TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-07-07, n. 202302113

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-07-07, n. 202302113
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202302113
Data del deposito : 7 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/07/2023

N. 02113/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00537/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 537 del 2015, proposto da
C M P e L I, rappresentate e difese dall'avvocato A B, con domicilio eletto presso lo studio Antonino Barbagallo in Catania, Piazza Roma 9;

contro

Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, rappresentato e difeso dall'avvocato T B, con domicilio eletto presso lo studio Fabio Di Stefano in Catania, Via Gabriello Carnazza 49, e dall'avvocato G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

a) del provvedimento del Sindaco del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto n. 86 in data 16 dicembre 2014, con cui è stato ordinato alle interessate di rimuovere immediatamente i cumuli di rifiuti vari e pannelli in lastre fibrocementose, contenenti presumibilmente amianto, abbandonati da ignoti su una porzione del terreno di loro proprietà;
b) ove occorra, del silenzio serbato dall’Amministrazione sulla richiesta di revoca in autotutela presentata in data 27 gennaio 2015.

Visti tutti gli atti della causa e le difese delle parti, come in atti o da verbale;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2023 il dott. Daniele Burzichelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Le ricorrenti hanno impugnato: a) il provvedimento del Sindaco del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto n. 86 in data 16 dicembre 2014, con cui è stato ordinato alle interessate di rimuovere immediatamente i cumuli di rifiuti vari e pannelli in lastre fibrocementose, contenenti presumibilmente amianto, abbandonati da ignoti su una porzione del terreno di loro proprietà;
b) ove occorra, il silenzio serbato dall’Amministrazione sulla richiesta di revoca in autotutela presentata in data 27 gennaio 2015.

Nel ricorso, per quanto in questa sede interessa, si rappresenta in punto di fatto quanto segue: a) le ricorrenti sono proprietarie di un terreno censito in catasto al foglio 10, particella 2178, e con nota in data 28 novembre 2014 hanno denunciato l’intervenuto sversamento da parte di ignoti di materiali inerti e rifiuti su una porzione del terreno di loro proprietà, sollecitando l’Amministrazione a provvedere alla rimozione;
b) il Comune ha, invece, adottato il provvedimento in questa sede impugnato;
c) con nota in data 26 gennaio 2015 le ricorrenti hanno sollecitato l’intervento in autotutela dell’Amministrazione sulla citata ordinanza sindacale n. 86 del 16 dicembre 2014.

Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) l’art. 192, terzo comma, del decreto legislativo n. 152/2006 contempla la responsabilità solidale del proprietario dell’area a cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa in base ad accertamenti effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati da parte degli Enti preposti al controllo;
b) la giurisprudenza ha chiarito che nella fattispecie non viene in rilievo una ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui del proprietario, con la conseguenza che l’Amministrazione è tenuta a verificare in concreto, attraverso una completa istruttoria, se sussistano profili di responsabilità a carico del proprietario;
c) nel caso in esame è mancata ogni attività istruttoria in contraddittorio con le ricorrenti e il provvedimento risulta sprovvisto di motivazione, atteso che il Comune si è limitato ad affermare che i proprietari hanno l’obbligo di mantenere la pulizia e il decoro nei terreni di loro proprietà.

Il Comune intimata, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando, in sintesi, quanto segue: a) come affermato dalla giurisprudenza, fra le ipotesi tipiche di colpa rientra la negligenza, che consiste nella trascuratezza, nell’incuria e nell’assenza di vigilanza, custodia e buona amministrazione del bene;
b) in difetto di prova sul comportamento diligente del proprietario, l’Amministrazione può disporre le misure previste dalla normativa, come nell’ipotesi in cui, ad esempio, l’area non sia stata dotata di un’adeguata recinzione di sufficiente altezza e robustezza e, in generale, non sia stato impedito l’accesso al terreno da parte di terzi;
c) nel caso di specie le proprietarie non hanno svolto alcuna concreta attività di custodia, vigilanza e protezione sull’area di loro proprietà, come risulta dalla circostanza che i fatti sono stati da esse denunciati con nota in data 28 novembre 2014, cioè dopo che era intervenuto il sequestro preventivo dell’area da parte dell’autorità giudiziaria e a dispetto del fatto che l’attività di sversamento dei rifiuti si protraesse ormai da tempo.

