TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2016-12-30, n. 201612886

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2016-12-30, n. 201612886
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201612886
Data del deposito : 30 dicembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/12/2016

N. 12886/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01446/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1446 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
FOX PETROLI S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. A V ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’avv. Benedetto Cimino in Roma, Via Fulcieri Paulucci de’ Calboli, n. 9;

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del Governatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti S C, N d P e L S dell’Avvocatura dell’istituto, presso la cui sede è elettivamente domiciliata in Roma, Via Nazionale, n. 91;
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

NUOVA BANCA MARCHE S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Raffaello Perfetti, Giuseppe Rumi, Silvia Romanelli e Massimo Merola ed elettivamente domiciliata presso lo Studio Bonelli Erede in Roma, Via Salaria, n. 259;
BDO ITALIA S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Sanino, Massimo Longo e Cristiano Fazio ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’avv. Mario Sanino in Roma, Viale Parioli, n. 180;


INZITARI

Bruno, quale Commissario liquidatore di Banca delle Marche S.p.a.,

NICASTRO

Roberto, in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione di Nuova Banca delle Marche, FONDO INTERBANCARIO PER LA TUTELA DEI DEPOSITI e REV-GESTIONE CREDITI S.p.a., questi ultimi in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento, anche in virtù di motivi aggiunti

- (ricorso introduttivo) degli atti e dei provvedimenti con i quali è stata disposta la risoluzione della Banca delle Marche e di tutti i provvedimenti presupposti e consequenziali ed in particolare: 1) del provvedimento prot. n. 1241013/2015 del 21 novembre 2015 di Banca d’Italia, approvato dal Ministero dell’economia e delle finanze con decreto 22 novembre 2015, con il quale è stato disposto, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. 180/2015, l’avvio della risoluzione della Banca delle Marche, già in amministrazione straordinaria;
2) del provvedimento della Banca d’Italia, pubblicato per estratto il 23 dicembre 2015, che dispone la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni anche non computate nel capitale regolamentare nonché del valore nominale degli elementi di classe 2, computabili nei fondi propri, con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali;
3) del provvedimento della Banca d’Italia, pubblicato per estratto il 23 dicembre 2015, che dispone la cessione dell’azienda bancaria all’ente ponte Nuova Banca delle Marche;
4) del provvedimento della Banca d’Italia, pubblicato per estratto il 23 dicembre 2015, di adozione dello statuto della Nuova Banca delle Marche;
5) del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 9 dicembre 2015 che ha disposto la sottoposizione della Banca delle Marche S.p.a. a liquidazione coatta amministrativa;
6) del provvedimento della Banca d’Italia, del 22 novembre 2015, che determina la decorrenza degli effetti del provvedimento di avvio della risoluzione;
7) del provvedimento della Banca d’Italia di valutazione della risolvibilità di Banca delle Marche ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. 180/2015;
8) dell’invito a manifestare interesse in relazione all’operazione di dismissione di Nuova Banca delle Marche S.p.a., pubblicato sul sito della Banca d’Italia in data 19 gennaio 2016;

- (ricorso recante motivi aggiunti) della relazione di valutazione ex art. 25, comma 3, d.lgs. 180/2015 trasmessa il 14 aprile 2016 da BDO S.p.a., in qualità di esperto indipendente, depositata in giudizio da Banca d’Italia;

- del provvedimento di Banca d’Italia del 27 maggio 2016, recante Relazione sullo stato del procedimento di risoluzione, depositata in giudizio dalla Banca d’Italia in data 28 maggio 2016;

- di ogni altro atto depositato da Banca d’Italia nel presente giudizio e di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso;

nonché per la condanna

al risarcimento dei danni subiti dalla parte ricorrente.


Visto il ricorso principale e quello recante motivi aggiunti con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione dei soggetti intimati;

Vista la ordinanza istruttoria n. 4803 del 27 aprile 2016 e la documentazione depositata dalla Banca d’Italia in esecuzione della stessa;

Esaminate tutte le memorie prodotte nel corso del giudizio, comprese quelle conclusive e quelle di replica e consultati tutti i documenti inseriti nel fascicolo del processo;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2016 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

IL CONTESTO NORMATIVO

1 – Va premesso, in punto di diritto e per cogliere appieno il quadro normativo nel quale si inscrive il contenzioso in esame, che, come è noto e come viene spesso chiarito nella letteratura di settore, la crisi finanziaria venuta in emersione nel 2007, avendo evidenziato la mancanza, nei Paesi più avanzati, di regole che consentissero di affrontare con rapidità ed efficacia la crisi delle banche, ha prodotto un movimento globale dei regolatori che, a partire dal Financial Stability Board e passando per l’Unione europea, ha portato all’emanazione di un complesso di regole in materia di crisi bancarie ispirate a tre principi:

A) pianificazione: devono essere attentamente pianificate le azioni da intraprendere in caso di crisi: 1) dal lato della banca, mediante “piani di risanamento” da far scattare rapidamente in caso di peggioramento della situazione;
2) dal lato dell’autorità chiamata a gestire l’eventuale dissesto, con “piani di risoluzione”, cioè programmi da mettere in atto qualora la banca cada o stia per cadere a breve in stato di dissesto, finalizzati a consentire un’ordinata gestione della situazione;

B) intervento precoce: in caso di situazione di crisi, ma non ancora di dissesto, devono essere disponibili strumenti di intervento precoce da parte dell’autorità che vigila sulla stabilità della banca;

C) “risoluzione” (nuovo termine coniato per indicare l’ordinata gestione del dissesto dell’intermediario): in caso di dissesto vero e proprio, devono essere disponibili strumenti che, qualora la liquidazione della banca possa avere un impatto sistemico (cioè avere ripercussioni sull’economia reale), consentano di garantire la continuità delle sue funzioni essenziali senza ricorso, o con un ricorso limitato, a fondi pubblici o ad aiuti esterni.

2. - In quest’ottica, l’Unione europea ha emanato la direttiva 59/2014/UE, detta anche Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) che è stata recepita in Italia, pervero con alcuni mesi di ritardo sul termine di recepimento del 31 dicembre 2014, mediante l’emanazione di due decreti legislativi gemelli, i decreti legislativi 16 novembre 2015, nn. 180 e 181.

Il d.lgs. 181/2015 adegua il Testo unico bancario (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, da ora in poi, per brevità, TUB) alla suindicata direttiva europea, in estrema sintesi, nel senso che segue:

a) impone a tutte le banche di adottare un piano di risanamento, individuale o di gruppo, che individui le misure che la banca intende adottare al fine di riequilibrare la sua situazione patrimoniale e finanziaria qualora in futuro essa subisse un significativo deterioramento (nuovi art. 69-ter e ss.);

b) prevede che le varie entità di un gruppo possano stipulare accordi finalizzati al sostegno finanziario nell’eventualità di una crisi, e che possano comunque prestare tale sostegno (nuovi art. 69-duodecies e ss.);

c) prevede penetranti poteri della Banca d’Italia in caso di peggioramento della situazione della banca (i c.d. poteri di intervento precoce), consistenti nel potere di impartire ai suoi organi l’ordine di attuare le misure del piano di risanamento o di negoziare accordi con i suoi creditori (nuovi art. 69-noviesdecies e ss.), o nel potere di rimuovere i suoi amministratori, organi di controllo o dirigenti apicali (art. 69-vicies-semel);

d) prevede alcuni adeguamenti alle procedure di amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa delle banche, già previste dal TUB (rispettivamente, art. 70 e ss. e art. 80 e ss.).

Il d.lgs. 180/2015 detta invece un complesso di regole del tutto nuove.

Esso prevede in primo luogo che la Banca d’Italia studi la situazione di ogni banca, preparando un piano d’azione - definito, come già detto, “piano di risoluzione” - per l’eventualità che essa cada in stato di dissesto (art. 7 e ss.). Tale piano ha la funzione di consentire alla Banca d’Italia di affrontare la crisi, nel momento in cui dovesse presentarsi, senza essere colta di sorpresa e in modo efficace, in relazione alle peculiarità della singola banca o del singolo gruppo bancario (dimensione, caratteristiche di business, interconnessione con altri intermediari finanziari, ecc.).

Il cuore della normativa, tuttavia, è la disciplina della risoluzione vera e propria (art. 17 e ss.). Essa prevede che in caso di dissesto di una banca, non superabile in tempi brevi mediante interventi di mercato (aumenti di capitale, dismissioni, ecc.) o azioni di forza (quelle sopra viste, consentite dal TUB), la Banca d’Italia debba, nell’ordine (art. 20 e ss.):

1) svalutare le azioni e gli strumenti di capitale (obbligazioni subordinate), fino a coprire le perdite, e quindi convertire il residuo delle obbligazioni subordinate in capitale fino a ripristinare il patrimonio di vigilanza necessario perché la banca possa operare;

2) qualora ciò non sia sufficiente, effettuare una scelta fondamentale:

a) aprire la procedura di risoluzione, quando ciò sia necessario ad assicurare la continuità delle funzioni essenziali, a tutelare i depositanti e gli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, a ridurre l’onere a carico delle finanze pubbliche (art. 21);

b) aprire invece la normale procedura di liquidazione coatta amministrativa prevista dal TUB, ogniqualvolta non vi sia pericolo per gli interessi di cui alla precedente lettera a).

La procedura di risoluzione, in sostanza, sottrae la banca in dissesto alla procedura di insolvenza normalmente prevista, e ciò al fine di ridurre il rischio sistemico e i costi per i creditori e per la collettività.

Il punto fondamentale, dunque, è capire quali sono gli strumenti che consentono alla risoluzione di operare più efficientemente della liquidazione coatta amministrativa. Si tratta di strumenti, in larga parte nuovi, che permettono di operare sia sull’attivo e sull’azienda, trasferendoli rapidamente a terzi, sia sul passivo, riducendolo al fine di coprire le perdite e ripristinare il patrimonio necessario perché la banca possa operare. Essi sono, principalmente:

1) lo strumento della cessione di tutte le attività e le passività, o parte di esse, a terzi o a un ente-ponte, che li rilevano assicurando la continuità dell’attività bancaria;

2) il bail-in, che appunto incide sul passivo, cancellando le azioni, gli strumenti finanziari e i debiti nella misura necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione.

