loro cessazione e sostituzione, con effetto ex nunc , ad opera di successivi provvedimenti di sospensione del militare a diverso titolo.

13.2.2. Non risulta, poi, che il periodo di sospensione facoltativa disposto con il decreto del 10 agosto 2015, ai sensi degli articoli 919, comma 3, lett. a) , e 917, comma 1, cod. ord. mil., sia venuto meno a causa della tardiva contestazione degli addebiti.

E ciò in quanto la sospensione non era stata disposta in vista dell’esercizio dell’azione disciplinare (ai sensi dell’articolo 917, comma 2, cod. ord. mil.), bensì durante il procedimento disciplinare (ai sensi dell’articolo 917, comma 1, cod. proc. amm.), e la contestazione degli addebiti era già avvenuta con atto del 23 luglio 2015 (richiamato nelle premesse del medesimo decreto del 10 agosto 2015), che è stato notificato il 27 luglio 2015 (cfr. documentazione depositata dall’Amministrazione).

13.2.3. Non risulta, inoltre, che i provvedimenti di sospensione siano stati annullati in sede giurisdizionale ovvero in via di autotutela.

13.3. Vero è, tuttavia, che – contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione – tutti i provvedimenti di sospensione, benché revocati solo ex nunc ciascuno dal successivo, sono poi venuti meno ex tunc , in applicazione dell’articolo 918, comma 1, lett. c) , cod. ord. mil., sopra riportato.

L’annullamento del provvedimento disciplinare di stato irrogato nei confronti del ricorrente ha posto, infatti, il medesimo militare nella situazione prevista dalla suddetta disposizione, la quale stabilisce la caducazione retroattiva della sospensione del militare quando il procedimento disciplinare “ si esaurisce senza dar luogo a sanzione di stato ”.

Del resto, ciò è stato espressamente riconosciuto dall’Amministrazione con il decreto del 28 settembre 2018, che ha richiamato il predetto articolo 918, comma 1, lett. c) , cod. ord. mil.

13.4. Posto, quindi, che tutti i provvedimenti di sospensione sono cessati, deve farsi applicazione dell’articolo 921, comma 1, cod. ord. mil., sopra riportato e parimenti richiamato nel decreto ministeriale 28 settembre 2021.

In base alle previsioni ivi dettate, per i relativi periodi spettano al militare gli assegni non percepiti, dedotti – oltre all’assegno alimentare e agli eventuali emolumenti percepiti aliunde – anche il trattamento economico relativo al periodo della pena detentiva inflitta, nonché all’interdizione temporanea dai pubblici uffici e alle altre pene accessorie comunque incidenti sul rapporto di servizio.

14. Chiarito il punto che precede, occorre quindi stabilire se il periodo dal 26 marzo 2012 al 19 luglio 2015, corrispondente alla sospensione precauzionale disposta ai sensi dell’articolo 922 cod. ord. mil., che richiama l’art. 4 della legge n. 97 del 2001, resti comunque sottratto alla ricostruzione, unitamente alla durata della pena detentiva e di quella accessoria (come sostenuto dall’Amministrazione), ovvero sia assorbito dalla pena detentiva, per la parte in cui corrisponda alla pena stessa, e per la rimanente parte sia soggetto alla restitutio in integrum (come sostenuto dal ricorrente).

14.1. Al riguardo, il Collegio ritiene di dover fare proprio l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, la quale, pronunciandosi con riferimento all’istituto della sospensione precauzionale obbligatoria dal servizio del pubblico dipendente, ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 97 del 2001, ha evidenziato come quest’ultima disposizione preveda “ una ipotesi di sospensione obbligatoria, come quella conseguente alla adozione di misure custodiali penali, non accompagnata, tuttavia, dalla impossibilità oggettiva ed assoluta del lavoratore a rendere la prestazione, come accade in ipotesi di sottoposizione a misura restrittiva della libertà personale ” e ha ritenuto che “ in tale evenienza debbano applicarsi i principi enunciati per la sospensione facoltativa ”.

