TAR Lecce, sez. II, sentenza 2012-02-09, n. 201200253

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. II, sentenza 2012-02-09, n. 201200253
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201200253
Data del deposito : 9 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01148/2007 REG.RIC.

N. 00253/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01148/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Seconda

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1148 del 2007, proposto da:
Misseri F e Pugliese R, rappresentati e difesi dall'avv.to N M, con domicilio eletto presso Angelo Vantaggiato in Lecce, via Zanardelli, n. 7;

contro

Comune di Brindisi, rappresentato e difeso dall'avv.to F T, con domicilio eletto presso Antonio Astuto in Lecce, via Umberto I°, n. 28;

per il risarcimento del danno

derivante ai ricorrenti dalla ritardata applicazione da parte del Comune di Brindisi dell’art. 9 del D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347 con riguardo alla loro assunzione a tempo indeterminato, quali autisti scuolabus, alle dipendenze del Comune medesimo;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Brindisi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2011 il dott. Paolo Marotta e udito per le parti ricorrenti l'avv.to N. Massari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I ricorrenti, con atto notificato in data 14 novembre 1985, diffidavano il Comune di Brindisi ad assumerli quali autisti di scuolabus, ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347. A fronte dell’inerzia dell’Amministrazione comunale, adivano poi il giudice amministrativo per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dalla predetta Amministrazione.

Con decisione n. 411 del 28 giugno 1988, il Consiglio di Stato annullava il silenzio-rifiuto illegittimamente formatosi e dichiarava l’obbligo del Comune di Brindisi di provvedere in merito alla diffida presentata dai ricorrenti.

Con deliberazione della Giunta municipale n. 3584 del 2 dicembre 1988, il Comune di Brindisi provvedeva ad assumere i ricorrenti con decorrenza dalla data di esecutività della delibera medesima.

I ricorrenti, ravvisando nella predetta delibera una parziale elusione del giudicato, adivano nuovamente il Giudice amministrativo, con il rito dell’ottemperanza, chiedendo che la decorrenza giuridica ed economica della loro assunzione avesse luogo dal 21 maggio 1985 (data di approvazione dell’ampliamento della pianta organica dell’Ente da parte della Commissione centrale per la Finanza locale) ovvero a partire dal 14 novembre 1985 (data di notifica dell’originario atto di diffida e messa in mora).

Con decisione n. 400 del 27 aprile 1990, il Consiglio di Stato accoglieva solo in parte il ricorso in ottemperanza, stabilendo che il provvedimento adottato dalla Amministrazione comunale, in esecuzione della precedente decisione, non poteva non avere, agli effetti giuridici, la medesima decorrenza dell’atto annullato, corrispondente, nella specie, alla data del 14 dicembre 1985, nella quale, con la scadenza del termine di trenta giorni assegnato con l’atto di diffida e messa in mora (notificato in data 14 novembre), si era formato il silenzio-rifiuto. Stabiliva, tuttavia, che, con riguardo agli effetti economici, la richiesta di retrodatazione del rapporto lavorativo non poteva trovare favorevole accoglimento per il principio di sinallagmaticità (in base al quale in assenza di prestazione lavorativa il lavoratore non ha titolo di conseguire la relativa retribuzione), evidenziando che detto principio è derogabile solo nel caso di interruzione del rapporto di lavoro (non sussistente nel caso di specie) per effetto dell’illegittimo comportamento dell’Amministrazione.

I ricorrenti adivano, quindi, il Tribunale civile di Brindisi, chiedendo il risarcimento del danno asseritamente subito in conseguenza della condotta omissiva del Comune nonché, sotto altro profilo, il risarcimento del danno da perdita di chance, per essere stati privati della possibilità di essere assunti e per il mancato versamento dei relativi oneri contributivi.

Il Tribunale di Brindisi, rigettando l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Amministrazione resistente, accoglieva la domanda dei ricorrenti, condannando il Comune di Brindisi al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di € 71.382,83 in favore del Misseri e di € 55.642,67 in favore del Pugliese, oltre alla rivalutazione ed agli interessi dal 1° novembre 2000.

La sentenza di primo grado veniva però riformata dalla Corte di Appello di Lecce, che, con sentenza del 10 novembre 2003 n. 629, dichiarava il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario.

