TAR Torino, sez. I, sentenza 2023-05-08, n. 202300431

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2023-05-08, n. 202300431
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202300431
Data del deposito : 8 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/05/2023

N. 00431/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00960/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 960 del 2021, proposto da
F G, rappresentato e difeso dagli avvocati G B, C C, E B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio C C in Arezzo, viale Michelangelo 26;

contro

Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati F B, P R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'accertamento e la declaratoria

del diritto del ricorrente alla rideterminazione in parte qua dell'indennità di buonuscita con l'inclusione nella relativa base di calcolo anche di sei scatti stipendiali ex artt. 6- bis , d.l. 21 settembre 1987 n. 387, e 1911, comma 3, d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66;

per la condanna

dell'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale al pagamento delle somme dovute ai ricorrenti all'esito della riliquidazione del trattamento di fine servizio con il computo nella base di calcolo anche di sei scatti stipendiali ex artt. 6- bis , d.l. 21 settembre 1987 n. 387, oltre interessi e rivalutazione dal dì dovuto a quello dell'effettivo pagamento.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il dott. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Il signor F G, ex appartenente al Corpo della Guardia di Finanza col grado di Maresciallo Capo, congedato a domanda successivamente al compimento di 55 anni di età e con oltre trentacinque anni di servizio utile contributivo ha adìto questo Tribunale per l’accertamento del diritto alla rideterminazione del trattamento di fine servizio ( breviter : T.F.S.) con l’inclusione nella relativa base di calcolo dei sei scatti stipendiali previsti dall’art. 6- bis del D.L. n. 387/1987, convertito dalla legge 472/1987, e come modificato dall’art. 21 della legge n. 232/1990.

2. – Il ricorrente, dopo aver formulato talune precisazioni preliminari in punto di legittimazione passiva rispetto alla domanda azionata, ha svolto i propri rilievi censori invocando in buona sostanza la corretta applicazione dell’art. 6- bis del D.L. 387/1987, alla stregua del quale al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate che cessa dal servizio anche a domanda sono attribuiti ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell’indennità di buonuscita sei scatti ciascuno del 2,50 per cento da calcolarsi sull’ultimo stipendio, a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile, in combinato disposto con l’art. 1911, co. 3 del codice dell’ordinamento militare che conferma l’applicabilità di tale disciplina al personale delle forze di polizia a ordinamento militare.

3. – L’Istituto nazionale di previdenza sociale, nel costituirsi in giudizio, ha osservato che per il personale della Guardia di finanza la materia degli scatti utili alla buonuscita non sarebbe disciplinata dall’art. 6- bis cit. bensì dall’art. 1, co. 15- bis , del D.L. n. 379/1987, convertito dalla legge n. 468/1987 e successivamente sostituito dall’art. 11, co. 1, legge n. 231/1990 – quest’ultima abrogata dall’art. 2268, co. 872 cod. ord. mil., con correlativa reviviscenza dell’art. 1, co. 15- bis nella sua formulazione originaria. L’Istituto soggiunge altresì che l’art. 1911 cod. ord. mil., giusta il quale “ al personale delle forze di polizia ad ordinamento militare continua ad applicarsi l’art.

6-bis del D.L. 21 settembre 1987, n. 387
”, non sposterebbe i termini della questione dovendo essere imputabile ad un difetto di coordinamento normativo, mentre militerebbe nel senso dell’infondatezza della domanda l’argomento esegetico cronologico-sistematico per cui le due disposizioni in argomento – art. 1, co. 15- bis D.L. 379/1987 e art. 6- bis D.L. 387/1987 – sono state novellate da due fonti normative pressoché coeve, rispettivamente l’art. 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231 e l’art. 21, co. 1 legge 7 agosto, n. 232, frutto di un intervento combinato e sinergico del legislatore dell’epoca.

4. – Espletato lo scambio delle memorie difensive ex art. 73 cod. proc. amm., la causa è venuta in discussione all’udienza pubblica del 3 maggio 2023 ed è stata incamerata per la decisione.