Con memoria in data 29 maggio 2023 le ricorrenti hanno ribadito e ulteriormente illustrato le loro difese anche alla luce delle deduzioni avversarie, osservando, in particolare, quanto segue: a) l’Amministrazione non può obbligare il proprietario di un terreno ad installare una recinzione, né può imporgli la costante vigilanza sull’area di sua proprietà;
b) come stabilito dal codice civile, invero, la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà;
c) la giurisprudenza ha chiarito che l’obbligo di diligenza cui fa riferimento l’art. 192 del decreto legislativo n. 152/2006 deve essere valutato secondo un criterio di ragionevole esigibilità, con la conseguenza che va esclusa la responsabilità per colpa quando sarebbe stato possibile evitare il fatto soltanto mediante un sacrificio obiettivamente sproporzionato.

Con memoria in data 6 giugno 2023 il Comune ha succintamente ribadito le proprie difese, richiamando, in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato n. 10433 in data 28 novembre 2022.

Nella pubblica udienza in data odierna la causa è stata trattenuta in decisione.

Il Collegio osserva quanto segue.

Nella sentenza del Consiglio di Stato in data 10433, n. 10433/2022 è stato affermato quanto segue: a) la responsabilità del proprietario ai sensi dell’art. 192 del decreto legislativo n. 152/2006 non può riguardare l'attività altrui, invece dolosa e criminosa, di abbandono dei rifiuti (rispetto alla quale il proprietario non si differenzi dalla generalità dei consociati), e deve, invece, riguardare la mancanza di un'adeguata cura nella tenuta del terreno del quale hanno la titolarità o comunque la disponibilità;
b) la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., per tutte, sentenze n. 136/2005, n. 323/2005 e n. 935/2007) ha, pertanto, ritenuto che, pur non sussistendo l'obbligo del proprietario del terreno di attivare un servizio di vigilanza a protezione del fondo per impedire l'accesso di ignoti sullo stesso, questi deve impedire o, comunque, rendere difficoltoso l'accesso all'area, attraverso recinzioni, cancelli e cartelli che prevengano e vietino l'accesso stesso, nonché deve mantenere efficienti, nel tempo, le misure di protezione e prevenzione;
c) occorre interpretare il citato art. 192 tenendo conto della sua collocazione sistematica e della ratio legis di tutela dell'interesse pubblico generale alla preservazione dell'ambiente, nel senso che, quando emergano induttivamente elementi di responsabilità del proprietario per la mancata attivazione di misure atte a contrastare l'abbandono dei rifiuti rinvenuti, questi è tenuto a rimuoverli.

Tali conclusioni si pongono in parziale contrasto con altro indirizzo giurisprudenziale, dovendosi menzionare, in particolare, quanto affermato dal Consiglio di Stato con sentenza in data 3 dicembre 2020, n. 7657/2020: a) secondo l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV, 15 dicembre 2017, n. 5911;
id., 4 maggio 2017, n. 2027;
Sez. V, 22 febbraio 2016, n. 705) e consultiva (Sez. I, 15 giugno 2020, n. 1192;
id., 27 febbraio 2020, n. 496), l'omessa recinzione del suolo non costituisce ex se un indice di negligenza nella vigilanza sul fondo da parte del proprietario, essendo oltre tutto le recinzioni scarsamente dissuasive in determinati contesti;
b) ai sensi dell’art. 841 c.c., inoltre, la chiusura del fondo è una facoltà e la scelta di non fruirne non può tradursi in un fatto colposo (art. 1127, comma primo, c.c.) ovvero nella violazione di un onere di ordinaria diligenza (art. 1227, comma secondo, c.c.);
c) a maggior ragione ciò vale per la mancata implementazione di un sistema di video-sorveglianza, connotato da alti costi di acquisto e manutenzione.

