TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2010-11-29, n. 201001583

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2010-11-29, n. 201001583
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Reggio Calabria
Numero : 201001583
Data del deposito : 29 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00134/2010 REG.RIC.

N. 01583/2010 REG.SEN.

N. 00134/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 134 del 2010, proposto da:
Consolata Malara, rappresentata e difesa dall'avv. L S, con domicilio eletto presso Natale Carbone Avv. in Reggio Calabria, via Possidonea, 46/B;
A D, F D, E D;

contro

Asp - Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria;

per l'ottemperanza

del giudicato formatosi sulla sentenza nr. 357 del 21 maggio 2009 e notificata il 1 ottobre 2009.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2010 il dott. S G C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Ricorrono gli eredi del dr. Demetrio Eliseo, anestesista ex dipendente dell’ASL n. 10 di Palmi, deceduto il 12 marzo 2002, per ottenere l’ottemperanza alla sentenza indicata in epigrafe con la quale l’

ASL

10 di Palmi è stata condannata al pagamento in favore del loro congiunto delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni primariali, a partire dal 61° giorno successivo all’1.1.1995 e fino al 17.7.1997 oltre interessi e rivalutazione come per legge, dal dovuto al soddisfo.

Il Collegio osserva che la sentenza è stata notificata all’ASP di Reggio Calabria, subentrata per legge all’

ASL

10 di Palmi. All’ASP di Reggio Calabria è stato anche notificato apposito atto di diffida stragiudiziale, intimando di dare esecuzione al giudicato nel termine di 30 giorni dalla notificazione e dunque di porre in essere gli atti necessari alla liquidazione del dovuto.

Nessuna risposta è pervenuta dall’Azienda, la quale peraltro, pur essendo stata ritualmente intimata, non si è costituita nell’odierno giudizio.

Va dunque ritenuto comprovato, ex art. 64, comma 4 c.p.a. che non v’è stato adempimento del giudicato e dunque l’odierno ricorso è fondato e come tale va accolto.

Per tali ragioni, in accoglimento della domanda, l’ASP intimata e non costituita va condannata all’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza in epigrafe, da eseguire entro e non oltre il termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte.

Il Collegio ritiene utile precisare che nella liquidazione delle differenze retributive si dovrà avere riguardo all’art. 29 del D.P.R. n. 761/1979 (come interpretato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 57/1989 e n. 296/1990), in base alla quale il dipendente ha diritto alla variazione del trattamento economico per le mansioni superiori svolte, dedotti i primi sessanta giorni per ogni anno solare (Cfr. in termini,

TAR

Catania, IV, 30 luglio 2009, nr. 1421;

TAR

Catania, II, 11 gennaio 2002, n. 50;
Cons. Stato, III, 22 gennaio 2002 n. 1623).

Più precisamente, appare opportuno richiamare quanto indicato nella sentenza

TAR

Catania, nr. 1421/2009 secondo cui, e facendo riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale 9 - 23 febbraio 1989 n. 57 e 14 - 19 giugno 1990 n. 296, la giurisprudenza ha costantemente affermato che al dipendente del Servizio sanitario nazionale che svolga mansioni superiori per oltre 60 giorni va riconosciuto il diritto al trattamento economico corrispondente all'attività concretamente svolta, in virtù dell'art. 29, comma 2, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 ed in applicazione diretta dell'art. 36 della Costituzione e dell'art. 2126 del Codice civile, in presenza di un posto vacante (Cfr. C.G.A. 28 febbraio 1995 n. 30;
Cons. Stato V, 24 febbraio 1995 n. 253;
idem, 25 febbraio 1997 n. 186, idem, 14 aprile 1997 n. 353), o coperto da titolare la cui assenza si sia protratta per un lungo periodo, eccedente le normali ipotesi di assenza per ferie, malattia e simili (Cfr. Cons. Stato V, 3 febbraio 1992 n. 100;
idem, 13 luglio 1994 n. 772;
C.G.A. 26 aprile 1996 n. 81), ed, ove si tratti di un Aiuto che esplichi le mansioni del Primario, pure prescindendo da un formale atto di assegnazione (Cfr. Cons. Stato, V, 7 febbraio 2000, n. 668).

Secondo tale impostazione, cui il Collegio aderisce, lo svolgimento di mansioni superiori oltre il detto limite temporale comporta per l'interessato il diritto a conseguire dal sessantunesimo giorno la retribuzione corrispondente alle mansioni stesse (Cfr. Cons. Stato, V, 3 febbraio 1992 n. 100;
idem 11 settembre 2000, n. 4805;
Tar Catania Sez. I^, 1 ottobre 1996 n. 1725).

Tale orientamento è stato confermato (Cfr. Tar Catania, Sez. II, 17 dicembre 1999, n. 2602) anche dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 (avvenuta il 20 dicembre 1990), che, all’art. 121, ha dettato una specifica disciplina dello svolgimento delle mansioni superiori da parte del personale medico.

Invero, l'art. 121 citato stabilisce, al comma 6, che il dipendente, per esigenze di servizio, può eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori (e ciò sia nel caso di temporanea assenza del titolare, sia nell'ipotesi di vacanza del posto), ma che la sostituzione non deve eccedere i sessanta giorni nell'anno solare e non dà titolo ad alcuna retribuzione.

La medesima disposizione, al comma 7, prescrive che, ove il posto sia vacante e l'espletamento delle procedure concorsuali si protragga oltre detto termine, l'assegnazione temporanea delle funzioni, da attribuirsi con provvedimento formale, dà diritto al trattamento economico corrispondente alle funzioni svolte per un periodo non superiore ai sei mesi, al termine del quale le mansioni superiori non sono in alcun caso rinnovabili.

In base al successivo comma 8 (che richiama l'articolo 14, commi 7 ed 8, della legge n. 207/1985), l'inosservanza di tali disposizioni è comminata a pena di nullità, ed impegna la responsabilità personale e diretta degli organi di amministrazione che li dispongono.

In conclusione, la norma citata consente il conferimento delle mansioni superiori su posto vacante fino ad un massimo di otto mesi (di cui retribuiti gli ultimi sei), e comunque non oltre il periodo predetto.

Secondo talune pronunce giurisprudenziali (Cfr. Tar Torino, Sezione II, 18 luglio 1995, n. 412;
Tar Campania, Sez. IV, 9 agosto 1995, n. 482;
Tar Brescia, 4 maggio 1996, n. 504), a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 121 del D.P.R. n. 384/1990, l’eventuale protrarsi dello svolgimento delle mansioni superiori oltre il limite temporale di otto mesi non dà diritto a conseguire il relativo trattamento economico.

Secondo altre pronunce giurisprudenziali (Cfr. Cons. Stato, V, 18 agosto 1998, n. 1270;
Tar Molise, 19 gennaio 2000, n. 1), ove l’incarico si protragga oltre il predetto limite temporale di otto mesi, il sanitario incaricato dello svolgimento di mansioni superiori ha titolo a conseguire il trattamento economico differenziato, in applicazione dell’art. 29, comma 2, del D.P.R. n. 761/1979.

Il Tribunale ritiene aderisce a tale secondo orientamento, rilevando che:

- le conseguenze dell’inerzia dell’Amministrazione in ordine alla corretta copertura del posto non possono farsi ricadere sul dipendente, che senza colpa alcuna ha svolto le mansioni superiori oltre il limite temporale consentito (ovvero in mancanza del provvedimento formale richiesto dal comma 7 dell’art. 121 citato);

- ove si superi il periodo di otto mesi contemplato dall’art. 121 (ovvero manchi il provvedimento formale), trova applicazione la pregressa normativa di settore, contenuta nell’art. 29 del D.P.R. n. 761/1979 (come interpretato dalla Corte Costituzionale con le citate sentenze n. 57/1989 e n. 296/1990), in base alla quale il dipendente ha diritto alla variazione del trattamento economico per le mansioni superiori svolte, dedotti i primi sessanta giorni per ogni anno solare (Cfr. in termini, Tar Catania, Sezione Seconda, 11 gennaio 2002, n. 50;
Cons. Stato, III, 22 gennaio 2002 n. 1623).

Va individuato altresì il criterio di determinazione delle differenze retributive, secondo le seguenti precisazioni unanimemente riconosciute dalla Giurisprudenza e dalle quali il Collegio ritiene di non doversi discostare (Cfr. Cons. Stato. A.P. 15 giugno1998 n.3;
T.A.R. Lazio, Sez. 1, 29 maggio 1996 n.871):

a) Gli emolumenti in parola debbono essere commisurati alla differenza tabellare iniziale delle due posizioni funzionali (quella rivestita e quella inerente alle mansioni superiori svolte) - (Cfr. T.A.R. Lazio, I Sez., 19 gennaio 1994 n. 58, I, 456;
Cons. Stato, V Sez., 30 settembre 1992 n. 890;
A.P., 16 maggio 1991 n. 2).

Tale differenza ( che per il periodo fino al 19 dicembre 1990 andava riferita sia alla voce stipendio, sia a tutte le indennità, ove non già corrisposte, previste dalla normativa vigente per l’espletamento delle funzioni di Primario) dal 20 dicembre 1990 in poi (data di entrata in vigore del D.P.R.28 novembre 1990, n.384) va determinata unicamente sulla voce stipendio, per come prescritto dall’art.121, comma 7, del D.P.R. n.384/1990 citato.

b) Dagli emolumenti anzidetti, che sono legati all’effettiva prestazione delle mansioni superiori, vanno decurtate in via generale le somme che normalmente sono corrisposte al dipendente in presenza di cause che giustificano la mancata prestazione di lavoro.

A questo proposito va tenuto presente che le festività ed i giorni di riposo settimanale non interrompono la necessaria continuità nell'esercizio delle funzioni superiori e pertanto in tali situazioni le differenze retributive vanno integralmente corrisposte.

Il trattamento economico per mansioni superiori non spetta, invece, nel caso di congedo ordinario e in tutte le varie ipotesi di congedo straordinario (Cfr. Cons. Stato, V, 20 ottobre 2000, n.5650).

c) Sono poi da detrarre i primi sessanta giorni di ogni anno solare in quanto, ai sensi dell’art.29, comma 2, del D.P.R. n.761/1979 e dell’art. 121 del D.P.R. 384/90 citato, la copertura interinale per tali periodi di un posto vacante di livello superiore non dà diritto a variazioni del trattamento economico (Cfr. Cons. Stato, V, 2 febbraio 1995 n. 185;
idem, 7 ottobre 1994 n. 1150;
idem, 14 marzo 1994 n. 173;
idem, 13 gennaio 1994 n. 7).

d) Le somme dovute alla parte ricorrente, concernendo prestazioni lavorative, in astratto sono soggette a rivalutazione monetaria e sono produttive di interessi legali di pieno diritto, dalle singole scadenze mensili, in applicazione dell’art. 429, comma 3, c.p.c., prescindendo da qualsiasi indagine sulle cause del ritardato pagamento, che sono del tutto ininfluenti. (Cfr. da ultimo, Cons. Stato, V, 17 settembre 2002, n. 4723).

Tuttavia l'art. 22, comma 36, della L. 23 dicembre 1994 n. 724 ha introdotto il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi legali per i crediti di lavoro aventi decorrenza dall’1 gennaio 1995, e di tale disposizione il Collegio non può non tenere conto, atteso che le differenze retributive relativamente alle quali sono reclamati i crediti accessori riguardano il periodo dall’1 gennaio 1995 al 17 luglio 1997.

