TAR Trieste, sez. I, sentenza breve 2024-01-04, n. 202400007

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza breve 2024-01-04, n. 202400007
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 202400007
Data del deposito : 4 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/01/2024

N. 00007/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00366/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 366 del 2023, proposto dal sig.
C F, rappresentato e difeso dagli avvocati R C e D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi Udine, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, presso la cui sede, in Trieste, piazza Dalmazia, n.3, è ex lege domiciliata;

nei confronti

F R, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del D.R. n. 1115 dd. 30 ottobre 2023 dell'Università degli Studi di Udine recante modifiche al Regolamento sugli incarichi esterni del personale universitario


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Udine;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2023 il dott. Luca Emanuele Ricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente domanda l’annullamento del nuovo “Regolamento sugli incarichi esterni del personale universitario” adottato dall’Università degli Studi di Udine con decreto rettorale del 30 ottobre 2023, nella parte in cui è stata inserita l’impresa agricola tra le attività soggette ad incompatibilità assoluta con la condizione di pubblico impiegato (art. 2, commi 1 e 3).

1.1. Sono proposti i seguenti motivi:

I. “Violazione di legge. Contrasto con art. 60 del D.PR. 10 gennaio 1957 n.

3. Violazione art. 3 comma 2 e art. 4 comma 1 Disp. Prel. Codice civile (Fonti del diritto)”,
perché il nuovo regolamento avrebbe aggiunto un’ipotesi di incompatibilità assoluta, ulteriore rispetto a quelle di cui alla disposizione di legge, attraverso l’illegittimo esercizio di un potere interpretativo;

II. “Eccesso di potere per manifesta ingiustizia, illogicità e irragionevolezza ”, perché il regolamento adottato dall’Università non consentirebbe di distinguere tra un’attività agricola a conduzione familiare e un’impresa di natura commerciale.

2. L’Università ha eccepito la carenza di interesse del ricorrente, per la natura generale e astratta del regolamento impugnato, inidoneo pregiudicare la sua posizione in via diretta ed immediata. Ha eccepito, altresì, l’inammissibilità del ricorso per erronea individuazione del controinteressato. Nel merito, ha argomentato per il rigetto di tutte le doglianze.

3. All’udienza in camera di consiglio del 6 dicembre 2023, fissata per la trattazione della domanda cautelare, il Tribunale ha informato le parti dell’intenzione di decidere il merito del ricorso con sentenza breve, ai sensi dell’art. 60 del c.p.a. Il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4. Possono essere trascurate le preliminari eccezioni di inammissibilità, formulate dall’amministrazione, per essere il ricorso infondato nel merito.

5. Il regolamento impugnato, emanato ai sensi dell’art. 53 del T.U. sul pubblico impiego (d.lgs. 165 del 2001) disciplina “lo svolgimento degli incarichi non compresi tra i doveri istituzionali ” e si applica a tutto il personale universitario, indipendentemente dalla qualifica rivestita (professori, ricercatori, personale dirigente o tecnico-amministrativo) e dalla natura o tipologia del rapporto di lavoro con l’Università (cfr. art. 1).

5.1. L’art. 2, comma 1 del regolamento, in particolare, vieta al personale universitario “ l’esercizio dell’industria e del commercio ”. La portata del concetto è precisata nel successivo comma 3, a mente del quale “ per esercizio dell’industria e del commercio si intende l’esercizio di impresa commerciale o agricola, a titolo individuale o in forma societaria”. Proprio quest’ultima disposizione, come modificata dal decreto rettorale del 30 ottobre 2023 (e che, nella precedente versione, non menzionava l’impresa agricola) è oggetto delle censure del ricorrente, essendo stato valorizzata dall’Università (cfr. la diffida del 27 novembre 2023, prodotta dall’Università sub doc. 11) al fine di impedirgli la prosecuzione dell’impresa agricola, di cui è titolare

6. Con il primo motivo, il ricorrente rappresenta che la disciplina risultante dall’art. 2, commi 1 e 3 del regolamento contrasta con la disposizione di rango legislativo che regola le incompatibilità del pubblico impiegato (art. 60 del d.P.R. 3 del 1957), ampliando illegittimamente le ipotesi tassative ivi previste.

6.1. Con il secondo motivo, le disposizioni del regolamento sono censurate in punto di ragionevolezza, poiché parificano il trattamento di differenti tipologie di attività agricola, laddove solo quella di natura commerciale potrebbe considerarsi incompatibile con il rapporto di lavoro pubblico.