Il ricorso per Cassazione proposto dal Misseri e dal Pugliese veniva respinto, ritenendo la Suprema Corte che, nel caso di specie, la richiesta risarcitoria presentata dai ricorrenti dovesse essere attribuita, nel regime anteriore a quello stabilito dal d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto la relativa causa petendi “si collega non occasionalmente al rapporto di pubblico impiego, che risulta già esistente, perché costituito con efficacia retroattiva nel periodo in relazione al quale si lamenta la perdita economica” (Corte di Cassazione, Sezioni unite, 6 novembre 2006 n. 23603).

Con il ricorso in esame gli odierni ricorrenti hanno riproposto davanti a questo Tribunale la domanda di risarcimento del danno asseritamente subito per effetto del comportamento omissivo del Comune di Brindisi. Questo danno viene ricollegato alla perdita di chance, per effetto della ritardata applicazione dell’art. 9 del D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347. Secondo la prospettazione difensiva, se il Comune di Brindisi avesse dato tempestiva esecuzione alla predetta disposizione, i ricorrenti avrebbero potuto essere assunti già a far data dal 14 dicembre 1985.

Si è costituito in giudizio il Comune di Brindisi, eccependo l’inammissibilità del ricorso per la sua proposizione oltre il termine di decadenza di cui all’art. 69, comma 7, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e, comunque, l’intervenuta prescrizione del diritto azionato dai ricorrenti. Nel merito, l’Amministrazione resistente ha contestato la fondatezza della domanda risarcitoria e ne ha chiesto, pertanto, la reiezione.

Nel corso del giudizio con diverse memorie le parti hanno avuto modo di prospettare le rispettive tesi difensive.

All’udienza pubblica del 26 ottobre 2011 il Presidente del Collegio ha indicato, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del c.p.a., al difensore delle parti ricorrenti alcune questioni relative all’atto di riassunzione, ai requisiti dello stesso ed ai termini per la riassunzione. Il difensore ha chiesto un breve rinvio per controdedurre in merito alle questioni prospettate.

Alla successiva pubblica udienza del 21 dicembre 2011, su richiesta della parte ricorrente, la causa è stata posta in decisione.

Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione relativa alla tempestiva presentazione del ricorso in esame, sollevata dalla Amministrazione resistente. Quest’ultima sostiene che il ricorso sarebbe inammissibile, non essendo stato proposto entro il 15 settembre 2000, termine stabilito a pena di decadenza dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. La predetta disposizione, dopo aver sono attribuito le controversie di cui all’articolo 63 del medesimo decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, precisa, nel secondo periodo, che le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.

Osserva il Collegio che la questione è mal posta.

I ricorrenti avevano inizialmente adito il giudice ordinario, ritenendo che la cognizione della pretesa azionata, avendo ad oggetto il risarcimento del danno da perdita di chance, ricadesse nella giurisdizione del giudice ordinario. La tesi dei ricorrenti è stata condivisa dal Tribunale civile di Brindisi, che ha ritenuto la sussistenza della propria giurisdizione. Solo successivamente, con sentenza del 10 novembre 2003 n. 629, la Corte di Appello di Lecce ha declinato la propria giurisdizione (con sentenza confermata anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione), ma ormai il termine di decadenza di cui all’art. 69, comma 7, secondo periodo, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 era ormai decorso.

La questione di diritto da risolvere non è dunque quella di stabilire se i ricorrenti abbiano rispettato il predetto termine di decadenza (non potendo, ovviamente, la erronea decisione del giudice ordinario di primo grado ridondare in danno dei ricorrenti), quanto piuttosto quella di stabilire se la causa sia stata tempestivamente riassunta davanti al giudice munito di giurisdizione, una volta che la Corte di Cassazione, con sentenza del 6 novembre 2006 n. 23603, ha definitivamente chiarito che la cognizione della richiesta risarcitoria presentata dai ricorrenti rientrava nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, concernendo un rapporto di lavoro costituito, sia pure ai soli fini giuridici, in data anteriore al 30 giugno 1998.

In proposito, il Collegio rileva che, mentre la sentenza della Corte di Cassazione, con la quale è stata declinata la giurisdizione del giudice ordinario in favore di quella del giudice amministrativo, è stata depositata in cancelleria in data 6 novembre 2006, il ricorso in esame è stato notificato solo in data 12 luglio 2007.

