TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2023-03-02, n. 202301357
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Testo completo
Pubblicato il 02/03/2023
N. 01357/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00466/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 466 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;
per l'annullamento
del decreto dirigenziale della Direzione Generale per il Personale Civile del Ministero della Difesa, recante protocollo-OMISSIS-, notificato al ricorrente in data 05.06.2017, nella parte in cui pone a carico del ricorrente il versamento della somma di 25.627,24;
b) per l’effetto dichiarare non dovuto dal ricorrente il versamento di euro 25.627,24 da effettuarsi sul capitolo 3580 Entrate eventuali e diverse concernenti il Ministero della Difesa Capo 16;
c) e, per l’effetto, condannare il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese, e competenze professionali per il presente procedimento con attribuzione diretta al sottoscritto procuratore antistatario.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 19 gennaio 2023 la dott.ssa R L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente è dipendente del Ministero della Difesa, in servizio presso il Ministero della Difesa – -OMISSIS-, con profilo professionale di “professore ordinario accademia aeronautica a tempo pieno”.
In data 07.03.2017 riceveva dalla Direzione Generale per il Personale Civile del Ministero della Difesa nota di contestazione della violazione dell’art. 53 comma 1 del D. Lgs. 165 del 30.03.2001 e sue successive modificazioni, per avere esercitato, nel periodo compreso tra l’anno 2007 e l’anno 2013, attività di lavoro extra istituzionale, consistenti in “corsi di formazione e corsi di aggiornamento professionale”, non previamente autorizzate e non rientranti tra le attività escluse ai sensi dell’art. 53 comma 6 lettera f-bis del citato decreto.
A fronte di tale contestazione il ricorrente veniva convocato per il giorno -OMISSIS-presso gli uffici della Direzione Generale per il Personale Civile del Ministero della Difesa al fine di rendere proprie dichiarazioni sul punto;svolta la suddetta audizione, il ricorrente in data 15.05.2017 depositava, a mezzo difensore, memoria difensiva.
In data 05.06.2017 veniva notificato il decreto dirigenziale con il quale la Direzione Generale per il Personale Civile del Ministero della Difesa, con il quale l’Ufficio richiedeva la restituzione dell’importo netto di Euro 25.627,24 percepito in violazione del divieto di svolgimento di attività non previamente autorizzate dall’Amministrazione di appartenenza.
Il ricorrente proponeva ricorso innanzi al Tribunale del Lavoro di Napoli contestando la debenza delle somme e la loro quantificazione.
Con sentenza n. -OMISSIS-, pubblicata in pari data, il Tribunale di Napoli dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore del giudice amministrativo.
Con ricorso notificato il 30.01.2019, e depositato il 7.02.2020, il ricorrente adiva questo Tribunale insistendo per l’annullamento del decreto impugnato. Ne deduceva, quindi, l’illegittimità per tutti i motivi di censura già proposti innanzi al Giudice ordinario e per mancata indicazione del Giudice, al quale proporre gravame.
Si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa eccependo l’infondatezza delle avverse censure.
Alla udienza pubblica di smaltimento del 19.01.2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la carenza di motivazione del decreto impugnato per mancata indicazione dei criteri di determinazione delle somme nette dovute.
A suo dire, infatti, dalla disamina della elencazione dei compensi percepiti, dei quali si richiede il versamento nel conto del bilancio d’entrata della Amministrazione, non si evincerebbe in maniera chiara quali siamo i compensi effettivamente percepiti dal dipendente e di cui si richiede il versamento.
Più nel dettaglio, dall’atto di convocazione si evincerebbe solo un elenco di compensi percepiti negli anni dal 2008 al 2014, di cui vengono riportati gli importi lordi e gli importi netti, cifre poi riportate pedissequamente nel successivo decreto dirigenziale del -OMISSIS-, senza riferimento alcuno alla ritenuta d’acconto, all’I.V.A. ed agli oneri contributivi e previdenziali eventualmente versati dal dipendente. Nemmeno sarebbe stato preso in considerazione il conguaglio IRPEF, pure operato dal dipendente in sede di dichiarazione dei redditi.
Con il secondo motivo di ricorso viene, invece, dedotta la violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 53 comma 7 del D Lgs 165 del 30 marzo del 2001 concernente la preventiva escussione del terzo erogante.
Nel prevedere il divieto per i pubblici dipendenti di svolgimento di attività extra istituzionali non previamente autorizzati dalla amministrazione di appartenenza, la citata disposizione normativa stabilisce, infatti, che, in caso di violazione del detto divieto, il compenso corrisposto al dipendente debba essere restituito dal soggetto che eroga il compenso stesso e, solo in difetto, dal soggetto che lo avrebbe percepito, ovvero il dipendente stesso.
Con il terzo motivo di ricorso, infine, il ricorrente deduce l’illegittimità dell’azione amministrativa per insussistenza dell’addebito contestato;l’art. 53 sopra richiamato, infatti, pone a carico di chi affida l’incarico l’onere di richiedere la preventiva autorizzazione all’amministrazione di appartenenza del pubblico dipendente. Il ricorrente non aveva mai ravvisato la necessità di effettuare l’adempimento richiesto dal citato art. 53 del D. Lgs 165/2001.
Così richiamati i motivi di ricorso, il Collegio ne rileva l’infondatezza.
In primo luogo, l’art. 53 comma 7 del D Lgs 165/2001 prevede che “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza.” […] “L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico;può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato”. […] “In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
Orbene, è emerso dagli accertamenti eseguiti dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Avellino, su delega del Nucleo Speciale Anticorruzione della medesima Guardia di Finanza, che il ricorrente, in servizio dal -OMISSIS- quale docente con contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato presso il Ministero della Difesa –-OMISSIS-, in data-OMISSIS-, ha acceso partita I.V.A. n.-OMISSIS-per l’attività “Corsi di Formazione e Corsi di Aggiornamento Professionale”, in violazione dell’art. 60 DPR n. 3/1957 (v. relazione istruttoria del 30.12.2016 all. 1 alla memoria difensiva del Ministero della Difesa).
Dalla stessa documentazione è emerso altresì che, nell’ambito della suddetta posizione I.V.A., il ricorrente ha svolto attività di lavoro extraistituzionale, senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione d’appartenenza, quale docente in corsi non rivolti esclusivamente a dipendenti della pubblica amministrazione, dal 2007 al 2013, per conto della -OMISSIS-, e, dal 2009 al 2013, per conto dell’Università degli Studi -OMISSIS-, percependo i relativi compensi.
Conseguentemente, ai sensi dell’art. 24 C.C.N.L. 16 maggio 1995 e s.m.i., con lettera di contestazione di addebiti dell’1.3.2017, trasmessa con nota prot. n. -OMISSIS- (all.to 3 alla memoria difensiva dell’Ufficio), è stata avviata l’azione disciplinare, conclusasi con l’adozione del decreto in questa sede impugnato, con il quale è stato irrogato al ricorrente il rimprovero scritto ed è stata determinata la somma da restituire, ai sensi del combinato disposto degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, lett. b), C.C.N.L. 16 maggio 1995 e s.m.i., e art. 53, comma 7, D. Lgs. 165/200 e s. m. i. Avendo omesso di richiedere le necessarie autorizzazioni e avendo svolto le citate attività con titolarità di partita I.V.A., in regime di incompatibilità con il rapporto di pubblico impiego ex art. 60 D.P.R. n. 3/1957, il ricorrente è, infatti, incorso nella violazione degli obblighi di cui all’art. 23, comma 1, C.C.N.L. 16/05/1995 citato.
La suddetta autorizzazione era in ogni caso necessaria anche per le attività di docenza, fino al 31/08/2013. E del resto, il ricorrente, nelle proprie difese, non contesta gli addebiti mossi dall’Amministrazione, ma si limita ad evidenziare di aver sempre esercitato la propria attività istituzionale correttamente e d’avere ritenuto, in buona fede, che la richiesta di autorizzazione all’attività di docenza dovesse essere richiesta, all’Amministrazione d’appartenenza, da parte del soggetto che gli conferiva l’incarico.
Ciò detto, ed a fronte di una violazione non contestata della disciplina vigente come innanzi descritta, l’Amministrazione resistente ha doverosamente proceduto al recupero della somma di € 25.627, 24.
Risulta, quindi, infondata la censura con la quale il ricorrente contesta l’indeterminatezza dei criteri di quantificazione delle somme dovute, atteso che l’Amministrazione ha individuato detta somma, prendendo in considerazione, in primis, i compensi netti percepiti dal ricorrente così come indicati dalla Guardia di Finanza nella propria relazione istruttoria.
Inoltre, l’Amministrazione ha rilevato, in sede difensiva, che, una volta accolta l’eccezione di prescrizione quinquennale opposta dal ricorrente in sede procedimentale, la somma dovuta è stata determinata in € 25.627,24, pari ai compensi netti corrisposti al ricorrente dalla -OMISSIS- e dall’Università degli Studi -OMISSIS- nel quinquennio antecedente al 31.12.2016, data di inoltro della citata relazione della Guardia di Finanza al Dipartimento della Funzione Pubblica (docenze 2012-2014).
D’altronde il ricorrente si è limitato a contestare genericamente la quantificazione operata dall’Ufficio senza fornire una qualche prova a sostegno di tale contestazione.
Il ricorrente lamenta, poi, la mancata preventiva escussione del soggetto presso cui è stata svolta l’attività esterna. Al riguardo deve, invece, rilevarsi, come da costante giurisprudenza amministrativa, che tale procedura non è necessaria qualora il dipendente abbia già ricevuto i compensi per il lavoro svolto. Il versamento dei compensi all’Amministrazione di appartenenza avviene, infatti, da parte del dipendente ove li abbia già percepiti, ovvero di chi ha conferito l’incarico, non potendo il beneficio della previa escussione dello stesso risolversi in un’indebita locupletatio del primo, ove abbia già introitato le relative somme (Consiglio di Stato, Sez. II, sent. del 27 maggio 2021, n. 4091).
E, infine, è emerso che il ricorrente ha, invece, provveduto personalmente a richiedere l’autorizzazione per le docenze presso la Facoltà di “Ingegneria” -OMISSIS- per gli anni accademici 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009 e novembre/dicembre 2008 presso la Facoltà di “Ingegneria” di -OMISSIS- nonché per le docenze presso il Dipartimento di “Matematica ed Informatica” dell’Università di -OMISSIS-, nel periodo gennaio 2009 – gennaio 2010 con la conseguenza che tali periodi non sono stati considerati nella determinazione della somma in contestazione. Il ricorrente era, dunque, a conoscenza dell’obbligatorietà dell’autorizzazione di cui all’art. 53 D.Lgs. n. 165/2001, che, come già rilevato, non contesta in questa sede.
Ad ogni modo, la controversa natura della misura in questione, che comunque sottintende una componente sanzionatoria del dovere di esclusività del rapporto di pubblico impiego, prescinde sia dalla verifica della sussistenza di un danno effettivo per la p.a. di appartenenza, sia da valutazioni di colpevolezza, che attengono alle eventuali diverse fattispecie di danno erariale con cui può concorrere (Consiglio di Stato, Sez. II, sent. del 27 maggio 2021, n. 4091).
Con ulteriore motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, da ultimo, l’erronea indicazione del Giudice ordinario quale autorità giudiziaria ordinaria competente per la sua impugnazione;si tratta, tuttavia, di una mera irregolarità, non idonea ad inficiare la legittimità dell’atto gravato.
In conclusione, per le considerazioni sin qui svolte, il ricorso va respinto siccome infondato.
La natura degli interessi coinvolti giustifica la compensazione, tra le parti, delle spese di lite.