TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2013-11-12, n. 201309606

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2013-11-12, n. 201309606
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201309606
Data del deposito : 12 novembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03745/2013 REG.RIC.

N. 09606/2013 REG.PROV.COLL.

N. 03745/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3745/2013, proposto da:
R C, rappresentato e difeso dall'avv. A B, con domicilio eletto presso A B in Roma, via Romeo Romei, 23;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. G P, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21;

per l'ottemperanza

al decreto ingiuntivo n. 12469/2011 del 16.06.2011 del Tribunale civile di Roma.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa e di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2013 il dott. F R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Con ricorso ex art. 112, comma 2, lett. c), cod. proc. amm., il ricorrente agisce in giudizio per l'esecuzione del decreto ingiuntivo n. 12469 del 16.6.2011 con cui Tribunale civile di Roma ha condannato in solido il Ministero della Difesa ed il Comune di Roma al pagamento, a titolo di indennizzo previsto dall’art. 7 co.1 della legge n. 898/1976 per l’assoggettamento a servitù militare di un terreno di sua proprietà sito in Roma, località Sant’Alessandro, distinto in catasto al foglio 146 particelle 254/169 (501-502), della somma di Euro 37.316,08 oltre agli interessi dalla data della domanda;
il ricorrente reclama altresì il pagamento delle spese per il processo monitorio, con gli accessori di legge, e chiede la condanna delle resistenti al pagamento di una somma di denaro per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato, ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate che resistono solo formalmente.

Alla Camera di Consiglio del 10.7.2013 la causa è trattenuta in decisione.

Il ricorso deve essere accolto, nei limiti che di seguito si precisano, considerato che:

- il decreto di cui si chiede l’esecuzione è divenuto esecutivo ex art. 647 cpc nei confronti del Ministero della Difesa, per mancata opposizione;

- nei confronti del Comune è ancora sub iudice l’opposizione presentata dal Comune di Roma eccependo il difetto della propria legittimazione passiva;

- nonostante la notifica del decreto e della sentenza con formula esecutiva, il decorso del termine dilatorio di giorni 120 prescritto dall'art. 14 del D.L. 31.12.1996 n. 669, convertito nella legge 28.2.1997 n. 30, la notifica dell’atto di precetto, l’Amministrazione intimata non risulta a tutt’oggi aver provveduto al pagamento delle somme dovute.

Va pertanto dichiarato l'obbligo del Ministero resistente di dare piena ed integrale esecuzione al decreto ed alla sentenza del Tribunale di Roma e, per l'effetto, va ordinato di provvedere al pagamento in favore dell'odierno ricorrente delle somme dovute nel termine di 60 (sessanta) giorni dalla notifica o comunicazione della presente sentenza, oltre gli interessi legali dalla data di maturazione fino al soddisfo.

Si nomina sin d’ora, per il caso di persistente inadempimento oltre il termine sopra indicato, Commissario ad acta il Ragioniere Generale dello Stato, con facoltà di delega che provvederà in luogo dell'amministrazione, cui faranno carico i relativi oneri, la cui liquidazione sarà effettuata con separata ordinanza, entro il successivo termine di giorni 60 (sessanta);
il Commissario sarà attivato ad istanza di parte.

Va invece respinta la domanda accessoria di applicazione della sanzione della cd. penalità di mora ai sensi dell'art. 114, comma 4, lettera e), del c.p.a.

Come già chiarito in una delle prime pronunce in materia, tale condanna può essere disposta solo ove "ciò non sia manifestamente iniquo, ovvero sussistano altre ragioni ostative": si tratta di espressioni piuttosto generiche, dalle quali si evince tuttavia che il legislatore sembra auspicare un uso prudente di tale istituto (anche perché nel processo amministrativo comporta, di regola, un esborso di pubblico denaro). Orbene, deve dubitarsi dell'ammissibilità dell'astreinte qualora l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro. Infatti, l'astreinte costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, necessario in particolare quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili: pertanto, non sembra equo condannare l'Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l'obbligo di cui si chiede l'adempimento costituisce, esso stesso, l'adempimento di un'obbligazione pecuniaria. Occorre considerare che, in tal caso, per il ritardo nell'adempimento sono già previsti dalla legge gli interessi legali: ai quali, pertanto, la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ad aggiungersi, con effetti iniqui di indebito arricchimento per il creditore. Anche la giurisprudenza civile formatasi sull'art. 614 bis c.p.c., che ha introdotto nel processo civile una disposizione analoga, è orientata nel senso dell'ammissibilità di tale istituto a fronte dell'inadempimento di obblighi di fare infungibile o di non fare (il Tribunale di Cagliari, ord. del 19.09.2009, ha ritenuto che l'art. 614 bis si riferisca per l'appunto attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare). Benché la norma non lo preveda espressamente, è da ritenere infatti che la somma di denaro debba andare a favore del creditore;
e - benché la dottrina sia incerta sulla natura giuridica dell'astreinte - è preferibile qualificare la stessa come criterio di liquidazione del danno (e non come pena privata o sanzione civile indiretta), proprio al fine di evitare ingiustificati arricchimenti del creditore della prestazione principale. Ancora una volta, occorre richiamare la giurisprudenza, secondo cui "la misura prevista dall'art. 614-bis c.p.c. è volta ad assicurare l'attuazione sollecita del provvedimento e, come per la condanna, è quindi funzionale, innanzi tutto, a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente e, conseguentemente, ad evitare la produzione del danno o, quanto meno, a ridurre l'entità del possibile pregiudizio" (T.A.R. Roma Lazio sez. II quater 31 gennaio 2012 n. 1080).

Tale linea interpretativa è pienamente condivisa dal Collegio per ovvie considerazioni sistematiche e comparatistiche che inducono, nella ricostruzione dell’istituto in esame, a tenere in debita considerazione le specificità del cd. modello italiano per l’ottemperanza al giudicato – incentrata su amplissimi poteri del giudice amministrativo, che in tale sede esercita una giurisdizione di merito, potendo addirittura sostituirsi all'amministrazione, mediante la nomina di un Commissario ad acta, nell’adozione di provvedimenti ritardati o rifiutati dalla PA – che non trova alcun riscontro negli altri ordinamenti, che, proprio per la ritenuta impossibilità di sostituire l’Amministrazione nell’attività dovuta (ed al riguardo va ricordato che l’astreinte ha origine nell’ordinamento francese, ispirato ad una concezione particolarmente rigida del principio di separazione dei poteri, e nel quale comunque, la continuità tra amministrazione e giurisdizione amministrativa fa sì che i casi di inottemperanza siano estremamente rari) hanno previsto strumenti alternativi volti ad indurre la PA ad adempiere, quali appunto le pene pecuniarie che valgono ad assicurare l’effettività delle decisioni giurisdizionali grazie all’effetto di “coazione indiretto” della minaccia di una sanzione per il caso di inottemperanza.

Nella fattispecie in esame, pertanto, il Collegio ritiene che lo strumento apprestato dall’ordinamento per assicurare l’esecuzione della sentenza in esame consista nella nomina del Commissario ad Acta qui disposta.

Può essere del pari accolta, anche alla luce di quanto sopra rappresentato in merito al rapporto di alter natività tra l’astreinte e gli interessi legali, la richiesta del ricorrente a percepire, sulle somme dovute gli interessi legali dalla notifica alla PA della sentenza in forma esecutiva sino al soddisfo.

Sussistono giusti motivi, viste le criticità dell’individuazione del legittimato passivo, che hanno determinato l’allungamento dei tempi processuali, per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.

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