TAR Milano, sez. IV, sentenza 2015-10-19, n. 201502213

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. IV, sentenza 2015-10-19, n. 201502213
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 201502213
Data del deposito : 19 ottobre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00968/2013 REG.RIC.

N. 02213/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00968/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 968 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Enel Distribuzione S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. C T, N T, C C, con domicilio eletto presso lo studio di questi ultimi in Milano, Via San Damiano 2;

contro

Comune di Bresso, rappresentato e difeso dagli avv. G A L, R R, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Via N. Piccinni, 23;

per l'annullamento

1) quanto al ricorso principale:

- della deliberazione n. 71 del Consiglio Comunale assunta nella seduta del 3.12.2007, che ha approvato il regolamento comunale per l'applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio;

- del regolamento comunale per l'applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio;

- della nota dell’amministrazione comunale n. 2257 datata 22 gennaio 2013, recante la richiesta di pagamento a titolo di canone concessorio non ricognitorio di euro 431.856,13, per l’anno 2008;

- nonché di tutti gli atti connessi, preordinati e consequenziali.

2) quanto al ricorso per motivi aggiunti:

- della nota dell’amministrazione comunale n. 34003 datata 21 dicembre 2013, recante la richiesta di pagamento a titolo di canone concessorio non ricognitorio di euro 428.414,62, per l’anno 2009;

- nonché di tutti gli atti connessi, preordinati e consequenziali;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bresso;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 settembre 2015 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente impugna, con il ricorso principale e il successivo ricorso per motivi aggiunti, gli atti indicati in epigrafe, deducendone la illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili e ne chiede l’annullamento.

Il Comune di Bresso si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza dei ricorsi avversari.

Le parti hanno prodotto memorie e documenti.

All’udienza del 30 settembre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) Preliminarmente deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione rispetto all’impugnazione, contenuta nel ricorso principale, della nota dell’amministrazione comunale n. 2257 datata 22 gennaio 2013, recante la richiesta di pagamento a titolo di canone concessorio non ricognitorio di euro 431.856,13, per l’anno 2008, nonché del ricorso per motivi aggiunti, rivolto esclusivamente avverso la nota dell’amministrazione comunale n. 34003, datata 21 dicembre 2013, recante la richiesta di pagamento a titolo di canone concessorio non ricognitorio di euro 428.414,62, per l’anno 2009.

In particolare, rispetto al ricorso principale la giurisdizione sussiste solo in relazione alla contestazione del regolamento comunale per l'applicazione del canone concessorio non ricognitorio, approvato con deliberazione consiliare del Comune di Bresso n. 71 del 3.12.2007, mentre l’impugnazione degli avvisi di pagamento, cui si riferiscono il ricorso principale, in parte, nonché il ricorso per motivi aggiunti, è compresa nella giurisdizione del giudice ordinario.

Invero, il regolamento ha natura formalmente amministrativa, ma sostanzialmente normativa, perché costituisce una fonte secondaria del diritto ed è stato emanato in base all’art. 27 del d.l.vo 1992 n. 285, essendo diretto a disciplinare l’uso e l’occupazione dei beni pubblici, in relazione allo svolgimento su di essi di attività di rilevanza economica, compresa l’erogazione di servizi pubblici.

Non è dubitabile, pertanto, che rispetto al regolamento la giurisdizione sia radicata in capo al giudice amministrativo, attesa che il regime formale dei regolamenti è quello proprio dei provvedimenti amministrativi, giacché si correla a posizioni di interesse legittimo.

Non solo, l’atto in questione riguarda il regime di utilizzazione dei beni pubblici, anche in vista dell’erogazione di servizi pubblici di varia natura, sicché, rispetto al regolamento, la giurisdizione del giudice amministrativo si configura come esclusiva, ai sensi dell’art. 133 lett. b) c.p.a., trattandosi di una controversia incidente su rapporti pubblicistici relativi all’utilizzazione di beni pubblici.

