TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2017-02-01, n. 201701627

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2017-02-01, n. 201701627
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201701627
Data del deposito : 1 febbraio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/02/2017

N. 01627/2017 REG.PROV.COLL.

N. 09377/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9377 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Credito di Romagna s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati F B, S V, con domicilio eletto presso lo studio F B in Roma, via di Porta Pinciana, 6;

contro

Banca d'Italia, rappresentata e difesa dagli avvocati F S, M C, Ruggero Ippolito, con domicilio eletto presso lo studio M C in Roma, via Nazionale, 91;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Echo s.n.c. di Baruzzi Silvana e Caravita Emanuela, Mirri Dino, Mirandola Laura, Star Grafic s.r.l., Levrano Antonio, Musiani Laika, PI 2000 s.r.l., Foschi Roberto, Foschi Claudio, rappresentati e difeso dall'avvocato Giuseppe Nola, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie, 34;

per l'annullamento

delle misure contenute nella nota della Banca di Italia del 28.6.2016;
delle note del 2-8-2016 e dell’11-10-2016 impugnate con i motivi aggiunti;
nonché di tutti gli atti preordinati e connessi, in particolare le risultanze ispettive.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Banca d'Italia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2017 la dott.ssa C A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Credito di Romagna è stato autorizzato all’esercizio dell’attività bancaria e alla gestione dei servizi di investimento di cui al d.lgs. n. 58 del 1998 con provvedimento della Banca di Italia del 12 marzo 2004. Successivamente con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 20-7-2010, la banca è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 70 comma 1 lettera a) del Testo unico bancario per gravi irregolarità nell’amministrazione e violazioni normative;
la proposta della Banca di Italia era basata sulle problematiche del rapporto tra l’assetto proprietario, collegato anche all’istituto bancario sanmarinese, e gestionale. I più rilevanti soci della banca erano anche soci dell’istituto bancario sanmarinese;
la gestione era, infatti, concentrata nell’amministratore delegato, dott. M, socio anche della banca (18% del capitale) e dell’istituto bancario sanmarinese (3%). Con riferimento a tale circostanza, già nella nota di trasmissione del provvedimento di autorizzazione del 23-3-2004 la Banca di Italia aveva raccomandato agli esponenti della banca di assicurare una netta separazione con l’Istituto bancario Sanmarinese, rispetto alla quale “vi erano collegamenti proprietario gestionali”;
in particolare invitando il dott. M, amministratore delegato, ad optare per cariche nella banca italiana o in quella sanmarinese. Nel corso delle ispezioni 2007, la Vigilanza, pur dando atto del particolare impulso dato all’iniziale sviluppo della banca dal socio e amministratore delegato dott. M, aveva rilevato criticità nel sistema di affidamento dei crediti (inoltre, particolarmente concentrati), espressamente concludendo riguardo agli impieghi che “grazie al buon andamento dell’economia locale il comparto ad oggi presenta contenute aliquote di posizioni anomale e di perdite”.

Nel corso della ispezione compiuta dal 10-2-2010 al 7-5-2010, posta a base del provvedimento di amministrazione straordinaria, erano state riscontrate criticità nei processi creditizi e nelle procedure di controllo della banca, inadeguate rispetto alle cresciute dimensioni della stessa;
nonché il complessivo peggioramento della qualità del credito;
in particolare era stata posta l’attenzione sui finanziamenti effettuati insieme all’istituto bancario sanmarinese e sulla criticità dell’investimento nella società immobiliare Credito di Romagna effettuato nell’ottobre 2008, detentrice unicamente di una area edificabile (operazione finalizzata alla realizzazione di una nuova sede), superando il limite individuale di concentrazione del 25%, senza richiedere la preventiva autorizzazione per l’acquisto della partecipazione all’Autorità di Vigilanza.

Avverso il provvedimento di amministrazione straordinaria e avverso la proposta della Banca di Italia è stato proposto dagli amministratori davanti a questo Tribunale il ricorso n. 3349 del 2011 tuttora pendente.

Con provvedimento del 10-6-2011 la Banca di Italia irrogava sanzioni pecuniarie ai sensi dell’art.144 Testo unico bancario al direttore generale e amministratore delegato, ai consiglieri di amministrazione e ai membri del collegio sindacale (avverso il provvedimento sanzionatorio è stato proposto davanti a questo Tribunale il ricorso n. 9223 del 2011 conclusosi con la sentenza n. 2644 del 2015 che ha dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 95 del 15-4-2014).

Per le operazioni effettuate con l’Istituto bancario Sanmarinese gli esponenti della banca sono stati condannati;
in particolare, gli amministratori e i sindaci per il reato di cui all’art. 132 T.U.B, abusiva attività finanziaria, con sentenza del Tribunale di Forli n. 18 del 2015;
il dott. M con sentenze pronunciate a seguito di patteggiamento dal GIP presso il Tribunale di Forlì n. 235 del 2011 e n. 835 del 2012.

Nel settembre 2011 la Banca di Italia disponeva una proroga tecnica dell’amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 70 comma 6 T.U.B, al fine di permettere la ricostituzione degli organi aziendali sulla base di un piano di discontinutità aziendale che era stato presentato da sei soci titolari del 54% del capitale (Edo Lelli, Manlio Maggioli, Mirella Grilli, Fiorenzo Rivelli, Roberto Valducci, Giovanni M), con la uscita dei soci azionisti anche dell’istituto bancario sanmarinese e il coinvolgimento quale socio industriale nella governance di Veneto Banca.

Sulla base di tale progetto la procedura di amministrazione straordinaria si è conclusa il 30-9-2011 con la ricostituzione degli organi da parte dell’assemblea dei soci.

Successivamente alla ricostituzione degli organi ordinari, la Banca di Italia segnalava già nel corso del 2012 e del 2013 la crescente esposizione al rischio di credito e alla insoddisfacente redditività, il significativo peso della componente subordinata, invitando a interventi di rafforzamento patrimoniale e al rafforzamento delle procedure di controllo del credito e della gestione.

Il 1° agosto 2013 il Credito di Romagna inviava alla Banca di Italia la delibera del consiglio di amministrazione del 25 luglio 2013 di aumento di capitale e il piano di sviluppo territoriale con l’apertura di sei nuove dipendenze. L’aumento di capitale è stato autorizzato ai sensi dell’art. 56 T.U.B.. Per il piano di sviluppo territoriale, con la nota del 29-10-2013, la Banca di Italia comunicava l’avvio del procedimento di diniego, invitando la banca a riconsiderare i progetti di sviluppo in relazione alle problematicità della governance .

Nella ispezione condotta dalla Vigilanza dal 16 giugno al 5 settembre 2014 si rilevavano ancora le problematiche relative alla governance e la carenza di un idoneo assetto organizzativo e di controllo e, inoltre, l’aggravarsi della situazione di rischio e di redditività della banca. In particolare emergeva chiaramente che la gestione della banca era ancora influenzata dal dott. M, che fin dal 30-9-2011 era rimasto consulente strategico della banca, dal 28-2-2013 era di nuovo consigliere di amministrazione e dall’11-7-2013 amministratore delegato e direttore.

Inoltre, gli ispettori, al 31-3-2014 rilevavano partite deteriorate per il 17,9% dei prestiti con il rischio dovuto ad una particolare concentrazione del portafoglio crediti;
la redditività aziendale negativa con incidenza di alti costi operativi;
il mancato rispetto dei requisiti prudenziali;
le carenze nei processi di erogazione del credito.

