TAR Lecce, sez. I, sentenza breve 2013-11-07, n. 201302257

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. I, sentenza breve 2013-11-07, n. 201302257
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201302257
Data del deposito : 7 novembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01409/2013 REG.RIC.

N. 02257/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01409/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1409 del 2013, proposto da:
S P, rappresentato e difeso dagli avv. E S D, F F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.E S D in Lecce, via 95 Rgt Fanteria, 9;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliato presso la sede di quest’ultima in Lecce, via F.Rubichi 23;
Comune di Parabita, rappresentato e difeso dall'avv. P Q e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Lecce, via Garibaldi 43;

nei confronti di

Gianluigi Grasso;

per l'annullamento

del provvedimento del Prefetto della Provincia di Lecce del 16/8/2013 con il quale è stata accertata e dichiarata l'intervenuta causa di sospensione di diritto del ricorrente dalla carica di consigliere comunale di Parabita ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 235/2012;

del conseguente provvedimento di sospensione del ricorrente dalla carica di consigliere comunale per il periodo di n. 18 mesi, nonché della successiva surroga del medesimo ricorrente mediante proclamazione nella carica di consigliere comunale del sig. Grasso Gianluigi;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Comune di Parabita;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2013 la dott.ssa P M e uditi per le parti i difensori F F, E S D, Fernando Musio, P Q.;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


1. E’ impugnato l’epigrafato provvedimento della Prefettura che ha accertato nei confronti del ricorrente, nominato consigliere comunale per surroga di altro consigliere comunale dimissionario, la sussistenza della causa di sospensione di diritto dalla carica ai sensi dell’art.11 c.

1. lett.a del d.lgs. 235/2012.

Questi i motivi a sostegno del ricorso:

- Illegittimità costituzionale dell’art.11 comma 1 lett.a) del d.lgs. 235/2012 per violazione degli artt. 3,76, 97 della Costituzione per eccesso di delega, disparità di trattamento e irragionevolezza manifesta.

2. Il ricorso è infondato e va respinto.

2.1. Con il ricorso all’esame il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art.11 comma 1 lett. a del d.lgs. 235/2012 per violazione degli artt.3,76, 97 della Cost. per eccesso di delega, disparità di trattamento e irragionevolezza manifesta.

2.2. Sotto il primo profilo, la Corte Costituzionale ha più volte affermato, che «Il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, l'uno relativo alla norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega;
l'altro relativo alla norma delegata da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi.

Il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, che costituiscono non solo base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l'interpretazione della loro portata. La delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, che può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega: pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente» (ex plurimis: sentenze n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, nn. 340 e 170 del 2007).

In particolare, circa i requisiti che devono fungere da cerniera tra i due atti normativi, «i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge delega» (sentenza n. 341 del 2007, ordinanza n. 228 del 2005, sent. 06 dicembre 2012 n. 272).

Nella specie l’art.1 della L.190/2012 ha previsto al comma 63 che:

“ Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane”.

Al comma 64 che:

“Il decreto legislativo di cui al comma 63 provvede al riordino e all'armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici, prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) in aggiunta a quanto previsto nella lettera a), prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti nel libro secondo, titolo II, capo I, del codice penale ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;

c) prevedere la durata dell'incandidabilità di cui alle lettere a) e b);

d) prevedere che l'incandidabilità operi anche in caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale;

e) coordinare le disposizioni relative all'incandidabilità con le vigenti norme in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all'esercizio del diritto di elettorato attivo;

f) prevedere che le condizioni di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresì all'assunzione delle cariche di governo;

g) operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico di cui al citato decreto legislativo n. 267 del 2000, presidente e componente degli organi delle comunità montane, determinata da sentenze definitive di condanna;

h) valutare per le cariche di cui alla lettera g), in coerenza con le scelte operate in attuazione delle lettere a) e i), l'introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale;

i) individuare, fatta salva la competenza legislativa regionale sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna;

l) prevedere l'abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 63;

m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica”.

L’art.11 del d.lgs. 235/2012 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190) disciplinante i casi di sospensione e decadenza di diritto degli amministratori locali in condizione di incandidabilità, in vigore dal 5 gennaio 2013, prescrive che:

“1. Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 10:

a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 10, comma 1, lettere a), b) e c);

b) coloro che, con sentenza di primo grado, confermata in appello per la stessa imputazione, hanno riportato, dopo l'elezione o la nomina, una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo;

c) coloro nei cui confronti l'autorità giudiziaria ha applicato, con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.