Con il bail-in, le perdite della banca sono poste a carico dei suoi azionisti e dei suoi creditori, e non a carico di terzi (tipicamente, altre banche o la fiscalità generale). Se ad esempio la banca, per poter operare, deve avere un patrimonio di +10 e ha invece un deficit (cioè ha un attivo inferiore ai debiti) di ‒100:

- si eliminano gli azionisti;

- si riducono di 100 i diritti dei creditori, secondo il loro ordine di soddisfazione (da quelli subordinati a quelli via via più garantiti), riportando il passivo della banca ad un valore uguale al suo attivo;

- così azzerato il deficit, si converte un’altra parte delle pretese dei creditori (sempre rispettando la gerarchia), facendoli diventare azionisti nella misura necessaria a ripristinare il patrimonio di 10, che occorre alla banca per operare. Se invece la banca ha solo un patrimonio insufficiente, ma non un deficit, allora gli azionisti vengono diluiti ma non eliminati. Si tratta di un salvataggio interno della banca in crisi, contrapposto a quello fatto con i soldi dei contribuenti (che viene comunemente definito bail-out).

3. – Più specificamente con il recepimento della direttiva dell’Unione europea 59/2014, attraverso il d.lgs. 180/2015 il legislatore nazionale:

1) ha fissato all’art. 17 i due presupposti che debbono coesistere perché si applichi alla banca la soluzione della risoluzione ovvero degli altri strumenti di gestione della crisi indicati al successivo art. 20. Tali presupposti, che vanno considerati congiuntamente, sono: A) che la banca sia in dissesto o a rischio di dissesto secondo quanto previsto dal comma 2 del medesimo art. 17 (vale a dire quando ricorra una o più delle seguenti situazioni: a) risultano irregolarità nell'amministrazione o violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie che regolano l'attività della banca di gravità tale che giustificherebbero la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività;
b) risultano perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio;
c) le sue attività sono inferiori alle passività;
d) essa non è in grado di pagare i propri debiti alla scadenza;
e) elementi oggettivi indicano che una o più delle situazioni indicate nelle lettere a), b), c) e d) si realizzeranno nel prossimo futuro;
f) è prevista l'erogazione di un sostegno finanziario pubblico straordinario a suo favore, fatto salvo quanto previsto dal successivo articolo 18);
B) non si possono ragionevolmente prospettare misure alternative che permettono di superare la situazione di cui alla lettera A) in tempi adeguati, tra cui l'intervento di uno o più soggetti privati o di un sistema di tutela istituzionale, o un'azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria ai sensi del TUB.

2) ha introdotto (all’art. 20) alcuni strumenti di intervento nelle banche in stato di dissesto ovvero da disporre alternativamente e nella specie: al comma 1, lett. a) la riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca, quando ciò consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto;
al comma 2, lett. b) la risoluzione della banca o la liquidazione coatta amministrativa secondo quanto previsto dall'articolo 80 del TUB se la misura indicata al comma 1, lett. a) non consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto.

Posto che il compito di accertare la sussistenza dei presupposti per l’intervento è affidato alla Banca d’Italia dall’art. 19 del d.lgs. 180/2015, ai sensi del secondo comma dell’art. 20, la risoluzione è disposta quando la Banca d'Italia abbia accertato la sussistenza dell'interesse pubblico, che ricorre quando la risoluzione è necessaria e proporzionata per conseguire uno o più obiettivi indicati all'articolo 21 e la sottoposizione della banca alla procedura di liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare tali obiettivi nella stessa misura.

L’art. 21, a propria volta, pone quali obiettivi della risoluzione, la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela.

Ai sensi del comma 2 del citato articolo 21, nel perseguire gli obiettivi di cui al comma 1, si tiene conto dell'esigenza di minimizzare i costi della risoluzione e di evitare, per quanto possibile, distruzione di valore.

4. – Dall’esame della disciplina fin qui tratteggiata, in modo sintetico, si evidenzia come i presupposti per disporre la procedura risoluzione sono gli stessi che costituiscono il prodromico antecedente per scegliere la via della liquidazione coatta amministrativa della banca e che la prevalenza per la risoluzione è affidata alla valutazione circa la possibilità di perseguire gli obiettivi di cui all’art 21, ovverossia la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela. Inoltre, entrambe le procedure devono essere disposte quando la riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca non sia sufficiente ad evitare il dissesto o il pericolo di dissesto.

Tale disciplina di diritto interno dà piana attuazione alle misure previste dalla direttiva 2014/59, i cui presupposti e scopi fondamentali sono esplicitati nei primi punti dei “considerando”: ovvero fornire strumenti per prevenire gli stati di insolvenza o, in caso di insolvenza, per ridurre al minimo le ripercussioni negative preservando le funzioni degli enti creditizi colpiti dalla crisi finanziaria.

Rileva, in particolare, il quinto “considerando” della direttiva a mente del quale “occorre pertanto un regime che fornisca alle autorità un insieme credibile di strumenti per un intervento sufficientemente precoce e rapido in un ente in crisi o in dissesto, al fine di garantire la continuità delle funzioni finanziarie ed economiche essenziali dell'ente, riducendo al minimo l'impatto del dissesto sull'economia e sul sistema finanziario. Il regime dovrebbe assicurare che gli azionisti sostengano le perdite per primi e che i creditori le sostengano dopo gli azionisti, purché nessun creditore subisca perdite superiori a quelle che avrebbe subito se l'ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza, in conformità del principio secondo cui nessun creditore può essere svantaggiato, come specificato nella presente direttiva. Nuovi poteri dovrebbero consentire alle autorità di mantenere, ad esempio, la continuità dell'accesso ai depositi e delle operazioni di pagamento, di vendere rami sani dell'ente, se del caso, e di ripartire le perdite in modo equo e prevedibile. Questi obiettivi dovrebbero contribuire a evitare la destabilizzazione dei mercati finanziari e a ridurre al minimo i costi per i contribuenti”.

Ed è proprio in tale quadro di regolazione europea che sono state poste le norme di diritto interno, sopra in buona parte riprodotte e in particolare l’art. 17 del d.lgs. 180/2015, tenendo conto anche della circostanza che il coevo d.lgs. 181/2016, nel modificare numerose disposizioni del TUB, ha ridisegnato, in modo coordinato con il recepimento della direttiva 59/2014, i presupposti per disporre la liquidazione coatta amministrativa.

La scelta tra la risoluzione e la liquidazione coatta amministrativa è affidata, in base a quanto previsto dal secondo comma dell’art. 20 del d.lgs. 180/2015 alla valutazione di interesse pubblico circa la realizzazione degli obiettivi di cui all’art. 21, ovverossia (nuovamente) la continuità delle funzioni della banca, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela.

Si deve anche evidenziare che il testo previgente dell’art. 80 del TUB, indicava quali presupposti per la liquidazione coatta amministrativa le irregolarità nell'amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite di eccezionale gravità.


LE PARTI ED IL PERIMETRO DEL CONTENZIOSO

5. – La Fox Petroli S.p.a., in qualità di proprietaria di un portafoglio di 716.814 azioni di Banca delle Marche S.p.a., corrispondente ad un controvalore di € 608.075,43 (tenuto conto di un prezzo/cambio di € 0.848303), sostenendo di essere stata pregiudicata dagli atti e dai provvedimenti che in seguito saranno più puntualmente descritti (e che sono analiticamente riprodotti in epigrafe) e che hanno condotto all’azzeramento del valore delle azioni di proprietà, ha proposto un ricorso principale ed un successivo ricorso per motivi aggiunti gravando tutti gli atti, anche presupposti ed interni della sequenza che ora verrà riproposta in narrativa tenendo conto di tutta la documentazione prodotta e degli atti presentati dalle parti in giudizio.

6. - Era accaduto che con provvedimento del 18 novembre 2015 fosse stato istituito dalla Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 78 del d.lgs. 180/2015, il Fondo di risoluzione nazionale, avente natura e patrimonio autonomo, allo scopo di consentire alla stessa Banca d’Italia di realizzare gli obiettivi di cui all’art. 21 del d.lgs. 180/2015, avvalendosi di una dotazione finanziaria costituita: a) dalle risorse fornite dalle banche aventi sedi in Italia, succursali italiane di banche extracomunitarie e Sim indicate nell’art. 60-bis, comma 2, del d.lgs. 58/1998;
b) da prestiti o altre forme di sostegno finanziario;
c) dalle somme versate dall’ente sottoposto a risoluzione o dall’ente ponte.

Con provvedimento di Banca d’Italia, prot. n. 1241013/2015 del 21 novembre 2015 Banca delle Marche S.p.a. veniva posta in risoluzione sulla base della valutazione provvisoria effettuata ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. 180/2015 con la quale era stato accertato lo stato di dissesto ai sensi dell’art. 17, comma 2, del d.lgs. 180/2015, era stato verificato che ricorressero i presupposti di cui all’art. 17, comma 1, lett. b), del ridetto d.lgs. 180 (come meglio specificato nell’allegato programma di risoluzione), risultava assodata la sussistenza dell’interesse pubblico, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. 180/2015.

Nel programma di risoluzione, allegato al provvedimento di cui sopra, si può leggere che:

- la Banca d’Italia ha adottato le strategie di risoluzione per Banca delle Marche S.p.a., Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, prevedendo la costituzione di quattro enti ponte e di una unica società di gestione delle attività, alle quali è destinata la cessione delle “sofferenze”;

- la risoluzione viene finanziata con il ricorso al Fondo di risoluzione nazionale;

- la strategia di risoluzione prevede una doppia operazione di cessione così costruita: a) cessione delle attività dalla banca in risoluzione all’ente ponte;
b) successiva cessione dei crediti in sofferenza dall’ente ponte ad una società veicolo che genera un credito dell’ente ponte nei confronti della stessa società veicolo, remunerato ad un tasso di mercato e garantito dal Fondo di risoluzione nazionale.

Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 22 novembre 2015, nel quale si dava atto della decisione della Commissione europea del 22 novembre 2015 sulla conformità della procedura di risoluzione in avvio alla direttiva 2014/59/UE e sulla compatibilità dell’intervento del Fondo di risoluzione nazionale con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato, era approvato il provvedimento della Banca d’Italia n. 1241013/15 di avvio di risoluzione della crisi.

Inoltre, con provvedimento della Banca d’Italia-Unità di risoluzione e gestione della crisi 1241103/2015 del 22 novembre 2015 veniva determinata, ai sensi dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. 180/2015, la decorrenza degli effetti dell’avvio della risoluzione, stabilendola per le ore 22.00 del giorno 22 novembre 2015.

7. – Con d.l. 22 novembre 2015, n. 183, entrato in vigore il giorno successivo, è stato costituito l’ente ponte denominato Nuova Banca Marche S.p.a. con la finalità di “acquisire, detenere o vendere in tutto o in parte azioni e altre partecipazioni emesse da un ente sottoposto a risoluzione, o attività, diritti e passività di uno o più enti sottoposti a risoluzione per preservarne le funzioni essenziali”.

Lo stesso 22 novembre 2015 la Banca d’Italia ha adottato lo statuto di Nuova Banca Marche S.p.a., definendo la strategia dell’ente ponte e il profilo di rischio nonché procedendo alla nomina degli organi di amministrazione e degli organi di controllo.

Parallelamente, sempre il 22 novembre 2015, la Banca d’Italia ha disposto, ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. b), del d.lgs. 180/2015, la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare nonché del valore nominale degli elementi di classe 2, computabili nei fondi propri, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare.

Ancora in data 22 novembre 2015 la Banca d’Italia ha disposto la cessione di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l’azienda bancaria Banca delle Marche S.p.a. in amministrazione straordinaria a favore di Nuova Banca Marche S.p.a. con efficacia differita alle ore 00.01 del giorno di costituzione dell’ente ponte, salva la possibilità per la stessa Banca d’Italia di disporre il ritrasferimento alla banca in risoluzione di quanto trasferito per effetto del provvedimento di cessione.

Nello specifico, ai sensi dell’art. 1 del provvedimento di cessione, oggetto di quest’ultima è costituito da “i diritti reali sui beni mobili e immobili, i rapporti contrattuali e i giudizi attivi e passivi, incluse le azioni di responsabilità, risarcitorie e di regresso in essere alla data della cessione … (nonché) … gli eventuali diritti risarcitori che dovessero essere azionati dalla banca cedente nei confronti degli ex esponenti aziendali, del soggetto incaricato della revisione legale dei conti e di ogni altro soggetto responsabile dei danni patrimoniali alla stessa arrecati … (e)… gli eventuali diritti di regresso derivanti dal pagamento da parte della società cedente, quale obbligata in solido, delle sanzioni irrogate dalle competenti autorità di vigilanza nei confronti degli ex esponenti aziendali … (con esclusione soltanto) … delle passività, diverse dagli strumenti di capitale, come definiti dall’art. 1, lett. ppp) del n. d.lgs. 180/2015, in essere alla data di efficacia della cessione, non computabili nei fondi propri, il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell’ente in risoluzione”.

In data 30 dicembre 2015, mediante un comunicato stampa della Banca d’Italia pubblicato sul sito internet dell’istituto, si è dato l’avvio al processo di vendita dei quattro enti ponte e con avviso pubblicato sul sito della Banca d’Italia in data 19 gennaio 2016 è stato formulato un invito a manifestare interesse in relazione alla operazione di dismissione di uno o di più degli enti ponte ovvero di una o più delle Non Core Enties, vale a dire delle partecipazioni societarie detenute dagli enti ponte, con preferenza per le offerte che prestino particolare attenzione agli ambiti territoriali di riferimento e siano relative a tutti e quattro gli enti ponte.

8. - L’appena riproposta sequenza procedimentale che ha caratterizzato l’operazione di risoluzione di Banca delle Marche S.p.a. è stata fatta oggetto di impugnazione con ricorso principale al quale è seguito un ulteriore ricorso recante motivi aggiunti, generato dalla successiva sequenza procedimentale della quale si deve ora dare conto.

9. - Per quanto concerne dunque la prosecuzione della vicenda oggetto dell’odierno contenzioso avvenne, come ricorda parte ricorrente a pag. 3 del ricorso recante motivi aggiunti, che dopo la proposizione del ricorso principale la Banca d’Italia, in esecuzione dell’ordinanza della Sezione n. 4803 del 2016, ha depositato in giudizio nuovi atti e documenti sempre attinenti all’ambito dell’operazione di risoluzione di Banca delle Marche (in particolare riferiti alla relazione predisposta all’esito della valutazione di BDO Italia S.p.a), grazie ai quali, pur mantenendosi ferma la lacunosità della produzione documentale di parte resistente e pur dovendosi confermare la richiesta di disporre una ulteriore esibizione documentale si è reso necessario formulare in modo più puntuale le doglianze anche nei confronti dei provvedimenti già impugnati con il ricorso principale (come si è più sopra anticipato).

E’ accaduto all’inizio del 2016 che, con provvedimento del 19 gennaio 2016, la Banca d’Italia ha disposto la modifica del programma di risoluzione di Banca delle Marche S.p.a. al fine di consentire una fusione della controllata Medioleasing S.p.a. all’ente ponte, modifica approvata il successivo 18 febbraio 2016 dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Il 20 gennaio 2016 veniva costituita la società veicolo Rev-Gestione crediti S.p.a. in favore della quale, con provvedimento del 26 gennaio 2016, la Banca d’Italia disponeva la cessione dei crediti in sofferenza.

Con ordinanza della Sezione del 27 aprile 2016 n. 4803, sulla premessa che “ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 180 del 16 novembre 2015, la “valutazione” delle attività e delle passività dei soggetti sottoposti a procedura di risoluzione (effettuata su incarico della Banca d'Italia da un esperto indipendente) è configurata quale presupposto per l'avvio della risoluzione o per la riduzione e conversione di azioni …(e)… che, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. 180 del 2015, qualora sussistano motivi di urgenza, l’avvio della procedura può essere disposto sulla base di una valutazione “provvisoria”, la quale deve essere seguita, non appena possibile, da una valutazione “definitiva” … (e che).. alla luce delle richiamate disposizioni normative, la valutazione definitiva costituisce un elemento fondamentale dell’intera procedura e non può pertanto rimanere estranea al giudizio eventualmente proposto nei confronti di atti emanati sulla base della sola valutazione provvisoria” e sulla scorta dell’ulteriore elemento che nella specie “l’avvio della risoluzione è stato disposto sulla base di una valutazione provvisoria e che agli atti di causa non è stata ancora acquisita la valutazione definitiva successivamente intervenuta”, si ravvisava la necessità che la Banca d’Italia depositasse, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza medesima, “l’atto di valutazione definitiva relativo alla procedura oggetto di causa, unitamente ad una relazione integrativa circa lo stato del procedimento successivo alla valutazione definitiva, comprensivo di eventuali sopravvenienze, in particolare anche con riferimento ai profili di cui all’art. 88 del menzionato decreto legislativo” (così, testualmente, nella richiamata ordinanza istruttoria).

La Banca d’Italia, in data 28 maggio 2016, in esecuzione della surriprodotta ordinanza ha depositato la relazione di valutazione della BDO Italia S.p.a., resa ai sensi dell’art. 25, comma 3, del d.lgs. 180/2015, con il bilancio allegato (rappresentando che tale documentazione era pervenuta alla Banca d’Italia, a mezzo pec, il 14 aprile 2016), la relazione sullo stato del procedimento di risoluzione, redatta dall’Unità di risoluzione e gestione delle crisi in data 27 maggio 2016, il bilancio di chiusura di Banca delle Marche in amministrazione straordinaria, con la relativa relazione di certificazione della Società Deloitte &
Touche S.p.a. (rappresentando che tale documentazione era pervenuta alla Banca d’Italia, a mezzo pec, il 23 maggio 2016) e la lettera destinata ai Commissari straordinari da parte della Società Deloitte &
Touche S.p.a. del 20 aprile 2016.

Tali atti sono stati fatti oggetto di gravame il ricorso recante motivi aggiunti.

In entrambi i mezzi di impugnazione la società ricorrente ha proposto domanda di risarcimento dei danni subiti.

10. – Ricostruiti come sopra i fatti oggetto del presente contenzioso, vanno ora descritte le censure dedotte nei due mezzi di impugnazione.

Con il ricorso introduttivo la parte ricorrente ha formulato, contenendo le censure in un unico e complesso motivo di gravame, profonde e strutturali contestazioni di legittimità in ordine all’intera procedura sviluppata dalla Banca d’Italia che non avrebbe tenuto conto, nell’optare per la procedura di risoluzione di Banca delle Marche, della puntuale ed incisiva disciplina normativa fissata dapprima nella direttiva 2014/59 UE e successivamente nel testo di recepimento nazionale costituito dal d.lgs. 180/2015. Inoltre l’istruttoria svolta avrebbe evidenziato profonde lacunosità e soprattutto una carente verifica circa la possibilità di esperire interventi diversi ed alternativi rispetto a quello estremo costituito dalla risoluzione con svalutazione del valore delle azioni. Peraltro tutti gli atti adottati si presentano carenti di adeguata motivazione sia con riferimento alla sussistenza dei presupposti di fatto, previsti dalla normativa europea e da quella nazionale per poter procedere alla risoluzione della banca sia con riguardo alla sufficienza degli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria al fine di avviare il percorso della risoluzione. Detto percorso sviluppato dalla Banca d’Italia sarebbe stato caratterizzato da profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione nonché per evidente violazione dei principi di proporzionalità, trasparenza e giusto procedimento. Alle specifiche censure dedotte nei confronti del procedimento svolto e degli atti adottati dalla Banca d’Italia e dal Ministero dell’economia e delle finanze, la ricorrente aggiunge la proposizione di questioni di costituzionalità, tacciando le disposizioni del d.lgs. 180/2015 di contrasto con i principi contenuti negli artt. 3, 24, 42, 44, 102 e 111 Cost..