A seguito di tale ispezione, l’autorità di vigilanza, con provvedimento dell’11-11-2014 comunicava il diniego all’apertura di due nuove succursali nei comuni di Imola e Cesena, nonché disponeva alcune misure ai sensi dell’art. 53 comma 3 lettera b) T.U.B. allora vigente: la presentazione di un progetto di integrazione con un partner bancario forte, la riqualificazione dell’esecutivo, la revisione dei processi creditizi, il recupero di redditività anche tramite un intervento sui costi;
nonché misure ai sensi dell’art. 53 comma 3 lettera d): il rispetto del coefficiente specifico di capitale di prima classe pari all’8%, limite individuale alla concentrazione dei rischi entro il 10% dei fondi propri, con rientro graduale delle posizioni eccedenti e un limite complessivo pari a tre volte i fondi propri;
limite della esposizione nel settore immobiliare pari al 35% rispetto al totale dei prestiti.

Il 28-1-2015 il Presidente del Consiglio di Amministrazione inviava alla Banca di Italia il piano di integrazione con Veneto Banca, che prevedeva misure di rafforzamento patrimoniale, nonché il rinnovo degli organi, di cui la maggioranza avrebbe dovuto essere nominata da Veneto Banca, ma con la conferma del dott. M quale direttore generale (“con deleghe limitate e senza poteri in materia di crediti”).

Poiché Veneto Banca, con la nota del 10-3-2015, comunicava di non potere partecipare al progetto di integrazione a seguito delle indicazioni pervenute dall’Autorità di Vigilanza europea”, il 12-3-2015 il Credito di Romagna inviava un nuovo piano alla Banca di Italia, comunicando l’indisponibilità di Veneto Banca al piano di integrazione in relazione alle indicazioni pervenute dalla BCE, chiedendo di continuare comunque i rapporti con il partner Veneto Banca;
nel piano era previsto un nuovo aumento di capitale per il rafforzamento patrimoniale;
la riorganizzazione aziendale e la sostituzione della maggioranza degli amministratori e sindaci e del direttore generale. Rispetto a tale progetto il collegio sindacale il 13-3-2015 inviava una comunicazione ai sensi dell’art. 52 T.U.B. alla filiale di Forlì della Banca di Italia segnalando l’inadeguatezza del progetto rispetto a quanto indicato dall’autorità di vigilanza.

Il collegio sindacale inviava ulteriori comunicazioni relative alle verifiche effettuate su alcune posizioni di credito (cfr. nota del 30-3-2015) e sulle rettifiche dei crediti deteriorati (comunicazione alla Banca di Italia del 26-5-2015).

Con la comunicazione del 5-6-2015 la Banca di Italia inviava l’autorizzazione all’aumento di capitale richiesto nel progetto del 15-3-2015, disponendo che entro 45 giorni la banca presentasse un altro progetto di integrazione, evidenziando che qualora fosse indicata l’integrazione nella Veneto Banca fosse accompagnato dalle valutazioni di quest’ultima e dalle indicazioni della BCE..

Il 18-6-2015 il Credito di Romagna comunicava che erano in corso contatti con altre banche per raccogliere disponibilità ad un progetto di integrazione e che il dott. M, aveva espresso la volontà di rinunciare alla carica di amministratore delegato rimanendo come consigliere di amministratore (le funzioni di amministratore delegato sarebbero state riassorbite all’interno del Consiglio di amministrazione) e direttore generale.

Il 21-11-2015 l’assemblea dei soci nominava gli amministratori (di cui due già nel consiglio e altri due nuovi successivamente hanno rassegnato le dimissione a febbraio 2016) e un nuovo Collegio sindacale.

Dal 9-12-2015 al 4-3-2016 la Vigilanza della Banca di Italia effettuava una nuova ispezione presso il Credito di Romagna, rilevando che non era stato perseguito alcun effettivo progetto di integrazione con altro istituto né erano stati mutati i vertici dell’esecutivo (solo il 18-2-2016 Veneto Banca ha invitato alle dimissioni da direttore generale e consigliere di amministratore il dott. M).

Nel corso di tale ispezione sono state rilevate le perduranti carenze nei processi creditizi che hanno comportato un ulteriore peggioramento della qualità del credito (partite anomale pari a un quinto dei prestiti) con perdite presunte per il bilancio 2015 pari a 11 milioni di euro, con profili di criticità rispetto all’adeguatezza patrimoniale. La Vigilanza segnalava la criticità in tale contesto del collocamento di prestiti subordinati a clientela retail nel giugno 2015 (oggetto di successiva segnalazione alla Consob). Gli ispettori poi rilevavano anche la problematica dell’apertura di una nuova Filiale a Roma alla fine del 2015 e ponevano particolare attenzione all’aumento di capitale, già effettuato che, peraltro, lasciava il controllo ai soci privati , tra cui il M;
inoltre l’aumento di capitale risultava sottoscritto anche da gruppi economici finanziati dalla banca “in stretta connessione temporale con le sottoscrizioni” e da nominativi segnalati per operazioni sospette ai sensi della legge n. 231 del 2007.

Le criticità del processo creditizio emergevano anche dalle ulteriori erogazioni effettuate nel corso del 2015 a imprese già in grave difficoltà economica o per operazioni rivelatesi poi mai realizzate nonché gli affidamenti concessi a soggetti facenti capo al responsabile dell’area crediti.

Il 28-6-2016, la Banca di Italia, sulla base degli accertamenti ispettivi condotti dalla Vigilanza dal 9-12-2015 al 4-3-2016 e sulle pregresse vicende della banca, rilevava la criticità della situazione aziendale, con riferimento alle perdite di esercizio del 2015 e al mancato rispetto dei coefficienti di adeguatezza patrimoniale, nonché le carenze nel processo di erogazione del credito, che ha comportato l’assunzione di elevati rischi e il conseguente deterioramento degli impieghi;
soprattutto evidenziando le difficoltà della corretta gestione e organizzazione della banca, in particolare per il ruolo ancora determinante svolto dal dott. M, che era stato amministratore delegato della banca prima e dopo l’Amministrazione straordinaria e ricopriva ancora la carica di direttore generale - non era, dunque, intervenuta alcuna discontinuità né l’effettiva integrazione con un idoneo partner industriale - adottava le misure oggetto del presente ricorso, in particolare misure di vigilanza prudenziale, ai sensi dell’art. 53 bis comma 1 lettera b) T.U.B.: scomputo di fondi propri di un importo complessivo pari a 6.200.000;
l’applicazione di coefficienti patrimoniali di capitale primario di classe 1, di capitale di classe 1 e di capitale totale, comprensivi della riserva di conservazione del capitale, pari al 10,5%, vincolanti nella misura del 10,2 %;
il divieto con efficacia immediata e nelle more delle operazioni di aggregazione o della messa in liquidazione della società, di effettuare erogazioni di credito a nuovi clienti e ampliamenti delle linee di credito esistenti;
la restrizione dell’attuale struttura territoriale, mediante la chiusura della dipendenza di Roma;
il divieto all’apertura e trasferimento di sportelli nonchè all’istituzione di una rete di promotori finanziari e delle nuove linee di prodotto prefigurate.

