TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2016-04-21, n. 201602050

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2016-04-21, n. 201602050
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201602050
Data del deposito : 21 aprile 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01037/2013 REG.RIC.

N. 02050/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01037/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1037 del 2013, proposto da C G, rappresentato e difeso dall'avv. F C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F L in Napoli, Via Caracciolo N.15,

contro

Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, Via Diaz, 11,

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. GDAP0436148-2012 del 06.12.2012 conosciuto il 14.12.2012, col quale il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - Direzione Generale del Personale e della Formazione ha rigettato l'istanza presentata dal Dr. G per la concessione dei benefici di cui all'art. 1 comma 260, lett. b) 1. 23.12.2005 n.266;

di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali, e per il riconoscimento del diritto al beneficio di cui all'art. 1, comma 260 1. n. 266/2005 consistente nella promozione a dirigente generale con decorrenza dal giorno precedente alla cessazione dal servizio per i dirigenti superiori con anzianità di cinque anni nella qualifica.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2016 il primo referendario dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Il Dott. C G, già dirigente superiore dell'Amministrazione penitenziaria e successivamente dirigente penitenziario con riconosciuta idoneità a ricoprire incarichi superiori, in quiescenza dal 01.03.2012, in data 2.10.2012 aveva presentato istanza per il riconoscimento del beneficio di cui all'art. 1, comma 260, lett b) 1. n. 266/2005 (finanziaria 2006), a norma del quale "a decorrere dal 1° gennaio 2006 è attribuita ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio" (cd. promozione alla vigilia).

A fronte del diniego opposto dall’Amministrazione, sulla base della circostanza che l'art. 3 del D.lgs. 15.2.2006, n. 63 ("Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria"), prevedendo "solamente la qualifica di dirigente penitenziario [....] di fatto ha soppresso il ruolo dei dirigenti superiori", il dott. G ha notificato il ricorso oggetto del presente giudizio, ritenendo il proprio diritto alla concessione del beneficio, espressamente previsto dalla citata disposizione per i dirigenti superiori della Polizia di Stato, al cui trattamento economico e stipendiale ritiene essere equiparati i dirigenti penitenziari.

2. Avverso la citata deliberazione, il ricorrente ha articolato le seguenti censure:

I - Eccesso di potere per disparità di trattamento;
violazione del principio di imparzialità (art.97. cost.).

Secondo il ricorrente, il beneficio sarebbe stato attribuito in passato a dirigenti superiori della polizia penitenziaria, successivamente inquadrati come dirigenti penitenziari con idoneità ad incarichi superiori.

Sarebbe sbagliata la negazione, contenuta nel provvedimento impugnato, dell’esistenza della qualifica di “dirigente superiore”, che non sarebbe prevista dalla l n. 154/2005, istitutiva della carriera dirigenziale penitenziaria, e dal d.lgs n. 63 /2006 avente ad oggetto "l'ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria".

Secondo il ricorrente, infatti, proprio l’Amministrazione penitenziaria vi avrebbe fatto riferimento in diverse occasioni e in altri provvedimenti destinati ad altri dirigenti, ed inoltre esisterebbe una netta distinzione tra “dirigenti penitenziari con riconosciuta idoneità a ricoprire incarichi superiori” e “altri dirigenti penitenziari”;
i primi sarebbero equiparati, di fatto, ai dirigenti superiori.

Vi sarebbe una sostanziale identità tra la categoria, abrogata, dei “dirigenti superiori” e quella, attualmente vigente, dei dirigenti “idonei ad incarichi superiori”, e questo in quanto per entrambe si richiedeva e si richiede il requisito dell'anzianità e della valutazione per merito comparativo.

Da qui, l’illegittimità del diniego opposto.

II - Eccesso di potere per incoerenza e contraddittorieta' — violazione del principio di imparzialita' (art.97 cost.)

La distinzione tra normali dirigenti penitenziari e dirigenti con idoneità ad incarichi superiori si dedurrebbe anche dal ruolo di anzianità pubblicato il 7 luglio 2011, nel quale, dopo il quadro dei dirigenti generali, in un secondo quadro sono inseriti solo i dirigenti penitenziari con l'indicazione della idoneità agli incarichi superiori, la cui decorrenza nella qualifica viene fatta coincidere con quella della decorrenza della qualifica a dirigente superiore 01.1.1995.

III - Eccesso di potere per travisamento del presupposto — illogicita'.

