TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-06-30, n. 202311002
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Pubblicato il 30/06/2023
N. 11002/2023 REG.PROV.COLL.
N. 15915/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 15915 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati S S e N R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso
ope legis
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del provvedimento del Ministero dell’Interno prot. n. K10/-OMISSIS- del 2 settembre 2019, notificato in data 26 settembre 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierno ricorrente in data 21 gennaio 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992;
di ogni atto presupposto, preparatorio, conseguente o altrimenti connesso, anche se non conosciuto;
nonché, in ogni caso, per l’accertamento del diritto del ricorrente a essere sottoposto a nuova valutazione e, quindi, la condanna dell’Amministrazione a rivalutare la domanda presentata.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 19 maggio 2023 il dott. E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento del Ministero dell’Interno n. K10/-OMISSIS- del 2 settembre 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierno ricorrente in data 21 gennaio 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, risultando il primo figlio dell’istante (Arsildi NDOCI) positivo per i reati di cui agli artt. 697 (detenzione abusiva di armi) e 707 del c.p. (possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli);il secondo figlio (Arilen NDOCI) positivo per i reati di cui agli artt. 612 c.p. (minacce), 624 bis, comma 1, (furto in abitazione) 697 c.p. (detenzione abusiva di armi) e 707 c.p. (possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli).
Avverso il provvedimento gravato si eccepiscono i vizi di travisamento dei fatti, difetto d’istruttoria e di motivazione, non avendo l’Amministrazione considerato che il figlio Arilen NDOCI ha lasciato l’Italia nel 2017, si è trasferito in Germania, Paese dal quale, nel dicembre 2018, è stato, infine, rimandato in Albania, dove attualmente risiede.
Non sarebbe stato inoltre considerato che i figli suddetti non convivono con il padre da lungo tempo e, pertanto, non possono essere poste a fondamento del diniego di cittadinanza italiana circostanze attinenti a questi ultimi, senza che sia dimostrato, quanto meno in forma presuntiva, un collegamento eziologico tra la condotta dei figli e la persona del ricorrente.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 19 maggio 2023 la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Giova in via preliminare osservare, alla luce della giurisprudenza formatasi in materia di cittadinanza, come di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.
Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;sez. IV n. 798/1999;n. 4460/2000;n. 195/2005;sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;sez. VI, n. 3006/2011;Sez. III, n. 6374/2018;n. 1390/2019, n. 4121/2021;TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;n. 3920/2013;4199/2013).
L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.
In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;n. 8233/2020;n. 7122/2019;n. 7036/2020;n. 2131/2019;n. 1930/2019;n. 657/2017;n. 2601/2015;sez. VI, n. 3103/2006;n.798/1999).
Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.
Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino;il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;Sez. VI, n. 5913/2011;n. 4862/2010;n. 3456/2006;TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).
Applicando le coordinate tracciate al caso in esame, ritiene il Collegio infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica i pregiudizi penali a carico dei figli del ricorrente, che rappresentano un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano volte a proteggere valori ritenuti fondamentali per la Comunità.
In tale prospettiva, la circostanza che i precedenti penali vagliati dall’Amministrazione non riguardino specificatamente il ricorrente, bensì i figli del medesimo, non intacca a giudizio del Collegio la legittimità del diniego impugnato, risultando i rapporti filiali indice dell’esistenza di un legame stabile e duraturo che fonda le proprie radici nella famiglia e nei suoi connessi aspetti affettivi, con la conseguenza che proprio la stabilità parentale e affettiva potrebbe indurre l’interessato ad agevolare, anche soltanto per ragioni affettive, comportamenti ritenuti in contrasto con l’ordinamento giuridico, che ne inficiano le prospettive di ottimale inserimento in modo duraturo nella comunità nazionale.
Confermano, in particolare, una situazione “critica” nell’ambito del contesto familiare, le plurime segnalazioni penali a carico di entrambi i figli per i reati di furto, detenzione abusiva di armi e possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli, i quali integrano gli estremi di fattispecie di particolare gravità, temporalmente collocabili in epoche diverse e anche nel c.d. “periodo di osservazione”, vale a dire all’interno dell’arco temporale, che coincide con il decennio antecedente la domanda, assunto dalla giurisprudenza prevalente quale periodo di riferimento per valutare l’effettiva integrazione (cfr. Parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 635/2022).
Non può infatti non tenersi conto del notevole disvalore che l’ordinamento penale attribuisce ai suddetti reati, che combinati tra loro comportano la lesione di norme poste a fondamento del nostro sistema giuridico, che impediscono ogni forma di coercizione e di violenza nei confronti della persona e ne tutelano la proprietà e i diritti reali e personali di godimento.
In senso contrario non vale l’invocato principio della personalità della responsabilità penale, in quanto, nel caso di specie, il diniego impugnato non estende al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi dai figli, ma impedisce che la concessione della cittadinanza (sebbene a persona diversa da quella responsabile penalmente) possa comunque recare danno alla comunità nazionale, per effetto dell’estensione ai familiari del richiedente delle previsioni relative ai parenti del cittadino italiano.
È noto, infatti, che l’acquisto della cittadinanza da parte di un familiare comporta non solo, come comunemente si ritiene, benefici indiretti anche per gli altri membri del nucleo, tra i quali l’impossibilità di espellere i parenti entro il secondo grado (cfr. art. 19, comma 2, lett. c) del d.lgs. 286/1998) e la possibilità di ottenere un permesso per motivi familiari – cioè una protezione che è comunque agli stessi soggetti assicurata già dal riconoscimento dello status di lungo soggiornante UE di cui all’art. 9 d.lgs. 286/1998, che godono di analoga garanzia della posizione di radicamento sul territorio acquisita (cfr. art. 19, comma 2, lett. b), del d.lgs. 286/1998) e del diritto fondamentale alla vita familiare – ma comporta, altresì, l’estensione di tale status sia ai figli minorenni conviventi, sia al coniuge, che ha un vero e proprio diritto soggettivo al riconoscimento di tale status , ai sensi dell’art. 5 delle legge n. 91/1992, salvo sussistano i fattori ostativi tassativamente indicati dall’art. 6 della stessa legge.
I pregiudizi penali a carico dei parenti non possono quindi non rilevare nella valutazione del procedimento concessorio, dovendo l’Amministrazione verificare la sussistenza della coincidenza dell’interesse pubblico con quello del richiedente, tenendo conto delle conseguenze che discendono dal conferimento della cittadinanza, come sopra specificate, a nulla rilevando il fatto che nel caso di specie entrambi i figli dell’istante non siano più conviventi con quest’ultimo, non potendosi di certo escludere un loro futuro ricongiungimento proprio a seguito dell’acquisto della cittadinanza da parte del genitore.
Quanto esposto vale, pertanto, a supportare il negativo giudizio cui è pervenuta l’Amministrazione in ordine ai reati ascritti ai figli dell’aspirante cittadino rispetto ai principi fondamentali della convivenza sociale ed alla tutela anticipata dell’ordine pubblico, che, come si è chiarito sopra, potrebbe essere pregiudicata dalla concessione della cittadinanza.
Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.