5. – La vexata quaestio per cui è sorta la presente controversia attiene al regime di attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio ai fini del trattamento di fine servizio del personale delle forze di polizia ad ordinamento militare. È noto che in materia esiste un contrasto giurisprudenziale dato che vi sono tribunali amministrativi che hanno riconosciuto la fondatezza della pretesa avanzata dai ricorrenti ( ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 05/09/2022, n.11398, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 15 aprile 2022, n. 866, T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 22 marzo 2022, n. 158, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 15 marzo 2022, n. 765);
altri Tribunali hanno invece ritenuto che tale pretesa sia infondata (per es. T.A.R. Valle d'Aosta, 16 febbraio 2022, n. 14, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 28 marzo 2022, n. 223, T.R.G.A. Trento, 14 aprile 2022, n. 83, id., 1 luglio 2021, n. 114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III- quater , 2 marzo 2022, n. 2445). La giurisprudenza di questo Tribunale ha aderito al primo filone, anche con recenti pronunce (

TAR

Piemonte, sez. I, sent. 12 settembre 2022, n. 733;
sent. 4 gennaio 2023, n. 7;
31 gennaio 2023, n. 118;
7 febbraio 2023, nn. 146 e 147).

6. – Il formante normativo in subiecta materia si connota per una spiccata stratificazione di fonti, mal coordinate nel loro susseguirsi in senso diacronico. I due paradigmi normativi di riferimento sono rappresentati, da un canto, dall’art. 6- bis del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito dalla legge 20 novembre 1987, n. 472, sostituito per effetto dell'art. 21, L. 7 agosto 1990, n. 232, dall’altro, dall’art. 1, comma 15- bis , del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1987, n. 468, come sostituito dall'articolo 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231.

6.1. – Il primo referente normativo di rango primario, dettato con un provvedimento di decretazione di urgenza recante misure finanziarie di attuazione dell'accordo contrattuale triennale relativo al personale della Polizia di Stato ed estensione agli altri Corpi di polizia, stabilisce, per quanto qui rileva, che “ al personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovrintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ed al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto, sono attribuiti ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, sei scatti ciascuno […] ” (comma 1) precisando al comma successivo che tale disciplina si applica “ anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile ” (comma 2, primo periodo).

6.2. – La disposizione specularmente contrapposta, invocata da INPS a fondamento delle proprie tesi difensive e rinvenibile nell’art. 1, co. 15- bis D.L. 379/1987 dispone invece che “ ai sottufficiali delle Forze armate, compresi quelli dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza sino al grado di maresciallo capo e gradi corrispondenti, promossi ai sensi della legge 22 luglio 1971, n. 536, ed ai marescialli maggiori e marescialli maggiori aiutanti ed appuntati, che cessano dal servizio per età o perché divenuti permanentemente inabili al servizio incondizionato o perché deceduti, sono attribuiti, ai soli fini pensionistici e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, sei scatti calcolati sull'ultimo stipendio, ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e gli scatti generici, in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante”. Alla stregua di tale disposizione, il beneficio in parola non si estenderebbe anche al personale posto in quiescenza a domanda, come nel caso di specie.

Preme soggiungere che il comma in questione è stato integralmente sostituito dall’art. 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231, pur dovendo rilevare che la portata sostanziale della novella si è limitata all’interpolazione dell’inciso specificativo dei sei scatti calcolati sull’ultimo stipendio “ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e gli scatti gerarchici ”.

6.3. – Successivamente, ha fatto ingresso nell’ordinamento anche l’art. 4 del d.lgs. 30 aprile 1997, n. 165, rubricato “ maggiorazione della base pensionabile ”, a tenor del quale “ i sei aumenti periodici di stipendio di cui […] all'articolo 1, comma 15- bis , del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379 , convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1987, n. 468, come sostituito dall'articolo 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231, sono attribuiti, in aggiunta alla base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 , all'atto della cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda ”;
al comma successivo si precisa che per i collocamenti in quiescenza a domanda gli aumenti periodici sono attribuiti previo pagamento della restante contribuzione previdenziale, risultando dunque onerosi, a differenza delle altre ipotesi a carico della fiscalità generale.

6.4. – Il quadro normativo si è compiutamente delineato con il varo del codice dell’ordinamento militare, recato dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n, 66, a rigore del quale è stata abrogata la legge 8 agosto 1990, n. 231, esclusi gli articoli 4;
5, commi 1 e 2;
7;
9 e 10, indi l’effetto abrogativo espresso ha investito anche l’art. 11 che aveva sostituito integralmente il richiamato art. 1, co. 15- bis del D.L. 379/1987 (v. art. 2268 cod. ord. mil);
parallelamente, il nuovo codice ha uniformato la disciplina in materia di attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio ai fini del trattamento di fine servizio stabilendo che “ al personale delle Forze di polizia a ordinamento militare continua ad applicarsi l'articolo 6- bis , del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472 ” (v. art. 1911 cod. ord. mil.).

