TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-06-19, n. 202310397
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Pubblicato il 19/06/2023
N. 10397/2023 REG.PROV.COLL.
N. 03661/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3661 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da A S C, al quale sono succeduti
mortis causa
nel corso del giudizio gli eredi M B, P S C, D S C, V S C e M S C, rappresentati e difesi dagli Avvocati F F e Prof. G G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio
ex lege
presso la sede di quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi n. 12;Roma Capitale, in persona del suo Sindaco
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocato Federica Graglia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di Fiumicino, in persona del suo Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli Avvocati Catia Livio e Federica Forcellini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO:
- della delibera della Giunta Municipale del Comune di Roma n. 17 del 2-3 febbraio 2007 con la quale si individua a bilancio la somma da destinare alla prelazione e se ne determina l’esercizio;
- della nota del Comune di Roma – Soprintendenza ai beni culturali, del 5.2.2007, prot. n. 2195, con la quale si dichiara di esercitare la prelazione ai sensi degli artt. 60 e segg. del D. lgs. n. 42 del 2004;
- della nota della Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, prot. 2136 del 12.2.2007, di trasmissione al Ministero della proposta del Comune di Roma;
- della nota del Ministero dei Beni Culturali, prot. 10/E del 15.2.2007, di rinuncia all’esercizio della prelazione e trasferimento della relativa facoltà al Comune di Roma;
PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI:
- degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza di smaltimento del giorno 12 maggio 2023, in videoconferenza sulla piattaforma Teams, il dott. Michele Tecchia, e trattenuta la causa in decisione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo il ricorrente – premesso di aver acquistato dalla “Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini” con atto di compravendita del 18 dicembre 2016 (registrato in data 22 dicembre 2016) alcuni beni di rilevante valore archeologico-culturale (segnatamente un sarcofago marmoreo e un rilievo romano raffigurante venatio tra cinque gladiatori, un leone, un’orsa e una pantera), nonché di aver denunziato detto contratto alle Amministrazioni competenti in data 4 gennaio 2007 e di essersi visto successivamente notificare dal Comune di Roma un atto di esercizio del diritto di prelazione sui suddetti beni ex artt. 60 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004 – insorge avverso quest’ultimo atto chiedendone l’annullamento per due distinti motivi:
(i) primo motivo - violazione degli artt. 60 e segg. del d.lgs. n. 42 del 2004 per avere le Amministrazioni competenti infranto tutti i termini perentori del procedimento di prelazione e segnatamente: a) il termine “interno” di 20 giorni dalla data di ricezione della denunzia del privato entro il quale la regione e gli altri enti pubblici territoriali interessati (ivi inclusa Roma Capitale) possono presentare al Ministero per i Beni e le Attività Culturali una proposta di prelazione (cfr. art. 62 comma 2 d.lgs. n. 42 del 2004);b) il termine “interno” di 20 giorni dalla data di ricezione della denunzia del privato entro il quale il Ministero può rinunciare all’esercizio della prelazione, trasferendone la facoltà all’ente interessato (cfr. art. 62 comma 3 d.lgs. n. 42 del 2004);c) il termine “esterno” finale di 60 giorni dalla data di ricezione della denunzia del privato entro il quale l’ente interessato può esercitare il diritto di prelazione con atto ritualmente notificato sia all’alienante che all’acquirente (cfr. art. 61 comma 1 d.lgs. n. 42 del 2004);
(ii) secondo motivo – eccesso di potere per avere Roma Capitale esercitato il diritto di prelazione rispetto a beni che, contrariamente a quanto esposto nella motivazione dell’atto di precetto, nulla avrebbero a che vedere con la prestigiosa collezione della famiglia Torlonia di Roma;in proposito parte ricorrente rileva, nel dettaglio, che né il luogo di ritrovamento né il luogo di detenzione dei beni oggetto di prelazione afferirebbero al territorio del comune di Roma, trattandosi in tesi di beni rinvenuti presso il Porto di Traiano (in zona Fiumicino).
Le Amministrazioni intimate (Roma Capitale, Ministero e Comune di Fiumicino) si sono ritualmente costituite in giudizio, le prime due insistendo per la reiezione del ricorso e la terza associandosi invece alle doglianze del ricorrente, sul presupposto secondo il quale i beni culturali de quibus perterrebbero al territorio di Fiumicino. Con particolare riguardo alla costituzione in giudizio del Ministero, mette conto evidenziare che quest’ultimo ha documentato – con la citazione di due specifiche fonti bibliografiche – la riconducibilità dei beni in questione al patrimonio della famiglia Torlonia di Roma.
Successivamente, con una prima ordinanza istruttoria pubblicata in data 24 maggio 2007, il Collegio ha disposto l’acquisizione di tutti gli atti del procedimento di prelazione, avendo riscontrato l’incompletezza della documentazione inizialmente depositata in atti.
