TAR Salerno, sez. I, sentenza 2015-05-13, n. 201500995

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. I, sentenza 2015-05-13, n. 201500995
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201500995
Data del deposito : 13 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01051/2010 REG.RIC.

N. 00995/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01051/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1051 del 2010, proposto da:
società "Kiwicilento S.S., rappresentata e difesa dall'avv. M F, con domicilio eletto in Salerno, via SS. Martiri Salernitani n. 31;

contro

Regione Campania, rappresentata e difesa dall'avv. Beatrice Dell'Isola, con domicilio eletto in Salerno, via A. Salernitana n. 3;

per l'annullamento

del provvedimento di cui alla nota prot. n. 2010.0288433 del 1.4.2010, a firma del Dirigente del Settore Tecnico Amministrativo Provinciale Agricoltura e Centri Provinciali di Informazione Cons. in Agricoltura (Ce.P.I.C.A.) di Salerno, con il quale la società ricorrente è stata esclusa dai benefici di cui alla Misura n. 121 del P.S.R. Campania 2007/2013, di tutti gli atti connessi e presupposti


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2015 il dott. Ezio Fedullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Espone la società ricorrente, operante nel settore agricolo, di aver presentato in data 24.2.2009 domanda di ammissione ai finanziamenti di cui alla Misura 121 del PSR Campania 2007/2013, che l’istanza è stata ritenuta ammissibile, con conseguente assegnazione del contributo richiesto, che sulla scorta dell’approvazione della graduatoria definitiva delle istanze ammesse ha dato inizio al previsto ammodernamento annuale ed ha anche attuato completamente il progetto.

Lamenta quindi l’illegittimità del provvedimento con il quale, richiamata la sentenza della Corte di Appello di Roma del 28.11.1995, con la quale il legale rappresentante della società ricorrente era stato condannato per il reato di adulterazione di sostanze alimentari in concorso ex art. 440 c.p., e rilevato che il medesimo non aveva dichiarato il suddetto pregiudizio penale in sede di partecipazione (nonostante il bando richiedesse la dichiarazione “di non aver subito condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode o sofisticazione di prodotti alimentari di cui al Titolo VI capo II e Titolo VIII capo II del codice penale”), è stata disposta l’esclusione della società dai benefici de quibus .

Mediante le censure formulate in ricorso, viene dedotto quanto segue: 1) il reato contestato al legale rappresentante della società ricorrente non rientra tra quelli per il quale il bando richiedeva una apposita dichiarazione: in base al bando, infatti, i richiedenti il finanziamento avevano l’obbligo di dichiarare “di non aver subito condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode o sofisticazione di prodotti alimentari di cui al Titolo VI capo II e Titolo VIII capo II del codice penale”, senza alcun riferimento alla diversa ipotesi di “adulterazione di sostanze alimentari”;
invero, mentre la sofisticazione costituisce una operazione fraudolenta consistente nell’aggiungere all’alimento sostanze estranee alla sua composizione allo scopo di migliorarne l’aspetto o di coprirne i difetti, e la frode consiste nella volontaria falsificazione di cose o documenti al fine di trarre un profitto ingiusto, l’adulterazione è integrata da quelle operazioni che comportino modificazioni nella composizione analitica del prodotto alimentare senza che, apparentemente, il prodotto venga modificato in maniera apprezzabile;
inoltre, mentre l’ultima, punita dall’art. 440 c.p., richiede il semplice dolo generico, le altre due fattispecie incriminatrici esigono il dolo specifico;
il reato ascritto al legale rappresentante della società ricorrente non rientra quindi tra le fattispecie tipiche per le quali il bando prevedeva l’obbligo di dichiarazione;
né vale in senso contrario il riferimento generico fatto dal bando ai reati di cui al Titolo VI capo II e Titolo VIII capo II del codice penale, avendo l’amministrazione inteso circoscrivere la rilevanza a quelli soli, tra i reati contemplati dal suddetto corpus normativo, in tema di frode e sofisticazione di prodotti alimentari;
l’amministrazione, in ogni caso, avrebbe dovuto quantomeno riconoscere il beneficio dell’errore scusabile;
2) dato il decorso di oltre venti anni dalla commissione del fatto e la buona condotta successivamente tenuta, il legale rappresentante della società ricorrente è in possesso dei requisiti per ottenere la riabilitazione, ex art. 179 c.p., per la quale ha anche presentato istanza presso il competente Tribunale di Sorveglianza: ebbene, poiché gli effetti estintivi di cui all’art. 178 c.p. retroagiscono al momento della ricorrenza dei relativi requisiti di legge, il D’Avino non aveva l’obbligo di dichiarare l’esistenza della suddetta sentenza di condanna;
3) la stessa autorità giurisdizionale ha accertato l’insussistenza della volontà di procurare danni alla falda acquifera nonché pericoli per la salute pubblica, la sentenza di condanna ha dichiarato la penale responsabilità sulla base dell’elemento psicologico del dolo eventuale e si tratta comunque di un unico precedente penale: tutte circostanze che l’amministrazione ha omesso di valutare, che denotano la mancanza del requisito della gravità del fatto contestato e che, ove considerate, l’avrebbero determinata a non emettere il provvedimento impugnato;
4) l’amministrazione ha omesso di valutare le osservazioni prodotte in sede procedimentale dalla parte ricorrente e di esporre le ragioni per le quali le ha ritenute inaccoglibili.