7. – La non perspicua stratificazione di fonti normative impone un’attenta opera di esegesi che faccia appello ai consolidati canoni ermeneutici, prendendo l’abbrivio dal canone letterale e da quello logico-sistematico.

7.1. – In primis , preme al Collegio sgombrare il campo da uno dei referenti normativi invocati da parte resistente a supporto della tesi sull’infondatezza della domanda attorea, ossia l’art. 4 del d.lgs. 165/1997, che assoggetterebbe ad un regime oneroso l’applicazione dei sei scatti stipendiali nelle fattispecie di collocamento a riposo a domanda dell’interessato ( cfr . art. 4, co. 2 cit.).

Ad avviso del Collegio, la norma è inapplicabile alle fattispecie di liquidazione del trattamento di fine servizio essendo stata dettata, al lume della inequivocabile littera legis e della rubrica normativa, ai soli fini pensionistici e non già della liquidazione del TFS. Tale interpretazione trae ulteriore linfa dalla disamina sistematica del corpus normativo in cui è incastonata, trattandosi di un provvedimento di attuazione di deleghe legislative specificamente dettate per l’armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del pubblico impiego.

7.2. – Quantunque voglia opinarsi in favore della natura ancipite – retributivo e lato sensu previdenziale - del trattamento di fine servizio, deve ascriversi valenza prevalente alla sua configurazione quale retribuzione differita ( cfr . Corte cost. 25 giugno 2019, n. 159) e rammentarsi in via dirimente che non esiste alcuna disciplina normativa che affermi l’identità o comunque la corrispondenza tra la base di calcolo della prestazione pensionistica e quella dell'indennità di buonuscita. Ne discende l’assoluta inconferenza della disciplina sulla buonuscita del personale delle forze di polizia ad ordinamento militare rispetto alla disposizione invocata.

Tale opinare è ulteriormente avvalorato dalla compilazione codicistica susseguente che ha nitidamente tracciato una linea discretiva tra la disciplina dettata in materia pensionistica - recata dall’art. 1863 cod. ord. mil., rubricato appunto “ aumenti periodici di stipendio ai fini pensionistici ”, che richiama espressamente l’art. 4 cit. – e la distinta disciplina tesa a regolare l’attribuzione premiale dei sei scatti periodici stipendiali ai soli fini del TFS – rinvenibile nell’art. 1911 cod. cit..

Al riguardo, appare dirimente e condivisibile quanto affermato dal Consiglio di Stato con il parere n. 01906/2019 (Adunanza di Sezione del 5/06/2019), con il quale ha chiarito che: " Con il d.lgs. 30 aprile 1997, n. 165 è stato stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 1998, a tutto il personale destinatario del beneficio, all'atto della cessazione dal servizio per qualunque causa determinata, venga applicato un sistema di finanziamento differenziato in funzione del regime di liquidazione della prestazione pensionistica. Dalla predetta data, pertanto, l'assoggettamento del beneficio all'obbligo contributivo previdenziale è previsto solo ai fini del trattamento di quiescenza mentre l'indennità di buonuscita rimane a carico della fiscalità generale ".

7.3. – Chiarito ciò, l’orizzonte del diritto vigente applicabile alla fattispecie de qua viene a semplificarsi e l’opera di esegesi impone di ascrivere rilevanza centrale all’intervento di compilazione codicistica del 2010 tra i cui criteri e principi direttivi figurava la semplificazione e il riassetto della materia, che nella specie trova espressione nell’armonizzazione dei trattamenti retributivi delle diverse forze di polizia, indipendentemente dal loro ordinamento civile o militare, superando le differenze di trattamento delle forze militarizzate rispetto a quanto previsto per il personale della Polizia di Stato (Corte Cost., 12 giugno 1991, n. 277).

Tanto considerato, il Collegio osserva che il codice dell’ordinamento militare ha disposto l’espressa abrogazione dell’art. 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231, che, come si è dianzi visto, ha integralmente sostituito il comma 15 dell’art. 1- bis della legge n. 379 del 1987 (cfr. art. 2268, co. 872 cod. ord. mil): le opzioni abrogative espresse sono coerenti con il criterio direttivo imposto all’intervento di codificazione a norma dell’art. 20, co. 3 lett. b) legge 15 marzo 1997, n. 59 (cd. legge Bassanini), richiamata dall’art. 14, co. 14 legge di delega n. 246/2005 che prescrive l’“ indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile ”.

