TAR Napoli, sez. II, sentenza 2011-11-04, n. 201105148
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 05148/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02478/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 2478/10 R.G., proposto da:
G S, nella qualità di procuratore generale di V S, rappresentato e difeso dall'avvocato R B, con domicilio eletto presso la stessa in Napoli, via Tino di Camaino n.6;
contro
Comune di San Giuseppe Vesuviano, in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dall'avvocato M R, con il quale ha eletto domicilio in Napoli, piazza Sannazaro,71, presso l’avvocato V.Barone;
nei confronti di
G T, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- dell'ordinanza di demolizione n.37/2010del responsabile del servizio gestione del territorio-ufficio abusivismo edilizio del comune di San Giuseppe Vesuviano.
- del diniego di condono edilizio sull’istanza n. 12403 del 30 aprile 1986;
- del diniego di condono edilizio sull’istanza n. 12394 del 30 aprile 1986.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giuseppe Vesuviano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Data per letta nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2011 la relazione del consigliere Paolo Corciulo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il signor V S in data 10 settembre 1992 acquistava dal signor P T un immobile sito in San Giuseppe Vesuviano e realizzato previo rilascio della concessione edilizia n. 168 del 1977 in favore della signora F C (deceduta), madre del Tessitore e successiva sua donante;poichè alcune parti dell’immobile erano state costruite in assenza di titolo edilizio, in data 30 aprile 1986, il signor P T e la signora F C presentavano due istanze di condono, la prima, recante il n. 12394, al fine di sanare una superficie utile di mq 112,88 ed una non residenziale di mq. 189,48, la seconda, recante il n. 12403, per una superficie utile di 5,60 ed una non residenziale di mq. 117,78. Della pendenza dei due procedimenti di condono veniva fatta espressa menzione nel contratto nel quale era, anzi, previsto che tutto quanto riguardava il condono sarebbe stato a carico dell’acquirente.
Il signor P T, ormai nuovo proprietario, aveva più volte rappresentato al Comune di San Giuseppe Vesuviano tale sua qualità, avendo avanzato richiesta di copia degli atti delle pratiche di condono con nota n. 4594 del 18 dicembre 2009, avendo comunicato il cambio di proprietà con nota del 28 gennaio 2010, oltre ad essere intervenuto spontaneamente nel procedimento, giusta istanza del 3 marzo 2010.
L’istruttoria dei due procedimenti di condono si era sviluppata attraverso due richieste di integrazione documentale del 27 febbraio 1987 n. 6174 e del 4 marzo 1987 n. 6645, rimaste prive di riscontro, tant’è che il Comune di San Giuseppe Vesuviano con provvedimenti nn. 6129 e 6130 del 1° dicembre 2009 ne aveva dichiarata l’improcedibilità.
In seguito, con nota n. 240, diretta alla signora F C e nota n. 241, indirizzata al signor P T, entrambe del 21 gennaio 2010, l’Amministrazione comunicava ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i. i seguenti motivi ostativi all’accoglimento delle istanze di condono: 1) la zona in cui sorge l’immobile abusivo è sottoposta a vincolo paesaggistico;2) l’intero territorio comunale di San Giuseppe Vesuviano è sottoposto a vincolo di inedificabilità assoluta residenziale ai sensi della legge regionale 10.12.2003 n. 21;3) le pratiche non risultano mai integrate e comunque non valutabili, sebbene vi fosse stata una precedente richiesta in tal senso.
Il preavviso di rigetto relativo al procedimento di condono presentato dalla signora C, essendo la stessa nel frattempo deceduta, veniva comunicata agli eredi T P, T A, T E, T A e T M E.
Con nota n. 502 del 1° febbraio 2010 il Comune di San Giuseppe Vesuviano, in riscontro ad una comunicazione del signor P T, il quale rappresentava di avere venduto l’immobile al signor V S, confermava che ogni comunicazione relativa alla istanza di condono sarebbe stata indirizzata solo al richiedente la sanatoria, quale responsabile dell’abuso.
Con un primo provvedimento, comunicato in data 8 febbraio 2010, il Comune di San Giuseppe Vesuviano respingeva l’istanza di condono presentata dal signor P T recante il n. 12394, mentre con atto n. 11224 del 4 marzo 2010 veniva rigettata l’istanza n. 12403 presentata dalla signora C, provvedimento di cui veniva data successiva comunicazione agli eredi.