Nella memoria depositata in data 18 novembre 2011, in riscontro ai rilievi sollevati dal Presidente del Collegio all’udienza pubblica del 26 ottobre 2011, le parti ricorrenti fanno rilevare che, al momento della pubblicazione della sentenza della Cassazione declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario, non si era ancora affermato in giurisprudenza il principio della translatio iudicii tra differenti giurisdizioni;
principio che sarebbe stato elaborato in via interpretativa sulla base del diritto positivo vigente solo con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione civile del 22 febbraio 2007 n. 4109. Evidenzia, inoltre, che è solo con la sentenza del 12 marzo 2007 n. 77 che il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della l. 6 dicembre 1971 n.1034, nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito della declinatoria della giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione.

Con riguardo ai termini per la riassunzione della causa davanti al giudice munito di giurisdizione, le parti ricorrenti invocano, quindi, l’errore scusabile, in quanto la determinazione legislativa del termine per la riassunzione è avvenuta solo successivamente (art. 59 l.18 giugno 2009 n. 69), mentre l’applicazione in via analogica alla translatio iudicii fra differenti giurisdizioni del termine stabilito dall’art. 50 del c.p.c. per la riassunzione della causa davanti al giudice competente si sarebbe affermata solo successivamente nella giurisprudenza.

La tesi merita di essere condivisa.

Il codice di procedura civile disciplina, all’art. 50, la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente;
nulla dispone per la riassunzione della causa davanti al giudice munito di giurisdizione.

Nel silenzio del codice, la giurisprudenza ha ritenuto che il principio della translatio iudicii davanti al giudice competente (in base al quale debbono essere salvaguardati gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice incompetente) non potesse invece trovare applicazione con riguardo al difetto di giurisdizione del giudice adito. Una ulteriore conferma della esclusione di tale possibilità veniva rinvenuta nell’art. 367 del c.p.c. che consente la riassunzione del processo, a seguito del regolamento di giurisdizione, solo quando la Corte di Cassazione dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario.

La dottrina processualistica più attenta aveva da tempo evidenziato che l’applicazione pedissequa delle disposizioni del codice di procedura civile, non consentendo al ricorrente di salvaguardare gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice sfornito di giurisdizione, poteva dar luogo a forme di denegata giustizia. L’incomunicabilità tra le diverse giurisdizioni poteva determinare poi conseguenze inaccettabili sul piano della giustizia sostanziale soprattutto in ambiti disciplinari nei quali l’ordinario discrimine tra la giurisdizione civile e quella amministrativa, basato sulla natura della posizione giuridica soggettiva tutelata, si prestava ad una non univoca interpretazione.

La Corte di Cassazione, ritenendo fondate le legittime preoccupazioni formulate in merito alla problematica de qua dalla dottrina e condividendo il principio enunciato dal Giudice delle leggi, secondo il quale il giudice si deve adoperare perché il processo non si esaurisca in pronunce procedurali, attinenti a presupposti processuali, ma sfoci nella pronuncia di merito, per verificare la sussistenza dell’azione in senso sostanziale (Corte costituzionale, 16 ottobre 1986, n. 220), ha ritenuto che, in base a una lettura costituzionalmente orientata della disciplina codicistica, potesse essere dato ingresso nell’ordinamento processuale al principio della "translatio iudicii" dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione (Cassazione Civile, Sezioni unite, 22 febbraio 2007 n. 4109).

Successivamente la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della l. 6 dicembre 1971 n.1034, ha demandato al legislatore la disciplina processuale della riassunzione e la concreta attuazione del principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione (Corte costituzionale, 12 marzo 2007, n. 77).

A seguito della predetta pronuncia della Corte Costituzionale, la giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente, in attesa della determinazione, in sede legislativa, delle modalità e dei termini per la riassunzione della causa davanti al giudice munito di giurisdizione, ha ritenuto che, ai fini dell’individuazione del termine da fissare in una sentenza declinatoria della giurisdizione per la prosecuzione del giudizio, potesse essere applicato analogicamente l’art. 50 c.p.c. previsto per il difetto di competenza, secondo il quale è lo stesso giudice che si dichiara incompetente a fissare il termine per la riassunzione davanti al giudice ritenuto competente;
in mancanza di tale indicazione, il termine per la riassunzione è di sei mesi dalla comunicazione della sentenza (ex multis, Consiglio Stato, Sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6581;
Consiglio Stato, Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4318;
Consiglio Stato, Sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059).

Solo con l’art. 59 della legge 18 giugno 2009 n. 69, il legislatore ha provveduto a colmare il vuoto normativo venutosi a creare, prevedendo, al comma 1°, l’obbligo del giudice che dichiara il proprio difetto di giurisdizione di indicare il giudice nazionale munito di giurisdizione ed, al comma 2°, che entro il termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia declinatoria della giurisdizione la domanda può essere riproposta al giudice ivi indicato (in questo caso sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dalla instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute).

L’art. 59 della l. n. 69/2009 precisa, altresì, al comma 4°, che l’inosservanza dei termini sopra indicati per la riassunzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza ed impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, ed, al comma 5°, che, in caso di riproposizione della domanda, le prove raccolte davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.

L’istituto della translatio iudicii ha trovato, poi, espresso riconoscimento nel codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104) che, all’art. 11, comma 2, dispone testualmente “Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato”.

Ricostruito brevemente il quadro giurisprudenziale e normativo di riferimento, il Collegio è pervenuto al meditato avviso di ritenere che, nel caso di specie, possa essere accolta la domanda dei ricorrenti diretta ad ottenere la rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 del c.p.a.

Ancorché dovesse ritenersi che alla data di notifica del ricorso in esame (12 luglio 2007) era ormai scaduto il termine (di sei mesi) dalla comunicazione della sentenza, previsto dall’art. 50 del c.p.c. per il difetto di competenza ed applicato, in via analogica, dalla giurisprudenza prevalente anche per la riproposizione della domanda davanti al giudice munito di giurisdizione, pur tuttavia il fatto che, nel caso di specie, il principio della translatio iudicii si sia affermato solo dopo la pubblicazione della sentenza declinatoria della giurisdizione del giudice inizialmente adito dai ricorrenti (depositata in cancelleria in data 6 novembre 2006) e la plausibile incertezza interpretativa in ordine alle modalità operative di un istituto processuale di elaborazione giurisprudenziale, non ancora disciplinato normativamente al momento della riproposizione della domanda davanti al giudice munito di giurisdizione, inducono il Collegio a ritenere ammissibile la proposta impugnativa, anche in considerazione del fatto che la riproposizione della domanda è avvenuta a distanza di soli quattro mesi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77/2007.

Deve poi essere disattesa l’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto azionato dai ricorrenti, sollevata dalla Amministrazione resistente. Quest’ultima sostiene che, originandosi la pretesa risarcitoria degli odierni ricorrenti dalla loro ritardata assunzione, è dalla data in cui essi avrebbero dovuto essere assunti (14 dicembre 1985) che sarebbe iniziato a decorrere, conformemente al disposto dell’art. 2935 c.c., il termine prescrizionale quinquennale previsto per la responsabilità extracontrattuale. Con la conseguenza che alla data della notifica (23 giugno 1993) dell’atto di citazione davanti al Tribunale di Brindisi, ogni pretesa risarcitoria sarebbe stata ormai ampiamente prescritta.

L’eccezione è infondata.

Omette l’Amministrazione resistente di ricordare che i ricorrenti hanno dovuto inizialmente azionare il rito del silenzio per far dichiarare l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dalla Amministrazione medesima a fronte della loro istanza di diffida e messa in mora e che solo con decisione n. 411 del 28 giugno 1988 il Consiglio di Stato, previo annullamento del silenzio-rifiuto illegittimamente formatosi, ha dichiarato l’obbligo del Comune di provvedere a riguardo.

Prima della entrata in vigore del codice del processo amministrativo (che, all’art. 30, comma 2, ha reso possibile la proposizione di una domanda autonoma volta a conseguire il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria), per costante giurisprudenza, il termine quinquennale di prescrizione della domanda di risarcimento danni nei confronti di una pubblica amministrazione iniziava a decorrere dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto illegittimo, responsabile del danno che il ricorrente assumeva di aver sofferto a causa di esso (ex multis, Consiglio Stato, Sez. V, 31 ottobre 2008, n. 5453;
Consiglio Stato, Sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908).

Nella specie, solo con decisione n. 411 del 28 giugno 1988 il Consiglio di Stato ha annullato il silenzio-rifiuto del Comune di Brindisi formatosi a seguito della istanza-diffida dei ricorrenti, per cui alla data del 23 giugno 1993 (di notifica del ricorso proposto davanti al Tribunale di Brindisi per ottenere il risarcimento del danno) non era decorso il termine di prescrizione di cinque anni di cui all’art. 2947 c.c.

Nel merito, tuttavia, la domanda risarcitoria azionata dai ricorrenti non può essere accolta.

La pretesa risarcitoria si origina dal ritardo lamentato dagli odierni ricorrenti in ordine all’applicazione da parte del Comune di Brindisi dell’art. 9 del D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347,.

Il predetto articolo, con riguardo ai rapporti di lavoro stagionale, dispone testualmente quanto segue: “Nei limiti previsti dalla legislazione vigente in materia, i lavoratori stagionali debbono essere reclutati tramite prove selettive attitudinali del relativo profilo o attraverso le graduatorie del collocamento ordinario. I servizi prestati nelle stagioni precedenti costituiscono precedenza per la riassunzione ai sensi dell'articolo 8- bis del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79. Nel caso che si liberino posti in pianta organica o si trasformino posti stagionali in posti di ruolo permanente, la precedenza nella copertura degli stessi deve essere riservata agli stagionali di pari profilo professionale secondo i seguenti criteri: 1) in caso di assunzione o selezione già avvenuta attraverso concorso pubblico con prove selettive attitudinali per il relativo profilo, l'inquadramento avviene attingendo dalle graduatorie di precedenti concorsi già espletati per il medesimo profilo, cominciando ad utilizzare a tale fine la graduatoria più remota;
2)….omissis …”

Una parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che l’art. 9 D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347, nel prevedere una precedenza nelle assunzioni presso gli Enti stessi con rapporto di lavoro a tempo determinato e stagionale, non ha inteso configurare alcun diritto soggettivo alla sistemazione in pianta stabile allorché si rendano vacanti posti di organico e si trasformino posti stagionali in posti di ruolo permanente, ma ha rimesso all’iniziativa discrezionale delle singole Amministrazioni stabilire se e quando procedere alla copertura dei posti stessi (Tar Lazio, Latina, Sezione unica, 21 marzo 1990 n. 310;
26 ottobre 1987 n. 806;
28 maggio 1987 n. 359).

È stato, inoltre, sostenuto in giurisprudenza che non rientra nella categoria del lavoro stagionale di cui all’art. 9 D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347 il lavoro specifico di autista di scuolabus o di accompagnatore scuolabus, in quanto svolto esclusivamente nei mesi ricompresi nel calendario dell’anno scolastico e non legato allo scorrere delle stagioni (ex multis, Tar Puglia, Lecce, Sezione unica, 4 ottobre 2004 n. 6859;
Consiglio Stato, Sez. V, 04 luglio 2002, n. 3671;
Consiglio Stato, Sez. V, 28 giugno 2002, n. 3554;
Tar Liguria, Sezione II, 29 dicembre 1998 n. 1087;
Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 1993 n. 1125;
Tar Sardegna, Sezione unica, 28 luglio 1989 n. 633).

In particolare, è stato evidenziato, anche di recente, che gli autisti di scuolabus non di ruolo espletano un’attività lavorativa che, seppur periodicamente rinnovata, non ha ragione di essere soltanto in un determinato periodo dell’anno ed in determinate condizioni meteorologico - ambientali, ma è collegata al calendario scolastico, che soddisfa con tutta evidenza interessi diversi. Essi, dunque, non rientrano nella categoria dei lavoratori stagionali - da intendersi come coloro che prestano un lavoro con ricorrenza ciclica, in quanto relativo ad un’attività produttiva collegata con una stagione solare - ma in quella dei lavoratori a tempo determinato (T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 13 novembre 2006).