Chiesto dunque l’annullamento giudiziale degli atti impugnati in ragione dei motivi di ricorso sopra sinteticamente e cumulativamente indicati, il ricorso introduttivo si completava con la proposizione della domanda risarcitoria.

11. – Con ricorso recante motivi aggiunti, la società ricorrente deduceva nei confronti dei successivi atti della procedura ulteriori motivi di gravame sostenendo la illegittimità dell’intera procedura, ivi compresa la fase conclusiva attribuita alla competenza di BDO Italia, sia per vizi propri che per vizi derivati.

Anche in questo caso, con l’annullamento degli atti gravati, veniva (ri)proposta la domanda risarcitoria.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

12. - Ritiene il Collegio che nell’ordine logico delle questioni debbano essere esaminate prima le censure formulate con riferimento al difetto di istruttoria e al travisamento dei fatti ed errore dei presupposti relativi all’accertamento da parte di Banca d’Italia circa la sussistenza dei presupposti della risoluzione e le censure proposte con i motivi aggiunti avverso la relazione definitiva e, successivamente, quelle relative al mancato intervento del Fondo di tutela dei depositi;
in ultimo si devono considerare i profili di illegittimità comunitaria e costituzionale sollevate dalla difesa ricorrente.

Ritiene, altresì, il Collegio di evidenziare fin da ora che pur se la presente controversia riguarda l’applicazione di una nuova disciplina legislativa, non si può non tenere conto del costante orientamento giurisprudenziale, ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato, per cui gli atti posti in essere dalla Banca d’Italia nell’attività di vigilanza, “costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica, volto alla tutela dei risparmiatori e, dunque, delle garanzie che devono assistere l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, dell’affidabilità complessiva del sistema bancario e, in particolare, di ogni singolo istituto. Ciò, innanzi tutto, in concreta esplicazione di attività volta alla tutela dei valori di promozione e tutela del risparmio, nonché di esercizio dell’attività creditizia, contemplati e garantiti dall’art. 47 della Costituzione” (così Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2015 n. 2328, che conferma TAR Lazio, Sez. III, n. 623 del 2014).

In altri termini quel che in questa sede deve ribadirsi, ritenendo la non sussistenza di valide ragioni per discostarsi dal solco interpretativo tracciato dal giudice amministrativo d’appello in materia, è l’assoluto rilievo della natura discrezionale tecnica del potere amministrativo esercitato (anche nella specie) dalla Banca d’Italia e che caratterizza gli atti da essa adottati, di talché essi sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, solo per illogicità manifesta, quale figura sintomatica di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo sostituire proprie valutazioni a quelle dell’organo di controllo. Come per i provvedimenti delle Autorità garanti, anche per le operazioni di controllo della Banca d’Italia il sindacato di eccesso di potere è essenzialmente incentrato sulla verifica della ragionevolezza e della coerenza tecnica della decisione amministrativa, in quanto per determinati settori, come quello delle Autorità e dunque per la Banca d’Italia, il sindacato giurisdizionale necessariamente incontra il limite della specifica competenza tecnica, della posizione di indipendenza e dei poteri propri spettanti alle istituzioni in questione, il cui giudizio ha come parametri di riferimento non regole scientifiche esatte e non opinabili, ma valutazioni, anche di ordine prognostico, a carattere economico e sociale, o comunque non ripercorribile in base a dati univoci [cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre 2014 n. 6153 (con riferimento all’Autorità per l’energia elettrica e il gas), 6 agosto 2013 n. 4113 (con riferimento alla Banca di Italia) e Sez. III, 25 marzo 2013 n. 1645 (con riferimento all’Autorità garante delle comunicazioni) che ha, ancora condivisibilmente, chiarito come “Il limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d. discrezionalità tecnica, al di là dell'ormai sclerotizzata antinomia forte/debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza, anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l'autorità detta, appunto, le regole del gioco”].

13. - Tali principi giurisprudenziali devono essere applicati anche alla presente controversia, nella quale la Banca d’Italia opera quale Autorità di risoluzione, essendo, anche in tale ambito, affidata ad essa Autorità la tutela dell’interesse pubblico, in particolare, relativo alla continuità delle funzioni essenziali delle banche, alla stabilità finanziaria, al contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, alla tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela (per come recita anche l’art. 21 del d.lgs. n. 180/2015), valutazioni che possono appunto essere sindacate in caso di illogicità o irragionevolezza e erronea valutazione dei presupposti di fatto, ma non nelle scelte discrezionali operate.

La difesa della parte ricorrente contesta l’effettivo verificarsi dei presupposti della risoluzione per la Banca delle Marche, ma con specifico riferimento alla svalutazione del portafoglio crediti che avrebbe operato la Banca d’Italia in sede di valutazione provvisoria. La stessa difesa, inoltre, sostiene che la Banca d’Italia, in sede di valutazione provvisoria, avrebbe eccessivamente svalutato tali crediti;
analoga censura è rivolta avverso la valutazione definitiva della società BDO.

Tenuto conto della documentazione pervenuta agli atti del giudizio, esaminata e valutata alla luce dei principi giurisprudenziali più sopra richiamati, le censure dedotte dalla società ricorrente nel ricorso introduttivo e nel ricorso recanti motivi aggiunti non possono trovare accoglimento per le ragioni che seguono.

14. – E’ fuori di dubbio, costituendo un elemento di fatto, che il provvedimento di avvio della risoluzione della Banca delle Marche è stato adottato dalla Banca d’Italia ritenendo verificato il presupposto del dissesto, costituito dalle perdite patrimoniali di eccezionale gravità tali da privare la suddetta banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio. L’accertamento delle perdite è stato basato dalla Banca di Italia sulla valutazione provvisoria effettuata ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 180/2015 e sulla complessiva situazione della Banca delle Marche, posta in amministrazione straordinaria dall’ottobre del 2013. Nel programma di risoluzione si fa, infatti, riferimento anche al verificarsi di ulteriori presupposti previsti dall’art 17, comma 2, del d.lgs. 180/2015 ovvero: 1) che le attività risultano essere inferiori rispetto alle passività (lett. c);
2) la circostanza che nel prossimo futuro la banca non sarebbe stata in grado di pagare i debiti alla scadenza (lett. d e, conseguentemente, e).

Nel programma di risoluzione, acquisito agli atti del processo, si è rammentato, nella parte in premessa, che: a) Banca delle Marche è capogruppo dell’omonimo gruppo bancario operante con una rete di circa 300 sportelli dislocati nel centro d’Italia;
b) al 30 settembre 2015 il totale netto attivo della banca era pari a euro 14.713 milioni, la raccolta a euro 13.527 milioni e gli impieghi netti erano pari a euro 12.237 milioni;
c) il capitale della capogruppo era detenuto da Fondazione Cassa di risparmio di Macerata (22,5%), Fondazione Cassa di risparmio di Pesaro (22,5%), Fondazione Cassa di risparmio di Jesi (10,8%), Intesa Sanpaolo (5,8%), Fondazione Cassa di risparmio di Fano (3,4%) e la restante quota di capitale era distribuita tra oltre 40.000 soci privati e, in parte minoritaria, era detenuta nel portafoglio azioni proprie;
d) la banca era stata sottoposta ad amministrazione straordinaria – al termine del periodo di gestione provvisoria – con D.M. del 15 ottobre 2013 (adottato ai sensi degli artt. 70, comma 1, lett. a) e b) e 98 del TUB) per gravi irregolarità nell’amministrazione e gravi violazioni normative, gravi perdite patrimoniali e gravi inadempienze nell’attività di direzione e coordinamento, ad esito degli accertamenti ispettivi di vigilanza condotti sul gruppo;
e) la procedura di amministrazione straordinaria era stata prorogata per il periodo di un anno con D.M. del 13 ottobre 2014 ed ancora, con provvedimento della Banca d’Italia del 13 ottobre 2015, fino al 15 dicembre 2015;
f) nel corso del 2014 si era resa necessaria la procedura di amministrazione straordinaria per Medioleasing S.p.a. (D.M. 4 febbraio 2014), interamente controllata da Banca delle Marche e di Cariloreto S.p.a. (D.M. 17 aprile 2014), partecipata da Banca delle Marche al 78%. Entrambe le procedure furono successivamente prorogate per il termine di sei mesi e successivamente prorogate dalla Banca d’Italia, rispettivamente al 4 dicembre 2015 e al 17 dicembre 2015.

15. - Il provvedimento di amministrazione straordinaria, del quale sopra si è dato conto riproducendo parzialmente quanto è stato rammentato nelle premesse del programma di risoluzione di Banca delle Marche S.p.a. in amministrazione straordinaria (prodotto in atti), era stato adottato sulla base degli accertamenti ispettivi della Vigilanza che fin dal 2011 avevano rilevato criticità negli assetti di governance e nella esposizione ai rischi di natura creditizia e finanziaria. Soprattutto nel corso delle ispezioni svolte tra il novembre 2012 e l’aprile 2013 erano state evidenziate lacune nel processo creditizio, con riflessi sul corretto apprezzamento del rischio del credito. Negli ulteriori accertamenti ispettivi eseguiti nel corso del 2013 sono state effettuate nuove rettifiche di valore dei crediti che hanno evidenziato le perdite patrimoniali e il mancato rispetto dei coefficienti regolamentari. La proposta di amministrazione straordinaria dell’8 ottobre 2013, oltre alle perdite fa riferimento alle “gravi criticità nell’azione di governo che condizionata dalle principali fondazioni azioniste non ha assicurato la sana e prudente gestione, con conseguenti riflessi sulla situazione patrimoniale del gruppo non in grado di rispettare i requisiti prudenziali” e “all’assunzione di elevate alee creditizie”. Peraltro a seguito delle rettifiche imposte nelle ispezioni i bilanci della banca avevano riportato perdite pari a euro 528 milioni nel 2012 e 233 milioni nel primo semestre del 2013.