Pertanto, in applicazione di tale disposizione di legge, alla parte ricorrente possono essere corrisposti i soli interessi legali sulle somme dovute, con esclusione della rivalutazione monetaria.

Sulle somme spettanti per interessi (da calcolare dalle scadenze dei singoli emolumenti mensili sino all’effettivo soddisfo) non sono dovuti interessi ulteriori, stante il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c., che ammette eccezionalmente tale sistema di calcolo solo in presenza di un’apposita domanda giudiziale del creditore, che nella specie manca, non potendo considerarsi sufficiente, a tal fine, la mera domanda condannatoria al pagamento di rivalutazione ed interessi (Cfr. Cons. Stato, V, 8 marzo 2001, n. 1358;
idem, VI, 15 marzo 2004, n. 1315;
idem, IV, 27 aprile 2005, n. 1942).

Conclusivamente, dunque, è nei termini predetti che la domanda odierna è fondata e va accolta, disponendo che l’Azienda intimata provveda al pagamento nei termini anzidetti.

Per il caso di ulteriore inerzia, è nominato, sin d’ora, il Commissario ad acta nella persona di un funzionario da designarsi dal Prefetto di Reggio Calabria, il quale si insedierà e provvederà in luogo dell’Amministrazione inadempiente e con oneri e spese a carico di quest’ultima, il cui ammontare sarà segnalato, a cura del medesimo Commissario, alla competente Procura regionale della Corte dei Conti al fine di accertare le responsabilità in capo ai funzionari ed agli amministratori che non hanno ottemperato all’ordine giudiziale.

Allo scopo di evitare qualsiasi incertezza in sede di esecuzione del giudicato, il Collegio ritiene necessario chiarire che:

I - Per giurisprudenza assolutamente pacifica, (Cfr. Cons. Stato A.P. 9 marzo 1973, n. 1;
idem, A.P. 14 luglio 1978, n. 23;
idem, VI, 9 giugno 1986, n. 412;
idem, V, 27 settembre 1990, n. 702;
idem, V, 5 maggio 1993, n. 543;
C.G.A. 25 febbraio 1981, n. 1;
Tar Salerno, 19 febbraio 1982, n. 76;
Tar Napoli, Sez. 3^, 30 ottobre 1990, n. 375;
Tar Catania, Sezione Terza, 30 ottobre 1995, n. 2399;
idem, 30 gennaio 1996, n. 45) il commissario ad acta è organo del Giudice dell’ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell’esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento dell’Amministrazione sostituita. Da ciò consegue che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati all’ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell’Amministrazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all’immanente controllo dello stesso Giudice, al quale le parti interessate possono rivolgersi, ai sensi dell’art. 114 del Decreto Leg.vo 2 luglio 2010 n. 114, affinché venga verificata la loro rispondenza alle disposizioni impartite in sede di ottemperanza, nonché ai principi vigenti in materia.

II - Per le sentenze di condanna al pagamento di una somma di denaro, il Commissario ad acta è legittimato ad eseguire tutti gli atti e gli adempimenti necessari per dare concreto soddisfacimento al diritto di credito, mediante l'esercizio di un'attività compiuta quale “longa manus” del Giudice dell'ottemperanza nell'ambito della “procedimentalizzazione dell'erogazione della spesa”, a conclusione della quale sarà emesso il relativo mandato di pagamento;
a tale fine l'organo straordinario deve provvedere sia all’allocazione della somma in bilancio, ove manchi un apposito stanziamento, nonché all'espletamento delle fasi di impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, sia al reperimento materiale della somma, con la precisazione che l'esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono legittima causa di impedimento all'esecuzione del giudicato, dovendo il predetto organo straordinario porre in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento. (Cfr. Cons. Stato, A. P., n. 1/1973 e n. 23/1978;
Tar Salerno, n. 76/1982;
Tar Catania, Sezione Terza, n. 45/1996 citate).