La materia su cui incide la normativa impugnata non è nuova nel nostro ordinamento, avendo la stessa abrogato l’art.59 del d.lgs.267/2000 e l’art. 15 della L n.55/1990, che al c.4 bis così disponeva:

“ Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati al comma 1, lettera a), o per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale ;
b) coloro che, con sentenza di primo grado, confermata in appello per la stessa imputazione, hanno riportato una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo, dopo l'elezione o la nomina…”

Proprio con riferimento a tale ultima normativa, la Corte Costituzionale aveva avuto modo di chiarire che la norma persegue “finalità di salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, di tutela della libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche, contro i gravi pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalità organizzata e dalle sue infiltrazioni (sentenze n. 132 del 2001, n. 141 del 1996, n. 118 e n. 295 del 1994), coinvolgendo così esigenze ed interessi dell'intera comunità nazionale connessi a "valori costituzionali di rilevanza primaria" (sentenza n. 218 del 1993). I delitti per i quali l'art. 15 citato prevede -dopo la condanna definitiva- la decadenza o anche -in caso di condanna non definitiva- la sospensione obbligatoria dalla carica elettiva sono appunto qualificati, secondo la giurisprudenza costituzionale, non tanto dalla loro gravità in relazione al "valore" del bene offeso o all'entità della pena comminata, ma piuttosto dal fatto di essere considerati tutti dal legislatore come manifestazione di delinquenza di tipo mafioso o di altre gravi forme di pericolosità sociale, non irragionevolmente ritenendoli il legislatore stesso, nell'ambito delle proprie, insindacabili scelte di politica criminale, parimenti forniti di alta capacità di inquinamento degli apparati pubblici da parte delle organizzazioni criminali. Si giustifica in questo modo una disciplina molto rigorosa ispirata alla comune ratio di prevenire e combattere tali gravi pericoli allo scopo di salvaguardare "interessi fondamentali dello Stato" (sentenze n. 206 del 1999 e n. 184 del 1994).

Il Collegio ritiene che, proprio in considerazione di ciò, il denunciato eccesso di delega, quanto alla previsione, inserita nel citato art.11 del d.lgs. 235/1990, della sospensione di diritto dalle cariche elettive nella ipotesi di condanna non definitiva, sia manifestamente insussistente.

Difatti, la disciplina in questione muove da una formulazione unitaria e da una rivisitazione della disciplina vigente per realizzare un efficace strumento di prevenzione delle forme di corruzione e di contrasto delle illegalità contro le PP.AA. in attuazione della L.190/2012, che a sua volta è diretta all’attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110.

Quest’ultima prevede che: “Ciascuno Stato Parte elabora e applica o persegue, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, delle politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate che favoriscano la partecipazione della società e rispecchino i principi di stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, d'integrità, di trasparenza e di responsabilità”.

La necessità di armonizzare la disciplina nazionale ai principi suindicati ha richiesto scelte rigorose e cautelari proprio allo scopo di prevenire e combattere le forme di illegalità più diffuse nella “gestio” pubblica.

Ergo: se il contenuto della delega deve tener conto del complessivo contesto normativo nel quale si inserisce nonché delle finalità e della ratio che la ispirano, con possibilità per il legislatore delegato di esercitare, entro tali ambiti, la propria discrezionalità nel compito di “riempimento” dei relativi principi e criteri direttivi posti dal legislatore delegante e delle ragioni cui quest’ultimo muove, del tutto ragionevolmente e coerentemente nella lett. c dell’art.10 del d.lgs. 235/2012, alle figure delittuose disciplinate dall’art. 58 lett.b) e 59 lett. a) del D.leg.s 267/2000, sono state inserite tutte quelle forme di illegalità (fra cui quella di cui all’art.323 c.p. rientrante fra i reati propri contro la P.A.), sfuggite alla precedente legislazione, ritenuti di impedimento alla realizzazione “dei principi di stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, d'integrità, di trasparenza e di responsabilità” cui si ispira L.190/2012 in attuazione della citata Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione.

Proprio quest’ultima, all’art.6 dispone che ciascuno Stato Parte assicuri, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, “ L'applicazione delle politiche di cui all'articolo 5 della presente Convenzione” e, in particolare, quanto all’aspetto cautelare, “Ciascuno Stato Parte si adopera al fine di attuare e promuovere pratiche efficaci volte a prevenire la corruzione”.

In tale ambito ben si comprende e si concretizza l’art.11 del d.lgs.235/2012 che al comma 1 stabilisce che “sono sospesi di diritto dalle cariche di cui al comma 1 dell’art.10 coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati dall’art. 10 comma 1 lett. a, b, e c, coloro che, con sentenza di primo grado, confermata in appello per la stessa imputazione, hanno riportato, dopo l’elezione o la nomina, una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo”.