Proprio in relazione allo stato di crisi e alla necessità di un aumento di capitale della banca era stato emesso il prestito obbligazionario del 28 giugno 2013 subordinato Upper Tier II sottoscritto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (10 milioni) e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (15 milioni).

I nuovi amministratori nominati il 27 giugno 2013 avevano anche contattato nel mese di luglio 2013 sia le fondazioni di riferimento sia banche nazionali e internazionali al fine di verificare l’interesse ad un aumento di capitale, senza esiti favorevoli (cfr. lettera alla Banca di Italia del 25 luglio 2013 depositata in atti).

Nel corso del Commissariamento è proseguita la revisione al ribasso delle posizioni creditizie, con rilevante crescita degli incagli, delle sofferenze e delle relative previsioni di perdita;
i Commissari, inoltre, nella relazione alla Banca di Italia dell’11 maggio 2015, segnalano il rischio di liquidità e la previsione del patrimonio netto negativo per il primo semestre del 2015.

Nel periodo di amministrazione straordinaria sono stati anche effettuati alcuni interventi immediati per sopperire alla carenza di liquidità: a) il 19 marzo 2014, un finanziamento straordinario (ELA- Emergency Liquidity Assistance) della Banca di Italia;
b) successivamente un mutuo con il Credito Fondiario (credito peraltro finanziato dal Credito Fondiario con un apertura di credito dalla BCE, che ha richiesto di estinguere la linea di credito). Nello stesso periodo furono esaminati possibili interventi di ricapitalizzazione da parte di altri istituti ed era stata avanzata una proposta in tal senso dal Credito Fondiario–Fonspa (lettera di intenti del 23 luglio 2014), per complessivi 2.700 milioni di euro, che prevedeva l’intervento del Fondo di tutela dei depositi, a garanzia dei crediti deteriorati della Banca Marche per 800 milioni di euro, la partecipazione del Fondo al capitale della banca per 100 milioni di euro, 1800 milioni di euro finanziati con l’emissione di titoli. Tale operazione era stata anche autorizzata dalla Banca di Italia, ai sensi dell’art. 96 ter del TUB il 3 dicembre 2014, ma, secondo quanto indicato dai Commissari, non si è poi effettivamente concretizzata l’offerta della Fonspa.

Riepilogando, quindi (per come anche si legge nel programma di risoluzione), fin dalla prima metà dell’anno 2014 i Commissari straordinari avevano avviato la ricerca di controparti disponibili ad intervenire nella soluzione di crisi del gruppo, ma senza raggiungere i risultati sperati.

A questo punto, il 2 ottobre 2015 i Commissari straordinari formalizzavano la richiesta di intervento del Fondo di tutela dei depositi (FITD) ai sensi dell’art. 29 dello Statuto del Fondo, ai sensi del quale il Fondo può disporre interventi di sostegno a favore di una consorziata in amministrazione straordinaria quando sussistano prospettive di risanamento e ove sia prevedibile un minor onere rispetto a quello rinveniente dall’intervento in caso di liquidazione. Tale intervento è stato approvato dal Consiglio del Fondo l’8 ottobre 2015 con una operazione di aumento di capitale fino a 1200 milioni di euro, a seguito della quale il Fondo avrebbe acquisito una partecipazione di controllo nel capitale della Banca delle Marche, La concreta attuazione dell’intervento era fissata successivamente rispetto alla approvazione del decreto legislativo sulla risoluzione delle banche e all’applicazione delle misure di riduzione e conversione dei prestiti subordinati emessi dalle banche stesse (cfr. comunicazione del FITD del 9 ottobre 2015 depositata in giudizio dalla Banca d’Italia).

A rappresentare un quadro di significativa sofferenza della banca, nei dati contabili al 30 settembre 2015 figuravano perdite di esercizio per 923 milioni euro e inoltre, a tale data, l’indice di adeguatezza patrimoniale CET 1 risultava negativo (pari cioè a -0,62%).

16. - Il 4 novembre 2015 i Commissari segnalavano alla Banca d’Italia l’ulteriore aggravamento della situazione di liquidità, che avrebbe potuto comportare la presentazione della richiesta, nei giorni successivi, di autorizzazione alla “sospensione dei pagamenti”, prevista dall’art. 74 del TUB per le banche in amministrazione straordinaria, in circostanze eccezionali.

E’ dunque evidente che, in tale situazione della Banca Marche, già oggetto dell’Amministrazione straordinaria, anche prorogata più volte e con la prospettiva di una crisi di liquidità e della richiesta di autorizzazione alla sospensione dei pagamenti ai sensi dell’art. 74 TUB, si devono ritenere verificati alla data del 21 novembre 2015 i presupposti per l’avvio della risoluzione.

Con il programma di risoluzione di Banca delle Marche si è, in sintesi, previsto quanto segue: a) la riduzione integrale delle riserve e delle azioni (valutate in relazione al patrimonio netto al 30 settembre 2015 pari a 13 milioni di euro) nonché del valore nominale degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri (249,7 milioni di euro);
b) la cessione di azienda ad un ente ponte e la successiva cessione dei crediti in sofferenza ad una società veicolo;
c) la permanenza della restante parte del debito subordinato in capo alla banca in risoluzione destinata a coprire le perdite (177,9 milioni di euro). Le operazioni sono state finanziate con l’intervento del Fondo di risoluzione per circa 2000 milioni di euro, finanziato dai contributi ordinari della banche al Fondo per l’anno 2015 e dai contributi straordinari previsti dall’art. 83 del d.lgs. n. 180/2015 per tre annualità, e con la garanzia della Cassa depositi e prestiti, oltre al valore della garanzia prestata per il finanziamento del Fondo di risoluzione dalla Cassa depositi e prestiti.

Descritto come sopra, in sintesi, il contenuto del programma di risoluzione, va rammentato che esso è stato ritenuto compatibile dalla Commissione europea con la disciplina degli aiuti di Stato in relazione all’art. 107 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea con atto del 22 novembre 2015.

Solo a questo punto, con d.l. n. 183/2015 sono stati costituiti gli enti ponte e pur se il medesimo decreto legge non è stato successivamente convertito, con l’art. 1 comma 854 della legge di stabilità per il 2016 (l. 28 dicembre 2015, n. 208) sono stati fatti salvi gli effetti prodotti dal decreto. Infine il 9 dicembre 2015 è stata disposta la liquidazione coatta della Banca delle Marche in risoluzione.

17. – E’ di centrale rilievo, ai fini della presente decisione, rammentare come (lealmente) la difesa di parte ricorrente non contesta integralmente la situazione di perdite accusate dalla Banca delle Marche, sostenendo però che le perdite sarebbero state la conseguenza dell’eccessiva svalutazione dei crediti deteriorati.

Sul punto va detto che la necessità di procedere alla effettiva valutazione dei crediti deteriorati, non correttamente valutati nella precedente gestione della banca, risulta già da quanto venne rilevato negli accertamenti ispettivi della Vigilanza che hanno condotto all’Amministrazione straordinaria, confermandosi poi in occasione delle successive rettifiche di valore dei crediti effettuate dai Commissari. Come è facile appurare dalla documentazione prodotta in atti, la situazione di gravi perdite si era già verificata a partire dagli esercizi 2012- 2013 e quindi in epoca anche precedente rispetto alla valutazione provvisoria effettuata dalla Banca d’Italia nella sua veste di Autorità di risoluzione e qui contestata dalla società ricorrente.

In tale situazione di perdite e crisi di liquidità della banca, anche la sola riduzione o conversione di azioni sarebbe stata evidentemente insufficiente. Ciò risulta chiaramente sia dalla entità degli ipotizzati interventi a cura del Fondo di tutela dei depositanti, sia con riferimento alla prima ipotesi (Fonspa 2700 milioni di euro) sia a quella dell’ottobre 2015 (1200 milioni di euro), nonché dalla circostanza che alla data del 30 settembre 2015 i dati contabili sui quali è stata effettuata la valutazione provvisoria denominata quale cd. Fase 1 (ripetendo in parte quanto si è sopra già riprodotto) riportano perdite di esercizio per 923 milioni di euro, considerate pari alla cifra di 1032 alla data del 22 novembre 2015 (con patrimonio netto negativo a tale data pari a 102 milioni di euro) nella valutazione definitiva della cd. Fase 1.

Né può dirsi irragionevole la scelta di disporre la risoluzione in luogo della liquidazione coatta amministrativa, che avrebbe comportato proprio, violando la previsione del secondo comma dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. 180/2015, la distruzione di valore della banca, non risultando rinvenibili (nonostante gli sforzi sostenuti anche dai Commissari straordinari) soggetti interessati al subentro nell’azienda bancaria fin dal 2013 (cfr. lettera degli amministratori alla Banca d’Italia del 25 luglio 2013). A conferma di ciò, su tale specifico punto, la relazione dei Commissari dell’11 maggio 2015 riferisce di una verifica effettuata sul mercato nel corso del 2014 da parte di Intesa e Unicredit per reperire soggetti interessati ad un aumento di capitale e all’assorbimento dell’ingente volume di crediti deteriorati, con esito negativo nonché della mancata concretizzazione dell’intervento successivamente ipotizzato da Fonspa.

18. – Alla luce di quanto appena riferito, appare scevro da contestazioni di irragionevolezza e di illogicità quanto ebbe a prospettare la Banca d’Italia nel programma di avvio della risoluzione, volto ad assicurare la continuità dell’azienda bancaria, l’erogazione dei crediti, dei mutui e, non da ultimo, la tutela dei posti di lavoro di circa tremila dipendenti.

