TAR Brescia, sez. II, sentenza 2022-10-28, n. 202201038
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Pubblicato il 28/10/2022
N. 01038/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00876/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 876 del 2021, proposto da
Società Agricola della Torre Simone e Paolo S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati P B e C A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via S. Caterina, 6;
per l'annullamento:
- dell’intimazione di pagamento n. 035 2021 90000660 10/000 emessa dall'Agenzia delle Entrate – Riscossione sede di Cremona, inviata in data successiva al 14 ottobre 2021 attraverso la casella PEC “notifica.acc.lombardia@pec.agenziariscossione.gov.it”, con la quale è stato chiesto il pagamento della somma di € 642.680,02 a titolo di prelievo supplementare, interessi e oneri di riscossione per la campagna 2005-2006;
- dell'atto di pignoramento presso terzi n. 35/2021/552.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e di Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2022 il dott. Massimo Zampicinini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’azienda agricola Della Torre Simone e Paolo s.s. ha impugnato l’intimazione di pagamento 035 2021 90000660 10/000, con la quale è stato chiesto il pagamento della somma di € 642.680,02 relativa alla presupposta cartella di pagamento n. 03520080017598268000, notificata il 25 novembre 2008, a titolo di prelievo supplementare e interessi per le campagne 2005-2006.
I motivo di ricorso possono essere sintetizzati e riordinati nei punti che seguono:
I. Prescrizione del credito;
II. Contrasto tra normativa interna e quella comunitaria in relazione all’intero meccanismo di determinazione del prelievo supplementare;
III. Carenza di istruttoria conseguenziale al mancato accertamento del presupposto per poter applicare il prelievo supplementare ai produttori che avrebbero concorso a determinare il presunto esubero rispetto alla quota nazionale e consistente nella determinazione dell’effettiva produzione nazionale di latte nel periodo di riferimento (v. ordinanza del GIP di Roma del 5 giugno 2019 nel procedimento n. 96592/2016 RG-NR e n. 101551/2016 RG-GIP);
IV. Carenza di motivazione dell’intimazione di pagamento e della presupposta cartella di pagamento, dovendosi ritenere “nulle le cartelle esattoriali che contengono solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza l'indicazione del procedimento di calcolo degli stessi e delle singole aliquote prese a base delle varie annualità”;
V. Inesistenza ovvero nullità insanabile della notifica avendo il notificante utilizza un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante da pubblichi elenchi.
L’intimata AGEA si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, deducendone l’infondatezza nel merito e, in via preliminare, l’inammissibilità per essere la medesima cartella di pagamento presupposta stata oggetto di un ricorso per motivi aggiunti presentato avanti a questo Tribunale nell’ambito della causa N.R.G. 752/2015 definita con la sentenza n. 171/2017, appellata innanzi al Consiglio di Stato.
La causa è stata chiamata all’Udienza pubblica del 19 ottobre 2022 e ivi trattenuta in decisione.
DIRITTO
Va scrutinata in via preliminare l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da AGEA in relazione alla circostanza che la cartella di pagamento presupposta al provvedimento qui impugnato è stata fatta oggetto di ricorso per motivi aggiunti nell’ambito della causa N.R.G. 752/2015 di questo Tribunale, vertenza definita con la sentenza n. 171/2017, appellata innanzi al Consiglio di Stato.
Al riguardo, va osservato che l’intimazione di pagamento è atto autonomo e distinto, ancorché collegato, rispetto alla presupposta cartella di pagamento, motivo per cui la prima può essere impugnata solamente per vizi propri;i motivi di ricorso che ineriscono alla cartella di pagamento e non all’intimazione presupponente sono inammissibili, sia che si tratti di questioni già sollevate con il ricorso per motivi aggiunti presentato nell’ambito della causa N.R.G. 752/2015 sopra richiamata, sia che si tratti di questioni che non hanno trovato in quest’ultima veste in un motivo di gravame.
Sebbene, infatti, non operi nel processo amministrativo la regola di stampo processual-civilista per cui la statuizione del Giudice compre il dedotto ed il deducibile, il rigido sistema di termini decadenziali che governa il D. Lgs 104/2010, in piena armonia con i principi di certezza del diritto nonché della ragionevole durata del processo, non consente di far valere i motivi di ricorso che avrebbero potuto essere sollevati avverso l’atto presupposto in occasione dell’impugnazione dell’atto presupponente;l’atto presupponente, pur adottato sulla base di quanto statuito da un pregresso provvedimento, non eredita i vizi di quest’ultimo dovendosi ritenere gli stessi, qualora all’epoca non impugnati, “sanati” dal decorso del tempo.
La conseguenza in diritto è la inammissibilità del motivo di ricorso che pretende di far valere il vizio, ormai sanato, del presupposto provvedimento in occasione dell’impugnazione del consequenziale atto presupponente, non potendosi rimettere in discussione all’infinito le situazioni ormai consolidate.
Quanto detto vale sia per i motivi di illegittimità di matrice interna che per quelli di derivazione eurounitaria, come del resto precisato anche di recente dal Consiglio di Stato, proprio nella materia delle c.d. “Quote latte”;quest’ultimo, infatti, nelle ipotesi, come quella in esame, in cui l’impugnativa non sia diretta alla cartella di pagamento ma alla presupponente intimazione di pagamento, ha affermato che “gli atti inerenti a tale seconda fase (cartella esattoriale, intimazione di pagamento), pur devoluti alla giurisdizione esclusiva amministrativa ai sensi dell'art. 133 c.p.a., sono soggetti alle norme, alle preclusioni ed ai principi regolanti quella particolare procedura esecutiva rappresentata dalla riscossione mediante ruolo” e che “In disparte la qualificazione del vizio derivante dal contrasto della norma nazionale con quella comunitaria ed il connesso problema della disapplicabilità d'ufficio della prima, è dirimente considerare, ancora una volta, che tutte le questioni sollevate dalla parte appellata accedono ad una fase dell'azione amministrativa consolidatasi in atti presupposti oramai definitivi. In quanto concernenti l'an e il quantum del debito accertato dall'Autorità amministrativa nell'esercizio delle sue potestà pubbliche, le tematiche reiterate nel presente giudizio accedono a posizioni di interesse legittimo (Cass., Sez. Un., ord. nn. 31370 e 31371 del 2018) ed originano da provvedimenti autoritativi, emessi dall'Autorità amministrativa nell'esercizio delle sue potestà pubbliche, come tali soggetti al regime del termine decadenziale che rende definitivo e non più contestabile l'atto non tempestivamente impugnato” (Cons. Stato, Sez. III 17.5.22 n.3910).
Alla luce di quanto detto, l’eccezione di inammissibilità deve ritenersi fondata rispetto ai motivi di ricorso nn. III., inerente l’asserito contrasto con la normativa eurounitaria, III., legato all’incertezza circa l’effettiva produzione, e IV, con il quale il ricorrente lamenta la carenza di motivazione del provvedimento presupposto;dette censure, riguardando propriamente la presupposta cartella di pagamento e non l’atto impugnato ossia l’intimazione di pagamento, sono inammissibili, potendosi per le esposte ragioni essere in questa sede scrutinati solo i vizi propri del solo atto presupponente.
Circoscritta la parte del ricorso colpita dall’eccezione di inammissibilità, si procede, qui di seguito, ad analizzare i restanti motivi di ricorso.
Quanto ai lamentati difetti formali del provvedimento impugnato (V. motivo) gli stessi risultano sanati dal raggiungimento dello scopo ai sensi dell’articolo 156 c.p.c., atteso che l’atto è pervenuto nella sfera di conoscenza del suo destinatario, che ha potuto tutelarsi promuovendo l'azione giurisdizionale.
Con specifico riferimento alla contestata inesistenza e conseguente insanabilità della notifica avendo il notificante utilizza un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante da pubblichi elenchi si richiama l’orientamento del Consiglio di Stato, rispetto al quale non vi è ragione di discostarsi, per il quale risulta “opinabile l’orientamento – invocato dall’appellante - che fa discendere la nullità della notifica nel caso di provenienza da un indirizzo diverso. Infatti, alla luce del disposto dell’art. 156, comma 3, c.p.c., “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”. Così è laddove venga impugnata direttamente la cartella esattoriale, la cui notifica è caratterizzata dal vizio in oggetto, poiché l’impugnazione del citato provvedimento è idoneo sostanzialmente a neutralizzare irrimediabilmente l’eccezione sollevata” (Consiglio di Stato, Sez. III, Sent. 4627 del 10 novembre 2020).
Per quanto riguarda, invece, il primo motivo di ricorso, relativo all’asserita intervenuta prescrizione del credito, il termine prescrizionale applicabile al prelievo supplementare è quello decennale, trattandosi di somme dovute a seguito di specifici accertamenti (v. TAR Lazio Sez. II 30 gennaio 2020 n. 1320). Va osservato inoltre che la prescrizione non decorre nella pendenza di un giudizio, secondo la regola generale dell’art. 2945 comma 2 c.c., anche quando l’iniziativa giudiziale sia stata assunta dal debitore. Per l’amministrazione convenuta, infatti, la proposizione di un ricorso da parte del debitore costituisce impedimento ex art. 2935 c.c. all’esercizio del diritto;se è vero, infatti, che la riscossione coattiva è impedita solamente da un’ordinanza cautelare di sospensione (v. art.