TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-06, n. 202408969

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-06, n. 202408969
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202408969
Data del deposito : 6 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/05/2024

N. 08969/2024 REG.PROV.COLL.

N. 12867/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12867 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Presidente della Repubblica Pro Tempore, non costituito in giudizio;



per l'annullamento

del decreto, identificato al n. -OMISSIS- emesso dal Presidente della Repubblica in data 25 maggio 2022, notificato al resistente in data 13 luglio 2022, a mezzo del quale si è disposto l''annullamento del precedente Decreto Presidenziale del 27/02/2015 di concessione della Cittadinanza Italiana.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2024 la dott.ssa A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO

I. – Il ricorrente impugna il decreto del Presidente della Repubblica del 25 maggio 2022, con cui è stato annullato il precedente decreto del Presidente della Repubblica di concessione della cittadinanza, emesso in data 27 febbraio 2015 nei confronti del ricorrente.

II. - A fondamento del provvedimento impugnato l’Amministrazione ha rappresentato che il decreto di concessione della cittadinanza, già emanato in favore del ricorrente, “ è divenuto oggetto del procedimento penale presso il Tribunale di Roma (n. 4196/2017/2018 R.G.N.R. PM e n. 13469/2017 R.G. Ufficio G.I.P.-G.U.P.), … instaurato a seguito dell’indagine compiuta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, volta ad accertare l’avvenuta definizione favorevole, pur in presenza di gravi elementi ostativi, di circa 500 pratiche di concessione della cittadinanza, tra le quali risulta ricompresa anche quella dell’istante ”. L’atto impugnato riferisce, inoltre, che da tale procedimento penale era stato stralciato un ulteriore procedimento, “ il n. 43898/2017, definito con giudizio abbreviato con la sentenza n. 13711/2018 del Tribunale di Roma, che ha condannato una dipendente della Direzione centrale per la cittadinanza del Ministero dell’Interno per i reati di cui agli artt. 615 ter e 615 quater c.p., per aver definitivo positivamente, nonostante l’istruttoria fosse alterata, circa 100 istanze di cittadinanza, mediante accesso abusivo al sistema informatico e manipolazione dei dati dietro corrispettivo ”; che la sentenza del Tribunale di Roma “ è stata confermata in secondo grado, con la sentenza n. 14467/2019 della Corte d’Appello di Roma, e in ultimo grado, a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione nr. 14189/2020, diventando definitiva ”; che la “ la predetta dipendente è attualmente coimputata, in associazione con altri soggetti, anche nel richiamato procedimento penale presso il Tribunale di Roma, di cui è oggetto il succitato d.P.R. di concessione ”.

Il provvedimento di concessione della cittadinanza, nei confronti dell’odierno ricorrente, sarebbe pertanto risultato “ carente … in via assoluta di istruttoria e non altrimenti sanabile, per via delle circostanze emerse in sede penale e non addebitabili all’Amministrazione ”.

Nella motivazione dell’atto, inoltre, si dà conto della nota ministeriale, datata 22 dicembre 2021, con la quale, nei confronti dell’odierno ricorrente, è stata data comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 7 e 10- bis della legge n. 241 del 1990, e si aggiunge che “ non sono stati forniti nuovi elementi utili per una decisione favorevole ”.

Si fa inoltre cenno all’asserita tempestività dell’azione della p.a., non potendo essere applicato il termine “ ragionevole ” di cui all’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990 allo specifico procedimento di concessione dello status di cittadino, e ciò “ per incompatibilità con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, secondo consolidata giurisprudenza ”.

Sono, infine, spese ulteriori considerazioni atte a sostenere la sussistenza e la prevalenza dell’interesse pubblico, concreto e attuale, alla rimozione dell’atto di riconoscimento della cittadinanza, anche nel bilanciamento con il contrapposto interesse della parte privata, nel soddisfacimento dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza.

III. – Il gravame è affidato ai seguenti motivi di censura, volti a dimostrare l’illegittimità del provvedimento di ritiro dello status impugnato e ottenerne l’annullamento:

1) eccesso di potere: travisamento del fatto, istruttoria carente e travisata; violazione di legge: violazione dell’art. 3 della l. 241/90, motivazione carente e perplessa – eccesso di potere: ingiustizia manifesta, illogicità;

2) Violazione di legge: violazione dell’art. 21- nonies della l. 241/1990.