Si deve considerare, infatti, che nelle concrete circostanze di fatto relative alla situazione economica della Banca delle Marche, in amministrazione straordinaria da più di due anni (la proroga di due mesi dal 13 ottobre 2015 al dicembre 2015 era stata concessa dalla Banca d’Italia quale proroga per la chiusura dell’amministrazione straordinaria, per come prevista dall’art. 70, comma 6, TUB) e in mancanza di soluzioni alternative di mercato, la via ordinaria da seguire per l’Autorità di Vigilanza sarebbe stata proprio quella della liquidazione coatta ai sensi dell’art. 80 del TUB.

Non a caso la stessa Banca d’Italia nel provvedimento di avvio della risoluzione dà espressamente conto della specifica valutazione dell’interesse pubblico operata proprio al fine di evitare il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, al dichiarato scopo di salvaguardare le funzioni essenziali della banca, effettivamente mantenute, nel caso di specie, con le posizioni di credito in corso, i mutui, i depositi anche non protetti, comunque non colpiti dalle misure di risoluzione del 22 novembre 2015 e alla tutela quindi del territorio in cui era specificamente radicata l’attività della Banca Marche, nonchè dei posti di lavoro di circa tremila dipendenti .

Ad avviso della società ricorrente, però, sarebbe proprio la disciplina del d.lgs. n. 180/2015 ad essere in contrasto con la disciplina della direttiva 2014/59 con riferimento alla violazione del principio di proporzionalità, ma ciò è chiaramente smentito da quanto il legislatore nazionale, all’atto del recepimento della direttiva n. 59 del 2014, ha manifestato nel testo degli artt. 20 e 21 del d.lgs. 180/2015. Infatti il 45° considerando della direttiva fa espresso riferimento al principio per cui un ente in dissesto dovrebbe essere liquidato con procedura ordinaria di insolvenza. Tuttavia, una volta espresso tale principio generale, nello specifico la disposizione europea si affretta a precisare che “Tale procedura, tuttavia, potrebbe compromettere la stabilità finanziaria, interrompere la prestazione di funzioni essenziali e pregiudicare la tutela dei depositanti. In tal caso, è altamente probabile che sarebbe di pubblico interesse sottoporre l'ente a risoluzione e applicare strumenti di risoluzione anziché avvalersi della procedura ordinaria di insolvenza, con l'obiettivo quindi di garantire la continuità delle funzioni essenziali, di evitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria, di tutelare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario per gli enti in dissesto e di tutelare i depositanti e gli investitori protetti, i fondi e le attività dei clienti”. Ebbene tali valutazioni in ordine all’interesse pubblico sono richieste dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. 180/2015, che nella specie sono stati puntualmente applicati dall’Autorità di vigilanza attraverso una attenta procedura istruttoria che ha portato all’emersione dei presupposti per proseguire sulla strada della risoluzione e rispetto ai quali Banca d’Italia ha offerto abbondantemente ragione delle motivazioni di tale scelta proprio nel programma di risoluzione, con compiutezza di particolari.

Non può inoltre sfuggire, nel caso di specie, anche a cagione della entità dell’intervento del Fondo di risoluzione, che una operazione limitata a realizzare solo una riduzione o conversione delle azioni, prevista dall’art. 20, comma 1, lettera a) del d.lgs. 180/2015 non sarebbe stata sufficiente a ripianare la situazione di perdite della banca e ad evitare il dissesto della stessa, come espressamente richiesto dall’art. 20, comma 1, lettera b) del richiamato decreto legislativo per disporre la risoluzione o la liquidazione coatta. La risoluzione è stata, infatti, attuata con la cancellazione delle azioni (con un valore pari al patrimonio netto di circa 13 milioni di euro al 30 settembre 2015 e negativo al 22 novembre 2015 in base alle successive rettifiche dei crediti deteriorati) e delle obbligazioni subordinate (come si è già riferito, pari a 249,7 milioni di euro di elementi di classe 2 computabili nei fondi propri, oltre a 177,9 milioni di debito subordinato rimasto nella banca in liquidazione) e con un intervento del Fondo di tutela dei depositanti (di circa duemila milioni di euro) finanziato dai contributi ordinari della banche al Fondo per l’anno 2015 e dai contributi straordinari previsti dall’art. 83 del d.lgs. n. 180/2015 per tre annualità e con la garanzia della Cassa depositi e prestiti.

Non pare superfluo né ridondante rammentare ancora una volta che l’intervento, così come realizzato, è stato approvato dalla Commissione europea in relazione alla disciplina dell’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea in data 22 novembre 2015, ritenendolo compatibile con la disciplina degli aiuti di Stato proprio in quanto rispettoso dei principi fissati dalla Commissione nella comunicazione del settore bancario del 2013, con la cancellazione delle azioni e di parte del debito subordinato.

19. – La società ricorrente ha anche posto in contestazione la valutazione operata dalla Banca d’Italia nella prospettiva che non avrebbe tentato di rinvenire possibili soluzioni alternative alla risoluzione ed in particolare per non aver ritenuto di percorrere la strada dell’intervento del Fondo di tutela dei depositi per come si era concretizzato nell’ottobre del 2015.

Sul punto deve considerarsi che l’art. 17, comma 1, lettera b) del d.lgs. 180/2015 prevede espressamente che le azioni di risoluzione possono essere disposte quando non si possano “ragionevolmente prospettare misure alternative che permettono di superare la situazione di cui alla lettera a) in tempi adeguati, tra cui l’intervento di uno o più soggetti privati o di un sistema di tutela istituzionale, o un’azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce o l’amministrazione straordinaria ai sensi del Testo Unico Bancario”.

Nel caso di Banca delle Marche l’amministrazione straordinaria era stata già disposta e prorogata fino ad un complessivo periodo superiore a due anni, durante il quale erano state tentate alcune soluzioni non andate a buon fine, quali l’intervento del Fonspa.

20. - Quanto poi al contrasto dell’intervento del Fondo con la disciplina degli aiuti di Stato, la Banca d’Italia ebbe a dare espressamente conto, nel programma di risoluzione, che l’intervento del Fondo non poté avere corso, in relazione alla posizione negativa della Commissione europea (già espressa in altra occasione e in particolare con riferimento alla vicenda della Banca Tercas, di cui alla comunicazione del 27 febbraio 2015), in quanto non compatibile con la disciplina degli aiuti di Stato e che l’intervento del Fondo avrebbe dovuto essere previamente sottoposto formalmente all’esame della Commissione per verificarne l’ammissibilità in relazione a tale disciplina.

In conclusione emerge che la valutazione operata da Banca d’Italia il 21 novembre 2015, tenuto sempre conto dei limiti del sindacato di ragionevolezza su tali scelte, non appare illegittima, alla luce: a) della richiesta di informazioni da parte della Commissione del 10 ottobre 2014 anche relativa alla situazione della Banca delle Marche con riferimento in particolare ad un possibile intervento del Fondo;
b) alla successiva posizione espressa già formalmente dalla Commissione circa la non compatibilità dell’intervento del fondo con la disciplina degli aiuti di Stato nel caso dell’intervento realizzato per la Banca Tercas (comunicazione del 27 febbraio 2015, a cui è seguita la decisione del 23 dicembre 2015 con cui la Commissione ha disposto il recupero dell’ “aiuto” concesso);
c) alla nota del 19 novembre 2015 dei Commissari V e H (depositata in giudizio).

In tale quadro complessivo e nella situazione di urgenza verificatasi per la Banca delle Marche, la Banca d’Italia legittimamente e cautamente ha valutato come non fosse possibile una soluzione alternativa, considerata anche la valutazione complessiva dell’interesse pubblico da ritenersi prevalente in base alla espressa previsione dell’art. 20 del d.lgs. n. 180/2015.

Non appare incongruo riflettere sulla circostanza che, nell’ambito della valutazione circa la sussistenza dell’interesse pubblico a procedere alla risoluzione operata in quell’epoca dalla Banca d’Italia, siano stati presi in considerazione anche i rischi dell’avvio di una procedura di infrazione, per come era già stata avviata dalla Commissione nel caso della banca Tercas, procedura che, tra l’altro, per la Banca Tercas si è poi effettivamente concretizzata anche con il provvedimento finale della Commissione del 23 dicembre 2015 (con il quale si è testualmente affermato che “In seguito a un'indagine approfondita, la Commissione europea ha concluso, sulla base dei fatti e delle circostanze noti, che il sostegno concesso dal sistema obbligatorio di garanzia dei depositi italiano a Banca Tercas costituisce un aiuto di Stato incompatibile”).

Merita che sia ulteriormente precisato come nel caso della Banca Tercas l’intervento del Fondo di tutela dei depositanti era stato contenuto nella somma complessiva di trecento milioni di euro, inferiore di gran lunga a quanto ipotizzato per la Banca delle Marche e che comunque le azioni ordinarie erano state integralmente svalutate, appuntandosi le critiche della Commissione proprio sulla mancata conversione o svalutazione dei prestiti subordinati.

Ne deriva l’assoluta irrilevanza rispetto al sindacato di legittimità del provvedimento adottato il 21 novembre 2015 dalla Banca di Italia della questione dedotta dalla parte ricorrente circa il rinvio pregiudiziale per il concreto accertamento della compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato dell’intervento del Fondo di tutela dei depositi, mai effettivamente realizzato, in relazione alle concrete circostanze di fatto in cui ha operato la Banca di Italia.

Prescindendo dalla mera ipoteticità di tali alternative indicate dalla ricorrente, se la Banca d’Italia avesse insistito nel portare avanti l’altro intervento del Fondo di tutela dei depositi – vale a dire quello approvato dal Consiglio del Fondo nell’ottobre 2015 - chiedendo formalmente alla Commissione di autorizzarlo come aiuto di Stato ammesso, avrebbe comunque dovuto incidere sulla posizione degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, come era previsto anche dalla autorizzazione del Fondo dell’8 ottobre 2015 e secondo quanto indicato dalla Commissione nella comunicazione sul settore bancario del 2013.

