TAR Milano, sez. I, ordinanza cautelare 2014-04-24, n. 201400569
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N. 00569/2014 REG.PROV.CAU.
N. 01143/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1143 del 2014, proposto da:
M D, rappresentato e difeso dagli avv.ti M Z e G M B, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Milano, via Cerva, 1
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato in Milano, via Freguglia, 1
per l'annullamento,
previa sospensione dell'efficacia,
del decreto del Direttore della 3a Divisione c.v. c.m. C F, appartenente alla Direzione Generale per il personale militare n. D.M. 621/I-3/2013 in data 16.12.2013, notificato in data 22.1.2014, con il quale l'Amministrazione ha decretato nei confronti del ricorrente la "perdita del grado" ai sensi degli articoli 866, comma 1 e 867, comma 3 del decreto legislativo 15 marzo 20, n.66, a decorrere dal 24.9.2010, e per l'effetto ha iscritto d'ufficio lo stesso ricorrente nel ruolo militari di truppa dell'Esercito Italiano, senza alcun grado, a norma dell'articolo 861, comma 4 del richiamato decreto legislativo n.66/2010;
di ogni altro atto e provvedimento, anche tacito, precedente o conseguente, comunque presupposto o condizionato, in esso compreso il provvedimento tacito di cessazione del rapporto d'impiego e collocamento in congedo, in quanto desumibile della condotta susseguente della Amministrazione d'appartenenza.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2014 il dott. Roberto Lombardi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Rilevato:
che il sig. Deidda, Maresciallo capo dell’Arma dei Carabinieri, ha subito la perdita del grado ai sensi dell’art. 866, comma primo, e 867, comma terzo, del d.lgs. n. 66/2010;
che il ricorrente ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato (decreto di perdita del grado) per i seguenti motivi:
- violazione delle norme di cui agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto l’atto lesivo sarebbe la diretta conseguenza di una sentenza emessa a seguito di un processo penale celebrato con violazione del diritto fondamentale della persona a non essere sottratta al suo giudice naturale;
- incompetenza dell’autorità amministrativa emanante il provvedimento, in quanto nell’organizzazione gerarchica del Ministero della Difesa il decreto di perdita del grado per motivi diversi da quelli disciplinari sarebbe attribuito alla competenza di divisioni diverse dalla terza;
- illegittima applicazione retroattiva di norma sanzionatoria, risultando i fatti per i quali è stato emesso il provvedimento impugnato commessi in data anteriore all’introduzione del nuovo codice dell’ordinamento militare;
- illegittimità costituzionale delle disposizioni sulla cui base è stata comminata la perdita del grado, in quanto facenti derivare dalla sentenza penale di condanna una sanzione espulsiva automatica, non preceduta da apposito procedimento disciplinare;
- violazione dell’art. 923, comma 3 del d.lgs. n. 66/2010, per avere l’amministrazione dato corso alla cessazione del rapporto di impiego, in difetto di apposito decreto ministeriale;
Ritenuto:
che la perdita del grado direttamente conseguente a condanna penale definitiva per un delitto che ha comportato la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici appare, anche in relazione alla decorrenza di essa (dal passaggio in giudicato della sentenza, ex art. 867, comma 3, del d.lgs. n. 66/2010), una sanzione accessoria di natura penale;
che depongono in tale senso la qualificazione normativa, in termini di sanzione, che lo stesso codice dell’ordinamento militare opera, e l’applicazione automatica di tale sanzione;
che, di conseguenza, essa può essere inflitta soltanto per fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge che la prevede, di modo che non risulta applicabile al caso di specie;
che, pertanto, l’amministrazione è obbligata a riesaminare la vicenda sul piano disciplinare in esito alla sentenza definitiva di condanna, applicando la normativa in vigore al momento della commissione dei fatti di reato e i principi espressi in quel contesto ordinamentale dalla Corte Costituzionale in materia di destituzione del pubblico dipendente;
che va conseguentemente attivato apposito procedimento disciplinare finalizzato all’irrogazione della sanzione espulsiva, qualora ne ricorrano in concreto i presupposti;
che, in tali limiti, il ricorso appare dunque assistito dal fumus boni iuris;
che il ricorrente risulta esposto, nelle more della trattazione del merito, al grave e irreparabile pregiudizio della cessazione definitiva del rapporto d’impiego;
che sussistono dunque i presupposti per la concessione dell’invocata cautela, seppure nei termini ed entro i limiti sopra precisati;