In questa prospettiva, la Corte ha affermato che “ la natura cautelare della misura della sospensione comporta la sua provvisorietà e rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti (per tutte: Cass., sez. lav., 19 marzo 2019 n. 7675, punto 3 e giurisprudenza ivi citata) ” e che “ A voler ammettere che gli effetti della sospensione, in particolare quanto alla perdita della retribuzione, possano divenire definitivi in mancanza del procedimento disciplinare - o a prescindere dall’esito di tale procedimento - si attribuirebbe a tale istituto natura di sanzione automatica, svincolata dall’accertamento di responsabilità per il fatto di reato e, comunque, anche nell’ipotesi di condanna penale, dalla verifica delle ricadute del reato commesso sull’assetto degli interessi regolati dal contratto di lavoro ”.

Sulla scorta di questi argomenti, la Corte è quindi pervenuta a sancire il principio di diritto secondo il quale “ La sospensione obbligatoria dal servizio del dipendente pubblico ai sensi della L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 4 costituisce misura cautelare di carattere interinale il cui esito è legato agli sbocchi del procedimento disciplinare, restando giustificata solo ove la sanzione inflitta sia di gravità pari o maggiore della sospensione applicata. Ove il procedimento disciplinare non venga attivato o la sanzione inflitta sia di minor gravità al dipendente è dovuta la restitutio in integrum in relazione al periodo di sospensione cautelare non legittimato dalla sanzione irrogata. L’onere della amministrazione di dare avvio al procedimento disciplinare sussiste a tal fine anche in ipotesi di cessazione medio tempore del rapporto di lavoro ” (Cass. civ., sez. lav., 18 febbraio 2021, n. 4411).

14.2. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, deve pervenirsi alla conclusione che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Amministrazione, il periodo di sospensione precauzionale obbligatoria debba essere preso in considerazione, in linea di principio, ai fini della ricostruzione della carriera, in quanto il mancato riconoscimento della retribuzione dovuta per tale periodo può giustificarsi soltanto se, e per la parte in cui, trovi copertura nell’applicazione di una sanzione disciplinare o – deve aggiungersi – in un altro titolo che sorregga la sospensione dell’obbligo retributivo del datore di lavoro.

14.3. È, perciò, sostanzialmente corretta la tesi del ricorrente, laddove la parte sostiene che il periodo di sospensione precauzionale obbligatoria ai sensi dell’articolo 922 cod. ord. mil. debba essere escluso dalla ricostruzione per la sola parte in cui corrisponde alla misura della pena detentiva, atteso che tale pena – come più volte detto – deve essere sottratta al computo ai sensi dell’articolo 921, comma 1, lett. c) , cod. proc. amm.

Non può, invece, essere condivisa la prospettazione dell’Amministrazione, la quale esclude dai periodi utili al ricorrente quello corrispondente alla sospensione precauzionale obbligatoria per condanna penale e poi sottrae ulteriormente, oltre a tale periodo, anche quello corrispondente alla pena irrogata. A ben vedere, l’Amministrazione perviene, per questa via, ad effettuare una duplicazione della decurtazione, che tuttavia non può ritenersi corretta, atteso che – secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione – il periodo di sospensione precauzionale obbligatoria deve essere oggetto di restitutio in integrum ove non risulti coperto, ex post , da un titolo idoneo a giustificare la mancata corresponsione della retribuzione.

15. Ciò posto, occorre chiedersi in che misura debba essere computata la pena detentiva per la quale al ricorrente non spetta la ricostruzione della carriera.

Come detto, nel ricorso il sig. -OMISSIS- fa riferimento al periodo di tre anni, corrispondente alla durata della pena inflitta, mentre nella memoria depositata in prossimità dell’udienza la medesima parte ricorrente chiede che si faccia riferimento alla pena effettivamente scontata, tenendo conto dell’anticipazione della fine della pena di 135 giorni.

