TAR Torino, sez. I, sentenza breve 2016-03-03, n. 201600281
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N. 00281/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01414/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1414 del 2015, proposto da:
A M A M H, rappresentato e difeso dall'avv. N M, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, Via Avigliana, 52;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;
per l'annullamento
del provvedimento del Questore di Torino prot. n. 942/15, emesso in data 19/11/2015 e notificato in data 23/11/2015, con il quale veniva disposto il rigetto della domanda di conversione del permesso di soggiorno, già rilasciato per minore età, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, e di ogni altro atto antecedente, successivo, dipendente, presupposto o comunque connesso
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2016 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente notificato il sig. Hashkil Ahmed Mossad Abdelhamid Mohamed, cittadino egiziano, ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, il provvedimento con il quale, il 13.11.2015, il Questore della Provincia di Torino aveva rigettato la sua domanda di conversione del permesso rilasciato per minore età in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
A sostegno della sua domanda il ricorrente ha dedotto 1) eccesso di potere per carenza dei presupposti ed erroneità nella motivazione in relazione alle situazioni legittimanti la conversione del permesso di soggiorno, 2) violazione dell’art. 32 commi 1 e 1 bis del d.lgs.n. 286/98, 3) violazione dell’art. 33 del d.lgs. n. 286/98, 4) violazione dell’art. 2 della l.n. 184/1983.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.
Alla camera di consiglio del 3.02.2016, fissata per la discussione della sospensiva, la causa è stata, dunque, trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti di legge.
Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha lamentato, in primo luogo, l’erroneità dell’assimilazione della sua condizione, una volta entrato in Italia, a quella di “minore non accompagnato” e la violazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 286/98.
Sottolineando di essere entrato nel territorio nazionale all’età di 17 anni, nel 2013, di essere stato affidato allo zio, il sig. A A E A, residente in Italia, in forza di “Procura Ufficiale Generale” rilasciata dai suoi genitori avanti ad un funzionario del Ministero della Giustizia della Repubblica Araba di Egitto prima della sua partenza, tradotta ed asseverata, e che lo zio, per regolarizzare il suo affidamento, si era tempestivamente rivolto ai Servizi Sociali della Città di Torino (che, pur avendo dichiarato di non aver “raccolto elementi ostativi per la segnalazione a favore di richiesta di permesso di minore età del ragazzo”, non avevano, però, completato la relativa pratica), il ricorrente ha sostenuto che la sua situazione, alla luce delle predette circostanze, fosse divenuta quella di un minore “comunque affidato” ex art. 32 c. 1 d.lgs.n. 286/98, con conseguente possibilità di conversione del suo permesso per minore età in permesso di soggiorno per lavoro subordinato senza la necessità di ulteriori presupposti quali l’inserimento, per un periodo non inferiore a due anni, in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato.
Tale censura è fondata e meritevole di accoglimento.
Per un più completo inquadramento normativo del caso in questione occorre partire dalla definizione di “minore non accompagnato” accolta a livello comunitario e codificata dalla risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26 giugno 1997 in quanto materia di interesse comune agli Stati membri: sono considerati non accompagnati (art. 1 par. 1) “i cittadini di paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che giungono nel territorio degli Stati membri non accompagnati da un adulto per essi responsabile in base alla legge o alla consuetudine e fino a quando non ne assuma effettivamente la custodia un adulto per essi responsabile”. La definizione è ripresa dalla Direttiva 27 gennaio 2003 n. 2003/9/CE sul diritto di asilo e dalla Direttiva 1 dicembre 2005 n. 2005/85/CE sul riconoscimento dello status di rifugiato.
In base alla suddetta definizione la condizione di minore non accompagnato non è cristallizzata al momento dell’ingresso del minore nel territorio nazionale, ma si esaurisce quando subentri una forma legale di affidamento implicante la custodia effettiva da parte di un adulto. Nelle ipotesi di cui agli art. 2 e 4 della legge 184/1983 questo tipo di protezione può considerarsi realizzato, in quanto tali norme prevedono l’inserimento provvisorio del minore in un nuovo ambito familiare con l’assunzione di poteri e obblighi in capo agli affidatari (v. art. 5 della legge 184/1983). La garanzia della valutazione dell’interesse del minore è assicurata dal percorso amministrativo o giudiziario che conduce all’affidamento (v. rispettivamente i commi 1 e 2 dell’art. 4 della legge 184/1983).
“In presenza di affidamento … è dunque, come riconosciuto dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 14.09.2009 n. 1692), direttamente applicabile l’art. 32 comma 1 del D.lgs. 286/1998, il quale consente la conversione del permesso di soggiorno nel caso di minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 184/1983. La circostanza che l’affidamento riguardi minori originariamente non accompagnati è irrilevante, in quanto la formulazione dell’art. 32 comma 1 del Dlgs. 286/1998 si presta a un’interpretazione estensiva, come dimostra la sostanziale assimilabilità dell’affidamento alla tutela (v. C.Cost. 5 giugno 2003 n. 198)” (TAR Piemonte, Sez. II, 18.08.2014 n. 1394).
Rispetto a questo quadro normativo la fattispecie di cui all’art. 32 commi 1-bis e 1-ter del Dlgs. 286/1998 è meramente aggiuntiva e non sostitutiva. Si tratta, in definitiva, di un presupposto autonomo per il rilascio del permesso di soggiorno che non esclude un identico beneficio a favore di quanti, come il ricorrente, durante la minore età siano stati protetti con la nomina di un tutore o l’affidamento familiare. A questa opzione interpretativa ha aderito lo stesso Ministero dell’Interno con la circolare prot. n. 17272/7 del 28 marzo 2008.
Nel caso in questione il ricorrente è giunto sul territorio nazionale dopo essere stato affidato dai genitori allo zio con uno specifico istituto del diritto islamico, la Kafala (riconosciuto nel suo valore dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e citato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (nella sentenza n. 21108 del 15.09.2013) e solo per motivi non dipendenti dalla sua volontà o dalla non tempestiva richiesta di regolarizzazione da parte del suo affidatario non è stato destinatario di un formale provvedimento di affidamento anche in Italia o del parere della Direzione Generale dell’Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Da qui l’assimilabilità della sua situazione a quella di “minore comunque affidato” ai sensi della vigente normativa e la sussistenza, nel diniego di conversione impugnato, dei dedotti vizi di violazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 286/1998 e di eccesso di potere per travisamento dei fatti.
Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato ed assorbimento di ogni altra pretesa, salvo il potere-dovere dell’Amministrazione di ripronunciarsi sulla sua istanza alla luce dei principi di cui in motivazione.
Per la natura della controversia sussistono, infine, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.