In presenza poi di situazioni altamente deficitarie e di esecuzione di giudicato concernente crediti di una certa rilevanza, lo stesso commissario potrà disporre il pagamento rateizzato degli stessi crediti.

III - Il commissario deve essere ritenuto titolare del potere di emanare i necessari provvedimenti amministrativi anche in deroga alle norme che disciplinano la competenza alla loro emanazione (cfr. Cons. Stato, IV, 18 settembre 1991 n. 720;
Cons. Stato, IV, 3 maggio 1986 n. 323) e la stessa attività sostanziale, salvi i casi in cui una norma di legge vincoli espressamente il suo operato, come nel caso del comma 5 dell’art. 159 del D.Lgs. 267/2000, ai sensi del quale nei confronti degli enti locali (anche) “i provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell'esperimento delle procedure di cui all'articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e di cui all'articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, devono essere muniti dell'attestazione di copertura finanziaria”.

IV - Gli organi della Pubblica Amministrazione hanno l'obbligo di prestare la doverosa collaborazione al commissario ad acta, rimanendo ad essi preclusa ogni possibilità di interferire con i poteri deliberativi del commissario stesso.

In particolare gli organi predetti non possono opporre alcun ostacolo alle variazioni di bilancio, all'effettuazione di eventuali storni ed a tutte le altre incombenze ritenute necessarie dal commissario per l'esatta esecuzione del giudicato, potendo tale opposizione assumere la rilevanza di un illecito penale.

Nei casi più gravi di mancato adempimento dell'Amministrazione all'obbligo di rendere possibile l'attività del commissario, il Giudice amministrativo potrà disporre l'intervento della forza pubblica (Cfr. Tar Catania, Sezione Terza, n. 2399/1995 citata).

V - L’Istituto tesoriere, nel caso di mancanza di liquidità (cassa), dovrà trattenere i mandati di pagamento, e provvedere al pagamento con priorità via via che dovessero pervenire incassi a favore dell’Amministrazione, fino al totale soddisfo.

Dal punto di vista degli obblighi gravanti sull’Istituto tesoriere, agli effetti penali il servizio di tesoreria gestito da un’azienda di credito è da considerare pubblico (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 12 aprile 1991), e i soggetti che gestiscono il servizio sono da ritenere a tutti gli effetti incaricati di pubblico servizio (anche ai sensi di quanto previsto dall’art. 328 c.p. – “rifiuto di atti d’ufficio. Omissione”), con la conseguenza che essi sono tenuti a consentire al commissario ad acta – nominato dal TAR per l’ottemperanza ad una sentenza rimasta ineseguita proprio dall’Ente per conto del quale il servizio viene svolto – di svolgere tempestivamente il proprio compito, senza frapporre inerzia o ostacoli di sorta.

Infatti, in sede di ottemperanza la priorità assoluta è l’esecuzione del giudicato, che non può essere ostacolata dai normali “itinera” burocratici, che avrebbero dovuto essere messi in atto a tempo debito.

IV) Una volta espletate tutte le operazioni – a conclusione delle quali, nel caso in cui non sia stato già emesso dagli uffici competenti, potrà emettere esso stesso il provvedimento di liquidazione relativo alle proprie competenze e trasmetterlo direttamente all’Istituto tesoriere – il Commissario ad acta invierà a questa Sezione una dettagliata relazione sugli adempimenti realizzati e sull’assolvimento del mandato ricevuto.

Il compenso per il commissario ad acta, liquidato in dispositivo, viene determinato dal Collegio ai sensi dell’art. 57 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (che rinvia alla disciplina degli ausiliari del magistrato).

Sul predetto compenso dovrà essere disposta la ritenuta d’acconto nella misura di legge.

Il Commissario ad acta dovrà espletare l’incarico al di fuori dell’orario d’ufficio.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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