Viceversa, non rileva ai fini della giurisdizione, il riferimento al servizio pubblico cui può tendere l’attività dell’utilizzatore del bene, in quanto il regolamento non ha ad oggetto la disciplina di un particolare servizio pubblico, né quella del particolare rapporto pubblicistico sotteso alla sua erogazione, ma solo l’utilizzazione del bene pubblico, sicché la controversia non rientra tra le ipotesi comprese nell’art. 133 lett. c) del c.p.a..

Una volta ricondotta la materia del contendere tra le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di beni pubblici, è consequenziale escludere da essa la contestazione dell’avviso di pagamento, che integra un atto paritetico di mera quantificazione del debito vantato dall’amministrazione sulla base di criteri predeterminati in modo vincolante.

Per quest’ultimo profilo, la controversia coinvolge solo questioni meramente patrimoniali concernenti la quantificazione del debito, mentre non attiene all’an della pretesa debitoria, che è contestata attraverso l’impugnazione del regolamento, fonte del debito affermato dall’amministrazione.

Insomma, l’avviso di pagamento non sottende l’esercizio di un potere autoritativo, speso dall’amministrazione in sede di adozione del regolamento, ma di un potere paritetico, sottratto alla cognizione del giudice amministrativo, in coerenza con il citato art. 133 lett. b) c.p.a., che esclude dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di beni pubblici le controversie relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi.

Né la giurisdizione amministrativa è radicabile invocando il fatto che l’impugnazione nel suo complesso ha ad oggetto il rapporto pubblicistico, sicché la contestazione dell’avviso di pagamento sarebbe solo strumentale alla contestazione del rapporto.

Si tratta di un’argomentazione spesso utilizzata a livello giurisprudenziale per individuare le ipotesi in cui, in relazione ad uno specifico rapporto concessorio, la contestazione non abbia ad oggetto questioni solo patrimoniali, ma incida sulla concessione, trattandosi di doglianze che mettono in discussione i poteri e gli obblighi delle parti secondo quanto risulta dal titolo concessorio.

Rispetto al caso in esame l’argomento è solo suggestivo, in quanto la controversia non ha ad oggetto l’esistenza di uno specifico rapporto concessorio, o il suo contenuto, o la misura dei poteri e dei doveri gravanti sulle parti di tale rapporto, ma solo il potere dell’amministrazione di determinare, con atto regolamentare adottato ai sensi dell’art. 27 del codice della strada, la debenza e la misura del c.d. canone patrimoniale non ricognitorio in dipendenza dell’uso che taluno faccia della sede stradale.

In tale contesto, l’impugnazione dell’avviso di pagamento non è il veicolo per portare la contestazione sulla sostanza di un rapporto pubblicistico, poiché il titolo della pretesa non è costituito da un particolare rapporto pubblicistico, ma dalla disciplina regolamentare parimenti impugnata e, come evidenziato, sicuramente compresa nella giurisdizione del giudice amministrativo.

Neppure valgono in senso contrario i riferimenti ad esigenze di concentrazione ed economia processuale, in quanto, come è noto, la giurisdizione non è derogabile per ragioni di connessione.

Insomma, l’avviso di pagamento è rilevante nel caso di specie solo ai fini della dimostrazione in fatto dell’interesse attuale all’impugnazione, stante il carattere non immediatamente lesivo delle norme regolamentari impugnate, la cui attitudine pregiudizievole si manifesta in modo concreto solo quando l’amministrazione, ritenendo una particolare fattispecie compresa nella previsione regolamentare, faccia applicazione della nuova disciplina, quantificando la propria pretesa patrimoniale.

Deve essere, pertanto, ribadito che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo solo rispetto all’impugnazione del regolamento comunale per l'applicazione del canone concessorio non ricognitorio, mentre le contestazioni relative all’avviso di pagamento appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, con conseguente inammissibilità in parte qua dell’impugnazione proposta.

2) La ricorrente formula più censure, che possono essere trattate congiuntamente perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, dirette a contestare la violazione dell’art. 27 del d.l.vo 1992 n. 285, nonché la irragionevolezza della disciplina introdotta, siccome non coerentemente coordinata con quella relativa alla TOSAP e al COSAP.