15.1. Al riguardo, deve rilevarsi anzitutto che la richiesta operata con la memoria depositata in prossimità dell’udienza non può essere presa in considerazione, in quanto “ nel processo amministrativo sono inammissibili le censure dedotte in memoria non notificata alla controparte sia nell’ipotesi in cui risultino completamente nuove e non ricollegabili ad argomentazioni espresse nel ricorso introduttivo sia quando, pur richiamandosi ad un motivo già ritualmente dedotto, introducano elementi sostanzialmente nuovi o in origine non indicati, con conseguente violazione del termine decadenziale e del principio del contraddittorio, essendo affidato alla memoria difensiva il solo compito di una mera illustrazione esplicativa dei precedenti motivi di gravame senza possibilità di ampliare il thema decidendum” (Cons. Stato, Sez. III, 4 gennaio 2021, n. 68;
Id., 9 luglio 2014, n. 3493).

15.2. In ogni caso, a prescindere dai predetti profili di inammissibilità, la pretesa del ricorrente di escludere dalla ricostruzione della carriera il periodo corrispondente alla sola pena detentiva effettivamente scontata è infondata pure nel merito.

L’articolo 921, comma 2, lett. c) , cod. ord. mil. stabilisce infatti espressamente che la ricostruzione non spetti per tutto il periodo corrispondente alla pena detentiva inflitta, ancorché non sia stata in concreto scontata ovvero sia stata dichiarata estinta.

15.3. Deve, perciò, concludersi nel senso che la pena detentiva debba essere esclusa dalla ricostruzione economica della carriera nella misura in cui è stata inflitta con la sentenza penale di condanna, a prescindere dalla misura della pena effettivamente scontata.

16. Rimane da chiarire la questione concernente la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, sulla quale le posizioni delle parti sono nettamente divergenti.

Il ricorrente sostiene, infatti, che tale pena sarebbe radicalmente inesistente, in quanto il provvedimento del Giudice dell’esecuzione che ne ha disposto l’applicazione sarebbe stato annullato con rinvio e seguito dalla revoca ex tunc della pena stessa, come dimostrato anche dal fatto che la pena accessoria non figura nel certificato del casellario penale.

La difesa erariale afferma, invece, che la pena sarebbe stata effettivamente comminata e mai caducata, in quanto il Giudice dell’esecuzione ne avrebbe disposto soltanto la cessazione ex nunc .

16.1. Sulla base della documentazione versata in atti, emerge quanto segue.

La pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per due anni e quattro mesi non era stata indicata nella sentenza di condanna, ma è stata applicata, su istanza del Pubblico ministero, con l’ordinanza n. 61/2016 del 20 maggio 2016 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, il quale ha richiamato, al riguardo, “ l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale è ammessa l’integrazione, anche in sede esecutiva, della sentenza che abbia omesso la condanna alla pena accessoria, non rimessa alla valutazione discrezionale del giudice né nell’applicabilità, né nella specie, né nella durata, né nella determinazione delle modalità di esecuzione, ma predeterminata in ognuno di tali elementi dalla legge ”.

Avverso tale ordinanza il sig. -OMISSIS- ha proposto ricorso per Cassazione, con il quale ha evidenziato che il Pubblico ministero aveva richiesto la pena accessoria dell’estinzione del rapporto di pubblico impiego, mentre il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato la diversa pena dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Per questa ragione, il ricorrente ha domandato l’annullamento senza rinvio della predetta ordinanza.

La Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, con sentenza n. 26566 del 5 aprile – 26 maggio 2017, ha rilevato che si versava “ in una ipotesi di pronuncia del giudice dell’esecuzione in merito ad una richiesta di applicazione della pena accessoria ” e che, quindi, dovevano trovare applicazione gli articoli 676, comma 1, cod. proc. pen., che prevede la competenza del giudice dell’esecuzione in ordine alle pene accessorie, e 667, comma 4, cod. proc. pen., in base al quale il Giudice dell’esecuzione decide senza formalità con ordinanza, avverso la quale è ammessa opposizione davanti allo stesso Giudice, ai sensi dell’articolo 666 cod. proc. pen.

La Corte ha quindi statuito nei termini seguenti: “ Qualifica il ricorso come opposizione e dispone la trasmissione degli atti al G.i.p. del Tribunale di Roma ”.