7.4. – Orbene, il Collegio è conscio del difetto di coordinamento sistematico dell’intervento codicistico, il quale nel sopprimere l’art. 11 predetto ha obliato la norma madre a monte – l’art. 1- bis , co. 15 cit. nella sua formulazione originaria, peraltro pressoché identica alla novella recata dall’art. 11 salva l’interpolazione di un inciso specificativo (v. supra sub 5.2) – norma di cui si potrebbe ipotizzare, per via di mera ipotesi la reviviscenza secondo la tesi dell’Istituto resistente.

7.4.1. – Senonché, il fenomeno della reviviscenza normativa è stato ampiamente indagato dalla giurisprudenza costituzionale nei casi di abrogazione della norma abrogante ad opera sia del “legislatore referendario” sia del “legislatore rappresentativo” giungendo alla fondamentale ratio decidendi che “ la tesi della reviviscenza di disposizioni a séguito di abrogazione referendaria non può essere accolta, perché si fonda su una visione «stratificata» dell'ordine giuridico, in cui le norme di ciascuno strato, pur quando abrogate, sarebbero da considerarsi quiescenti e sempre pronte a ridiventare vigenti. Ove fosse seguita tale tesi, l'abrogazione, non solo in questo caso, avrebbe come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore, rappresentativo o referendario, e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto ” ( ex multis , C.Cost. sent. n. 13 del 2012;
C.Cost. sent. n. 422 del 1995).

7.4.2. – Il Giudice delle leggi ha soggiunto che “ il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate […]. Ne è un esempio l'ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale, che viene individuata come caso a sé non solo nella giurisprudenza di questa Corte (peraltro, in alcune pronunce, in termini di «dubbia ammissibilità»: sentenze n. 294 del 2011, n. 74 del 1996 e n. 310 del 1993;
ordinanza n. 306 del 2000) e in quella ordinaria e amministrativa, ma anche in altri ordinamenti (come quello austriaco e spagnolo). Tale annullamento, del resto, ha «effetti diversi» rispetto alla abrogazione - legislativa o referendaria - il cui «campo [...] è più ristretto, in confronto di quello della illegittimità costituzionale» (sentenza n. 1 del 1956).

Né l'ipotesi di reviviscenza presupposta dalla richiesta referendaria in esame è riconducibile a quella del ripristino di norme a séguito di abrogazione disposta dal legislatore rappresentativo, il quale può assumere per relationem il contenuto normativo della legge precedentemente abrogata. Ciò può verificarsi nel caso di norme dirette a espungere disposizioni meramente abrogatrici, perché l'unica finalità di tali norme consisterebbe nel rimuovere il precedente effetto abrogativo […]. Peraltro, sia la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, sia la scienza giuridica ammettono il ripristino di norme abrogate per via legislativa solo come fatto eccezionale e quando ciò sia disposto in modo espresso. Per questo le «Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi» della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica stabiliscono che «se si intende far rivivere una disposizione abrogata o modificata occorre specificare espressamente tale intento» (punto 15, lettera d, delle circolari del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Senato della Repubblica, entrambe del 20 aprile 2001;
analoga disposizione è prevista dalla «Guida alla redazione dei testi normativi» della Presidenza del Consiglio dei ministri, circolare 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92). E anche in altri ordinamenti (quali ad esempio quello britannico, francese, spagnolo, statunitense e tedesco) il ripristino di norme a sèguito di abrogazione legislativa non è di regola ammesso, salvo che sia dettata una espressa previsione in tal senso: ciò in quanto l'abrogazione non si limita a sospendere gli effetti di una legge, ma toglie alla stessa efficacia
sine die” (C.Cost. n. 3 del 2012).

7.5. – In tal senso si era già pronunciata anche la Corte di cassazione ( ex pluribus , 11 aprile 1951 n. 855 e 8 giugno 1979, n. 3284, secondo cui “ l’abrogazione legislativa opera soltanto dall’entrata in vigore del provvedimento che la contiene e, quindi, salvo che sia espressamente disposto, non ha effetto ripristinatorio delle norme precedenti che erano state a loro volta da esso abrogate ”) e il Consiglio di Stato ( ex pluribus ,

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