Le censure sono fondate nei termini che seguono.

2.1) Il regolamento impugnato introduce il canone concessorio non ricognitorio in espressa applicazione dell’art. 27 del d.l.vo 1992, n. 285, sicché l’esame delle censure proposte postula la ricognizione del quadro normativo rilevante.

Dal coordinamento tra l’art. 25 e l’art. 27 del d.l.vo 1992, n. 285 emerge che devono essere oggetto di autorizzazione o concessione amministrativa le attività di attraversamento ed uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere che possono comunque interessare la proprietà stradale.

Le opere di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non intralci la circolazione dei veicoli sulle strade, garantendo l'accessibilità delle fasce di pertinenza della strada.

Tali provvedimenti di concessione ed autorizzazione, che sono rinnovabili alla loro scadenza, indicano le condizioni e le prescrizioni di carattere tecnico o amministrativo alle quali esse sono assoggettate, la somma dovuta per l'occupazione o per l'uso concesso, nonché la durata, che non potrà comunque eccedere gli anni ventinove.

L’autorità competente può revocarli o modificarli in qualsiasi momento per sopravvenuti motivi di pubblico interesse o di tutela della sicurezza stradale, senza essere tenuta a corrispondere alcun indennizzo.

Si è evidenziato che i provvedimenti in questione sono onerosi, perché stabiliscono il corrispettivo per l’uso particolare del bene pubblico e l’art. 27 precisa che la somma dovuta, determinata dall'ente proprietario della strada, deve essere individuata nei provvedimenti medesimi e si può stabilirne il pagamento in annualità ovvero in unica soluzione.

Il comma 8 dell’art. 27 specifica che nel determinare la misura della somma si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l'oggetto principale dell'impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l'utente ne ricava.

E’ evidente che le norme esaminate consentono alle amministrazioni locali, in coerenza con la riserva relativa di legge posta dall’art. 23 della Costituzione, di imporre una prestazione patrimoniale in dipendenza dell’uso particolare che taluno faccia di specifici beni pubblici, prestazione che costituisce proprio il corrispettivo dell’uso particolare del bene.

La norma delimita il potere impositivo degli enti locali, perché sul piano oggettivo lo riferisce solo alle attività di attraversamento ed uso “della sede stradale e relative pertinenze”, inoltre fissa i parametri generali di commisurazione del canone correlandoli alle caratteristiche precipue del singolo rapporto concessorio, assegnando rilevanza alle specifiche soggezioni che derivano alla strada o autostrada, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l'utente ne ricava.

La norma, è chiara nello stabilire che la somma dovuta deve essere indicata nel provvedimento autorizzativo, in coerenza con la prevista valorizzazione dello specifico rapporto di concessione o di autorizzazione e quindi dei suoi peculiari caratteri.

Si tratta di criteri ribaditi dall’art. 67 del d.p.r. 1992, n. 495 - recante il regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada - ove si prevede che i provvedimenti di autorizzazione e concessione devono indicare la somma dovuta per l'uso o l'occupazione delle sedi stradali, prevista dall'articolo 27 del codice della strada.

In particolare, l’art. 67 stabilisce che gli enti concessionari dei servizi pubblici possono stipulare con l'ente proprietario della strada convenzioni generali per la regolamentazione degli attraversamenti e per l’uso e l’occupazione delle sedi stradali, provvedendo contestualmente ad un deposito cauzionale. Dette convenzioni generali tengono luogo, ad ogni effetto di legge, per gli attraversamenti e le occupazioni delle sedi stradali realizzati in conformità alle loro previsioni, delle singole convenzioni di cui al presente comma. Per gli stessi enti concessionari la somma dovuta per l'uso e l'occupazione delle sedi stradali è determinata, per quanto di competenza, con decreto del Ministro dei lavori pubblici, ovvero stabilita dall'ente proprietario della strada entro il limite massimo della somma fissata con il suddetto decreto ministeriale.

