TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2019-09-18, n. 201911075

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2019-09-18, n. 201911075
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201911075
Data del deposito : 18 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/09/2019

N. 11075/2019 REG.PROV.COLL.

N. 10396/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10396 del 2017, proposto da:
F S C, in proprio e quale rappresentante legale pro tempore della società “The Black Sheep Società Sportiva a R. L.”, rappresentato e difeso dagli avvocati A T, G F, con domicilio eletto presso lo studio A T in Roma, via Cicerone 49;

contro

Comune di Ladispoli, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. M P, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. D G, sito in Roma, Via Trionfale n. 7032;

per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,

a) dell’Ordinanza del Comune di Ladispoli – Area III – Settore II – Pianificazione Urbanistica Edilizia Privata Catasto n. 196 del 26.10.2017, con la quale il Responsabile del Settore ha ordinato “al sig. Conte Filippo Salvatore, di provvedere alla chiusura immediata di ogni tipo di attività non riconducibile al titolo ottenuto attraverso la Convenzione Rep. n. 2305 del 27/02/1998 sottoscritta con l’Ente scrivente, e nello specifico attività svolte dall’associazione sportiva Black sheep, di cui è presidente;

b) dell’Ordinanza del Comune di Ladispoli – Area III – Settore II – Pianificazione Urbanistica Edilizia Privata Catasto n. 195 del 25.10.2017, nella parte in cui il Responsabile del Settore ha ordinato al sig. Conte Filippo Salvatore, di provvedere a sua cura e spese alla demolizione delle opere eseguite, in contrasto con l’art. 14 delle norme tecniche di attuazione del Piano per insediamenti produttivi, all’interno del Capannone per “la realizzazione aree attrezzate per il fitness, locali spogliatoi e WC, nonché per la realizzazione di un soppalco per una superficie calpestabile di circa 1300 mq, mc 7800,00”;

c) della nota del Comune di Ladispoli prot. n. 48374 del 10.10.2017 avente per oggetto “Comunicazione di avvio del procedimento per emissione ordinanza di demolizione opere abusive – Artt. 31 e 32, D.P.R. n. 380/2001 e ss. mm. ii.”;

d) della nota del Comune di Ladispoli, indirizzata alla Ditta individuale Filippo Conte, prot. n. 47911 del 6.10.2017;

e) del verbale di accertamento irregolarità nell’esecuzione di lavori edilizi, prot. Comune di Ladispoli n. 47385 del 02.10.2017, mai notificato e conosciuto solo in quanto richiamato nei provvedimenti sub a) e b);

“ove e per quanto occorra”,

f) della nota del Comune di Ladispoli prot. n. 45667 del 22.09.2017;

g) di ogni altro atto, ancorché non conosciuto, antecedente, successivo, connesso, collegato, presupposto e consequenziale.

nonché per il risarcimento :

di tutti i danni patiti e patiendi a causa degli odierni provvedimenti impugnati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ladispoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2019 la dott.ssa S C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Sig. F S C, in proprio, e nella qualità di “rappresentante legale” di “The Black Sheep S.S.D. a R.L.”, ha premesso che tale ente ha natura di “società sportiva dilettantistica di promozione sociale, senza scopo di lucro, riconosciuta dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI)”, e che in tale veste avrebbe sottoscritto una serie di convenzioni con le Aziende locali, nell’ambito del progetto “In Salute in Azienda” della Regione Lazio – volto alla promozione della salute nei luoghi di lavoro “attraverso una regolare attività fisica da parte di dipendenti” –, sviluppando il suddetto progetto sportivo nei locali del capannone sito nel Comune di Ladispoli alla via Berlinguer n. 8, “anche in virtù delle disposizioni di cui all’art. 32, comma 4, della l. n. 383 del 2000 e dell’art. 3, comma 6, della l.r. Lazio n. 7 del 2017”.

1.1. Ciò nondimeno, il ricorrente riferisce che, “in maniera del tutto improvvisa ed inaspettata”, il Comune di Ladispoli ha adottato nei confronti della società, in data 26.10.2017, l’ordinanza di demolizione e ripristino n. 195 del 2017, “in relazione alle opere di suddivisione interna del capannone”, nonché l’ordinanza n. 196 del 2017, con la quale ha ordinato la chiusura della attività sociali svolte dalla società Black Sheep, sul presupposto di un “illegittimo cambio di destinazione d’uso prevalente del suddetto immobile da insediamento di tipo industriale-artigianale ad area attrezzata per il fitness”.