Ritenendo verificati i presupposti indicati dall’art. 69 octies decies T.U.B, ovvero le gravi violazioni normative e le gravi irregolarità nell'amministrazione nonché il significativo deterioramento della situazione della banca, adottava le misure previste dagli articoli 69 vicies semel del testo unico bancario, in particolare: la rimozione di tutti i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale con efficacia differita al momento dell’insediamento dei nuovi organi;
la rimozione con efficacia immediata del direttore generale dott. M;
la convocazione entro 15 giorni dell’assemblea dei soci, da tenersi entro i successivi 30 giorni, per il rinnovo degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo da sottoporre alla Banca di Italia ai sensi dell’art. 69 vicies semel comma 4 T.U.B.;
la nomina di un commissario in temporaneo affiancamento al Consiglio di amministrazione ai sensi dell’art. 75 bis del T.U.B.

Sono state anche disposte misure per il nuovo Consiglio di Amministrazione ai sensi dell’art. 53 bis comma 1 lettera b) T.U.B., ovvero la nomina di un capo dell’esecutivo di adeguata professionalità, da sottoporre all’approvazione della Banca di Italia ai sensi dell’art. 69 vicies semel comma 4 T.U.B.;
la definizione di un progetto di integrazione con un idoneo partner aziendale o un piano di ripatrimonializzazione volto a garantire l’assunzione del controllo da parte di un qualificato investitore professionale;
in caso di aumento di capitale, ai sensi dell’art. 53 comma 1 lettera d), l’astensione dal collocamento dei prestiti subordinati presso la clientela retail.

Avverso tali misure è stato proposto il presente ricorso, formulando le seguenti censure:

- violazione degli articoli 85, 86, 96, 97, 98 del Regolamento UE 468/2014, nonché dell’art. 15 regolamento UE 1024/2013;
violazione dei principi di legittimo affidamento e certezza del diritto;
illogicità intrinseca;
eccesso di potere per contraddittorietà con decisioni e provvedimenti di altra autorità europea;
eccesso di potere per sviamento;
difetto assoluto di motivazione;

- violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 4 comma 3 T.U.B., dell’art. 24 della legge n. 262 del 2005;
nonché delle norme e dei principi in materia di partecipazione al procedimento amministrativo;
violazione delle garanzie del giusto processo, del contraddittorio;
dell’art. 145 del regolamento della Banca di Italia sul procedimento sanzionatorio;
del principio del ne bis in idem;
contraddittorietà intrinseca;
difetto assoluto di motivazione;

- violazione dell’art. 69 vicies semel comma 2 T.U.B., eccesso di potere per difetto e falsità dei presupposti;
eccesso di potere per sviamento;
violazione del principio di proporzionalità;
difetto assoluto di motivazione;

- violazione dell’articolo 53 bis comma 1 lettere b) e d) T.U.B.;
eccesso di potere per difetto e falsità dei presupposti;
contraddittorietà intrinseca;
eccesso di potere nelle forme dello sviamento;
- violazione del principio di proporzionalità;
violazione dell’art. 28 comma 1 lettera b) regolamento Ue 575 del 2013;
eccesso di potere per difetto e falsità dei presupposti;
difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.

Si è costituita la Banca di Italia contestando la fondatezza del ricorso.

Con decreto cautelare dell’8-8-2016 è stata accolta la domanda di tutela monocratica e fissata la camera di consiglio del 14-9-2016, a seguito della quale è stata respinta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato con ordinanza n. 5544 del 2016 confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare con ordinanza n. 5092 dell’11-11 2016.

Con i motivi aggiunti notificati il 31-10-2016 depositati il 9-11-2016 il Credito di Romagna s.p.a. ha impugnato le note della Banca di Italia del 2-8-2016 e dell’11-10-2016, riproponendo avverso tali atti le censure formulate nel ricorso principale.

Successivamente la Banca di Italia, in vista dell’assemblea dei soci convocata per l’11 (prima convocazione) e 12 (seconda convocazione) agosto 2016, con la nota del 2-8-2016, ribadiva la necessità che i nuovi organi garantissero la discontinuità richiesta dalla autorità di vigilanza, il rispetto dei requisiti richiesti per gli esponenti aziendali e l’attuazione delle misure di vigilanza di cui alla nota del 28-6-2016;
ricordando, altresì, che il provvedimento di nomina si sarebbe perfezionato solo con l’approvazione della Banca di Italia.

A seguito della assemblea, effettivamente tenutasi il 17 settembre 2016, sono stati nominati i membri del consiglio di amministrazione e il collegio sindacale. Poiché uno dei membri del consiglio di amministrazione non accettava l’incarico e il collegio sindacale rassegnava le proprie dimissioni, la Banca di Italia con la nota 10-11-2016, preso atto di tali dimissioni, invitava alla convocazione di una nuova assemblea per procedere alle nomine, ricordando la esigenza di discontinuità con la precedente gestione della banca, considerato anche che il dott. M era stato nominato responsabile dell’area commerciale il 12-9-2016.

Avverso tali note sono stati proposti motivi aggiunti riproponendo le censure proposte con il ricorso principale e contestando le note del 2 agosto e del 10 ottobre, nella parte in cui ribadivano la necessità dell’approvazione della nomina da parte della Banca di Italia.

Il 10-11-2016 è stato notificato atto di intervento ad adiuvandum di alcuni clienti della banca depositato in giudizio il 14-11-2016. La Banca di Italia ha contestato l’ammissibilità di tale intervento per la carenza di interesse degli interventori.

All’udienza pubblica del 17-1-2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio di potere prescindere dall’esame della questione relativa all’ammissibilità dell’intervento in relazione alla infondatezza del ricorso principale e dei motivi aggiunti.

Come già affermato dalla Sezione (Tar Lazio II quater sentenze n. 12888 del 2016 e n. 166 del 2017) per cogliere appieno il quadro normativo nel quale si inscrive il contenzioso in esame, deve essere premesso che la crisi finanziaria venuta in emersione nel 2007, avendo evidenziato la mancanza, nei Paesi più avanzati, di regole che consentissero di affrontare con rapidità ed efficacia la crisi delle banche, ha prodotto un movimento globale dei regolatori che, a partire dal Financial Stability Board e passando per l’Unione europea, ha portato all’emanazione di un complesso di regole in materia di crisi bancarie ispirate a tre principi:

A) pianificazione: devono essere attentamente pianificate le azioni da intraprendere in caso di crisi: 1) dal lato della banca, mediante “piani di risanamento” da far scattare rapidamente in caso di peggioramento della situazione;
2) dal lato dell’autorità chiamata a gestire l’eventuale dissesto, con “piani di risoluzione”, cioè programmi da mettere in atto qualora la banca cada o stia per cadere a breve in stato di dissesto, finalizzati a consentire un’ordinata gestione della situazione;

B) intervento precoce: in caso di situazione di crisi, ma non ancora di dissesto, devono essere disponibili strumenti di intervento precoce da parte dell’autorità che vigila sulla stabilità della banca;

C) “risoluzione” (nuovo termine coniato per indicare l’ordinata gestione del dissesto dell’intermediario): in caso di dissesto vero e proprio, devono essere disponibili strumenti che, qualora la liquidazione della banca possa avere un impatto sistemico (cioè avere ripercussioni sull’economia reale), consentano di garantire la continuità delle sue funzioni essenziali senza ricorso, o con un ricorso limitato, a fondi pubblici o ad aiuti esterni.

In quest’ottica, l’Unione europea ha emanato la direttiva 59/2014/UE, detta anche Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) che è stata recepita in Italia, mediante l’emanazione di due decreti legislativi gemelli, i decreti legislativi 16 novembre 2015, nn. 180 e 181.

In particolare la direttiva 59/2014 prevede espressamente che “per preservare la stabilità finanziaria è importante che le autorità competenti siano in grado di porre rimedio al deterioramento della situazione finanziaria ed economica di un ente prima che questo giunga a un punto tale per cui non vi siano alternative alla risoluzione. A tal fine le autorità competenti dovrebbero disporre di poteri di intervento precoce, compreso il potere di nominare un amministratore temporaneo che sostituisca l'organo di amministrazione e l'alta dirigenza dell'ente o lavori temporaneamente con essi”(considerando “40” della premessa).

Con il d.lgs. n. 72 del 15 maggio 2015, di attuazione della direttiva 36/2013, sulla attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi (il cui nono considerando si riferisce al principio per cui “ l'introduzione di meccanismi comuni di intervento in caso di crisi dovrebbe essere preceduta da controlli comuni volti a limitare la probabilità di dover ricorrere a tali meccanismi di intervento”) erano già state introdotte alcune modifiche nel testo unico bancario, in particolare l’introduzione dell’art. 53 bis, in cui era confluita la disciplina dei poteri di vigilanza prima contenuta nell’art. 53 comma 3 e l’art. 70 bis, rimozione collettiva degli organi di amministrazione e di controllo, nel caso di gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca. Con il d.lgs. 181 del 2015 tali penetranti poteri della Banca d’Italia sono stati disciplinati negli articoli 69 octies decies e seguenti.

Le norme citate consentono alla Banca di Italia di adottare una serie di misure che permettano alla banca di restare sul mercato senza ricorrere alle più gravi misure dell’amministrazione straordinaria (peraltro già disposta nei confronti del Credito di Romagna nel 2010) e della liquidazione coatta amministrativa o della risoluzione.

Ritiene il Collegio di esaminare per prime le censure relative alla violazione del principio di proporzionalità e ai presupposti di provvedimenti impugnati e successivamente quelle relative alle violazioni procedimentali.

In via preliminare ritiene anche necessario evidenziare che pur se la presente controversia riguarda l’applicazione di una nuova disciplina legislativa, non si può non tenere conto del costante orientamento giurisprudenziale, ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato, per cui gli atti posti in essere dalla Banca d’Italia nell’attività di vigilanza, “costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica, volto alla tutela dei risparmiatori e, dunque, delle garanzie che devono assistere l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, dell’affidabilità complessiva del sistema bancario e, in particolare, di ogni singolo istituto. Ciò, innanzi tutto, in concreta esplicazione di attività volta alla tutela dei valori di promozione e tutela del risparmio, nonché di esercizio dell’attività creditizia, contemplati e garantiti dall’art. 47 della Costituzione” (Consiglio di Stato n. 2328 del 2015). In altri termini ciò che in questa sede deve ribadirsi, ritenendo la non sussistenza di valide ragioni per discostarsi dal solco interpretativo tracciato dal giudice amministrativo d’appello in materia, e seguito dalla sezione anche nelle recenti sentenze sui provvedimenti di risoluzione (cfr. Tar Lazio II quater, n. 12888 e n. 12889 del 2016 e n. 166 del 2017) è l’assoluto rilievo della natura discrezionale tecnica del potere amministrativo esercitato dalla Banca d’Italia e che caratterizza gli atti da essa adottati, di talché essi sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, solo per illogicità manifesta, quale figura sintomatica di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo sostituire proprie valutazioni a quelle dell’organo di controllo. Come per i provvedimenti delle Autorità garanti, anche per le operazioni di controllo della Banca d’Italia il sindacato di eccesso di potere è essenzialmente incentrato sulla verifica della ragionevolezza e della coerenza tecnica della decisione amministrativa, in quanto per determinati settori, come quello delle Autorità e dunque per la Banca d’Italia, il sindacato giurisdizionale necessariamente incontra il limite della specifica competenza tecnica, della posizione di indipendenza e dei poteri propri spettanti alle istituzioni in questione, il cui giudizio ha come parametri di riferimento non regole scientifiche esatte e non opinabili, ma valutazioni, anche di ordine prognostico, a carattere economico e sociale, o comunque non ripercorribile in base a dati univoci (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre 2014 n. 6153, con riferimento all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, 6 agosto 2013 n. 4113, con riferimento alla Banca di Italia, e Sez. III, 25 marzo 2013 n. 1645, con riferimento all’Autorità garante delle comunicazioni che ha, ancora condivisibilmente, chiarito come “il limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d. discrezionalità tecnica, al di là dell'ormai sclerotizzata antinomia forte/debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza, anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l'autorità detta, appunto, le regole del gioco”.

Tali orientamenti devono essere applicati anche alla presente fattispecie, rispetto alla quale si deve considerare che, con riferimento alle misure di intervento precoce, sia le norme nazionali che quelle comunitarie attribuiscono alla Autorità di Vigilanza una ampia discrezionalità anche nella scelta del tipo e del numero di misure da adottare nella singola situazione.

Sulla base di tali premesse, le censure proposta dalla difesa ricorrente relative al difetto dei presupposti, al difetto di istruttoria e di motivazione e alla violazione del principio di proporzionalità, devono ritenersi infondate.

Nel caso di specie, è stata fatta, applicazione dei poteri attribuiti dall’ art. 69 octiesdecies, comma 1 lettera b), per cui la Banca d'Italia può disporre nei confronti di una banca: “ la rimozione degli esponenti di cui all'articolo 69-vicies-semel, quando risultano gravi violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie o gravi irregolarità nell'amministrazione ovvero quando il deterioramento della situazione della banca o del gruppo bancario sia particolarmente significativo, e sempre che gli interventi indicati nella medesima lettera a) o quelli previsti negli articoli 53-bis non siano sufficienti per porre rimedio alla situazione”.

Ai sensi dell’art. 69-vicies-semel, infatti, “al ricorrere dei presupposti indicati all'articolo 69-octiesdecies, comma 1, lettera b), la Banca d'Italia può disporre la rimozione e ordinare il rinnovo di tutti i componenti degli organi con funzione di amministrazione e di controllo delle banche e delle società capogruppo di un gruppo bancario.

Il provvedimento fissa la data da cui decorrono gli effetti della rimozione.

La Banca d'Italia convoca l'assemblea della banca o della capogruppo con all'ordine del giorno il rinnovo degli organi con funzioni di amministrazione e controllo.

Ricorrendo i presupposti richiamati al comma 1, la Banca d'Italia può inoltre ordinare la rimozione di uno o più componenti dell'alta dirigenza di una banca o di una società capogruppo di un gruppo bancario.

La Banca d'Italia approva la nomina dei componenti dei nuovi organi o della nuova alta dirigenza effettuata dal competente organo della banca o della società capogruppo.

Resta salva la possibilità in ogni momento di disporre l'amministrazione straordinaria della banca o della capogruppo di cui agli articoli 70 e 98.

Resta fermo il potere di rimuovere singoli esponenti aziendali ai sensi dell'articolo 53-bis, comma 1, lettera e), e dell'articolo 67-ter, comma 1, lettera e), se sufficiente per porre rimedio alla situazione”.

La Banca di Italia ha adottato anche alcune misure di vigilanza prudenziale, ai sensi dell’art. 53 bis, che attribuisce alla Banca di Italia i poteri di intervento, previsti dall’art. 104 della direttiva 36/2013, con una norma analoga a quella prima contenuta nell’art. 53, disponendo che: “La Banca d'Italia può: a) convocare gli amministratori, i sindaci e il personale delle banche;
b) ordinare la convocazione degli organi collegiali delle banche, fissandone l'ordine del giorno, e proporre l'assunzione di determinate decisioni;
c) procedere direttamente alla convocazione degli organi collegiali delle banche quando gli organi competenti non abbiano ottemperato a quanto previsto dalla lettera b);
d) adottare per le materie indicate nell'articolo 53, comma 1 (ovvero adeguatezza patrimoniale;
contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;
partecipazioni detenibili;
governo societario, organizzazione amministrativa e contabile, nonché controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione;
informativa da rendere al pubblico in tali materie), ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di una o più banche o dell'intero sistema bancario riguardanti anche: la restrizione delle attività o della struttura territoriale;
il divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria, e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio, nonché, con riferimento a strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza, il divieto di pagare interessi;
la fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni nella banca, quando sia necessario per il mantenimento di una solida base patrimoniale;
per le banche che beneficiano di eccezionali interventi di sostegno pubblico, possono inoltre essere fissati limiti alla remunerazione complessiva degli esponenti aziendali;
e) disporre, qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca, la rimozione di uno o più esponenti aziendali;
la rimozione non è disposta ove ricorrano gli estremi per pronunciare la decadenza ai sensi dell'articolo 26, salvo che sussista urgenza di provvedere”.

La Banca di Italia, sulla base del potere attribuito da tali norme, ha ritenuto di disporre alcune misure di vigilanza prudenziale per assicurare l’adeguatezza del patrimonio di vigilanza e la corretta gestione del credito. In tale ambito rientrano lo scomputo dei fondi propri, il divieto di nuove operazioni, e la chiusura della filiale di Roma, misure espressamente previste dall’art 53 bis come restrizione di attività o della struttura territoriale.

Ritenendo poi tali misure da sole non idonee a garantire la corretta gestione della banca e la prospettiva di risanamento, ha disposto le misure di cui agli articoli 69 octiesdecies e vicies semel.

Le censure devono ritenersi infondate in base alla ricostruzione in fatto delle vicende che hanno interessato il Credito di Romagna fin dall’inizio delle attività del 2004. Già con l’autorizzazione alla attività bancaria era stato raccomandato di far attenzione ai profili organizzativi e di gestione;
attenzione sottolineata dalla Vigilanza a seguito dell’ispezione del 2007, nella quale si rilevavano criticità nel sistema di affidamento dei crediti, inoltre, particolarmente concentrati, ma espressamente concludendo che tali impieghi non presentavano posizioni anomale o perdite per “il buon andamento dell’economia locale”. Il provvedimento di amministrazione straordinaria era stato adottato nel 2010, ritenendo verificato il presupposto di cui all’art. 70 comma 1 lettera a) T.U.B., sulla delle varie violazioni e irregolarità commesse dagli esponenti della banca, in particolare per le operazioni svolte insieme all’istituto bancario sanmarinese, attività per le quali gli amministratori ed il direttore generale sono stati anche condannati penalmente e sottoposti a sanzioni amministrative.

La governance della banca non è sostanzialmente mutata dopo la ricostituzione degli organi ordinari e ciò è stato segnalato più volte dalla Banca di Italia (nel 2013, nelle ispezioni 2014 e ancora nelle ispezioni 2015-2016). In particolare il dott. M, amministratore delegato e direttore generale della banca prima dell’Amministrazione straordinaria, nei confronti del quale risultano due provvedimenti sanzionatori della Banca di Italia (provvedimenti del 10-6-2011 e del 25-8-2015) e due patteggiamenti relativi all’attività svolta dal Credito di Romagna con l’istituto bancario sanmarinese prima dell’Amministrazione straordinaria (sentenze del Tribunale di Forlì n. 235 del 2011 e n. 835 del 2012), dal 30-9-2011 era stato consulente strategico della banca, dal 28-2-2013 era di nuovo consigliere di amministrazione e dall’11-7-2013 amministratore delegato (carica cessata solo il 18-6-2015) e direttore generale.

Inoltre, a seguito delle ispezioni condotte dalla Vigilanza dal 16 giugno al 5 settembre 2014, erano già state disposte misure ai sensi dell’art. 53 bis comma 3 lettera b) t.u.b. per assicurare una effettiva discontinuità e la riorganizzazione aziendale, in particolare il progetto di integrazione con un partner bancario, che nel 2011 da parte dei soci privati (cfr. piano presentato per la ricostituzione degli organi dai soci privati) era stato individuato in Veneto Banca. Un nuovo piano era stato effettivamente presentato il 28-1-2015, integrato il 12-3-2015, a causa della sopravvenuta indisponibilità di Veneto Banca, ma è stato ritenuto inadeguato sia dalla Banca di Italia che aveva richiesto integrazioni (con nota del 5-6-2015), sia dal collegio sindacale, nella comunicazione effettuata alla Banca di Italia ai sensi dell’art. 52 T.U.B. il 13-3-2015.

Con provvedimento del 25-8-2015, inoltre, la Banca di Italia aveva concluso un ulteriore procedimento di irrogazione delle sanzioni pecuniarie ai componenti del consiglio di amministrazione, al direttore generale ed amministratore delegato e all’ex direttore generale per carenze nell’organizzazione e nei controlli, e ai membri del collegio sindacale per carenze nei controlli.

Inoltre, anche al momento del rinnovo degli amministratori e dei membri del collegio sindacale nel novembre 2015 (due amministratori sono stati riconfermati, tra cui la ex Presidente del Consiglio di Amministrazione Boschetti), ancora a tale data è rimasto in carica quale direttore generale M. Le risultanze della ispezione effettuata dal 9 dicembre 2015 al 4 marzo 2016, fanno in particolare riferimento alla circostanza che il M aveva continuato a gestire la banca in prima persona e “il consiglio di amministrazione non è stato in grado di fronteggiare le gravi criticità della situazione tecnico organizzativa della banca”, rilevando che non era stato perseguito alcun effettivo progetto di integrazione con altro istituto né erano stati mutati i vertici dell’esecutivo (solo il 18-2-2016 gli esponenti di Veneto Banca ha invitato alle dimissioni da direttore generale e consigliere di amministratore il dott. M).

Ne deriva che il provvedimento adottato, pur nella ampia discrezionalità che caratterizza tali materie attribuita alla Banca di Italia, anche nella scelta delle misure, dovesse necessariamente accompagnare le altre misure di vigilanza prudenziale, in relazione alla esigenza di discontinuità con la governance aziendale emersa fin dal 2010, ma mai effettivamente realizzata .

La difesa ricorrente muove poi censure anche in relazione alle specifiche misure di vigilanza prudenziale adottate, contestando la situazione patrimoniale della banca, che a suo avviso, non comporterebbe le misure disposte ai sensi dell’art. 53 bis e, comunque, sarebbe in parte derivante dalla generale crisi economica, con conseguente deterioramento dei crediti e in parte anche dalla svalutazione delle partecipazioni acquisite in successivamente alla chiusura dell’Amministrazione straordinaria Veneto Banca.

A tale proposito si deve richiamare quanto sopra evidenziato circa le varie misure introdotte nel testo unico bancario dal d.lgs. n. 180 e dal d.lgs. n. 181 del 2015 per fronteggiare le crisi bancarie.

Le misure adottate nei confronti del Credito di Romagna non presuppongono una situazione di grave crisi patrimoniale, che invece condurrebbe alla riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca o, qualora tali misure non siano sufficienti, alla risoluzione della banca o alla liquidazione coatta amministrativa, che hanno per presupposto il dissesto o anche solo il pericolo di dissesto secondo quanto previsto dall’art. 17 del testo unico bancario, che ha per presupposti non solo le gravi perdite patrimoniali, ma anche le gravi violazioni normative e irregolarità.

I provvedimenti indicati dagli artt. 53 bis e 69 octies decies riguardano, invece, banche in condizioni economiche tali che possano ancora autonomamente operare sul mercato, proprio al fine di evitare - data la crisi economica complessiva - situazioni che possano condurre al dissesto o anche solo al pericolo di dissesto di cui all’art. 17. Da tali presupposti deriva la irrilevanza delle deduzioni difensive circa le perdite dovute alle condizioni economiche generali e alle conseguenze in termini di deterioramento del credito, e in particolare alla svalutazione della partecipazione detenuta di Veneto Banca, nonchè delle argomentazioni del parere pro veritate , depositato in giudizio dalla difesa ricorrente, circa le condizioni economiche della banca, che fanno riferimento conclusivo alle “condizioni di equilibrio gestionale sostenibile nel tempo” .

La difesa ricorrente contesta poi le specifiche misure adottate, con particolare riferimento sia al divieto di nuove operazione che alla chiusura della filiale di Roma.

Ritiene il Collegio, nei limiti del sindacato che spetta a questo Giudice, che le misure adottate dalla Banca di Italia nei confronti del Credito di Romagna appaiono ampiamente giustificate, in relazione alle particolari situazioni di gestione della banca che erano emerse già poco tempo dopo la ricostituzione degli organi ordinari a seguito dell’amministrazione straordinaria e non erano state superate dagli esponenti aziendali.

Anche l’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, respingendo l’appello cautelare proposto dalla difesa ricorrente, ha espressamente ritenuto la ragionevolezza di tali misure (cfr. ord.za n. 5091 del 2016).

Le problematiche del processo creditizio erano state rilevate già prima dell’Amministrazione straordinaria nel corso dell’ispezione del 2007, ma gli ispettori avevano espressamente riferito che “grazie al buon andamento dell’economia locale il comparto ad oggi presenta contenute aliquote di posizioni anomale e di perdite”.

Dopo l’Amministrazione straordinaria tali criticità erano emerse già nel 2012 e del 2013. Nella nota del 22-1-2013 inviata dalla Banca di Italia al Presidente del consiglio di Amministrazione e al Presidente del Collegio sindacale, si fa riferimento all’ incontro tenutosi il 3-12-2012 con gli esponenti della banca, nel quale la Vigilanza aveva segnalato la crescente esposizione al rischio di credito e alla insoddisfacente redditività e gli esponenti aziendali avevano concordato con tali valutazioni riportandole alla negativa situazione economica che ha condotto allo scadimento dei crediti con conseguenti rettifiche di valore, richiamando l’attenzione sul controllo del processo creditizio e gli alti costi operativi della banca che incidevano sulla bassa redditività (perdite di esercizio già segnalate nel primo semestre), invitando ad interventi di rafforzamento patrimoniale e al rafforzamento delle procedure di controllo del credito e della gestione.

Nell’ottobre del 2013 la Banca di Italia aveva respinto il piano di sviluppo territoriale che prevedeva l’apertura di sei nuove dipendenze.

Nella ispezione del 2014 venivano rilevate partite deteriorate per 17,9% dei prestiti con il rischio dovuto ad una particolare concentrazione del portafoglio crediti;
la redditività aziendale negativa con incidenza di alti costi operativi;
il mancato rispetto dei requisiti prudenziali;
le carenze nei processi di erogazione del credito. Tali risultanze avevano comportato già con il provvedimento dell’11-11-2014 l’adozione di alcune misure di vigilanza prudenziale: il rispetto del coefficiente specifico di capitale di prima classe pari all’8%, limite individuale alla concentrazione dei rischi entro il 10%dei fondi propri, con rientro graduale delle posizioni eccedenti e un limite complessivo pari a tre volte i fondi propri;
limite della esposizione nel settore immobiliare pari al 35% rispetto al totale dei prestiti, nonché il diniego di apertura delle filiali di Cesena e Imola.

Tale situazione risulta nel complesso aggravata in base alle risultanze ispettive del 2016.

In particolare gli ispettori rilevano che le perduranti carenze nei processi creditizi hanno comportato un ulteriore peggioramento della qualità del credito (partite anomale pari a un quinto dei prestiti) con perdite presunte per il bilancio 2015 pari a 11 milioni di euro. Le criticità del processo creditizio emergevano anche dalle ulteriori erogazioni effettuate nel corso del 2015 a imprese già in grave difficoltà economica (anche prossime al fallimento e con procedimenti penali aperti per bancarotta - Falber Fashion), o per operazioni rivelatesi poi mai realizzate (Anika Kosmetic s.r.l.) o a favore di soggetti con precedenti penali ( Stockmarket s.r.l.), e avevano rilevano le criticità, altresì, dei profili di adeguatezza patrimoniale (considerando anche la circostanza che nel giugno 2015 sono state effettuate due emissioni di obbligazioni per 6,2 milioni di euro a clientela “retail” oggetto di segnalazione alla Consob da parte degli ispettori per i profili di attenzione sulle comunicazione all’investitore). La vigilanza aveva poi specificamente segnalato la problematica dell’apertura di una nuova Filiale a Roma e quelli relativi all’aumento di capitale, già effettuato (che lascia il controllo ai soci privati , tra cui il M), sottoscritto anche da gruppi economici finanziati dalla banca “in stretta connessione temporale con le sottoscrizioni” e da nominativi segnalati per operazioni sospette ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2007.

Tale situazione e l’inutilità delle misure precedentemente disposte, in particolare di quelle che erano state adottate, ai sensi dell’allora vigente art. 53 comma 3 lettera d), con il provvedimento dell’11-11-2014, conduce ad un giudizio di ragionevolezza e proporzionalità delle misure di vigilanza prudenziale adottate dalla Banca di Italia, compreso lo scomputo dei fondi propri, basato sulle circostanze emerse in sede ispettiva e contestate solo genericamente dalla difesa ricorrente, così come le risultanze ispettive relative ai nuovi affidamenti giustificano il divieto di nuove operazioni. In particolare, a tale proposito si deve fare riferimento a quanto affermato dal Consiglio di Stato rispetto ad un provvedimento di amministrazione straordinaria, per cui “il contesto generale di crisi economica è circostanza notoria e certamente presa in considerazione dall'Amministrazione, ma che non può ex se legittimare una deroga generalizzata dai principi di buona e sana gestione del credito” (Consiglio di Stato n. 835 del 2015), anzi piuttosto deve condurre ad un generale rafforzamento delle valutazioni del processo creditizio.

Rispetto alla chiusura della filiale di Roma, si deve rilevare che tale misura appare ragionevole in relazione alla circostanza che la filale è stata aperta a fine 2015, a seguito del trasferimento della filiale di Bologna, ma dopo il diniego da parte della Banca di Italia nell’ottobre 2013 dell’autorizzazione al piano di sviluppo territoriale e a novembre 2014 all’apertura di nuove succursali a Cesena e Imola. Si tratta quindi di una misura perfettamente in linea con i precedenti provvedimenti della Banca di Italia e giustificata anche in relazione ai costi della filiale, che il Commissario temporaneo stimava con perdite pari a 180 mila euro al 30 giugno 2016.

Nella particolare situazione del Credito di Romagna, dovuta certamente alla generale crisi del sistema bancario, ma soprattutto - come evidenziato più volte dalla Banca di Italia, sia nel periodo precedente che successivo alla amministrazione straordinaria - alla carente struttura organizzativa e alla gestione facente capo sempre e sostanzialmente al M e agli altri soci privati, è evidente che le misure di vigilanza prudenziale non sarebbero state da sole sufficienti, in quanto già da alcuni anni era emerso che tale situazione della banca era dovuta anche alla inadeguatezza organizzativa e gestionale della banca, rispetto alla quale, peraltro, tutti gli interventi tesi a garantire la discontinuità con la gestione precedente all’Amministrazione straordinaria si sono rivelati inefficaci. E’ quindi, dimostrato anche il presupposto della insufficienza della misure disposte ai sensi dell’art. 53 bis come richiesto dall’art. 69 octiesdecies e come contestato dalla difesa ricorrente.

E’ evidente poi che l’approvazione prevista dall’art. 69 vicies semel non può essere in alcun modo assimilata al procedimento di cui all’art. 26 T.U.B. per la nomina degli esponenti aziendali di una banca in regime ordinario, fattispecie, che, sia nel testo anteriore che in quello successivo al d.lgs. n. 72 del 2015, si riferisce ad una ipotesi di decadenza (per il mancato rispetto dei requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali nel testo previgente, per il giudizio di non idoneità dell’autorità di vigilanza nel testo introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015). Oltre al dato testuale è evidente la diversità di presupposti: l’art. 26 si riferisce ad una banca non oggetto di misure di intervento precoce, ma alla ordinaria disciplina della nomina;
le misure previste dall’art. 69 vicies semel tendono ad assicurare un particolare controllo della autorità di vigilanza, essendo disposte quando risultano gravi violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie o gravi irregolarità nell'amministrazione ovvero quando il deterioramento della situazione della banca o del gruppo bancario sia particolarmente significativo.

Poi la Banca di Italia, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa ricorrente, non ha indicato un controllo preventivo, ma anzi, nella nota dell’11 ottobre, ha fatto espresso riferimento alla circostanza che avrebbe avviato la procedura di approvazione solo per tutti i componenti e quindi dopo la nomina di tutti, escludendo, quindi, espressamente un atto preventivo di cui si lamentano i ricorrenti.

La difesa ricorrente ha poi proposto una censura relativa alla violazione degli articoli 97 e 98 del regolamento della Banca centrale europea 468 /2014, in quanto le misure adottate non sarebbero state comunicate preventivamente all’autorità di vigilanza europea come richiesto da tali disposizioni.

Il Regolamento 468 del 2014 costituisce il Regolamento quadro sul Meccanismo di vigilanza unico, che ripartisce tra la Banca Centrale europea e le Autorità nazionali competenti (ANC) e, per i soggetti c.d. meno significativi sottoposti alla vigilanza della autorità nazionale, prevede obblighi informativi a carico delle autorità nazionali, nei confronti della BCE.

In particolare, l’art. 97 prevede che “al fine di consentire alla Banca centrale europea di esercitare una sorveglianza sul funzionamento del sistema, le Autorità nazionali competenti (ANC) alla BCE informazioni relative a procedure rilevanti di vigilanza delle ANC concernenti soggetti vigilati meno significativi. La BCE detta criteri generali per determinare quali informazioni sono notificate e relativamente a quali soggetti vigilati meno significativi, in particolare tenendo conto della situazione di rischio e dell'impatto potenziale sul sistema finanziario nazionale dei soggetti interessati. Le informazioni sono fornite dalle ANC anteriormente o, in casi urgenti debitamente giustificati, contemporaneamente all'avvio di una procedura. Ai sensi del comma paragrafo 2, le procedure rilevanti di vigilanza delle ANC di cui al paragrafo 1 consistono:

a) nella rimozione dei membri dei consigli di amministrazione dei soggetti vigilati meno significativi e nella nomina di amministratori speciali che assumano la gestione dei soggetti vigilati meno significativi;
e

b) nelle procedure che hanno un impatto significativo sul soggetto vigilato meno significativo”.

Ai sensi dell’art. 98 “al fine di consentire alla BCE di esercitare una sorveglianza sul funzionamento del sistema, prevede che le ANC inviino alla BCE progetti di decisioni di vigilanza che soddisfano i criteri fissati nei paragrafi 2 e 3 quanto tali progetti riguardano i soggetti vigilati meno significativi in relazione ai quali la BCE ritiene che, sulla base dei criteri generali definiti dalla BCE concernenti la loro situazione di rischio e l'impatto potenziale sul sistema economico nazionale, tali informazioni debbano esserle notificate.

Ai sensi del paragrafo 2 “fatto salvo il disposto di cui al paragrafo 1, i progetti di decisione sono inviati alla BCE prima di essere indirizzati ai soggetti vigilati meno significativi se la decisione:

a) concerne la rimozione di membri dei consigli di amministrazione dei soggetti vigilati meno significativi e la nomina di amministratori speciali;

b) ha un impatto significativo sul soggetto vigilato meno significativo”.

Il dato testuale di tali norme conduce ad un giudizio di infondatezza della censura.

Si tratta di meri obblighi informativi che, in base all’espressa previsione normativa, hanno come finalità di consentire alla BCE la sorveglianza sul sistema.

Hanno quindi una funzione meramente conoscitiva nell’interesse della BCE e non possono rilevare come vizi di legittimità del provvedimento finale. Tali obblighi informativi, peraltro a prescindere dall’effettivo interesse a tale censura da parte del Credito di Romagna, sono stati comunque rispettati dalla Banca di Italia anche se successivamente all’avvio della procedura.

La Banca di Italia ha, infatti, depositato in giudizio la comunicazione della Banca Centrale Europea del 2-8-2016 relativa alla comunicazione effettuata dalla Banca di Italia il 4-7-2016 , circa le misure disposte nei confronti del Credito di Romagna.

La difesa ricorrente contesta poi un ulteriore profilo di illegittimità in relazione alla espressa previsione dell’art. 98 che richiede la comunicazione preventiva.

Anche tale motivo di censura è infondato. L’art. 98 prevede, infatti, tale comunicazione preventiva solo in caso in cui ciò sia richiesto, sulla base dei criteri generali definiti dalla BCE concernenti la situazione di rischio dei soggetti non significativi e l'impatto potenziale sul sistema economico nazionale, e, comunque, sempre al fine di assicurare la funzione conoscitiva della BCE.

Infine, l’eventuale vizio di legittimità sarebbe comunque, in base al principio generale di conservazione degli atti amministrativi, sanato dalla comunicazione comunque intervenuta il 4-7-2016 (cfr. di recente Consiglio di Stato n. 283 del 2016 sulla sanatoria per il raggiungimento dello scopo di atti invalidi, che ha affermato che di tale principio costituisce esplicazione altresì l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990).

La censura della mancata comunicazione alla BCE è stata poi articolata anche in relazione al progetto di integrazione tra Credito di Romagna e Veneto Banca, che è invece soggetto significativo, sottoposto alla vigilanza della BCE. Tale censura è stata sollevata con riferimento alla violazione degli articoli 85 e 86 del Regolamento 498, che prevedono l’obbligo di comunicazione delle partecipazioni qualificata alle ANC che invia il progetto di decisione alla BCE.

Tale circostanza è irrilevante rispetto al presente giudizio, in quanto gli obblighi informativi relativi a Veneto Banca e alle sue partecipazioni azionarie, ricadevano evidentemente su Veneto Banca e sulle sue eventuali richieste all’Autorità di Vigilanza, mentre agli atti del presente giudizio risulta solo la generica indisponibilità di Veneto banca rispetto all’ulteriore processo di integrazione con la banca ricorrente, per le “indicazioni pervenute dall’Autorità di Vigilanza europea” (cfr. nota del 10-3-2015).

Con ulteriore censura si lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento, in particolare con riferimento al provvedimento di rimozione degli organi.

Ritiene il Collegio l’infondatezza di tale censura.

In primo luogo, infatti, il provvedimento di rimozione degli organi previsto dall’art. 69 vicies semel, come sopra evidenziato, rientra nelle misure di intervento precoce che il d.lgs. n. 181 del 2015, sulla base di quanto previsto dalla direttiva 59/2014 ha introdotto nel testo unico bancario, al fine di dotare la Banca di Italia di poteri graduali per intervenire nelle crisi bancarie senza ricorrere necessariamente ai più gravi provvedimenti dell’amministrazione straordinaria, della liquidazione coatta, e della risoluzione e al fine di evitare di tali più gravosi provvedimenti.

Si tratta quindi di un provvedimento che non ha natura sanzionatoria, rimanendo, del resto, esposti gli amministratori e i sindaci rimossi ai provvedimenti sanzionatori previsti dal testo unico bancario, qualora ne ricorrano i presupposti.

Prive di rilevanza rispetto alla presente fattispecie sono, dunque, le deduzioni difensive relative alla natura sanzionatoria e alla conseguente necessità della partecipazione procedimentale.

Quanto all’applicazione della norma generale dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, si deve fare riferimento alla disposizione dell’art. 24 della legge n. 262 del 2005, per cui ai procedimenti della Banca d'Italia volti all'emanazione di provvedimenti individuali si applicano, “in quanto compatibili”, i princìpi sulla partecipazione al procedimento e sull'accesso agli atti amministrativi recati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

Ai fini delle verifica di compatibilità, ritiene il Collegio di seguire l’orientamento giurisprudenziale consolidato relativo all’Amministrazione straordinaria, per cui tale provvedimento non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto oltre che in base alla espressa previsione dell’art. 70 comma 3 (che prevede la comunicazione solo al Commissario), tale esclusione deriva dalla stessa natura del provvedimento, che è ispirato ad evidenti ragioni di riservatezza a tutela del pubblico risparmio (Cons. Stato Sez. IV, 19-02-2015, n. 835, che esclude espressamente anche la natura sanzionatoria dell’amministrazione straordinaria;
Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2010, nr. 8016;
id., sez. VI, nr. 6583 del 2012, cit.;
id., 8 luglio 2011, nr. 4124).

L’amministrazione straordinaria è certamente più grave nelle conseguenze del provvedimento previsto dall’art. 69 vicies semel e può essere disposta, in base al testo attuale dell’art. 70 T.U.B. come modificato dal d.lgs. n. 181 del 2015, al verificarsi dei medesimi presupposti di cui all’art 69 octiesdecies comma 1 lettera b).

Ad ogni buon conto, nel caso di specie, sul piano della partecipazione al procedimento, oltre all’urgenza che consente l’omissione di tale partecipazione, la banca non ha ricevuto alcuna concreta lesione, in quanto gli amministratori, i membri del collegio sindacale e il direttore generale, ben conoscevano le vicende della banca e i suoi elementi di criticità e le prescrizioni che fin dalla ricostituzione degli organi ordinari dopo l’Amministrazione straordinaria la Banca di Italia aveva posto, in particolare ai fini di assicurare la discontinuità con la precedente gestione;
in ogni caso da ultimo il piano di conservazione del capitale del 18 febbraio 2016, era stato oggetto della comunicazione della Banca di Italia del 23 febbraio 2016, con cui sono state chieste integrazioni.

Con i motivi aggiunti sono stati impugnate le note della Banca di Italia del 2 agosto 2016 e del 10-10-2016, in parte riproponendo le censure del ricorso principale e contestando gli atti sopravvenuti, nella parte in cui prevedono l’approvazione preventiva della Banca di Italia e precisano i tempi di permanenza delle misure.

In primo luogo tali atti non sono autonomamente impugnabili, in quanto non hanno alcun contenuto provvedimentale, non impongono infatti alcuna ulteriore misura, ma indirizzano la banca alla effettiva attuazione di quelle disposte con il provvedimento del 28-6-2016, senza alcuna modifica in particolare in ordine ai tempi di applicazione delle misure.

Anche la decorrenza del provvedimento di rimozione è stata fissata nel provvedimento del 28-6-2016, al momento di insediamento dei nuovi organi, in base al potere espressamente attribuito dall’art. 69 vicies semel comma 2, per cui il provvedimento fissa la data da cui decorrono gli effetti della rimozione (oltre alla circostanza di fatto che la fissazione di tale decorrenza ha comportato che, con l’affiancamento del Commissario temporaneo, sono rimasti in carica i precedente amministratori).

La approvazione della nomina dei nuovi organi è prevista dal comma 4 dell’articolo 69 vicies semel, nonché dall’art. 28 della direttiva 59/2014 che indica l’approvazione o il consenso dell’autorità competente. Si tratta quindi di un elemento della fattispecie che deve necessariamente intervenire per il suo perfezionamento o comunque per l’efficacia.

E’ evidente poi che l’approvazione prevista dall’art. 69 vicies semel non può essere in alcun modo assimilata al procedimento di cui all’art. 26 T.U.B. per la nomina degli esponenti aziendali di una banca in regime ordinario, che sia nel testo anteriore che in quello successivo al d.lgs. n. 72 del 2015 si riferisce ad una ipotesi di decadenza, per il mancato rispetto dei requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali nel testo previgente, per il giudizio di non idoneità dell’autorità di vigilanza nel testo introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015. Oltre al dato testuale è evidente la diversità di situazione, in quanto l’art. 26 si riferisce ad una banca non oggetto di misure di intervento precoce, ma alla ordinaria disciplina della nomina, le misure previste dall’art. 69 vicies semel tendono ad assicurare un particolare controllo della autorità di vigilanza, essendo disposte quando risultano gravi violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie o gravi irregolarità nell'amministrazione ovvero quando il deterioramento della situazione della banca o del gruppo bancario sia particolarmente significativo.

Poi la Banca di Italia, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa ricorrente, non ha indicato un controllo preventivo, ma anzi, nella nota dell’11 ottobre, ha fatto espresso riferimento alla circostanza che avrebbe avviato la procedura di approvazione solo per tutti i componenti e quindi dopo la nomina di tutti, escludendo, quindi, espressamente un atto preventivo di cui si lamentano i ricorrenti.

Quanto alle altre indicazioni contenute in tali note, come la preventiva sottoposizione della candidature alla Banca di Italia e la selezione da un soggetto terzo, costituiscono una mera esplicazione delle misure del 28-6-2016, prive di effettivo contenuto autoritativo;
si tratta, comunque, di misure perfettamente ragionevoli, in relazione al particolare assetto proprietario della banca, che nonostante le vicende che l’hanno interessata fin dal 2010, non è riuscita ad introdurre una effettiva discontinuità, ed in relazione all’attribuzione al M dell’incarico di responsabile dell’area commerciale ancora in data 12-9-2016.

Conclusivamente il ricorso e i motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti.

In considerazione della novità della disciplina applicata, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

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