7. Entrambi i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, non meritano condivisione.

7.1. Secondo l’art. 60 del d.P.R. 3 del 1957 “ l’impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente” .

7.2. La disposizione non reca, in effetti, alcun riferimento espresso all’attività agricola. Tale omissione riflette però la particolare struttura economico-sociale del paese all’epoca di emanazione del testo legislativo, quando cioè “ quasi ogni famiglia, a vario titolo, era implicata nell'agricoltura, sicché se tale attività fosse stata inserita, per via interpretativa, tra quelle incompatibili ne sarebbe derivata l'esclusione dall'impiego statale della maggior parte dei cittadini” (Cass. civ., sez. lav., ord. 1° dicembre 2020, n. 27420). Nella realtà attuale, venuta meno la generalizzata vocazione rurale della popolazione, non è più giustificabile che l’attività agricola, anche quando svolta con carattere di professionalità, sia sempre e in ogni caso esclusa dal novero di quelle incompatibili con l’impiego pubblico.

7.3. Per conferire all’art. 60 del d.P.R. 3 del 1957 un significato più aderente all’odierna struttura sociale, la disposizione deve essere interpretata alla luce della sua ratio , che è quella di dare applicazione al principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico (art. 98 Cost.), sottraendo tutti coloro che svolgono un'attività lavorativa " alle dipendenze " - in senso lato - delle Pubbliche Amministrazioni dai condizionamenti che potrebbero derivare dall'esercizio di altre attività: “se il criterio guida è, dunque, l'interferenza sull'attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano gli indicati caratteri della abitualità e professionalità” (Cass. civ. 27420 del 2020, cit.). In dette ipotesi, anche l’attività agricola, quale “professione” ulteriore a quella pubblica, risulterà inibita.

8. Il regolamento sugli incarichi dell’Università di Udine, nella versione modificata dalla D.R. del 30 ottobre 2023, si colloca nel solco di tale ragionevole interpretazione della fonte primaria, con conseguente infondatezza del primo motivo. Secondo l’art. 2, commi 1 e 3, in particolare, non è incompatibile con il servizio qualsiasi attività connessa allo sfruttamento della propria fondiaria, ma solo “l’esercizio di impresa agricola”. Deve trattarsi, cioè, di un’attività che – oltre ad avere ad oggetto “coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”, cfr. art. 2135 c.c. – presenti le caratteristiche dell’imprenditorialità e sia quindi esercitata professionalmente, secondo un criterio di economicità della gestione e attraverso l’organizzazione e il coordinamento dei fattori produttivi, necessariamente diretta alla produzione per il mercato. L’impresa agricola costituisce, del resto, una species del genus “impresa” e ne recepisce le caratteristiche fondamentali, sancite dall’art. 2082 c.c.

9. Non si condivide, poi, la tesi (formulata con il secondo motivo di ricorso) secondo cui le disposizioni dell’impugnato regolamento assimilerebbero il trattamento giuridico di ipotesi eterogenee, considerate tutte indistintamente incompatibili con l’impiego pubblico. L’inequivoco riferimento all’ impresa agricola appare, invero, idoneo a perimetrare uno specifico tipo di attività, di carattere professionale, tale da richiedere a chi la svolga un impegno continuativo, non conciliabile con il principio costituzionale di esclusività (art. 98 Cost.).

9.1. Il regolamento non produce, quindi, l’effetto di sancire l’incompatibilità anche di attività agricole del tutto occasionali, amatoriali, finalizzate all’autoconsumo o comunque non connotate in termini di professionalità, che restano estranee da quella dimensione imprenditoriale, specificamente inibita. A tale proposito, neppure l’apertura di una partita IVA può considerarsi in quanto tale significativa, potendo essere ammessa “se strettamente funzionale all’esercizio non professionale dell’attività agricola per il corretto adempimento delle facoltà e degli oneri connessi alla proprietà di un fondo rustico ” (Cons. St., sez. II, ord. 25 maggio 2023, n. 2120).

9.2. Al contempo, comunque, l’incompatibilità non può essere riconosciuta solo ed esclusivamente quando l’attività agricola sia svolta dal pubblico dipendente in forma societaria, essa costituendo nient’altro che una possibile struttura organizzativa dell’impresa, alternativa al suo svolgimento in forma individuale (e non certo la condicio sine qua non della natura professionale dell’attività, come sembra argomentare il ricorrente). Neppure può affermarsi che sia incompatibile con l’impiego pubblico la sola attività agricola svolta da un’impresa commerciale, ipotesi invero del tutto marginale nell’ambito di un ordinamento che differenzia nettamente l'impresa agricola da quella commerciale, sottoponendo la prima ad un particolare statuto.

10. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.

10.1. Resta estranea al ricorso – che ha ad oggetto solo ed esclusivamente l’atto di normazione secondaria adottato dall’Università – ogni valutazione circa l’attività del ricorrente e la sua compatibilità in concreto con l’impiego pubblico rivestito, che sarà oggetto delle specifiche determinazioni dell’Ente (allo stato non adottate in via definitiva ed eventualmente contestabili nelle opportune sedi).

10.2. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite.

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