1.2. In particolare, con l’ordinanza n. 195 del 2017, sono state contestate le seguenti opere edilizie realizzate “in assenza del permesso di costruire”:

a) il cambio di destinazione d’uso al piano terra, da locali uso ufficio a locali residenziali, per una superficie totale di mq. 110,00 circa, in contrasto con quanto previsto “dall’art.

6.3 delle norme di attuazione del piano particolareggiato (…) e che allo stato attuale risulta essere stata data in locazione al sig. Mazzolari Roberto”;

b) una “diversa distribuzione degli spazi interni per una superficie di circa mq. 140 (…) dell’area destinata ad uffici”;

c) la “realizzazione di un manufatto adibito a lavanderia di mq 12 e di un manufatto in legno di mq 5”;

d) diverse modificazioni rispetto a quanto assentito con la “concessione edilizia n. 191 del 12.11.1999 e successiva denuncia di inizio attività del 12.11.2003 prot. n. 31273”, eseguite all’interno del locale “capannone” che, dalla prevista struttura artigianale, è stata trasformata in area attrezzata per il fitness, con locali spogliatoi, soppalco e WC, “per una superficie complessiva calpestabile di circa 1.300 mq.”, in contrasto con quanto disposto dall’art. 14 delle N.T.A. del P.I.P. (approvato con deliberazione comunale n. 274 del 2.10.1986).

1.3. Inoltre, con l’ordinanza n. 196 del 2017, il Comune ha ordinato al ricorrente la chiusura immediata “di ogni attività non riconducibile al titolo ottenuto attraverso la convenzione rep. 2305 del 27.02.1998” e nello specifico delle “attività svolte dall’associazione sportiva Black Sheep”, al fine di mantenere i requisiti previsti per il mantenimento del diritto di superficie acquisito dalla ditta individuale “Conte Filippo Salvatore”.

1.4. Con ricorso ritualmente notificato, il Sig. Conte ha quindi denunciato l’illegittimità di entrambe le ordinanze, per i seguenti vizi di legittimità:

a) violazione dell’art. 32, comma 4, della l. n. 383 del 2000 in materia di attività svolte da enti di promozione sociale , poiché il cambio di destinazione d’uso messa in atto nei locali del capannone di via Berlinguer n. 8, da insediamento di tipo industriale-artigianale ad area attrezzata per il fitness, sarebbe consentito dall’art. 32, comma 4, citato, che ammette la localizzazione delle sedi di tali enti: a) “ in tutte le parti del territorio urbano, essendo compatibile con ogni destinazione d’uso urbanistico ”;
b) “ a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio impressa specificamente e funzionalmente al singolo fabbricato, sulla base del permesso di costruire ”;

b) violazione dell’art. 3, comma 6, della l.r. Lazio n. 7 del 2017, recante “Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio ”, la quale affermerebbe a chiare lettere la complementarietà tra la destinazione produttiva impressa all’area dal Piano per insediamenti produttivi (P.I.P.) “Piane di Vaccina” e la destinazione a “servizi” a cui è stato adibito il capannone;

c) violazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 241/1990 , per l’omessa comunicazione di avvio del procedimento che ha dato luogo alle ordinanze impugnate;

d) violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria , per l’insufficienza dell’impianto motivazionale che le sorregge e per gli “evidenti e macroscopici errori di accertamento dei presupposti di fatto, discendenti da un’istruttoria totalmente viziata”, non essendo chiarito per quale motivo si sarebbe ritenuto di non applicare la normativa statale e regionale sopra evidenziate (legge n. 383 del 2000 e legge regionale n. 7 del 2017);
in ogni caso, i dati riportati nell’ordinanza di demolizione impugnata sarebbero del tutto erronei, poiché la pretesa “realizzazione di un soppalco per una superficie calpestabile di circa 1300 mq, mc 7800”, non sarebbe altro che la copertura (di circa 200 mq) dei soli locali adibiti a spogliatoi, con la conseguenza che le misure contestate sarebbero di gran lunga superiori a quelle dell’intero capannone (di circa 1000 mq), con “l’abnorme ed irrealistico valore di 7800 mc di volume”;

e) violazione dell’art. 31 del DPR n. 380 del 2001 , in quanto, “fermo restando quanto argomentato (…) in merito alla regolarità urbanistica del contestato cambio di destinazione d’uso”, l’ordinanza di demolizione risulterebbe in ogni caso “illegittima nella parte in cui involge interventi (di mera ristrutturazione interna del capannone) che non richiederebbero il previo rilascio del permesso di costruire e come tali non rientrano tra quelli sanzionabili con la demolizione ex art. 31, DPR n. 380 del 2001”.