Il ricorrente ritiene che l’esistenza di un ruolo di dirigenti penitenziari idonei agli incarichi superiori, distinti dai semplici dirigenti penitenziari, sia coerente con il sistema voluto dalla legge 154/2005.

IV - Eccesso di potere per manifesta ingiustizia —violazione del principio di equità- violazione art.1, 1° comma l. n. 241/90 s.m.i.

Si ritiene l’iniquità della soppressione di fatto del ruolo dei dirigenti superiori in quanto l’inquadramento nella nuova qualifica di “dirigente penitenziario con idoneità ad incarichi superiori“ non può risolversi in danno dei soggetti coinvolti, anche alla luce dello spirito e della natura della riforma della dirigenza, e senza cancellare il trascorso professionale.

3. L’Amministrazione si è costituita depositando relazione difensiva ministeriale, nella quale sono state illustrate le motivazioni poste alla base del diniego e segnatamente che il d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge 30 luglio 2011 n.122, ha disposto il blocco contrattuale per gli anni 2011-2012-2013, sicchè eventuali provvedimenti emanati in applicazione della legge 23 dicembre 2005, n.266 art.1, comma 260 lettera b) nei confronti di altri dirigenti dell'Amministrazione, sono legittimi perché antecedenti al d.l. 78/2010, laddove l’istanza del G è del 2012.

In ogni caso, in base al d.lgs. n.63/2006, non esisterebbe alcuna categoria di dirigente superiore: l’art. 3 ha previsto esclusivamente la qualifica di dirigente penitenziario, mentre all'apice i ruoli convergono nella qualifica unitaria di dirigente generale. La norma avrebbe di fatto soppresso il ruolo del "dirigenti superiori" tanto che il ricorrente, con decreto 28 giugno 2006, è stato inquadrato, ai sensi dell'art. 26 del citato decreto legislativo, nella nuova carriera dirigenziale con la qualifica di "dirigente di istituto penitenziario" e riconosciuto idoneo a ricoprire incarichi superiori a decorrere dal 18 marzo 2006.

4. In vista della discussione sul merito, parte ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha ribadito le proprie prospettazioni e confutato la deduzioni dell’Amministrazione.

In particolare, la pretesa invocata troverebbe conferma nella circolare n.0086919-2015 del 11.03.2015 ("Nuove disposizioni normative in materia pensionistica e previdenziale") nella quale l'Amministrazione ha incluso l'argomento riguardante il beneficio rivendicato dal dott. G, per avvertire che tale beneficio è stato abrogato dall'ultima finanziaria a decorrere dal 1 gennaio 2015(per cui sarebbe stato applicabile fino a tale data).

5. In occasione dell’udienza pubblica del 10 febbraio 2016, la parte ricorrente ha dato atto dell’esistenza di contenzioso analogo, sempre su provvedimento del dicembre 2012, deciso dalla VII sezione del Tar Campania in senso negativo rispetto a quanto richiesto dal ricorrente (sentenza 2247/2015)

Ha altresì rappresentato la pendenza dell’appello avverso la suddetta sentenza.

6. Discussa la causa, il collegio l’ha trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente fatta una disamina del quadro normativo esistente.

Il beneficio richiesto dal ricorrente, e negato dall’Amministrazione, è come detto, quello di cui alla l. 23/12/2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), la quale al comma 260 dell’art. 1 stabiliva, alla lett. B), che - a decorrere dal 1º gennaio 2006 - ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, venisse attribuita la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio

Tale beneficio, a detta dell’Amministrazione, non spetterebbe al dott. G, e in generale ai dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria, in quanto dal 2006 sarebbe soppresso il ruolo dei dirigenti superiori, esistente in passato ma non riconfermato a seguito della nuova disciplina voluta dalla legge a norma dal d.lgs. 63/2006 (Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria) emanato in attuazione della delega di cui alla L. 27 luglio 2005, n. 154.

L’art. 3 del d.lgs. 63/2006 ha previsto l’istituzione di tre ruoli di dirigente penitenziario (dirigente di istituto penitenziario, dirigente di esecuzione penale esterna e dirigente medico psichiatra), che, in base al comma 2, “all’apice convergono nella qualifica unitaria di dirigente generale.”

Il successivo art. 7 disciplina il “conferimento degli incarichi superiori”, previsti nella Tabella A allegata al decreto, che avviene mediante valutazione comparativa alla quale sono ammessi i dirigenti penitenziari con almeno nove anni e sei mesi di effettivo servizio senza demerito dall'ingresso in carriera, secondo le modalità di cui ai commi successivi del medesimo art. 7.

Detti incarichi, in base alla tabella A, sono un numero ridotto rispetto alla dotazione organica prevista per i tre ruoli sopra indicati (e precisamente, 45 su 431 dirigenti di istituto penitenziario;
3 su 15 dirigenti medici psichiatri;
8 su 55 dirigenti dell’esecuzione penale esterna).

L’art. 8 del d.lgs. 63/2006 stabilisce le condizioni per la nomina a dirigente generale penitenziario che può essere conferita ai funzionari con qualifica di dirigente che abbiano svolto incarichi di particolare rilevanza, ivi compresi quelli di cui all'articolo 7.

L’art. 9 ha altresì previsto che i posti di funzione che possono essere conferiti ai dirigenti penitenziari ed ai dirigenti con incarichi superiori, nell'ambito degli uffici centrali e degli uffici territoriali dell'Amministrazione, sono individuati con decreto del Ministro, emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 4- bis, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400 , nei limiti delle dotazioni organiche individuate dalla tabella A.

In base al comma 4 del medesimo articolo, negli uffici individuati ai sensi del comma 1, la provvisoria sostituzione del titolare, in caso di impedimento o assenza, è assicurata da altro funzionario dello stesso ruolo.

2. Orbene, a parere del Collegio, la disciplina dei ruoli di dirigente penitenziario conferma quanto prospettato dal ricorrente.

È vero che il sistema dato dalla legge 154/2005 e dal successivo decreto delegato 63/2006 riconosce un sistema dirigenziale, della Polizia penitenziaria, articolato in apparenza su due livelli, quello di dirigente generale e quello di dirigente penitenziario “ semplice”.

È tuttavia innegabile che il legislatore abbia enucleato una sorta di sottogruppo, costituito dai dirigenti “ idonei a ricoprire incarichi superiori”, che presentano uno status diverso dai dirigenti normali.

Si tratta di una categoria distinta e delimitata quanto alla dotazione organica, preposta alla direzione specifica degli istituti penitenziari o degli istituti psichiatrici giudiziari più importanti d’Italia, come risulta dalla tabella A allegata al d.lgs. 63/2006.

L’accesso a tale categoria avviene in base a una vera e propria valutazione comparativa, come se si trattasse di un passaggio di livello: infatti, il comma 1 dell’art. 7 del d.lgs. 63/2006 stabilisce che “ il conferimento degli incarichi superiori, quali previsti nella tabella A, nel limite dei posti in organico, avviene mediante valutazione comparativa alla quale sono ammessi i dirigenti penitenziari con almeno nove anni e sei mesi di effettivo servizio senza demerito dall'ingresso in carriera.” Il comma 2 stabilisce a sua volta le categorie dei titoli di servizio ammesse a valutazione, con riferimento a una serie di parametri ivi stabiliti.

L’art. 8 attribuisce ai soli dirigenti con incarichi superiori (e comunque solo a coloro che abbiano avuto incarichi di particolare rilevanza) la possibilità di passaggio al livello apicale di dirigente superiore.

L’art. 9, al comma 1, nell’individuare i posti di funzione, distingue dirigenti penitenziari (semplici) da dirigenti con incarichi superiori.

Il comma 3 dell’art. 26 del medesimo decreto stabilisce, a sua volta, che “il personale già inquadrato nella qualifica di dirigente superiore dell'Amministrazione, è inquadrato nella nuova carriera con la qualifica di dirigente penitenziario, secondo l'ordine di ruolo, nel rispettivo ruolo professionale, ed è riconosciuto idoneo a ricoprire gli incarichi superiori di cui alla tabella A.”

Anche il ricorrente ha beneficiato di tale trattamento in quanto, già dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, con D.M. del 28 giugno 2006 aveva beneficiato dell’inquadramento di cui al citato terzo comma dell’art. 26 (cfr. all. 5 prod. G).

2.2. In sostanza, il quadro normativo illustrato consente di ritenere che esista una categoria assimilabile, a tutti gli effetti, alla ex categoria dei dirigenti superiori, diversa solo quanto al nome.