In relazione a quest’ultimo profilo vale precisare che il d.m. menzionato dalla norma citata non è mai stato adottato, ma ciò non vale ad escludere l’attivabilità del canone non ricognitorio, trattandosi di una previsione regolamentare che non trova corrispondenza nella disciplina legislativa di riferimento.

Invero, l’art. 27 del codice della strada, da un lato, non subordina il potere degli enti locali di applicare il canone ad una previa determinazione tariffaria del Ministro dei lavori pubblici, dall’altro, reca in sé i criteri generali di determinazione della tariffa, sufficienti a delimitare la discrezionalità degli enti locali.

E’ di immediata percezione la stretta correlazione tra il canone di cui si tratta e il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), disciplinato dall’art. 63 del d.l.vo 1997 n. 446, ovvero la c.d. tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP).

Invero, l’art. 63 del d.l.vo 1997, n. 446, dopo avere chiarito che comuni e province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, escludere l'applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, assegna agli enti locali il potere di prevedere, con apposito regolamento, che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa.

La norma precisa, da un lato, che il pagamento del canone può essere anche previsto per l'occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge, dall’altro, che agli effetti del presente comma si comprendono nelle aree comunali i tratti di strada situati all'interno di centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuabili a norma dell'articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

L’art. 63 impone, al comma 2 lett. c), la indicazione analitica della tariffa determinata sulla base della natura del bene interessato, dell'entità dell'occupazione, espressa in metri quadrati o lineari, del valore economico della disponibilità dell'area, nonché del sacrificio imposto alla collettività, con previsione di coefficienti moltiplicatori per specifiche attività esercitate dai titolari delle concessioni anche in relazione alle modalità dell'occupazione.

La successiva lettera f) del medesimo comma 2 sancisce la previsione per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, di un canone determinato forfetariamente come segue: 1) per le occupazioni del territorio comunale il canone è commisurato al numero complessivo delle relative utenze per la misura unitaria di tariffa riferita alle sottoindicate classi di comuni: I) fino a 20.000 abitanti, lire 1.500 per utenza;
II) oltre 20.000 abitanti, lire 1.250 per utenza;
2) per le occupazioni del territorio provinciale, il canone è determinato nella misura del 20 per cento dell'importo risultante dall'applicazione della misura unitaria di tariffa di cui al numero 1), per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale;
3) in ogni caso l'ammontare complessivo dei canoni dovuti a ciascun comune o provincia non può essere inferiore a lire 1.000.000. La medesima misura di canone annuo è dovuta complessivamente per le occupazioni permanenti di cui alla presente lettera effettuate dalle aziende esercenti attività strumentali ai pubblici servizi.

Qualora si tratti di occupazioni abusive, la lett. g) dell’art 63 dispone l’applicazione di un'indennità pari al canone maggiorato fino al 50 per cento, considerando permanenti le occupazioni abusive realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, mentre le occupazioni abusive temporanee si presumono effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto da competente pubblico ufficiale.

Sempre in punto di quantificazione del canone, la norma precisa che “dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va detratto l'importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi”.

Del resto, già con riferimento alla TOSAP, l’art. 17, comma 63, della legge 1997, n. 127, stabiliva che “il consiglio comunale può determinare le agevolazioni, sino alla completa esenzione dal pagamento della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, per le superfici e gli spazi gravati da canoni concessori non ricognitori”.

Il coordinamento tra le norme citate consente di evidenziare il rapporto tra il canone non ricognitorio e il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, fermo restando che si tratta di considerazioni estendibili al rapporto con la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, configurata come alternativa al canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche.