Premesso ciò, è bensì vero che la decisione del Consiglio di Stato n. 411/1988, invocata dagli odierni ricorrenti, ha ritenuto che sussistesse un vero e proprio obbligo del Comune di Brindisi di inquadrare i ricorrenti medesimi, autisti di scuolabus, nei posti di corrispondente profilo professionale istituiti nella pianta organica e che i loro pregressi rapporti di lavoro fossero da qualificare come rapporti di lavoro di carattere stagionale, in quanto ricorrenti ad ogni anno scolastico. Pur tuttavia, il consolidato orientamento giurisprudenziale di segno contrario non consente di ravvisare, nel caso di specie, la colpa della Amministrazione procedente in relazione al danno asseritamente subito dai ricorrenti per effetto della loro ritardata assunzione.

In proposito, il Collegio fa rilevare che, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, in tema di responsabilità della p.a. da provvedimento illegittimo, la colpa e/o il dolo della stessa p.a. rappresentano degli elementi imprescindibili, ai sensi dell’art. 2043 c.c., perché si formi una fattispecie che possa dare luogo al danno ingiusto (Consiglio di Stato, Sez. V, 24 febbraio 2011, n. 1184) e che l’imputazione soggettiva della responsabilità nei confronti della p.a. non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, poiché ciò si risolverebbe in un’inammissibile presunzione di colpa, ma comporta, invece, l’accertamento in concreto della colpa dell’amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091).

È, infatti, definitivamente tramontata in giurisprudenza la tesi, pur autorevolmente sostenuta in passato, secondo la quale la colpa della pubblica amministrazione, rilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità aquiliana, consisterebbe nella volontaria esecuzione di un provvedimento illegittimo.

Secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza amministrativa, ai fini dell’accertamento dell’elemento della colpa dell’amministrazione, è necessario accedere direttamente ad una nozione “oggettiva” di colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento (Consiglio Stato, Sez. VI, 11 marzo 2010 , n. 1443;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

Costituisce ormai ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale non è ravvisabile la colpa dell’Amministrazione allorché la stessa abbia conformato la propria azione a consolidate interpretazioni giurisprudenziali (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 marzo 2010, n. 1443;
Consiglio di Stato, Sezione VI, del 25.1.2008 n. 213) e che, di contro, salvo casi eccezionali, la colpa possa ravvisarsi allorché la condotta dell’Amministrazione si sia posta in termini collidenti ed antitetici rispetto a plurime e consolidate interpretazioni giurisprudenziali (Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 marzo 2010, n. 1443).

Orbene, nel caso di specie, la decisione del Consiglio di Stato n. 411/1988, che ha ritenuto la sussistenza di un vero e proprio obbligo del Comune di Brindisi di inquadrare i ricorrenti, autisti di scuolabus, nei posti di profilo professionale corrispondente istituiti nella pianta organica, ritenendo che le loro pregresse esperienze lavorative svolte per conto dell’Amministrazione comunale fossero da qualificare come lavoro di carattere “stagionale” e che rientrassero, pertanto, nella astratta previsione di cui all’art. 9 del D.P.R. n. 347/1983, pur non essendo isolata in giurisprudenza (Tar Puglia, Bari, Sezione unica 7 giugno 1986 n. 434), si basa su un’interpretazione non univoca dell’art. 9 del D.P.R. n. 347/1983, come dimostrano le numerose pronunce giurisprudenziali di segno contrario sopra richiamate.

Stando così le cose, il Collegio non ravvisa nel comportamento dell’Amministrazione comunale di Brindisi, in ordine alla ritardata assunzione in ruolo degli odierni ricorrenti, l’elemento soggettivo della colpa necessario alla configurazione della responsabilità risarcitoria della Amministrazione, essendosi quest’ultima sostanzialmente conformata ad un consolidato e diffuso orientamento giurisprudenziale in subiecta materia.

Ne consegue che la domanda risarcitoria avanzata dagli odierni ricorrenti non può trovare accoglimento per la non ravvisabilità nei confronti della Amministrazione procedente dell’imprescindibile elemento di imputazione soggettiva della responsabilità aquiliana (dolo o colpa).

In relazione alla natura della controversia ed alla particolare complessità delle questioni dedotte in giudizio, il Collegio ritiene che le spese di giudizio possano essere integralmente compensate tra le parti.

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