La distinzione tra normali dirigenti penitenziari e dirigenti con idoneità ad incarichi superiori emerge anche dal ruolo di anzianità pubblicato il 7 luglio 2011 (doc. 13 prod. G), nel quale, dopo il quadro dei dirigenti generali, in un secondo quadro sono inseriti solo i dirigenti penitenziari con l'indicazione della idoneità agli incarichi superiori, la cui decorrenza nella qualifica viene fatta coincidere con quella della decorrenza della qualifica a dirigente superiore 01.1.1995.

D’altra parte, a ragionare diversamente, con la riforma della dirigenza penitenziaria tutti i dirigenti superiori in servizio sarebbero stati vittima di una illegittima quanto improbabile “ degradazione”, che invece non vi è stata né sotto il profilo economico né sotto quello delle funzioni esercitate e della carriera.

Ne discende che l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, che è poi l’unica ragione del diniego per la cd. “ promozione alla vigilia” di cui all’art. 1, comma 260 lett. B) della l. 266/2006, non può essere considerata legittima.

2.3. Il Collegio è perfettamente consapevole che questo Tribunale, seppur in una diversa sezione, ha diversamente deciso una fattispecie analoga (cfr. sentenza sez. VII, n. 2247/2015).

Tuttavia, l’esame attento della decisione consente di rilevare che, sul punto, il collegio giudicante non ha fornito una motivazione che abbia tenuto conto, nel dettaglio, del quadro normativo sopra illustrato e conseguente all’entrata in vigore della l. 154/2005 e del successivo d.lgs. 63/2006, limitandosi a parlare di “ diverso quadro ordinamentale” senza sottoporlo ad alcuna valutazione;
manca dunque in quella pronuncia una specifica motivazione in ordine ad elemento che questo Collegio ritiene dirimente, ossia all’esistenza di un gruppo dirigenziale (quello degli “ idonei ad incarichi superiori”, al quale appartiene il ricorrente) che presenta in tutto e per tutto caratteristiche analoghe a quello del “ soppresso” gruppo dei dirigenti superiori, e che non risulta aver subito, per effetto della riforma, decurtazioni economiche o retrocessioni di alcun tipo.

Da qui, non si vede per quale ragione ai soggetti facenti parte del medesimo non debba applicarsi l’istituto, all’epoca vigente, della cd. promozione alla vigilia, che, infatti, era stato pacificamente attribuito a colleghi del ricorrente, nella vigenza della disciplina esistente prima del 2005, come dimostrato dai numerosi precedenti depositati agli atti.

3. Per completezza, si rendono opportune altre precisazioni.

In primo luogo, nessun peso può essere attribuito al rilievo contenuto nella relazione depositata dall’Avvocatura erariale, ossia che il ricorrente non ha diritto all'attribuzione economica del trattamento del dirigente generale ai sensi dell'art. 1, comma 260, lett. b) della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in quanto il decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge 30 luglio 2011 n.122, ha disposto il blocco contrattuale per gli anni 2011-2012-2013.

Tale motivazione postuma non può trovare ingresso quale ragione fondante del provvedimento impugnato, per la nota ragione che la motivazione deve precedere e non seguire il provvedimento, a tutela oltre che del buon andamento dell’amministrazione e dell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario, degli stessi principi di parità delle parti e giusto processo (art. 2 c.p.a.) e di pienezza della tutela secondo il diritto Europeo (art. l c.p.a.) i quali convergono nella centralità della motivazione quale presidio del diritto costituzionale di difesa (Cons. St., 20 agosto 2013, n. 4194;
id., 9 ottobre 2012, n. 5257;
id., 24 novembre 2010, n. 8218).

Sul punto la III sezione del Consiglio di Stato (30 aprile 2014 n. 2247) ha ribadito che la motivazione del provvedimento costituisce “l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata, e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio”. Infatti, il difetto di motivazione nel provvedimento impugnato non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (v. anche, Cons. St., sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629;
nello stesso senso T.A.R. Piemonte, sez. I, 05 novembre 2014 n. 1676, secondo cui è “ inammissibile l'integrazione postuma della motivazione di un atto amministrativo mediante gli atti difensivi predisposti dall'Amministrazione resistente, e ciò anche dopo le modifiche apportate alla l. 7 agosto 1990 n. 241 dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, rimanendo sempre valido il principio secondo cui la motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento amministrativo e dell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario;
T.A.R. Basilicata, 26 agosto 2014 n. 560;
T.A.R. Sardegna, sez.

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