21. - La legittimità di tale posizione della Commissione rispetto all’intervento sugli azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, secondo quanto prescritto nella comunicazione del 2013, è stato confermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza della Grande sezione 19 luglio 2016, relativa ad un intervento della banca centrale slovena che, per ricapitalizzare cinque banche in difficoltà aveva inciso sul capitale degli azionisti e sul debito subordinato;
la sentenza ha, infatti, affermato che lo Stato membro può anche non imporre una tale misura prevista dalla comunicazione della Commissione sul settore bancario del 2013, ma in tal caso assume il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiari l’incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno. La Corte, nella ridetta sentenza, ha anche affermato che la comunicazione del settore bancario deve essere interpretata nel senso che le misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati non devono andare oltre quanto necessario per superare la carenza di capitale della banca, il che, come sopra evidenziato, nel caso di specie risulta evidente data la consistenza dell’intervento del Fondo di risoluzione rispetto alla posizione degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, comunque destinata a ripianare le perdite della banca in caso di liquidazione coatta amministrativa.

Più in particolare, anche per quel che rileva nel presente contenzioso, la Corte di giustizia si è spinta ad affermare che “(…) la circostanza che, nel corso delle prime fasi della crisi finanziaria internazionale, i creditori subordinati non siano stati invitati a contribuire al salvataggio degli istituti di credito, non consente ai creditori medesimi di avvalersi del principio di tutela del legittimo affidamento. Una simile circostanza non può, difatti, essere considerata come una rassicurazione precisa e incondizionata, tale da far sorgere in capo ad azionisti e creditori subordinati il legittimo affidamento di non essere sottoposti in futuro a misure di ripartizione degli oneri. Peraltro, poiché gli azionisti sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale della stessa, il fatto che la comunicazione sul settore bancario richieda che, per rimediare alla sottocapitalizzazione di una banca, prima della concessione di un aiuto di Stato, detti azionisti contribuiscano a coprire le perdite subìte della stessa nella medesima misura che si proporrebbe in assenza di un simile aiuto, non si può considerare una compromissione del loro diritto di proprietà”.

E’ interessante notare come la Corte di giustizia abbia inoltre chiarito, in ordine alle misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati, che uno Stato membro non sia obbligato ad imporre alle banche in difficoltà, prima della concessione di qualsivoglia aiuto di Stato, di convertire in capitale i titoli subordinati o di svalutarli, né di impiegare integralmente tali titoli per assorbire le perdite. In siffatti casi, non si potrà tuttavia ritenere che l'aiuto di Stato di cui trattasi sia stato limitato al minimo necessario. Lo Stato membro, come le banche beneficiarie degli aiuti di Stato di cui trattasi, si assume il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiara l'incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno. La Corte aggiunge, tuttavia, che le misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati non devono andare oltre a quanto è necessario per rimediare al deficit di fondi propri della banca interessata, sottolineando comunque che le misure di ripartizione degli oneri sono ricomprese nella nozione di “provvedimenti di risanamento” ai sensi della direttiva in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi. Infatti, poiché dette misure mirano a risanare la posizione patrimoniale degli istituti di credito e a superare la carenza di capitale degli stessi, esse hanno lo scopo di salvaguardare o risanare la situazione finanziaria di un ente creditizio.

22. - Proprio le affermazioni della Corte di Giustizia, nelle recente sentenza sul caso delle banche slovene, e le dimensioni quantitative dell’apporto del Fondo di risoluzione rispetto alle perdite subite da azionisti e obbligazionisti subordinati conducono a ritenere priva di fondamento, altresì, la censura sollevata con riferimento alla violazione del principio comunitario di proporzionalità.

Né possono rilevare, ai fini del sindacato di legittimità, le eventuali diverse azioni di rilevanza politica presso la Commissione europea o altri organi dell’Unione al fine di disciplinare diversamente tali materie. Si tratta di scelte politiche che avrebbero potuto esser diverse, ma che non militano nel senso della illegittimità dell’azione amministrativa concretamente posta in essere sul campo nel caso di specie.

Si deve, infatti, considerare quanto prescritto dall’art. 21 del d.lgs. 180/2015 che pone come obiettivi della risoluzione, la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela;
obiettivi posti dalla legge e che risultano essere stati perseguiti dalla Banca d’Italia e dal Ministero dell’economia e delle finanze nelle scelte poste a base del provvedimento di risoluzione, né l’ordine o le priorità poste da tale norma possono essere oggetto di contestazione in questa sede, quali ad esempio la preferenza per la scelta di optare per l’aggravio a carico delle finanze pubbliche invece che a carico degli azionisti o dei titolati di obbligazioni subordinati con un maggiore intervento del fondo, trattandosi di scelte ampiamente discrezionali.

23. – La società ricorrente muove poi, con il ricorso recante motivi aggiunti, censure rispetto alla valutazione provvisoria svolta dalla Banca di Italia e alla valutazione definitiva da parte della BDO.

L’art. 25 del d.lgs. 180/2015 prevede che la valutazione provvisoria sia effettuata dalla Banca d'Italia o dal Commissario straordinario, “quando sussistono motivi di urgenza” che non permettono di procedere alla valutazione definitiva da parte dell’esperto indipendente. Al livello di normativa europea l’istituto della valutazione provvisoria e le modalità del suo utilizzo sono previsti e contemplati nei paragrafi 2 e 9 dell’art. 36 del direttiva 2014/59;
in particolare il paragrafo 2 prevede la valutazione provvisoria effettuata dall’Autorità di risoluzione qualora “non sia possibile” la valutazione di una persona indipendente da qualsiasi autorità pubblica, compresa l'autorità di risoluzione e il paragrafo 9 la prevede, qualora la valutazione dell’esperto indipendente, non sia possibile “a causa dell'urgenza dettata dalle circostanze del caso”.

Va segnalato, a questo punto, che la norma di recepimento interno della fonte europea ha consentito la valutazione provvisoria solo nei casi di urgenza, esprimendosi quindi in maniera (ancor) più restrittiva rispetto a quanto previsto dalla direttiva.

Nel caso di specie, poi il ricorso alla valutazione provvisoria, quale presupposto per la risoluzione, risulta ampiamente giustificato in una situazione quale la crisi di liquidità della Banca segnalata dai Commissari con la nota del 4 novembre 2015.

Per quanto concerne lo scrutinio delle specifiche censure mosse dalla società ricorrente aventi ad oggetto le modalità attraverso le quali si è sviluppata e definita sia la valutazione provvisoria che quella definitiva, in quanto avrebbero operato ulteriori eccessive – e tecnicamente non giustificabili - svalutazioni dei crediti deteriorati, si deve tenere conto, in primo luogo che in base alla espressa disciplina dell’art. 23 del d.lgs. 180/2015 tali valutazioni debbono essere effettuate in base a criteri prudenziali e realistici delle attività e passività (“l’avvio della risoluzione è preceduto da una valutazione equa, prudente e realistica delle sue attività e passività”). In particolare, ai sensi del successivo art. 24, comma 2, detta valutazione si fonda su ipotesi prudenti, anche per quanto concerne i tassi di insolvenza e la gravità delle perdite: queste sono accertate con riferimento al momento in cui è effettuata la valutazione;
ove possibile è, altresì, fornita una stima delle perdite che potrebbero risultare al momento dell'applicazione delle azioni di risoluzione o dell'esercizio del potere di riduzione o di conversione delle azioni, delle altre partecipazioni ed in ordine agli strumenti di capitale.

Peraltro è documentalmente provato che la valutazione provvisoria ha fatto riferimento, in primo luogo, ai dati contabili al 30 settembre 2015, da cui già risultavano le gravi perdite della Banca (923 milioni di euro) con il mancato rispetto dei requisiti prudenziali, la previsione di perdite ulteriori al 22 novembre 2015 e il patrimonio netto negativo a tale data. In una valutazione di fase 2, seguendo i criteri di valutazione maggiormente realistici e prudenziali, indicati dalla Commissione europea nella Comunicazione 2009/C 72/01 sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario e ai principi EBA in corso di approvazione, la Banca d’Italia ha ulteriormente svalutato i crediti in base al loro stimato effettivo valore di cessione. In virtù di tali risultati sono state considerate perdite pari a 1445 milioni di euro.

In siffatto quadro ricostruttivo degli eventi va considerato che, già in base ai dati contabili in possesso dei Commissari ed acquisiti all’esito della relativa istruttoria, si devono ritenere sussistenti i presupposti per la risoluzione e si deve considerare che la questione della valutazione dei crediti deteriorati è stata posta come elemento di attenzione per la situazione di crisi generale delle banche. Proprio al fine di ovviare a tale situazione di deterioramento del credito del sistema bancario sono stati indicati dalla Commissione, nella comunicazione sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario (la già segnalata comunicazione 2009/C72/01), criteri in base ai quali il portafoglio crediti di una banca debba essere valutato in modo il più possibile rispondente all’effettivo valore di mercato.

Inoltre, per come si evince dalla proposta di amministrazione straordinaria e dalla relazione dei Commissari dell’11 maggio 2015, le problematiche del portafoglio crediti di Banca delle Marche si ponevano alla base della situazione di severa criticità nella quale versava la banca stessa.

23. - Quanto ai criteri utilizzati nella valutazione, anch’essi fatti oggetto di contestazione a cura della società ricorrente, si deve considerare che la scelta di imporre ai soggetti responsabili della procedura l’adozione di criteri prudenti e realistici è indicata dalla fonte primaria di recepimento della direttiva europea, nella specie dagli artt. 23 e 24 del d.lgs. 180/2015, conformemente a quanto prescritto a livello europeo dalla comunicazione della Commissione del 2009.