Del resto, se la normativa abrogata prevedeva già che operasse la fattispecie della sospensione di diritto per le cariche elettive destinatarie di sentenze non definitive di alcune fattispecie delittuose, la necessità di provvedere al riordino e all'armonizzazione della normativa vigente in attuazione dei principi suindicati, doveva necessariamente richiedere un maggiore rigore rispetto alle norme da abrogarsi proprio allo scopo di realizzare quanto prescritto nella Convenzione e quindi di adottare misure amministrative e strumenti adeguati a prevenire e combattere la corruzione e le forme di manifestazione di pericolosità sociale.

Le coordinate ermeneutiche suindicate conducono quindi alla coerenza della normativa citata con la legge delega e con i principi informatori cui quest’ultima è ispirata.

2.3. Sotto altro profilo, il ricorrente assume la disparità di trattamento tra quanti hanno subito, anche prima dell’elezione, la condanna con sentenza non definitiva di primo grado per uno dei delitti specificamente indicati nella lett.a dell’art.11 citato e quanti, invece, hanno riportato una condanna parimenti non definitiva per una fattispecie delittuosa diversa da quelle predette, eventualmente con pene di maggiore entità.

Anche tale assunto non risulta convincente.

In considerazione delle finalità che le norme in esame intendono perseguire e del ruolo ricoperto dai soggetti interessati, appare del tutto logico che il legislatore, ai fini dell'applicazione della decadenza e della sospensione obbligatorie dalla carica elettiva, abbia dato esclusivo rilievo alla identificazione delle fattispecie di reato ritenute rilevanti al fine di prevenire e combattere l’illegalità nelle PP.AA., senza avere riguardo a valutazioni attinenti la quantificazione delle misure sanzionatorie proprie del giudice del merito.

Del resto, i valori che il d.lgs. 235/2912 e la L.190/2012 intendono perseguire sono proprio quelli di salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica, il buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche contro il pericolo della corruzione che la Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite intende scongiurare, sicchè l’entità della pena risulta del tutto irrilevante in presenza di reati che ne costituiscono notorio “indice rivelatore”.

2.4. Infine, non è condivisibile l’assunto che tenderebbe a differenziare l'applicabilità ratione temporis della normativa, posto che come rilevato dalla difesa delle parti costituite, l’epoca di commissione del delitto è presa dal legislatore in considerazione solo per reati diversi da quelli indicati alle lettere a,b, e c dell’art.10;
per questi ultimi invece, coerentemente con i principi informatori suindicati, assume rilievo, come ricordato dalla Corte Costituzionale ( sent. N.25/2002 ) a proposito dell’analoga disciplina costituita dalla L.55/1990, la necessità di prevenire “gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale", attraverso l'individuazione, sulla base di criteri omogenei, di una serie di reati la cui commissione è appunto valutata - di per sé stessa e senza distinzione alcuna- come indice di oggettiva pericolosità. In considerazione delle finalità che le norme in esame intendono perseguire e del ruolo ricoperto dai soggetti interessati, non appare dunque illogico che il legislatore, ai fini dell'applicazione della decadenza e della sospensione obbligatorie dalla carica elettiva, abbia dato esclusivo rilievo alla identificazione delle fattispecie di reato in questione”.

A ciò aggiungasi che, come condivisibilmente espresso dal Consiglio di Stato (sentenze 6 febbraio 2013 n. 695 e 13 febbraio 2013 n.753) “La preclusione in esame non rappresenta un effetto penale o una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto di natura amministrativa che, in applicazione della disciplina generale dettata dall’art. 11 delle preleggi sull’efficacia della legge nel tempo, regola naturaliter le procedure amministrative che si dispieghino in un arco di tempo successivo” atteso che “Il fine primario perseguito è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di "indegnità morale" a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, quindi, configurata alla stregua di "requisito negativo" o “qualifica negativa” ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica (Corte Cost., sentenza 31 marzo 1998, n. 114, con riguardo all’analoga fattispecie delle cause di incandidabilità previste, in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16). Dalla premessa della caratterizzazione non sanzionatoria della norma … l’applicazione della richiamata disciplina ai procedimenti elettorali successivi alla sua entrata in vigore, pur se con riferimento a requisiti soggettivi collegati a fatti storici precedenti, non dà la stura ad una situazione di retroattività ma costituisce applicazione del principio generale tempus regit actum che impone, in assenza di deroghe, l’applicazione della normativa sostanziale vigente al momento dell’esercizio del potere amministrativo”.

3. Per le considerazioni che precedono, stante la manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità sollevate, il ricorso deve quindi essere respinto.

Sussistono nondimeno giustificati motivi (anche in considerazione della novità della questione) per disporre la compensazione delle spese di lite.

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