Si è tenuta successivamente, presso il Giudice per le indagini preliminari di Roma, l’udienza in camera di consiglio del 15 febbraio 2018, in occasione della quale – secondo quanto risultante dal relativo verbale – riferendosi alla pena accessoria, “ Il difensore chiede che venga immediatamente revocata in virtù della circostanza che la stessa pena accessoria stabilita da questo giudice è in esecuzione da maggio 2016 ”.

Il Giudice, quindi, “ vista l’ordinanza della Corte di Cassazione del 7/4/2017 dispone la revoca immediata della pena accessoria comminata con ordinanza del 20/5/2016. Il difensore fa altresì presente che la pena accessoria è in esecuzione da circa due anni. Dispone trasmettersi gli atti al PM ”.

16.2. Al riguardo, deve rimarcarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di Cassazione non ha affatto annullato con rinvio l’ordinanza di applicazione della pena accessoria da parte del Giudice dell’esecuzione, ma ha soltanto riqualificato il ricorso come opposizione al medesimo Giudice, rimettendo le parti innanzi a quest’ultimo.

Sotto altro profilo, si osserva che il tenore del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari non esplicita le ragioni per le quali è stata disposta la revoca della pena accessoria.

Al riguardo, il ricorrente sostiene che, poiché il predetto Giudice era chiamato a pronunciarsi sul ricorso con il quale si chiedeva l’annullamento dell’ordinanza di applicazione della pena accessoria, la revoca dovrebbe intendersi come caducazione retroattiva della pena originariamente applicata.

Deve, tuttavia, rilevarsi che la predetta ordinanza:

- dà atto dell’esecuzione della pena accessoria per circa due anni;

- stabilisce la revoca, con effetto immediato, della pena, ma non dispone l’annullamento dell’ordinanza in forza della quale la medesima pena era stata applicata.

Tali dati inducono a ritenere che la decisione del Giudice abbia avuto esclusivamente l’effetto di disporre la cessazione dell’esecuzione della pena accessoria, ma non abbia fatto venire meno il provvedimento giurisdizionale con il quale la pena stessa era stata inflitta.

16.3. Spostandosi dal versante penale a quello amministrativo, deve poi ricordarsi che, con il decreto in data 11 settembre 2017 – sopra richiamato – la Direzione generale per il personale militare, nel dare esecuzione alla sentenza del Giudice amministrativo che aveva annullato il provvedimento recante la perdita del grado per condanna penale, ha espressamente stabilito che, a far data dal 14 ottobre 2015 (giorno in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza dell’irrevocabilità della sentenza di condanna della Corte d’appello), “ il Militare in argomento è impossibilitato a prestare la propria attività lavorativa in esecuzione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 2 (due) anni e 4 (quattro) mesi, applicata dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, con ordinanza n. 61/2016 del 20 maggio 2016 ”.

La predetta statuizione, direttamente incidente sullo status del militare, non risulta essere stata impugnata dal sig. -OMISSIS-, benché alla data del predetto decreto il militare avesse già impugnato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari recante l’applicazione della pena accessoria.

16.4. Emerge, quindi, che la pena accessoria ha trovato effettiva esecuzione, impedendo in concreto lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Ne deriva che, in ogni caso, la durata della pena accessoria non può essere riconosciuta in favore del ricorrente, in forza del principio – desumibile dall’articolo 921, comma 1, lett. f) , cod. ord. pen. – in base al quale, anche in caso di proscioglimento, non spettano al militare gli assegni che avrebbe potuto percepire nel periodo in cui, a causa di un provvedimento del giudice penale, non abbia potuto effettivamente svolgere la propria prestazione lavorativa.

Il predetto articolo 921, comma 1, lett. f) , cod. ord. pen. esclude, infatti, la ricostruzione economica della carriera per il periodo di corrispondente alla detenzione e a ogni altra misura cautelare interdittiva, coercitiva o misura di prevenzione che abbia reso impossibile la prestazione del servizio, nonostante il successivo proscioglimento. Situazione, questa, alla quale va assimilato – stante il ricorrere dell’ eadem ratio – il caso di impossibilità della prestazione dovuta all’applicazione di una pena accessoria che, volendo seguire la tesi del ricorrente, sia stata poi caducata retroattivamente.

