TAR Bari, sez. I, sentenza 2019-03-04, n. 201900316

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. I, sentenza 2019-03-04, n. 201900316
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201900316
Data del deposito : 4 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/03/2019

N. 00316/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00865/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 865 del 2013, proposto da
T P e G A P (eredi dell’originario ricorrente M P, deceduto in corso di causa), rappresentati e difesi dall'avvocato F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Stefanì in Bari, via Manzoni, n.21;

contro

Comune di San Paolo di Civitate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R G, con domicilio eletto presso lo studio Felice Eugenio Lorusso in Bari, via Amendola n.166/5;

per il:

- risarcimento per equivalente, pari al valore venale dei beni, del pregiudizio subito in conseguenza della perdita definitiva della disponibilità (a causa dell’edificazione sugli stessi) dei fondi individuati al foglio 33, particella 100 (are 13 e ca 65);
particella 101 (are 43 e 63);
particella 432 (are 3 e ca 6), del Comune di San paolo Civitate, determinata dall’occupazione e mancata adozione del decreto di espropriazione;

- ristoro per la mancata utilizzazione e godimento degli stessi relativamente al periodo di occupazione illegittima (ossia successivo alla scadenza del decreto di occupazione urgenza);

- ristoro per l’occupazione legittima.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Paolo di Civitate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2019 la dott.ssa D Z e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con l'atto introduttivo del presente giudizio, M P (originario ricorrente, deceduto in corso di causa) ha adito questo Tribunale al fine di ottenere, previo accertamento dell'illegittimità della perdurante occupazione dei fondi di sua proprietà (siti in agro del Comune di San Paolo di Civitate e identificati dal foglio 33 alla particella 100, are 13 e ca 65;
particella 101, di are 43 e 63;
particella 432 di are 3 e ca 6), il risarcimento dei danni complessivamente derivanti dall'attività compiuta dall'Amministrazione comunale.

Premette, in punto di fatto, che, in seguito all'approvazione del Piano di Zona per l'edilizia economica e popolare della zona C3B e C1 del PRG, con delibera consiliare n. 42 del 23.3.1983 (avente valore di dichiarazione di pubblica utilità), il Comune di San Paolo di Civitate avviò una procedura di espropriazione di alcune aree site in agro comunale.

Nell'ambito di tale attività, con decreti sindacali n. 4917 e 4918 del 9.7.1985, l'Amministrazione dispose l'occupazione temporanea d'urgenza degli immobili di proprietà del ricorrente, poi materialmente eseguita il 28.8.1985 (data del verbale di immissione in possesso e consistenza dei fondi).

Scaduto il termine quinquennale di efficacia dei provvedimenti de quibus, tuttavia, nessun decreto di esproprio venne emanato.

A fronte della illegittimità dell'operato dell'Amministrazione comunale, per non aver mai emanato il decreto di esproprio, parte ricorrente ne invoca la condanna al risarcimento dei danni che articola nelle seguenti voci:

- “risarcimento” per equivalente del pregiudizio subito in conseguenza della perdita definitiva della disponibilità dei suddetti fondi, pari al valore venale dei beni;

- “ristoro” per la mancata utilizzazione e godimento degli stessi relativamente al periodo di occupazione illegittima (ossia successivo alla scadenza del decreto di occupazione urgenza);

- “ristoro per l’occupazione legittima”.

Con successivo deposito, in data 23.10.2018, di atto che viene intestato “memoria di intervento volontario”, si sono costituiti in giudizio gli eredi dell’originario ricorrente, insistendo nella domanda già formulata dal loro dante causa.

Si è costituito in resistenza l'intimato Comune di San Paolo di Civitate, nel cui territorio si trovano i suoli in questione e sui quali sono state realizzate le opere edilizie, sollevando preliminarmente eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, quanto alla domanda di condanna al ristoro per l’occupazione legittima, nonché eccezione di prescrizione del diritto, ex art. 2947, co. 1, c.c. limitatamente al risarcimento per l’occupazione sine titulo anteriore al quinquennio precedente alla data del ricorso.

Nel merito, ha contestato l'effettiva consistenza delle superfici oggetto di occupazione – in tesi di estensione inferiore a quella reclamata nel ricorso – ritenendo conseguentemente errata la quantificazione del danno formulata da controparte.