Con successiva ordinanza cautelare pubblicata in data 6 settembre 2007, il Collegio ha disposto la sospensione degli effetti dell’atto di prelazione impugnato, avendo rilevato che sarebbero state violare le sequenze temporali e procedimentali indicate dal legislatore per l’esercizio del diritto di prelazione.
Successivamente - una volta scrutinata la documentazione depositata in atti dalle Amministrazioni in ossequio agli incombenti istruttori disposti dal Collegio - il ricorrente ha poi notificato e depositato motivi aggiunti volti a censurare lo stesso atto impugnato con il ricorso introduttivo ( id est l’atto di decadenza e tutti gli ulteriori atti ad esso connessi) in quanto “ dalla lettura della nota del Ministero diretta alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma, prot. 15598, del 30.11.2006, avente ad oggetto l’autorizzazione ad alienare i beni oggetto del giudizio, si apprende che, per quanto attiene il sarcofago di età imperiale è in corso il procedimento di dichiarazione di interesse archeologico particolarmente importante, iniziato con l’avviso del procedimento in data 27.9.2006 ”, discendendone quindi che nessuna prelazione sarebbe possibile in relazione al sarcofago (cfr. pag. 3 dei motivi aggiunti).
Ad ulteriore conforto dei surrichiamati motivi aggiunti, parte ricorrente soggiunge che non varrebbe replicare che pur in assenza di una dichiarazione di interesse culturale del sarcofago, quest’ultimo conservi comunque un valore culturale intrinseco in forza dell’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, a rigore del quale sono beni culturali in via automatica (indi a prescindere da una dichiarazione amministrativa di interesse culturale) “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico ”.
Osserva sul punto parte ricorrente che la Fondazione ecclesiastica a cui apparteneva il sarcofago – essendo un ente ecclesiastico extra-statuale – non può essere ricompreso nel novero delle persone giuridiche private senza fine di lucro.
Nelle more del procedimento il ricorrente è deceduto e il Collegio ha adottato un’ordinanza di interruzione del giudizio pubblicata in data 17 ottobre 2022. Il giudizio è stato tempestivamente riassunto dagli eredi del ricorrente.
All’udienza straordinaria del 12 maggio 2023 il Collegio ha introiettato la causa in decisione.
Successivamente, dopo il passaggio in decisione della causa, il Collegio ha rilevato d’ufficio la sussistenza di un possibile profilo di irricevibilità dei motivi aggiunti.
Conseguentemente, con ordinanza ex art. 73 comma 3 c.p.a., il Collegio – riservando la decisione – ha assegnato alle parti un termine di 20 (venti) giorni per la presentazione di memorie vertenti su detto profilo.
Parte ricorrente e Roma Capitale hanno tempestivamente depositato le rispettive memorie.
DIRITTO
Il Collegio ritiene necessario esaminare partitamente il ricorso introduttivo e i successivi motivi aggiunti.
SUL RICORSO INTRODUTTIVO
Quanto al primo motivo di ricorso (con cui parte ricorrente si è doluta di una supposta violazione dei termini del procedimento amministrativo di prelazione ex artt. 60 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004), il Collegio rileva anzitutto che il termine finale di 60 giorni ex art. 61 del d.lgs. n. 42 del 2004 per la notifica dell’atto di prelazione (termine decorrente dalla data in cui i privati avevano notificato al Ministero la denunzia dell’atto di compravendita, e cioè dal 4 gennaio 2007) è stato incontestabilmente rispettato, atteso che la denunzia della vendita risale per l’appunto al 4 gennaio 2007, mentre la duplice notifica dell’atto di prelazione ad alienante e acquirente risulta essersi perfezionata in data 5 febbraio 2007 (cfr. determinazione dirigenziale prot. n. 2215 del 5 febbraio 2007 e relative relate di notifica ritualmente depositate in atti).
Quanto poi agli ulteriori termini procedimentali “intermedi” di cui è stata lamentata la violazione ( id est il termine di 20 giorni entro cui gli enti interessati devono rappresentare al Ministero l’intenzione di esercitare la prelazione e il termine di 20 giorni entro cui il Ministero può rinunziare alla prelazione in favore dell’ente che l’ha esercitata) la giurisprudenza amministrativa si è già espressa in proposito, rilevando l’irrilevanza della violazione di detti termini ai fini dell’annullamento giudiziale dell’atto di prelazione.
Ed infatti, è stato condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato (Cons St. n. 3209 del 2012) che “ come emerge dal quadro normativo sopra riportato, quello di 20 giorni è un termine interno al procedimento di esercizio della prelazione, al fine di un ordinato coordinamento delle proposte di prelazione da parte delle varie Amministrazioni legittimate e interessate. L’unico termine ‘esterno’, rilevante per il venditore e l’acquirente del bene, è quello di 60 giorni entro cui la prelazione va esercitata ”.