Occorre, tuttavia, precisare che proprio nella menzionata sentenza n. 7657/2020 del 3 dicembre 2020 il giudice di appello ha affermato che la parte ricorrente in primo grado aveva “fatto tutto quello che poteva fare, ossia segnalare ripetutamente alle preposte autorità l'avvenuta occupazione [in quel caso], chiedendo che venissero adottati provvedimenti a tutela della sua proprietà”.

Il Collegio ritiene che, anche facendo applicazione dei meno rigorosi principi sanciti nella citata sentenza n. 7657/2020 in data 3 dicembre 2020, emerga nel caso in esame una condotta colposa delle ricorrenti, non essendo stato specificamente contestato che la denuncia all’autorità sia intervenuta nella specie solo dopo l’adozione di un provvedimento di sequestro dell’area e nonostante l’attività di sversamento dei rifiuti si protraesse da tempo (come riferito dall’Amministrazione resistente e - nuovamente - non specificamente contestato dalle ricorrenti).

In altri termini, nella fattispecie la condotta imputabile consiste nella circostanza che le ricorrenti hanno omesso qualsiasi opportuna forma di cura e controllo nei confronti della loro proprietà, non preoccupandosi di verificarne nemmeno saltuariamente le condizioni, ovvero omettendo consapevolmente di riferire alle autorità preposte il fatto dell’intervenuto sversamento di rifiuti nell’area.

Come si desume anche dalla menzionata sentenza n. 7657/2020 in data 3 dicembre 2020, la segnalazione alle autorità preposte, a seguito di pur saltuarie verifiche sulle condizioni del fondo, costituisce una condotta ragionevolmente esigibile, la quale, però, nel caso in esame è mancata.

E’ vero che nella fattispecie l’Amministrazione ha omesso di instaurare il contraddittorio procedimentale, ma le ricorrenti non hanno neppure allegato - e tantomeno provato - che tale omissione abbia loro impedito di rappresentare circostanze decisive (come, in ipotesi, il fatto che esse si fossero incolpevolmente trovate nella oggettiva impossibilità di rappresentare tempestivamente l’intervenuto sversamento di rifiuti alle autorità preposte).

In altri termini, appare logica e plausibile la conclusione secondo cui il comportamento delle ricorrenti sia consistito in una negligente incuria, che si è sostanzialmente tradotta in un “abbandono” (sotto il profilo delle attenzioni materiali) del fondo.

In tal senso deve, quindi, intendersi l’espressione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui “i proprietari hanno l’obbligo di mantenere la pulizia e il decoro nei terreni di loro proprietà”.

Tale affermazione, invero, non va intesa in senso squisitamente letterale, ma facendo applicazione dei noti canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362-1371 c.c., applicabili, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, anche agli atti amministrativi.

Ciò impone, quindi, di non arrestarsi al senso letterale delle parole e di indagare l’effettiva intenzione dell’autore dell’atto (art. 1362, primo e secondo comma, c.c.), di interpretare l’atto nel suo complesso, anche in relazione ai riferimenti normativi in esso contemplati (art. 1363 c.c.) e secondo buona fede (art. 1366 c.c.), nonché nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto dell’atto stesso (art. 1369).

Alla luce di tali principi può ragionevolmente ritenersi che l’Amministrazione, attraverso il formale riferimento al mantenimento della pulizia e del decoro, abbia inteso escludere, in sostanza, che il fondo potesse essere abbandonato a sé stesso, dovendo il proprietario garantire una forma pur minima e saltuaria di controllo e verifica.

Quanto, infine, al silenzio dell’Amministrazione sull’istanza di revoca in autotutela presentata in data 27 gennaio 2015, deve osservarsi che, come affermato dalla giurisprudenza (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, V, 22 marzo 2023, n. 2911), la richiesta avanzata dai privati nei confronti dell'Amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela è da considerarsi una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere in capo all'Amministrazione alcun obbligo di provvedere, posto che i provvedimenti in autotutela sono manifestazione dell'esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell'Amministrazione, che non ha alcun obbligo di attivarsi in tal senso e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto, valutazione della quale essa sola è titolare.

Per le considerazioni che precedono il ricorso va rigettato, mentre, tenuto conto di alcuni profili della vicenda non incontroversi in punto di diritto, le spese di lite possono essere compensate.

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