E’ innegabile che la valutazione della situazione di crisi effettuata seguendo tali stringenti criteri ha comportato nuove svalutazioni tali da determinare un considerevole aggravio delle perdite (pari 1442 milioni di euro) e che tali svalutazioni sono poi state sostanzialmente confermate dalla valutazione definitiva, elaborata applicando i medesimi criteri di valutazione, ma si è già chiarito come tale impianto sia perfettamente in asse con la strategia comunitaria di prevenzione e risoluzioni delle crisi bancarie, ivi compresa (lo si ripete) l’adozione di criteri particolarmente stringenti da utilizzare nel corso dell’istruttoria della procedura di valutazione provvisoria.

In tale solco normativo, anche la valutazione definitiva ha fatto riferimento ai criteri contabili e al bilancio dei Commissari, considerando al 22 novembre 2015 una perdita di esercizio pari 1032 milioni di euro e un patrimonio netto negativo pari a -102 milioni di euro, a cui nella valutazione di fase 2 sono state aggiunte rettifiche prudenziali sia sul patrimonio netto sia sui crediti in prospettiva della cessione all’ente ponte e alla società veicolo. Tali valutazioni prudenziali hanno sostanzialmente confermato la valutazione provvisoria con un patrimonio netto negativo pari a 1412 milioni di euro.

In ogni caso, già nei dati contabili al 30 settembre 2015 la situazione della Banca delle Marche era tale da denunciare cospicue perdite che non avrebbero comunque consentito agli azionisti e agli obbligazionisti di soddisfare il loro credito in sede concorsuale. La grave situazione della Banca delle Marche è stata poi confermata dalla sentenza del Tribunale di Ancona del 15 marzo 2016 che ne ha dichiarato l’insolvenza confermando, in particolare anche la legittimità delle stime effettuate sui crediti deteriorati.

24. - In conclusione, sia l’istruttoria svolta nel corso della procedura di valutazione provvisoria che l’istruttoria sviluppata nel corso della successiva valutazione definitiva hanno evidenziato che gli azionisti e i creditori subordinati non avrebbero subito un migliore trattamento a seguito della liquidazione coatta amministrativa, come espressamente richiesto dalla disciplina legislativa interna e dalla normativa comunitaria. Tale valutazione particolarmente cauta e prudente, i cui profili sono tratteggiati sia dal considerando 50° che dall’art. 74 della direttiva 2014/59 UE nonché dall’art. 24, comma 5, del d.lgs. 180/2015 si rende, infatti, necessaria proprio al fine di salvaguardare il contemperamento tra la prevalenza degli interessi generali che stanno a base della scelta della risoluzione, rispetto agli interessi dei privati, azionisti e obbligazionisti, che non devono ricevere un trattamento deteriore rispetto a quello della ipotesi ordinaria della liquidazione coatta amministrativa. Il 45° considerando della direttiva evidenzia che la procedura ordinaria per la crisi della banche è la procedura ordinaria di insolvenza e il considerando 50° prevede che “l'interferenza nei diritti di proprietà non dovrebbe essere eccessiva. Gli azionisti e creditori interessati non dovrebbero subire perdite superiori a quelle che avrebbero sostenuto se l'ente fosse stato liquidato quando è stata decisa la risoluzione. Qualora le attività di un ente soggetto a risoluzione siano parzialmente cedute a un acquirente privato o a una banca-ponte, è opportuno liquidare la parte residua di tale ente con procedura ordinaria di insolvenza. Per tutelare gli azionisti e creditori che si trovano coinvolti nella procedura di liquidazione dell'ente, è opportuno sancirne il diritto a ricevere, in pagamento o a compensazione dei loro crediti nel quadro di tale procedura, una somma non inferiore a quella che, secondo le stime, avrebbero recuperato se l'ente fosse stato integralmente liquidato con procedura ordinaria di insolvenza”.

La valutazione operata proprio con riferimento alla specifica circostanza che (o con riguardo al criterio secondo il quale) i creditori e gli azionisti non avrebbero ottenuto meno di quanto ottenuto con la liquidazione coatta costituisce un meccanismo che si traduce in una clausola di salvaguardia necessaria a garantire il livello di tutela normalmente apprestato per i creditori e gli azionisti in una procedura concorsuale. Si deve del resto considerare che nel caso di specie il ricorso ad una siffatta procedura è giustificato nell’ottica del possibile salvataggio della banca, altrimenti destinata alla liquidazione, tenuto conto anche che, ai sensi del vigente art. 80 del TUB, i presupposti della liquidazione coatta sono gli stessi della risoluzione, quando però non sussistano le prospettive di risanamento;
non a caso la sentenza della Corte di Giustizia del 19 luglio 2016 fa espresso riferimento agli strumenti di risoluzione quali “provvedimenti di risanamento”.

25. – Per quanto concerne due ulteriori profili di censura dedotti nei ricorsi si segnala che infondata è la contestazione di difetto di istruttoria, anche sotto il profilo della perplessità e contraddittorietà dell’esercizio del relativo potere in quanto la Banca d’Italia avrebbe trattato con un unico procedimento quattro banche. Risulta, infatti, dagli atti di causa e dalla cospicua documentazione depositata che l’istruttoria è stata effettuata con riferimento alla situazione concreta di ciascuna delle quattro banche (e nella specie della Banca delle Marche) e con riferimento ai dati contabili e ai parametri di vigilanza di ciascuna di esse.

Da tutte le considerazioni che precedono può dunque fasi discendere la infondatezza dei motivi di ricorso dedotti nei due mezzi di impugnazione proposti dalla società ricorrente, esitando al termine dello scrutinio della documentazione prodotta nel giudizio una valutazione di correttezza dell’azione amministrativa, sia sotto il profilo della completezza delle istruttorie svolte sia sotto il versante dell’adeguata motivazione delle risultanze sia in ordine alla corretta applicazione delle disposizioni normative di settore, esaminata alla luce degli approdi giurisprudenziali dei quali si è dato ampiamente conto.

26. – Quanto alle questioni sollevate circa la non compatibilità costituzionale delle disposizioni recate dal d.lgs. 180/2015 con numerose norme e principi contenuti nella Carta costituzionale, ad avviso del Collegio tali contestazioni non colgono nel segno.

Va premesso che l’evidenza delle circostanze di fatto, sopra ampiamente illustrate, in relazione alle perdite della banca, comporta la irrilevanza, nel caso di specie, della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla società ricorrente con riferimento all’art. 95 del d.lgs. n. 180/2015, che rende inapplicabile al presente giudizio la verificazione e la consulenza tecnica d’ufficio, né la difesa ricorrente ha dedotto alcuna specifica circostanza circa la possibilità di ottenere un migliore trattamento in sede di liquidazione coatta. In altri termini la completezza della documentazione presentata e le approfondite disamine istruttorie svolte sia in sede di valutazione provvisoria che in sede di valutazione definitiva, scongiurano nel presente giudizio la necessità di disporre strumenti istruttori quali la verificazione o la consulenza tecnica, di talché la questione si presenta priva di rilevanza in questo contenzioso giurisdizionale.

La ricorrente contesta inoltre la legittimità costituzionale della disciplina della risoluzione introdotta dal d.lgs. 180/2015, in relazione agli articoli 111 e 113 della Costituzione in quanto avrebbe affidato tutte le funzioni della risoluzione ad un’autorità amministrativa, comprese funzioni tipiche dell’autorità giudiziaria, quali quelle del Tribunale fallimentare in sede contenziosa e tale scelta neppure sarebbe stata imposta dal testo della direttiva 2014/59.

Ritiene il Collegio l’infondatezza della questione del rispetto della normativa comunitaria in relazione alla ampia discrezionalità lasciata al legislatore nazionale dalla disposizione comunitaria in relazione ai diversi sistemi di diritto interno. L’art. 85 della direttiva 2014/59 UE, infatti, prevede che “Gli Stati membri possono imporre che una decisione di adottare una misura di prevenzione della crisi o una misura di gestione della crisi sia soggetta a un’approvazione ex ante delle autorità giudiziarie, posto che, per quanto concerne una decisione di adottare una misura di gestione della crisi, conformemente al diritto nazionale, la procedura connessa alla domanda di approvazione e l'esame della domanda da parte del giudice siano eseguiti con urgenza”.

Con riguardo alle ulteriori questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente in particolare nel ricorso principale, va rammentato ancora una volta che la Corte di Giustizia, nella sentenza del 19 luglio 2016 sulle cinque banche slovene, ha espressamente escluso la lesione del diritto di proprietà e dell’affidamento da parte delle misure che incidono sugli azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, in particolare in quanto gli azionisti assumono il rischio dell’investimento e sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale e i creditori subordinati sono comunque destinati a subire le perdite della banca dopo gli azionisti, ne deriva che le norme del d.lgs. 180/2015 che disciplinano gli interventi di salvataggio così come quelli effettuati nella vicenda di Banca delle Marche, senza intaccare neppure i depositi non protetti, non si possono ritenere in contrasto con l’art. 42 della Costituzione. Il paventato contrasto delle disposizioni di cui al d.lgs. 180/2015 con l’art. 42 della Costituzione va escluso anche sotto altra prospettiva, non potendosi configurare in alcun modo una espropriazione nell’operazione di risoluzione prevista dal d.lgs. 180/2015 e posta in essere dalla Banca d’Italia, atteso che le azioni e le obbligazioni subordinate sono titoli di credito, la cui natura e funzione è quella di partecipare alle eventuali perdite della banca.

27. – In virtù delle suesposte considerazioni, le censure dedotte con il ricorso introduttivo e con il ricorso recante motivi aggiunti non possono trovare accoglimento, di talché il ricorso, nella sua interezza, va respinto. L’infondatezza delle censure comporta inoltre il rigetto della domanda di risarcimento danni.

La evidente novità e complessità delle questioni fatte oggetto del presente contenzioso costituisce il presupposto, ad avviso del Collegio, per ritenersi verificata la causa di compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti controvertenti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a..

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