Ha prodotto, a titolo probatorio di quanto allegato, la relazione tecnica redatta, su incarico comunale, dall’arch. Papalillo di “ricognizione dei costi di acquisizione delle aree espropriate e ripartizione degli oneri sostenuti”, datata 16.12.2014, recepita dalla Delibera di Consiglio Comunale n. 32 del 15.7.2016, con cui il tecnico incaricato dall’Amministrazione ha effettuato una puntuale ricognizione delle superfici edificate, a seguito della procedura espropriativa mai portata a termine, previa identificazione delle relative proprietà e delle superfici inizialmente occupate.

All’udienza del 23.1.2019, la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.

Il ricorso è parzialmente fondato, nei limiti di seguito indicati.

Preliminarmente va dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di condanna del Comune di San Paolo di Civitate al pagamento del “ristoro” da occupazione legittima.

È pacifica, infatti, la giurisdizione del Giudice Ordinario in tutte le controversie attinenti alla corresponsione di indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa, stante il chiaro disposto dell’art. 133, co. 1, lett. g) c.p.a.

Quanto alle ulteriori domande risarcitorie (per la perdita definitiva della disponibilità dei fondi ed il mancato godimento nel periodo di occupazione illegittima) deve preliminarmente evidenziarsi che la qualità di proprietari degli attuali ricorrenti non solo è incontestata dal Comune resistente, ma è attestata dalla dichiarazione sostitutiva dagli stessi depositata telematicamente il 23.10.2018.

Essi, pertanto, possono essere serenamente qualificati quali titolari del relativo diritto.

Nel merito, rilevato che non è stata sollevata, dalla difesa comunale eccezione di usucapione dei fondi in questione, non può che richiamarsi il precedente di questo Tribunale su analoga controversia instaurata nei confronti dell'odierno resistente, relativa alla medesima procedura espropriativa di cui trattasi (TAR Bari, sez. III, n. 121/2018, conforme alla recente giurisprudenza del Giudice d’Appello, ex multis: CdS, sez. IV, nn. 4106 /2017;
2396/2018;
3009/2018;
3105/2018).

Con la citata pronuncia questo Tar (discostandosi dall’ orientamento in precedenza seguito dalla stessa Sezione, con le decisioni nn. 1328/2014;
45/2015 e 1676/2015, benchè non sottoposte ad appello) ha ritenuto che la domanda giudiziale dei ricorrenti finalizzata al solo conseguimento del risarcimento del danno per equivalente configuri la rinunzia abdicativa (ritenuta ammissibile da A.P. n. 2/2016 e Cass. S.U. n.715/2015) del diritto di proprietà sui suoli ormai irreversibilmente trasformati e ne ha ammesso il conseguente risarcimento secondo i principi espressi da CdS, Sez. IV, n. 4636/2016: “ con riferimento alla specifica ipotesi in cui il proprietario formuli non già domanda di restituzione ovvero di riduzione in pristino del proprio bene illecitamente occupato dall’amministrazione, bensì di risarcimento del danno patito (con effetti abdicativi del diritto di proprietà), muovendo da tali principi, occorre ancora affermare che:

a) stante la natura abdicativa e non traslativa dell’atto di rinuncia, il provvedimento con il quale l’amministrazione procede alla effettiva liquidazione del danno - rappresentando il mancato inveramento della condizione risolutiva implicitamente apposta dal proprietario al proprio atto abdicativo che di esso rappresenta il presupposto - costituisce atto da trascriversi ai sensi degli artt. 2643, primo comma, n. 5 e 2645 cod. civ., anche al fine di conseguire gli effetti della acquisizione del diritto di proprietà in capo all’amministrazione, a far data dal negozio unilaterale di rinuncia;

b) in ordine alla determinazione del quantum del risarcimento, questo deve essere commisurato al valore venale del bene al momento in cui si perfeziona la rinuncia abdicativa del proprietario al proprio diritto reale, e, trattandosi di debito di valore, con rivalutazione ed interessi al tasso legale, da calcolarsi fino al momento dell’effettivo soddisfo, tenendo presente che in materia di occupazione acquisitiva di un terreno, il risarcimento del danno è calcolato esclusivamente sul suo valore al momento in cui si è verificata la perdita del diritto di proprietà e l’ammontare del danno deve poi essere rivalutato e devono essere corrisposti gli interessi legali semplici applicati al capitale progressivamente rivalutato, non potendo essere riconosciute ulteriori ragioni di danno (cfr. Corte europea diritti dell’uomo, 22 dicembre 2009, Guiso - Gallisay c. Italia;
successivamente Cass. civ., sez. I, 9 luglio 2014, n. 14604);