Sempre il Consiglio di Stato (Cons. St. 14 gennaio 2022 n. 261) ha inoltre chiarito – con riferimento all’ipotesi (identica a quella di specie) in cui il Ministero abbia rinunziato alla propria prelazione soltanto dopo (anziché prima) l’atto di esercizio della prelazione dell’ente locale – che “ ciò, tuttavia, non comporta le conseguenze che ne ha inteso trarre l’appellante. Preliminarmente, va precisato che non si è in presenza di vera e propria inversione procedimentale, che può determinarsi all’interno del medesimo procedimento amministrativo (come nel caso tipico di adozione del provvedimento conclusivo a successiva acquisizione di parere) … poiché, nel caso di specie, il Ministero e l’ente pubblico territoriale svolgono due procedimenti autonomi tra loro connessi nei sensi precisati dal legislatore, ossia con prevalenza del potere statale su quello dell’ente territoriale;ne segue che l’adozione del provvedimento comunale prima di quello ministeriale (nel senso della rinuncia all’esercizio del potere) comporta solamente il suo implicito condizionamento in senso risolutivo. La delibera comunale n. 21 del 2018, dunque, era risolutivamente condizionata (sia pure per implicito, ma per condizione comunque derivante dalla configurazione legale dei due procedimenti) all’eventuale decisione del Ministero di acquisire allo Stato il bene esercitando la prelazione. La decisione del Ministero di rinunciare alla prelazione ha determinato il definitivo consolidamento del provvedimento comunale di acquisto del bene ”.
In definitiva, la giurisprudenza in materia ha chiaramente affermato che l’unico termine rilevante per il soggetto privato inciso negativamente dall’atto di prelazione è quello di 60 giorni ex art. 61, primo comma, del d.lgs. n. 42 del 2004, entro il quale l’ente locale può comunicare all’alienante e all’acquirente l’esercizio di detta prelazione.
Nel caso di specie tale termine è stato inconfutabilmente rispettato.
Non è invece riconoscibile in capo al ricorrente alcun interesse al rispetto dei termini procedimentali “intermedi” entro cui l’ente locale deve inviare la proposta di prelazione al Ministero dei Beni Culturali, o entro cui detto Ministero deve comunicare l’eventuale rinuncia alla prelazione ai sensi dell’art. 62, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 42 del 2004, trattandosi di termini riconosciuti in favore delle stesse Amministrazioni (e non dei soggetti privati incisi dall’atto di prelazione).
Non sono pertanto ammissibili, per carenza di interesse, le doglianze relative alla violazione di detti termini “intermedi”.
Per quel che concerne poi il secondo motivo, giova evidenziare che il Ministero ha debitamente comprovato – attraverso due specifiche citazioni bibliografiche – la riconducibilità dei beni in questione al patrimonio della famiglia Torlonia.
Nulla invece è stato provato in senso contrario da parte della difesa del ricorrente.
Le suesposte considerazioni conducono, pertanto, alla reiezione del ricorso introduttivo.
SUI MOTIVI AGGIUNTI
I motivi aggiunti sono irricevibili, atteso che la notizia dell’asserita mancanza della dichiarazione di interesse culturale del sarcofago marmoreo rientrava nella sfera di dominio del ricorrente ben prima del deposito documentale effettuato dall’Amministrazione intimata nel mese di giugno 2007.
Risulta, infatti, dalla stessa denunzia di compravendita notificata dal ricorrente al Ministero in data 4 gennaio 2007, che “ per il sarcofago marmoreo è stato avviato il procedimento per la dichiarazione di interesse archeologico ex art. 12 del D.lgs. n. 42 del 2004 ”.
Va da sé che già al tempo della notifica del ricorso introduttivo il ricorrente era a conoscenza del mancato completamento del procedimento di dichiarazione di interesse archeologico del sarcofago marmoreo, e cionondimeno alcuna censura è stata formulata sul punto con detto ricorso.
In proposito, parte ricorrente controdeduce – con memoria depositata in atti in data 6 giugno 2023 a valle dell’ordinanza ex art. 73 comma 3 c.p.a. – che ciò che il ricorrente conosceva al tempo della notifica del ricorso introduttivo sarebbe stato qualcosa di diverso rispetto a ciò che egli è invece venuto a sapere soltanto più tardi (e cioè a seguito dei depositi processuali delle Amministrazioni intimate).