1.5. Con il gravame è stato altresì richiesto il risarcimento del danno derivante dai provvedimenti impugnati, poiché il comportamento dell’Amministrazione resistente risulterebbe “quantomeno colposo dal momento che la sua pretesa di obbligare la ricorrente a lasciare l’immobile dove ha costruito tutta la sua attività sociale si è determinata senza applicare note e pacifiche disposizioni di legge”.

2. Si è costituito il Comune di Ladispoli eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva del ricorrente, in quanto privo dei poteri di rappresentare la società, e, nel merito, l’infondatezza di ciascuna delle censure sollevate chiedendo in ogni caso il rigetto del ricorso.

3. Con decreto monocratico cautelare n. 5722 del 31 ottobre 2017, “ ritenuto che, nelle more della trattazione dell’istanza cautelare nei modi ordinari ”, sussisteva “ il prospettato danno grave ed irreparabile ”, veniva sospesa l’efficacia degli impugnati provvedimenti fino alla camera di consiglio del 24.11.2017.

3.1. Con ordinanza n. 6329/2017 del 27.11.2017 (adottata alla camera di consiglio del 24.11.2017), la Sezione respingeva la domanda cautelare considerato che, “ pur al sommario esame della fase cautelare, il ricorso non appar[iva] assistito da sufficienti profili di fumus boni iuris, in relazione agli specifici obblighi di destinazione ad attività artigianale derivanti dalla Convenzione stipulata dal ricorrente il 27 febbraio 1998 con il Comune per la cessione in proprietà del lotto ”.

3.2. A seguito della proposizione dell’appello cautelare, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 401/2018 del 29.01.2018, accoglieva la domanda ritenendo che “ nell’ambito della delibazione tipica della presente fase che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi risultano prevalenti, al momento, e nell’attesa della definizione del giudizio nel merito, quelli di parte ricorrente ”.

4. In vista della discussione del merito le parti depositavano memorie difensive e di replica insistendo nelle rispettive opposte tesi e, all’udienza pubblica del 25 giugno 2019, la causa, ritualmente chiamata per discussione, passava in decisione.

5. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’odierno ricorrente, giacché, dalla visura camerale depositata in atti, egli risulta dotato di pieni poteri rappresentativi della società “The Black Sheep S.S.D. a R.L.” (Black Sheep), in qualità di amministratore e presidente del consiglio di amministrazione della società medesima.

6. Deve ora passarsi all’esame del merito del gravame.

6.1. Ebbene, il primo e il secondo motivo di ricorso poggiano sull’assunto per cui ai “locali del capannone di Via Berlinguer n. 8” sarebbe applicabile la disciplina dettata dall’art. 32, comma 4, della l. n. 383 del 2000 ( Disciplina delle associazioni di promozione sociale ), che consentirebbe alle “ associazioni di promozione sociale ” di svolgere la propria attività in tutti i locali compatibili con le destinazioni d’uso di cui al D.M. n. 1444/1968, con la conseguente piena legittimità dell’avvenuto cambio di destinazione da insediamento di tipo industriale-artigianale ad area attrezzata per il fitness, così come delle opere edilizie ad esso collegate.

6.2. Sempre secondo il ricorrente, la compatibilità urbanistica sancita dalla norma statale appena richiamata sarebbe poi ulteriormente confermata a livello regionale dalla l.r. n. 7 del 2017 ( Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio ), volta a promuovere e agevolare la riqualificazione delle aree urbane degradate e delle aree produttive, ed in particolare dall’art. 3, comma 6.

6.1. Tale assunto è privo di fondamento.

6.2. Innanzitutto, a prescindere dalla qualificabilità o meno dell’associazione sportiva The Black Sheep quale associazione di promozione sociale, va osservato che la disciplina statale invocata a parametro di legittimità (art. 32 della l. n. 383 del 2000) è stata abrogata dall’art. 102, comma 1, lett. a), del d.gs. n. 117 del 2017 a decorrere dal 3 agosto 2017 (ossia in data antecedente all’adozione delle ordinanze impugnate), e che, tuttavia, un’analoga previsione è stata introdotta dall’art. 71 del d.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b, della legge 6 giugno 2016, n. 106) – a tenore del quale: “ Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica ”.

6.3. Tanto precisato, alla fattispecie oggetto di scrutinio non è applicabile né la disciplina statale né quella regionale individuate dal ricorrente, poiché al lotto su cui insiste il capannone in oggetto è stata data una specifica destinazione urbanistica, che non è assimilabile ad alcuna delle destinazioni d’uso contemplate dal

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