c) quanto alla determinazione del risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione illegittima (per il periodo antecedente al momento abdicativo del diritto di proprietà), questo può essere calcolato - ai sensi dell’art. 34, co. 4, c.p.a., in assenza di opposizione delle parti e in difetto della prova rigorosa di diversi ulteriori profili di danno - facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42-bis t.u. espr. (cfr. da ultimo sul punto Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2016 n. 3929;
28 gennaio 2016 n. 329;
2 novembre 2011 n. 5844), e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno;

d) omissis;

e) quanto alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato godimento, occorre precisare che esso cessa, come è evidente, nel momento stesso in cui si verifichi la perdita del diritto di proprietà e dunque, nel caso di specie, nel momento in cui risulta perfezionata la rinuncia a tale diritto, implicita nella proposizione della domanda di risarcimento del danno in sede giudiziaria;
pertanto, la prescrizione quinquennale ex art. 2947, co. 1, c.c. (trattandosi di illecito extracontrattuale), avuto riguardo alla domanda riferita al mancato godimento del bene (e cioè alla mancata percezione di un reddito annuo derivante dall’utilizzazione giuridicamente legittima del terreno occupato), decorre dalle singole annualità e fino al momento di perdita del diritto di proprietà. …
”.

Esigenze di uniformità della giurisprudenza, dettate in particolar modo dall’omologia delle controversie, impongono di accedere all’orientamento appena citato.

In continuità con esso deve, altresì, precisarsi che le somme già erogate al dante causa degli attuali ricorrenti, (al quale risulta, in virtù dei mandati di pagamento n. 794 e 826/1986, integralmente pagata l’indennità di esproprio) devono essere, previa attualizzazione, detratte da quelle dovute in forza della presente sentenza (TAR Bari, sez. III, sent. n. 121/2018).

Così enunciati, in termini generali, i principi cui deve uniformarsi l’Amministrazione, si impongono le seguenti considerazioni in ordine ad elementi di dettaglio inerenti, in primo luogo, l’esatta quantificazione della superficie delle aree (che determina, evidentemente il quantum risarcitorio), tra le parti controversa.

Deve, prima di tutto, evidenziarsi che nel ricorso introduttivo e nei successivi scritti difensivi le parti hanno più volte allegato l’occupazione integrale delle 3 particelle in questione (fg. 33, p.lle nn. 100;
101;
432), la cui superficie complessiva ammonta a mq. 6088, ad essa conformando le relative richieste risarcitorie.

Tale allegazione è, tuttavia, smentita dalla stessa perizia di parte ricorrente che, invece, quantifica le superfici inizialmente occupate legittimamente in mq.4910.

Tale dato, relativo all’iniziale occupazione delle dette particelle è confermato dal verbale di immissione in possesso del 28.8.1985 e dai prodromici decreti sindacali n. 4917 e 4918 del 9.7.1985 che individuano le superfici effettivamente occupate.

Può, pertanto, affermarsi che sin dall’inizio l’occupazione delle particelle in questione non è stata integrale, bensì parziale.

Deve poi aggiungersi, procedendo per progressive approssimazioni, che la relazione dell’arch. Papalillo, individua in modo specifico le aree delle predette particelle effettivamente poi edificate, determinandone l’estensione effettiva in mq. 4377.

Tale determinazione va ritenuta certamente più attendibile di quella indicata nella relazione peritale di parte ricorrente.

Infatti, va, in primo luogo, osservato che la relazione tecnica prodotta da parte ricorrente (a firma dell'arch. A) in ordine alla individuazione della effettiva consistenza delle aree occupate, oltre a non essere giurata né asseverata, non risulta, altresì, supportata da effettive e concrete misurazioni dell’estensione delle opere edificate, limitandosi, in definitiva, ad una ricognizione meramente cartolare ed astratta delle risultanze catastali, nonché dei verbali di immissione nel possesso.

La relazione prodotta dal Comune, invece, si segnala per la particolare puntualità e per la specifica determinazione sia delle aree inizialmente occupate, sia delle superfici effettivamente edificate.

Tale specifica comparazione, unitamente alla puntualità e specificità dell’accertamento operato (che in modo minuzioso determina, per ciascuna particella l’area concretamente trasformata in modo irreversibile a seguito dell’edificazione), comporta un giudizio di maggiore attendibilità di tale elaborato peritale, al quale, pertanto, deve farsi riferimento in ordine all’effettiva quantificazione delle aree irreversibilmente trasformate e, per ciò, risarcibili.