Le ragioni del diniego, in entrambi i casi, erano individuati nei tre motivi ostativi indicati nel preavviso di rigetto, a cui si aggiungeva che la pratica risultava incompleta dei versamenti dell’oblazione come indicata dal richiedente.
Con istanza del 3 marzo 2010 il signor V S, rappresentando di avere avuto notizia del diniego di condono opposto al signor P T, nonché delle ragioni su cui esso si fondava, chiedeva al Comune di San Giuseppe Vesuviano, previo annullamento in autotutela, di essere rimesso in termini per completare l’istruttoria.
Con ordinanza n. 37 del 12 marzo 2010 veniva ingiunta agli eredi C ed signor P T la demolizione delle opere abusive.
Avverso tale ordinanza e contro i provvedimenti di diniego di condono ha proposto ricorso a questo Tribunale Amministrativo Regionale il signor G S, nella qualità di procuratore generale del signor V S, chiedendone l’annullamento previa concessione di idonee misure cautelari.
Relativamente al diniego di condono il ricorrente ha proposto tre motivi di impugnazione.
Innanzitutto, è stato dedotta la violazione delle fondamentali garanzie partecipative procedimentali in favore del ricorrente, divenuto da tempo proprietario dell’immobile interessato dalle istanze di condono, circostanza di cui il Comune di San Giuseppe Vesuviano avrebbe dovuto tenere conto, in vista di un’azione amministrativa imparziale e coerente con i canoni di buona amministrazione.
Con il secondo motivo è stato rilevato che il vincolo paesaggistico ritenuto ostativo dal Comune resistente in realtà non era assoluto, ma relativo, per cui occorreva il previo rilascio del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo, secondo il disposto normativo di cui all’art. 32 della legge n. 47/85. Con la stessa censura è stata poi contestata la ragione di diniego individuata nel divieto di rilascio di titoli edilizi nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana di cui alla legge regionale n. 21/03, in quanto tale disciplina ha inteso limitare l’edilizia residenziale unicamente a decorrere dalla sua entrata in vigore, ossia il 16 dicembre 2003, laddove gli abusi da condonare erano stati realizzati entro la data del 1° ottobre 1983.
Con il terzo motivo di impugnazione sono state poi contestate le ulteriori ragioni di diniego, ossia mancata allegazione dei versamenti dell’oblazione e incompletezza documentale, dal momento che sarebbe dovere del responsabile del procedimento consentire al ricorrente, ormai nuovo proprietario, di sanare tali carenze.
Con riferimento invece all’ordinanza di demolizione, con il quarto motivo ne è stata dedotta l’illegittimità derivata rispetto ai dinieghi di condono;con la quinta censura si è poi dedotto che l’ingiunzione di demolizione è stata indirizzata ai soli soggetti richiedenti il condono e non anche al ricorrente, in qualità di proprietario, nonostante l’art. 31 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 individui quali destinatari delle misure repressive degli abusi edilizi il proprietario e l’autore dell’abuso;in questo modo si era determinata anche in questo caso la pretermissione di ogni garanzia partecipativa, a nulla rilevando la notificazione dell’ordinanza effettuata al ricorrente solo “per conoscenza”.
Infine, ulteriore vizio di legittimità consisteva nel fatto che il Comune di San Giuseppe Vesuviano aveva ordinato la demolizione delle opere abusive, senza verificare che il ripristino avrebbe cagionato grave pregiudizio alle opere legittimamente eseguite, per cui avrebbe dovuto l’amministrazione resistente in alternativa disporre il pagamento di una sanzione pecuniaria.
Si è costituito in giudizio il Comune di San Giuseppe Vesuviano concludendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare. In particolare, secondo la difesa dell’ente era stata correttamente presa in considerazione la posizione dei soli soggetti richiedenti il condono, ossia i venditori, ai sensi degli artt. 6 e 30 della legge n. 47/85;inoltre, si trattava di attività vincolata e né sono state allegate circostanze utili tali da indurre a modificare il provvedimento di demolizione;è stato poi rilevato che le pratiche edilizie di condono non sono mai state integrate della documentazione mancante, il che già era stato sanzionato con l’improcedibilità della domanda;inoltre, riguardo all’oblazione, l’Amministrazione evidenziava che nulla è mai stato versato;infine, l’ordinanza di demolizione era stata correttamente notificata agli autori dell’abuso, ossia i venditori.
Alla camera di consiglio del 10 febbraio 2011 con ordinanza n. 300, il Collegio respingeva la domanda cautelare, provvedimento confermato in grado di appello con ordinanza n. 1770/11 del 20 aprile 2011 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato.
All’udienza di discussione del 20 ottobre 2011, in vista della quale sono state depositate memorie conclusionali e documentazione, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Con riferimento alla prima censura, con cui è stata contestata la mancanza delle necessarie garanzie partecipative in favore del ricorrente, va rilevato che l’art. 35 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 stabilisce espressamente che “il diniego di sanatoria è notificato al richiedente”, dando ragione sia della necessità di una notificazione del provvedimento negativo, sia del fatto che unico destinatario della stessa debba essere colui che ha attivato il procedimento. Quindi, dalla chiara lettera della legge si evince che nessun obbligo incombeva sul Comune di San Giuseppe Vesuviano di individuare come destinatario del provvedimento di rigetto, oltre al richiedente – di cui nessuna norma, tra l’altro, prevede l’esclusione in caso di alienazione - anche l’eventuale acquirente dell’immobile interessato in tutto o in parte dalla sanatoria. Del resto, una simile stringente applicazione del dato normativo trova ragionevole rispondenza in evidenti esigenze di certezza e celerità che devono assistere procedimenti e provvedimenti riguardanti beni ed interessi di rilevanza generale, come la tutela del territorio, soprattutto ove con la stessa venga ad interferire un regime derogatorio quale quello introdotto da norme di sanatoria di interventi realizzati in assenza di titolo edilizio o in difformità dalla disciplina urbanistica vigente;ne discende che del tutto ragionevolmente il legislatore ha indicato il solo richiedente come soggetto interlocutore del procedimento di condono, nonché quale formale destinatario del provvedimento finale, affidando alla tutela predisposta dal diritto civile ogni questione che possa sorgere da eventuali vicende traslative di diritti dominicali interessanti le opere e gli immobili per cui è stato richiesto il beneficio urbanistico;vicende, che a ben vedere, poco o quasi nulla rilevano ai fini dell’ordinato sviluppo del territorio cui la disciplina urbanistica si rivolge.
Ovviamente, fermo restando che sotto il profilo della legittimità formale, nessun obbligo di comunicazione o partecipazione è stato violato dal Comune di San Giuseppe Vesuviano, al ricorrente era sempre possibile partecipare, di sua iniziativa, al procedimento di sanatoria in qualità di interventore e portatore di un interesse privato;ebbene, in tale veste il ricorrente, V S, sebbene fin dall’acquisto dell’immobile, avvenuto nel 1992, fosse a conoscenza della pendenza del procedimento di condono, non ha depositato se non un’istanza di rilascio di copie del 17 dicembre 2009 ed osservazioni di merito – quelle del 3 marzo 2010 – che sono di epoca successiva alla conclusione del procedimento e quindi a volte ad un riesame del diniego su cui non sussisteva per l’Amministrazione alcun obbligo di provvedere.
Ne discende anche l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, con cui il Solimene, nel contestare nuovamente la violazione del principio partecipativo, ha rilevato che, diversamente, avrebbe non solo potuto integrare la documentazione originaria per la definizione del procedimento di sanatoria, ma anche allegare quella relativa all’avvenuto pagamento dell’oblazione;invero, se è vero che al ricorrente non spettava la comunicazione di cui all’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, in quanto egli non può considerarsi soggetto “istante” ai sensi dalla suddetta disposizione della legge generale sul procedimento, è anche vero che in veste di interventore, oltre che di persona ben a conoscenza della pendenza del procedimento di sanatoria (pagina 2 del rogito notarile), avrebbe comunque potuto offrire il proprio contributo partecipativo già da lungo tempo, senza attendere l’adozione del diniego per poi limitarsi a stimolare un potere di riesame, meramente facoltativo, con una memoria successiva, a corredo della quale non risulta nemmeno allegato qualche documento idoneo a dimostrare la disponibilità della documentazione mancante e necessaria alla definizione del procedimento.
Quanto al secondo motivo di impugnazione e segnatamente alla ragione ostativa costituita dal divieto di cui alla legge regionale 10 dicembre 2003 n. 21, l’art. 5 della predetta legge stabilisce che “dalla data di entrata in vigore della presente legge, e fino alla vigenza degli strumenti urbanistici generali ed attuativi di cui all'articolo 2, o fino alla vigenza degli strumenti urbanistici così come adeguati ai sensi dell'articolo 3, o fino alla vigenza delle varianti di cui all'articolo 4, nei comuni individuati all'articolo 1 è vietato il rilascio di titoli edilizi abilitanti la realizzazione di interventi finalizzati all'incremento dell'edilizia residenziale, come definiti dall'articolo”. Il medesimo articolo, al secondo comma, stabilisce che ”restano esclusi dal divieto di cui al comma 1 gli adeguamenti funzionali e di natura igienicosanitaria degli immobili esistenti nonché gli interventi di ristrutturazione edilizia, anche mediante demolizione e ricostruzione in altro sito, in coerenza con le previsioni urbanistiche vigenti, a condizione che almeno il cinquanta per cento della volumetria originaria dell’immobile sia destinata ad uso diverso dalla residenza”.
Rileva il Collegio che, trattandosi di una disciplina speciale, in quanto posta a tutela dell’incolumità pubblica e privata in ragione del grave rischio vulcanico che interessa l’area vesuviana - in cui ricade anche il territorio del Comune di San Giuseppe Vesuviano - il citato divieto debba essere inteso in senso generale, anche perchè tra le eccezioni contemplate non figura l’ipotesi del condono, ma solo specifiche categorie di intervento con finalità conservative o di adeguamento, tra cui la ristrutturazione, a condizione che la meta della superficie non sia più residenziale;inoltre, sebbene la normativa regionale in questione rispetto al procedimento di condono debba qualificarsi come ius superveniens, non può la mera preesistenza fisica delle opere da condonare ritenersi oggetto di un diritto quesito, assumendo, tra l’altro, il provvedimento di condono efficacia costitutiva e natura di fatto di legittimazione successiva di opere sorte come abusive;né può addursi a giustificazione delle ragioni del ricorrente il notevole ritardo avutosi nella definizione del procedimento di sanatoria, dal momento che ben avrebbero potuto i richiedenti all’epoca attivarsi al fine di superare qualsiasi comportamento inerziale assunto dal Comune di San Giuseppe Vesuviano.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto quanto all’impugnazione del diniego di condono, con inammissibilità per carenza di interesse della contestazione relativa all’esistenza del vincolo paesaggistico, dal momento che il provvedimento impugnato risulta validamente sostenuto da altre autonome ragioni giustificative, per cui dall’eventuale accoglimento della censura in esame non ne conseguirebbe comunque l’annullamento.
Relativamente all’impugnazione dell’ordine di demolizione, va innanzitutto respinta la censura di illegittimità derivata, essendo il presupposto provvedimento di diniego di sanatoria immune dalle censure prospettate del ricorso.
Quanto al vizio di mancata individuazione del ricorrente come destinatario diretto dell’ordine di demolizione, rileva il Collegio che il S V, per sua stessa ammissione, ha comunque ricevuto notificazione di tale provvedimento, sebbene “per conoscenza” (pagina 26 del ricorso), per cui in ogni caso egli è stato reso edotto di un’ingiunzione di cui, a seguito di vicende traslative private, è ora anche diretto destinatario (Consiglio Stato Sezione V, 10 gennaio 2007 n. 40; T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 04 giugno 2010 , n. 2250).
Infine, non risulta meritevole di accoglimento la censura relativa alla mancata valutazione da parte del Comune di San Giuseppe Vesuviano della possibilità di applicare al ricorrente una sanzione pecuniaria piuttosto che la demolizione delle opere non ritenute meritevoli di sanatoria.
Al riguardo, è sufficiente notare che le opere de quibus sono di rilevante entità in sé, oltre che in proporzione alla parte di immobile realizzata legittimamente, per cui nel caso di specie non ricorre un’ipotesi di parziale difformità di cui all’art. 33 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 – in cui è possibile sostituire all’abbattimento una sanzione pecuniaria – trattandosi piuttosto di interventi realizzati in totale difformità, come tali soggetti alla più severa disciplina di cui all’art. 31 che non contempla tale facoltà alternativa ( T.A.R. Campania Sezione II 27 gennaio 2009 n. 443).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di San Giuseppe Vesuviano che si liquidano in complessivi €2.000,00(Duemila/00).