In particolare: 1) il canone non ricognitorio e il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, così come la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, si basano sullo stesso presupposto di fatto, costituito dall’uso particolare di beni pubblici stradali, fermo restando che l’ambito di riferimento oggettivo dei secondi è più ampio e comprende quello del primo;
2) la disciplina del COSAP, successiva all’entrata in vigore del d.l.vo 1992 n. 285, definisce la misura massima del prelievo effettuabile in dipendenza della concessione o dell’autorizzazione all’uso particolare del demanio stradale, giacché impone la sottrazione dal COSAP dell'importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione;
3) ne deriva che è escluso il cumulo di una pluralità di canoni legati all’occupazione del medesimo bene e che la misura del COSAP definisce il limite massimo di prelievo realizzabile in dipendenza della medesima occupazione di suolo stradale;
4) l’effettiva attivazione del COSAP e del canone previsto dall’art. 27 del codice della strada, pur trovando base legislativa nella disciplina di riferimento, dipende dalle scelte discrezionali dell’ente locale;
5) la misura del canone non ricognitorio dipende dalla disciplina propria di ciascun rapporto concessorio, giacché è il titolo del rapporto che deve determinare la somma dovuta, in coerenza con i criteri di quantificazione che sono rapportati alle caratteristiche di ciascun rapporto;
viceversa, la quantificazione del COSAP, specie se applicato per occupazioni correlate all’erogazione di servizi pubblici (come nel caso in esame), segue specifici parametri tariffari legati al numero di abitanti e di utenze attivate sul territorio dell’ente locale.

2.2) Il regolamento impugnato non è coerente con il quadro normativo complessivo appena esaminato.

In primo luogo, va osservato che, seppure è ipotizzabile l’introduzione del canone concessorio non ricognitorio attraverso una disciplina generale ed astratta di natura regolamentare, nondimeno, in coerenza con le previsioni dell’art. 27 del codice della strada, la sua riferibilità ad una particolare occupazione di beni pubblici stradali postula la necessaria modificazione del titolo concessorio o convenzionale ad essa sotteso.

L’art. 27 del codice della strada impone di parametrare l’an e il quantum del canone alle caratteristiche specifiche del singolo rapporto pubblicistico di utilizzazione del bene pubblico, tanto che rende necessario prevedere nel titolo concessorio la debenza e la misura del canone.

Tale principio non è rispettato dal regolamento impugnato, che pretende di realizzare una generalizzata applicazione del canone, senza modificare il titolo concessorio costitutivo del particolare rapporto.

Si tratta di un profilo evidente rispetto alla posizione della società ricorrente, la quale gestisce il servizio di distribuzione dell’energia elettrica, occupando porzioni del territorio comunale a titolo particolare, sicché l’applicazione del canone postula, comunque, la modificazione del singolo rapporto pubblicistico, modificazione non realizzata con il regolamento impugnato.

A fronte dell’autorizzazione all’occupazione dei beni pubblici stradali, è palesemente illegittima l’introduzione direttamente ed unilateralmente, con atto autoritativo regolamentare generale ed astratto, del canone non ricognitorio, in quanto l’art. 27 non consente l’applicazione del canone se non attraverso la modificazione del singolo titolo concessorio.

Non si tratta di un problema formale, ma di garantire, in coerenza con le puntuali previsioni dell’art. 27, che tanto l’applicazione del canone, quanto il suo ammontare, siano aderenti al contenuto dello specifico rapporto di concessione, sulla base degli oneri complessivi che esso comporta, tenendo conto delle soggezioni che derivano alla strada o all’autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e del vantaggio che l'utente ne ricava, secondo l’espressa previsione dell’art. 27, comma 8, del codice della strada.

E’ evidente poi che, qualora il titolo che consente l’occupazione del suolo abbia matrice convenzionale, come nel caso di specie, l’applicazione del canone allo specifico rapporto deve avvenire modificando il titolo sulla base di un nuovo accordo delle parti, che tenga conto, come accaduto in sede di stipulazione dell’accordo, del complesso sia dei doveri e dei diritti, sia dei vantaggi e dei costi che gravano sulle parti.

Ecco, allora, che il regolamento impugnato è illegittimo perché pretende di applicare il canone in modo generalizzato, incidendo in modo uniforme su una pluralità indeterminata di rapporti, senza tenere conto delle peculiarità giuridiche ed economiche di ciascun rapporto concessorio, nonché della natura convenzionale o unilaterale del titolo da cui promana.