Il quantum risarcitorio andrà, pertanto, determinato in relazione all’effettiva estensione edificata pari a mq. 4377.

Ulteriori precisazioni vanno fornite in ordine ai criteri di valutazione del valore venale del bene, secondo i seguenti principi.

Parte ricorrente, richiamando le risultanze della propria relazione di parte a firma dell’arch.A, ambisce a vedersi riconoscere la vocazione edificatoria del suolo, a seguito dell’inclusione dello stesso nel piano di zona per l'edilizia economica e popolare.

Reclama, quindi, che il valore venale del bene (cui commisurare il risarcimento del danno per perdita della proprietà e per l’occupazione illegittima) tenga debitamente conto di tale caratteristica.

Così non è.

Deve, in primo luogo, rilevarsi che, laddove il valore venale tenesse conto delle possibilità edificatorie conseguenti alla variazione particolare dello strumento di pianificazione urbanistica, avente valore di dichiarazione di pubblica utilità (d.p.u.), ancorandovi il quantum risarcitorio nel momento in cui si perfeziona la rinuncia abdicativa, ciò comporterebbe, in capo al proprietario, un’ingiustificata locupletazione derivante dall’accresciuto valore del bene conseguente alla realizzazione delle opere, così conferendo a chi non ne ha sopportato i costi (che gravano sulla collettività), i relativi benefici.

Ulteriori elementi in ordine alla corretta individuazione dei criteri in base ai quali stabilire il valore venale del bene derivano dall’esatto inquadramento della funzione della tutela risarcitoria.

Essa ha carattere alternativo a quella restitutoria che configura la tutela reale del proprietario.

Quest’ultima (che rappresenta la forma principale di tutela) determinerebbe, laddove richiesta, la

restituzione del suolo, previa riduzione in pristino.

Il bene così restituito non potrebbe giovarsi, nella valutazione del suo valore venale, della variazione dello strumento urbanistico avente valore di d.p.u., atteso il carattere particolare e specifico della variazione dello strumento urbanistico e la sua finalità espropriativa e funzionale alla realizzazione di un’opera che esula dalle facoltà edificatorie del privato.

La natura edificatoria va, per ciò, esclusa quando la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (latu sensu considerato), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l'edilizia privata esprimibile dal proprietario dell'area.

Il valore venale del bene andrà, pertanto, commisurato alla classificazione del suolo, in base allo strumento urbanistico vigente al momento della proposizione del ricorso, senza tener conto della sua variazione derivante dalla d.p.u, sicchè il risarcimento andrà determinato in relazione al prezzo di mercato di un fondo con tali caratteristiche (in tal senso Cass. n.5686/2017 ed anche n.17244/2006).

Anche in ordine al quantum risarcitorio determinato dall’occupazione illegittima del bene si impongono ulteriori considerazioni, risultando fondata l’eccezione di prescrizione formulata (sia pure in termini del tutto generali) dal Comune.

Trattandosi di illecito extracontrattuale, la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre, ex art. 2947, co. 1, c.c., dalle singole annualità e fino al momento di perdita del diritto di proprietà e, dunque, nel caso di specie, nel momento in cui risulta perfezionata la rinuncia a tale diritto, implicita nella proposizione della domanda risarcitoria in sede giudiziaria.

Ne consegue che non risulta prescritto quanto maturato nei 5 anni precedenti alla domanda, ossia a ritroso dal 14.6.2013 (data di notificazione del ricorso introduttivo del presente giudizio), non risultando in atti prova documentale di precedenti atti interruttivi e del loro contenuto, solo genericamente allegati.

L’effettiva determinazione del quantum debeatur, secondo gli enunciati parametri di cui a Cons. Stato n. 4636/2016 e con le sopra indicate specificazioni, dovrà essere effettuata dall’Amministrazione intimata, che dovrà provvedere, ai sensi dell’art. 34, comma 4, primo inciso cod. proc. amm., entro il termine di centoventi giorni (decorrente dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della presente decisione, ove anteriore), a formulare una proposta ai ricorrenti, indicante l’ammontare complessivo del dovuto, corredata dall’analisi delle varie voci;
solo in caso di mancato accordo si provvederà alla liquidazione in via giudiziale secondo quanto stabilito dallo stesso art. 34, comma 4, seconda parte cod. proc. amm.

La reciproca soccombenza, il carattere innovativo dell’orientamento seguito, nonché la complessità dei temi trattati, giustifica la compensazione delle spese.

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