La difesa regionale si oppone all’accoglimento del ricorso, richiamando le ragioni esposte nel parere dell’A.T. al PSR Campania 2007/2013, cui rinvia il provvedimento di esclusione impugnato.

Tanto premesso, la proposta domanda di annullamento è meritevole di accoglimento.

Deve premettersi che il provvedimento impugnato non è applicativo di una (inesistente) previsione di esclusione contenuta nel bando, intesa a sanzionare la mancata dichiarazione della eventuale esistenza di condanne per uno dei reati di cui al Titolo VI capo II e Titolo VIII capo II del codice penale: come si evince dal provvedimento impugnato, e dal parere da esso richiamato a suo fondamento, l’esclusione è stata infatti disposta quale conseguenza dell’accertata violazione del suddetto obbligo dichiarativo (non sanzionato espressamente dal bando, si ripete, a pena di esclusione) e della preclusione che essa ha opposto alla possibilità per l’amministrazione di valutare, sulla scorta delle condanne eventualmente riportate (e doverosamente dichiarate), la sussistenza dei requisiti di moralità professionale in capo al richiedente il finanziamento, tanto in applicazione del disposto di cui all’art. 75 d.P.R. n. 445/2000, ai sensi del quale “qualora dal controllo di cui all' articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.

L’assunzione del suddetto titolo normativo a fondamento della disposta esclusione imponeva quindi all’amministrazione l’accertamento rigoroso del nesso causale tra l’omissione dichiarativa contestata e l’attribuzione del beneficio economico: nesso causale che avrebbe potuto ritenersi dimostrato qualora fosse emerso, anche sulla base di un giudizio di concreta e ragionevole verosimiglianza, che qualora la condanna riportata fosse stata puntualmente dichiarata dal legale rappresentante della società ricorrente, l’amministrazione regionale, all’esito delle valutazioni di sua competenza in ordine alla incidenza del pregiudizio penale sulla moralità professionale del richiedente il contributo, ne avrebbe disposto l’esclusione dal procedimento di assegnazione.

Nella specie tuttavia, come lamentato dalla parte ricorrente, siffatto accertamento è stato del tutto omesso, avendo l’amministrazione fatto automaticamente discendere dal riscontrato deficit dichiarativo la conseguenza della esclusione della parte ricorrente, omettendo di compiere alcuna verifica circa l’incidenza dell’omissione ( rectius , della sentenza di condanna non dichiarata, alla luce di tutte le relative circostanze caratterizzanti, a cominciare dall’elemento psicologico qualificante la condotta illecita, dalle modalità di quest’ultima e dall’epoca della sua commissione) sulla sua moralità professionale.

Invero, sebbene non possa negarsi che il reato di cui all’art. 440 c.p., cui si riferisce la condanna non dichiarata, rientri nel novero di quelli oggetto dell’obbligo dichiarativo sancito dal bando (atteso che, da un lato, la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 440 c.p., recante la rubrica “adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari”, appartiene al Capo II del Titolo VI, raggruppante i “delitti di comune pericolo mediante frode”, denotando che, al di là delle definizioni dogmatiche, una componente di frode è tipicamente presente anche nel reato di cui all’art. 440 c.p., dall’altro lato, il bando correla l’obbligo dichiarativo, appunto, ai “reati di frode o sofisticazione di prodotti alimentari”), sono nella specie ravvisabili molteplici circostanze (il carattere risalente del fatto, l’avvenuta estinzione della pena, la peculiarità della condotta contestata e le ragioni addotte dal ricorrente per escluderne la gravità) che avrebbero giustificato una puntuale valutazione da parte dell’amministrazione in ordine all’effettiva compromissione della moralità professionale del ricorrente, quale conseguenza della condanna riportata.

In conclusione, la proposta domanda di annullamento deve quindi essere accolta, potendo dichiararsi l’assorbimento delle censure non esaminate e salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione regionale, mentre la peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica la statuizione di compensazione delle spese di giudizio, fermo il diritto della parte ricorrente al rimborso del contributo unificato a carico della Regione Campania.

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