Più in particolare, parte ricorrente sostiene che:
- la denunzia di compravendita notificata dal ricorrente al Ministero in data 4 gennaio 2007, attesta che all’epoca (e cioè prima della notifica del ricorso introduttivo) il ricorrente sarebbe stato soltanto al corrente del fatto che era stato avviato il procedimento di verifica dell’interesse archeologico del sarcofago marmoreo ex art. 12 del d.gs. n. 42 del 2004;
- grazie alla documentazione successivamente depositata in atti dalle Amministrazioni il ricorrente sarebbe venuto a conoscenza di un fatto in tesi diverso, e cioè dell’avvio di un diverso procedimento di dichiarazione di interesse archeologico del sarcofago marmoreo ex artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 42 del 2004.
In breve, la difesa di parte ricorrente prova a sostenere che al tempo della notifica del ricorso introduttivo il ricorrente sapeva soltanto dell’avvio del procedimento di verifica dell’interesse archeologico ex art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004, mentre in corso di giudizio egli sarebbe venuto a conoscenza dell’avvio di un diverso ed ulteriore procedimento di dichiarazione di interesse archeologico ex artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 42 del 2004, ciò che renderebbe i motivi aggiunti pienamente ricevibili.
Questa difesa è tuttavia infondata.
Se si volge lo sguardo, infatti, all’esatta formulazione testuale della denunzia di compravendita notificata dal ricorrente al Ministero in data 4 gennaio 2007 (indi prima della notifica del ricorso introduttivo) si ha modo di constatare che parte ricorrente affermava quanto segue: “ per il Sarcofago marmoreo è stato avviato il procedimento per la dichiarazione di interesse archeologico ex art. 12 del D. Lgs. n. 42 del 2004 con conseguente sottoposizione a tutela (giusta comunicazione della Soprintendenza Archeologica di Roma del 27 settembre 2006, prot. 27379) ”.
Se poi si presta attenzione, invece, ai motivi aggiunti successivamente notificati, qui parte ricorrente deduce che “ dalla lettura della nota del Ministero diretta alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma, prot. 15598, del 30.11.2006, avente ad oggetto l’autorizzazione ad alienare i beni oggetto del giudizio, si apprende che, per quanto attiene il sarcofago di età imperiale è in corso il procedimento di dichiarazione di interesse archeologico particolarmente importante, iniziato con l’avviso del procedimento in data 27.9.2006 ”.
Se ne inferisce che la “notizia” che parte ricorrente considera “nuova” (e dunque atta a rendere in tesi ricevibili i motivi aggiunti) sarebbe quella dell’avvio di un procedimento di “dichiarazione” (e non di verifica) di interesse archeologico del sarcofago marmoreo, avvio avvenuto con avviso del 27 settembre 2006 .
Orbene, si tratta della stessa identica notizia che parte ricorrente aveva dimostrato di ben conoscere già con la denunzia di compravendita notificata al Ministero in data 4 gennaio 2007 (prima cioè della notifica del ricorso introduttivo), atteso che in quella denunzia si faceva espresso riferimento, come già visto, all’avvio di un procedimento di “dichiarazione” (e non di verifica) di interesse archeologico, sempre avvenuto con avviso della Soprintendenza Archeologica di Roma del 27 settembre 200 6.
In entrambi i casi, pertanto, si fa riferimento a un procedimento di “ dichiarazione ” di interesse archeologico del sarcofago marmoreo e ad un atto di avvio di tale procedimento risalente al “ 27 settembre 2006 ”.
È di tutta evidenza, quindi, che si tratta dello stesso identico procedimento , procedimento che dunque era noto alla parte ricorrente già prima della notifica del ricorso introduttivo, senza che però alcuna censura di tale ricorso riposi su detto procedimento (censura inammissibilmente sollevata soltanto con motivi aggiunti, evidentemente tardivi).
Va da sé che il tentativo di parte ricorrente di prospettare soltanto ora l’esistenza di due distinti procedimenti (l’uno di “ verifica ” noto ab origine , e l’altro di “ dichiarazione ” divenuto noto solamente nelle more del giudizio) si basa su una strumentalizzazione del rinvio testuale all’art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004 contenuto nella denunzia di compravendita originariamente inviata dal ricorrente in data 4 gennaio 2007.
Tale rinvio testuale era infatti un chiaro refuso dello stesso ricorrente, come risulta confermato dall’inequivocabile riferimento alla “dichiarazione” (e non alla “verifica”) dell’interesse archeologico, nonché dal riferimento alla data del 27 settembre 2006 (data riportata sia nella denunzia di compravendita del 4 gennaio 2007, sia nei successivi motivi aggiunti).
Ne discende, pertanto, che i motivi aggiunti sono tardivi e dunque irricevibili.
Conclusivamente, quindi, il ricorso va respinto in quanto infondato, mentre i motivi aggiunti vanno dichiarati irricevibili.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore di Roma Capitale e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.