Sotto altro profilo, va osservato che il regolamento non è coerente con la disciplina legislativa del rapporto tra il canone non ricognitorio e il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, o la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.

In particolare, la ricorrente evidenzia di essere stata sottoposta a TOSAP in relazione alle medesime occupazioni prese in considerazione dall’amministrazione ai fini dell’applicazione del canone non ricognitorio e lamenta il fatto che il regolamento non coordini in alcun modo i due prelievi e non rechi alcuna indicazione rispetto al prelievo massimo attuabile per l’occupazione.

E’ evidente che la disciplina regolamentare non tiene conto del fatto che è il COSAP, ovvero la TOSAP, a porsi come misura massima del prelievo effettuabile per l’occupazione, sicché l’eventuale eccedenza del canone non ricognitorio rispetto a quanto astrattamente dovuto per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche non può rimanere a carico dell’utilizzatore.

Anche i criteri di quantificazione del canone non rispecchiano i parametri posti dal citato art. 27 del codice della strada.

Vero è che il regolamento impugnato individua la tariffa da applicare attraverso la combinazione di diversi parametri, ma ciò non toglie che si tratta, da un lato, di criteri astratti che non presentano alcuna correlazione con le caratteristiche e il valore di ciascun rapporto concessorio, dall’altro, di parametri che valorizzano unità di misura quantitative, come il metro lineare e il metro quadrato, che non sono coerenti con la necessità di tenere conto dei caratteri del singolo rapporto concessorio, secondo quanto già precisato.

E’ evidente che si tratta di parametri del tutto diversi da quelli individuati dall’art. 27 del codice della strada, perché sono legati ad un profilo solo quantitativo e muovono da valori tabellari predeterminati apoditticamente dall’amministrazione e senza alcun riferimento concreto alla natura del particolare rapporto di concessione o autorizzazione.

Sotto altro profilo, va osservato che dalle allegazioni di parte ricorrente, non smentite dall’amministrazione, emerge che le condotte realizzate per la distribuzione dell’energia elettrica interessano anche aree collocate al di fuori della sede stradale e delle relative pertinenze.

Nondimeno, il regolamento impugnato considera che anche simili occupazioni debbano essere qualificate come comprese nelle fasce di rispetto ed assoggettate al pagamento del canone.

E’ evidente che in tal modo il regolamento estende l’applicazione del canone ad opere collocate al di fuori delle aree cui si riferisce il potere di determinazione del canone previsto dall’art. 27 del d.l.vo 1992, n. 285.

Difatti, si è già evidenziato che l’art. 27 delimita l’applicazione del canone alle sole occupazioni delle strade e delle relative pertinenze, mentre l’art. 3, punto 46, del d.l.vo 1992 n. 285 definisce la sede stradale come la superficie compresa entro i confini stradali, essa comprende la carreggiata e le fasce di pertinenza.

Inoltre, il punto 21 del medesimo art. 3 definisce la fascia di pertinenza come la striscia di terreno compresa tra la carreggiata ed il confine stradale;
essa è parte della proprietà stradale e può essere utilizzata solo per la realizzazione di altre parti della strada.

Il punto 22 dell’art. 3 cit. individua la fascia di rispetto nella striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili.

Ne deriva che il regolamento, nel prevedere che sono assoggettate al canone anche le occupazioni qualificate come comprese entro le fasce di rispetto stradale, eccede i limiti oggettivi di applicazione dell’onere patrimoniale stabiliti dall’art. 27 del codice della strada.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza delle censure proposte.

3) In definitiva, il ricorso principale è in parte inammissibile, per difetto di giurisdizione e in parte fondato, secondo quanto già precisato, mentre il ricorso per motivi aggiunti è inammissibile per difetto di giurisdizione.

La peculiarità della fattispecie fattuale e giuridica sottesa agli atti impugnati consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi