TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-05-03, n. 202307504

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-05-03, n. 202307504
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202307504
Data del deposito : 3 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/05/2023

N. 07504/2023 REG.PROV.COLL.

N. 02289/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2289 del 2019, proposto da
I A, A B, J L A B, A D N, M D F, M F, A G, N G, L L, V G G M, C M, M M, G M, R M, A P, T P, G P, P P, N R, A R, F R, F R, F S, P S, A S, D S, M S, M V, R V, L Z, A Z, rappresentati e difesi dall'avvocato A I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, largo Somalia, 30/C;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’accertamento

del diritto al riconoscimento di un equo indennizzo “ volto a compensare l’ingiusta perdita del potere d’acquisto della retribuzione per gli anni 2010, 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015, determinata dal regime di sospensione della contrattazione collettiva risultante dall’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e successivamente prorogato dall’art. 1, comma 1, lettera c), del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, art. 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e art. 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 ”;
nonché per il risarcimento dei danni subiti e subendi derivanti dal ritardo nell’avvio delle procedure negoziali per il rinnovo del contratto collettivo a partire dal 24.7.2015.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 21 aprile 2023 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I ricorrenti, come in epigrafe indicati, militari della Guardia di Finanza, hanno adìto questo Tribunale per ottenere l’accertamento del diritto al riconoscimento di un equo indennizzo “ volto a compensare l’ingiusta perdita del potere d’acquisto della retribuzione per gli anni 2010, 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015, determinata dal regime di sospensione della contrattazione collettiva risultante dall’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e successivamente prorogato dall’art. 1, comma 1, lettera c), del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, art. 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e art. 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 ”;
ed hanno, inoltre, chiesto il risarcimento dei danni subiti e subendi derivanti dal ritardo nell’avvio delle procedure negoziali per il rinnovo del contratto collettivo a partire dal 24.7.2015.

In sintesi hanno esposto di aver diffidato, in data 27.12.2017, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla corresponsione “ 1) di un equo indennizzo diretto a compensare la perdita del potere d’acquisto della retribuzione per gli anni dal 2010, 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015, fino al 24 luglio 2015, in misura pari ad almeno euro 100,00 per ogni mese, per un totale di euro 6.700,00 (euro 100,00 x 67 mesi);
2) nonché di una somma pari ad euro 200,00 per ogni mese di ritardo nell’avvio delle procedure negoziali finalizzate al rinnovo del contratto collettivo a partire dal 24 luglio 2015, data di pubblicazione della sentenza n. 178/2015 della Corte Costituzionale, fino all’effettivo rinnovo del contratto stesso, da corrispondersi invece a titolo di risarcimento del danno;
oltre, ovviamente, al riconoscimento di ogni ulteriore diritto relativo alla loro posizione giuridica, economica e previdenziale
” (cfr. pag. 12).

A fondamento del ricorso hanno dedotto i seguenti motivi:

1°) violazione del principio di solidarietà sociale quale presupposto costituzionale dell’indennizzabilità del sacrificio imposto dallo Stato, per ragioni di interesse collettivo, a diritti fondamentali di pari rilievo costituzionale.

Con tale motivo i ricorrenti hanno evidenziato la necessità di una rimeditazione delle statuizioni espresse dalla Corte Costituzionale, segnatamente nella sentenza n. 178/2015, in ordine alla deroga al principio generale di irretroattività sancito dagli artt. 136 della Costituzione e 30 della legge n. 87/1953 per esigenze di “ finanza pubblica ”, e ciò soprattutto in ragione del “ richiamo al principio costituzionale di solidarietà sociale, che non tollera l’imposizione autoritativa di sacrifici di diritti fondamentali, quali la salute, senza che sorga in capo alla collettività il dovere di riparare tale sacrificio ” (cfr. pag. 17);
oltre che in considerazione della giurisprudenza della CEDU.

2°) Violazione dell’art. 24 della legge 448/1998;
degli artt. 2, 3, 36, 39 della Costituzione;
degli artt. 1173 e 2043 del codice civile;
dell’art. 2, comma 35 della legge 203/2008;
degli articoli 12, 28 e 31 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE.

I ricorrenti hanno, poi, dedotto che il “ congelamento del suddetto meccanismo di adeguamento automatico degli stipendi dei dipendenti pubblici indicati dall’art. 3 del d.lgs. n. 165/2001, integra altresì, ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione, una violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza legislativa e di solidarietà sociale, oltre che politica ed economica ” (cfr. pag. 30).

Hanno, quindi, lamentato che “ l’illegittimità del blocco della contrattazione collettiva e degli aumenti stipendiali, obliterata dalla Consulta fino alla data di pubblicazione della sentenza n. 178/2015, si ripropone apertamente, questa volta assumendo i connotati dell’illecito, dal momento in cui al provvedimento della Corte non è seguito l’immediato ripristino delle tutele volte a favorire la rinegoziazione dei rapporti di lavoro e l’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita ” (cfr. pag. 32).

Hanno, dunque, sottolineato che “ il mancato avvio della contrattazione collettiva e dell’adeguamento del trattamento economico dei dipendenti pubblici agli indici ISTAT, ha di fatto impedito il conseguimento degli obiettivi di tutela dei dipendenti stessi e delle loro famiglie. L’adeguamento istat, infatti, così come la possibilità di concorrere mediante la contrattazione collettiva alla determinazione delle condizioni di lavoro, comprese quelle che attengono ai profili economici della prestazione, rappresentano strumenti essenziali per garantire al lavoratore il diritto “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.) ” (cfr. pag. 36).

In esito a tali motivi, è stato indicato, per ciascuno dei ricorrenti, l’importo degli indennizzi (rivalutati) oggetto della domanda processuale, parametrata, quest’ultima, in relazione alla qualifica ricoperta (maresciallo capo;
maresciallo;
brigadiere capo;
brigadiere;
appuntato;
appuntato scelto).

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e della Finanze.

All’udienza pubblica del 21 aprile 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è inammissibile per carenza d’interesse, come, del resto, recentemente statuito dalla Sezione in una controversia analoga definita con la sentenza n. 3745 del 31 marzo 2022.

L’art. 2, comma 2 del d.lgs. 165/2001 (testo unico del pubblico impiego) prevede che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche “ sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto;
i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all'articolo 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva
”.

Il successivo art. 40 prevede che “ la contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto” (comma 1) e “disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi ” (comma 3);
inoltre, “ le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dell'articolo 7, comma 5, e dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l'ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati ai sensi dell'articolo 45, comma 3. La predetta quota è collegata alle risorse variabili determinate per l'anno di riferimento. La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono;
essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. I contratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata. Alla scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione
” (comma 3 bis).

In tale procedimento “ le pubbliche amministrazioni sono legalmente rappresentate dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni - ARAN, agli effetti della contrattazione collettiva nazionale ” (art. 46, comma 1);
ed esse “ adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti ” (art. 40, comma 4).

Come ha statuito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 309 del 16 ottobre 1997 “ l’applicazione del contratto collettivo deriva, non già da una generalizzata previsione di obbligatorietà di questo (…) bensì dal su indicato dovere gravante sulle pubbliche amministrazioni ”;
il Giudice della Leggi ha, in particolare, sottolineato che “ tale meccanismo non realizza dunque quell'efficacia erga omnes conferita dall'art. 39, quarto comma, della Costituzione ai contratti stipulati dalle associazioni sindacali in possesso di determinate caratteristiche, ma si colloca sul distinto piano delle conseguenze che derivano, per un verso, dal vincolo di conformarsi imposto alle amministrazioni e, per l'altro, dal legame che avvince il contratto individuale al contratto collettivo. Più specificamente può dirsi che l'osservanza, da parte delle amministrazioni, degli obblighi assunti con i contratti collettivi rappresenta il conseguente e non irragionevole esito dell'intera procedura di contrattazione, la quale prende le mosse dalla determinazione dei comparti e si conclude con l'autorizzazione governativa alla sottoscrizione delle ipotesi di accordo ”;
ed ancora ha evidenziato che “ la forza cogente che a questo punto si produce nei confronti delle pubbliche amministrazioni costituisce, a sua volta, la premessa per realizzare la garanzia della parità di trattamento contrattuale ”, affermata dall’art. 45, comma 2 (“ le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi ”).

La Corte ha concluso che “ sul versante della posizione soggettiva del dipendente è, poi, agevole osservare come quest'ultimo rinviene nel contratto individuale di lavoro che sostituisce ad ogni effetto l'atto di nomina la fonte regolatrice del proprio rapporto: l'obbligo di conformarsi, negozialmente assunto, nasce proprio dal rinvio alla disciplina collettiva contenuto in tale contratto. In altri termini, per effetto della privatizzazione dei rapporti, la prestazione e le condizioni contrattuali della stessa trovano la loro origine, non già in una formale investitura, bensì nell'avere il singolo dipendente accettato che il rapporto di lavoro si instauri (o prosegua) secondo regole definite, almeno in parte, nella sede della contrattazione collettiva ”.

Con ciò si vuol dire che per i dipendenti la “non estraneità” al contratto collettivo discende dall'avere sottoscritto il contratto individuale di lavoro e, quindi, attraverso il meccanismo del rinvio alla disciplina collettiva, accettato che il rapporto venga regolato da quest’ultima.

Essi, perciò, non intervengono nel procedimento di contrattazione.

Dunque, avendo i ricorrenti dedotto che il “ cattivo esercizio del potere legislativo ” avrebbe determinato una situazione di inerzia nella revisione del trattamento economico, tradottasi nel blocco degli stipendi, si deve, giocoforza, concludere che si tratti di soggetti privi di una legittimazione attiva a censurare il merito di un’attività – la contrattazione, o meglio la concertazione – estranea al proprio ambito di azione.

Non a caso, nel giudizio definito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 309/1997 era stato il Sindacato nazionale dei lavoratori della Scuola (SNALS) ad impugnate un contratto collettivo;
e analoghe considerazioni valgono per la sentenza n. 178/2015, originata da un rinvio disposto nell’ambito di giudizi attivati su ricorsi presentati dalla Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche (FLP) e dalla Federazione italiana autonoma lavoratori pubblici (FIALP) “ in qualità di firmatarie dei contratti collettivi stipulati con l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per il personale della Presidenza del Consiglio dei ministri e del comparto ministeri e per il personale degli enti pubblici non economici ”.

In conclusione, il ricorso è inammissibile per carenza d’interesse.

La novità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese processuali.

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