Il ricorrente assume di essere estraneo alle vicende poste alla base del provvedimento di ritiro e ritiene che l’amministrazione non abbia fornito una adeguata motivazione delle sue scelte; deduce di essere in possesso di tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza, consolidati nel corso degli anni; infine lamenta la violazione dell'affidamento inerente alla concessione (e la permanenza) dei diritti di cittadinanza, revocati senza valide ragioni di interesse pubblico, a sette anni dal loro riconoscimento, senza tenere in considerazione il suo legittimo interesse alla conservazione del provvedimento favorevole.

IV. – Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha versato in atti, anche in conseguenza degli incombenti istruttori disposti dalla Sezione con ordinanza n. 15139/2023, documenti e relazioni difensive, con cui ha contestato nel merito le censure ex adverso svolte e concluso per il rigetto della domanda di annullamento, depositando nuovi documenti.

Ha altresì dedotto in via pregiudiziale il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica.

V. - Con ordinanza n. 7293/2022 è stata respinta la domanda cautelare per insussistenza del presupposto del fumus boni iuris .

VI. – In vista dell’udienza pubblica il ricorrente ha depositato una memoria, con cui ha formulato argomenti volti a dimostrare l’estraneità alla vicenda penale sottesa all’impugnato provvedimento di ritiro e il possesso dei requisiti necessari per l’acquisto della cittadinanza, contestando le irregolarità riscontrate sul suo conto ex post dall’autorità procedente (a quest’ultimo proposito lamenta infatti altresì l’allegazione solo nel presente giudizio) ed ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

VII. – All’udienza pubblica del 13 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.



DIRITTO

I. – In via preliminare, deve essere scrutinata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’Avvocatura in relazione alla chiamata in giudizio della Presidenza della Repubblica.

L’eccezione è fondata, in quanto l’adozione del decreto presidenziale non è da ritenersi riconducibile ad un potere amministrativo in senso stretto, ma ad un mero potere neutrale di garanzia e controllo di rilievo costituzionale.

Deve osservarsi, invero, la forma dell’esternazione di taluni atti amministrativi, id est decreto del Presidente della Repubblica, non incide sulla titolarità del potere in essi esplicato, rilevante ai fini dell’individuazione l’autorità amministrativa emanante (cfr. per l’affermazione del principio con riguardo ad atti emanati nella forma del decreto del Presidente della Repubblica: Tar Lazio, sez. V bis, n. 10803/2022; sez. I, 16 febbraio 2017, n. 2485; 16 ottobre 2009, n. 9964 e 13 novembre 2009, n. 11130 e giurisprudenza ivi richiamata).

Nel caso di specie la legittimazione passiva compete solo al Ministro dell’interno, cui è riferibile la revoca della cittadinanza e nella cui sfera ordinamentale ricadono gli effetti del provvedimento e del suo eventuale annullamento.

Pertanto, nell’odierno giudizio, il Presidente della Repubblica non è legittimato passivo e, in accoglimento della spiegata eccezione di parte, ne va disposta l’estromissione.

II. - Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

La vicenda oggetto del presente giudizio è nota alla giurisprudenza della Sezione, che su di essa si è già pronunciata con diversi precedenti.

Si tratta della vicenda che ha visto coinvolta una funzionaria infedele del Ministero dell’interno la quale, a seguito di un procedimento penale, è stata condannata per aver alterato, in ragione di indebiti accessi nelle rispettive procedure informatiche, un numero notevole di pratiche afferenti alla concessione della cittadinanza italiana in favore di richiedenti stranieri. Le fondamentali circostanze di fatto della vicenda, che hanno orientato l’amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, sono sufficientemente e adeguatamente descritte nella motivazione dell’atto gravato, nel quale si dà conto del procedimento penale stralciato dal filone principale, conclusosi con la condanna definitiva, dopo tre gradi di giudizio, nei confronti della funzionaria infedele; si dà altresì

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