D’altro canto, il venir meno dell’obbligo del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione per tutto il periodo di impossibilità del dipendente a rendere la prestazione, per effetto di provvedimenti del giudice penale, è stato affermato anche nella sentenza sopra richiamata della Corte di Cassazione (n. 4411 del 2021).

Occorre, inoltre, osservare che la pena accessoria è stata computata dall’Amministrazione non già dalla data di pronuncia dell’ordinanza che ne ha disposto l’applicazione, bensì a decorrere dal 14 ottobre 2015, secondo quanto stabilito nel decreto dell’11 settembre 2017. La pena, perciò, risulta essersi posta quale causa ostativa alla prestazione del servizio per la sua intera durata, atteso che la cessazione della medesima pena è avvenuta soltanto a seguito dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del 15 febbraio 2018.

16.5. Deve, perciò, concludersi che – ai fini della ricostruzione della carriera del militare – la pena accessoria di due anni e quattro mesi debba essere detratta dai periodi per i quali spetta la corresponsione degli assegni, perché: (i) non risulta essere stato mai annullato il provvedimento del Giudice penale che l’ha disposta;
(ii) il provvedimento amministrativo che ha cristallizzato nella carriera del militare il periodo di applicazione della suddetta pena non è stato impugnato;
(iii) l’applicazione della pena ha impedito l’effettivo svolgimento del servizio per la sua intera durata.

17. Alla luce di quanto sopra detto, il Collegio ritiene che la ricostruzione economica della carriera del ricorrente, in relazione al periodo dal 20 luglio 2010 (data di decorrenza della prima sospensione) al 3 ottobre 2018 (stante la reintegrazione dal successivo 4 ottobre), debba avvenire decurtando dal suddetto arco temporale:

- il periodo di tre anni, corrispondente alla pena detentiva inflitta;

- l’ulteriore periodo di due anni e quattro mesi corrispondente alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

18. Secondo i principi, sulle somme liquidate in favore del dipendente spetta la corresponsione degli accessori, i quali hanno “ funzione adeguatrice del credito, nel senso che (...) sono configurati come elementi essenziali del credito principale che concorrono ad esprimerne l’esatta entità al momento della liquidazione, avendo natura di componenti necessarie del credito originario, come tali destinate ad entrare nel patrimonio del lavoratore indipendentemente dall’effettività del danno, per il solo fatto che il pagamento avvenga con ritardo rispetto alla maturazione del diritto ” (cfr. Cass. civ., SS.UU., 4 luglio 2016, n. 13573), da calcolarsi con le modalità previste dall’articolo 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che richiama l’articolo 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, per il quale “ L’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito ” (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 24 giugno 2020, n. 4048).

19. In definitiva, la domanda qui scrutinata deve essere accolta in parte e, per l’effetto, deve dichiararsi dovuta al ricorrente la ricostruzione economica della carriera nei sensi e nei termini sopra illustrati.

20. L’Amministrazione dovrà, quindi, provvedere nuovamente alla liquidazione degli emolumenti spettanti al ricorrente, attenendosi ai principi sopra enunciati.

Non può, invece, trovare accoglimento l’istanza di parte ricorrente di ottenere sin d’ora la nomina di un commissario ad acta per il caso di ulteriore inadempimento dell’Amministrazione, con condanna di quest’ultima al pagamento della sanzione pecuniaria di cui all’articolo 114, comma 4, cod. proc. amm. La domanda scrutinata nella presente sede non attiene, infatti, all’esecuzione del giudicato, come sopra detto. Il Collegio non ravvisa, inoltre, i presupposti per disporre ulteriori misure ai sensi dell’articolo 34, comma 1, lett. e) , cod. proc. amm.

21. L’esito del giudizio e la complessità delle questioni affrontate sorreggono la compensazione delle spese processuali tra le parti.

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