TAR Firenze, sez. II, sentenza 2011-03-10, n. 201100453

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2011-03-10, n. 201100453
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201100453
Data del deposito : 10 marzo 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02465/2004 REG.RIC.

N. 00453/2011 REG.PROV.COLL.

N. 02465/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2465 del 2004, proposto da:
C S.r.l., in persona de legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. A G, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Firenze, via Pasquale Villari 39;

contro

Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti D P ed A S, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura comunale in Firenze, piazza della Signoria 1;

Direttore Sviluppo Economico del Comune di Firenze, Dirigente Servizio Polizia Amministrativa del Comune Firenze;

per l'annullamento

del provvedimento n. 16234 di prot. del 23 luglio 2004 del Dirigente del Servizio Polizia Amministrativa del Comune di Firenze, notificato il 1 settembre 2004, con il quale si ordina di cessare immediatamente l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande di tipologia A abusivamente svolta, limitandosi ad esercitare l'attività di somministrazione in conformità con icriteri indicati dall'autorizzazione DIA PE 24797 del 1 ottobre 2002, ai sensi dell'art. 5, comma 1, lett.b) della legge n. 287/91, per l'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande di tipologia B, nei locali posti in Via P.F.Calvi, n. 5/7R;

di tutti gli atti presupposti, conseguenti o altrimenti connessi al precedente, ancorché di estremi e data sconosciuti al ricorrente, ed in particolare, in quanto occorrer possa, del verbale di accertamento e contestazione n. 38964/01/2004/N4 di prot del 26 giugno 2004 della U.O. Polizia Annonaria del Comune di Firenze;

e per l'annullamento, in quanto occorrer possa, dell'art. 282 del regolamento comunale d'igiene del Comune di Firenze;

e per i motivi aggiunti depositati in data 6 maggio 2005.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 dicembre 2010 il dott. P G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 15 novembre e depositato l’11 dicembre 2004, la C S.r.l., titolare dell’attività di bar (tipologia B) corrente in Firenze, via P.F. Calvi, all’insegna “Cafè Pinar”, proponeva impugnazione avverso il provvedimento con cui l’amministrazione comunale aveva disposto nei suoi confronti l’ordine di cessare immediatamente l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande di tipologia A, esercitata in difetto di autorizzazione, e di limitarsi ad esercitare l’attività stessa nei limiti del titolo posseduto. La ricorrente, sulla scorta di due motivi in diritto, concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, unitamente a tutti gli atti presupposti, conseguenti o connessi, compresi il verbale di accertamento e contestazione elevato il 26 giugno 2004 dalla Polizia Annonaria del Comune di Firenze, e l’art. 282 del Regolamento comunale d’igiene.

In corso di causa, con atto di motivi aggiunti depositato il 6 maggio 2005, la società C articolava un’ulteriore doglianza, avuto riguardo alla sopravvenuta entrata in vigore della legge regionale n. 28/05 (c.d. “Codice del commercio”), recante l’abolizione della distinzione fra autorizzazioni di tipo A e B ed il riconoscimento del diritto di estendere la propria attività in favore dei titolari di autorizzazioni di tipo B.

Costituitosi in giudizio il Comune di Firenze, che resisteva al gravame, la controversia veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 22 dicembre 2010, preceduta dal deposito di memorie difensive e repliche.

DIRITTO

L’impugnazione ha per oggetto il provvedimento del 23 luglio 2004, in epigrafe, mediante il quale la Direzione Sviluppo Economico del Comune di Firenze ha ordinato alla ricorrente C S.r.l., titolare di autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione e bevande di tipo B nei locali di via P.F. Calvi 5/7r, di cessare immediatamente l’attività di tipo A ivi svolta abusivamente, e di limitarsi ad esercitare nel rispetto del titolo autorizzativo posseduto. Presupposto del provvedimento impugnato è l’accertamento condotto presso i locali predetti dagli agenti del locale corpo di Polizia Annonaria, di cui al verbale in data 26 giugno 2004, dal quale risulta che al momento del controllo nell’esercizio gestito dalla ricorrente erano presenti, in orario serale, avventori intenti a consumare primi e secondi piatti, con servizio ai tavoli.

Con il primo motivo, rubricato “Incompetenza. Violazione e falsa applicazione degli articoli 270 e 280 del regolamento di igiene del Comune di Firenze”, la società ricorrente afferma che la vigilanza ed il controllo sulla produzione e commercio di sostanze destinate all’alimentazione – attività amministrative cui il provvedimento impugnato afferirebbe – spettano alla U.O. comunale di Igiene Pubblica, e non alla Direzione dello Sviluppo Economico, da tale rilievo discendendo l’incompetenza dell’organo procedente.

Il motivo è manifestamente infondato, stante l’estraneità di qualsivoglia profilo igienico-sanitario all’accertamento eseguito presso il locale gestito dalla ricorrente, volto unicamente alla verifica della corrispondenza fra l’autorizzazione commerciale posseduta dalla ricorrente medesima e la tipologia di attività ivi esercitata. Correlativamente, l’atto impugnato non può che essere ascritto all’esclusivo ambito dei controlli in materia di commercio di spettanza della Direzione Sviluppo Economico, come, del resto, si ricava inequivocabilmente dall’inquadramento della fattispecie, ad opera della stessa amministrazione procedente, nella disciplina degli art. 3 e 10 dell’allora vigente legge n. 287/91.

Con il secondo motivo, rubricato “Eccesso di potere, particolarmente sotto il profilo della irragionevolezza, del difetto dell’istruttoria, del travisamento delle risultanze dell’istruttoria e del travisamento ed erronea valutazione dei fatti”, la ricorrente contesta che gli accertamenti eseguiti presso il “Cafè Pinar” possano avere come risultato quello di mutare la natura dell’esercizio da bar (esercizio di tipo B) a ristorante (esercizio di tipo A), dal momento che la qualificazione dell’esercizio dipenderebbe dalla tipologia del servizio, e non dalle pietanze somministrate;
inoltre, gli alimenti rinvenuti nella cucina del locale dagli agenti accertatori sarebbero stati utilizzabili per la preparazione di primi piatti, alla cui somministrazione essa ricorrente era autorizzata. Ad ogni buon conto, sono dedotte l’irragionevolezza e l’illegittimità dell’art. 282 del regolamento comunale d’igiene, ove l’interpretazione datane dall’amministrazione procedente dovesse rivelarsi l’unica praticabile.

Il motivo è infondato.

L’art. 5 della legge n. 287/91 – applicabile ratione temporis ai fatti di causa – distingue, fra gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, quelli di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande anche aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (tipo A: ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari) da quelli per la somministrazione di bevande, anche alcoliche di qualsiasi gradazione, nonchè di latte, dolciumi, e prodotti di gastronomia (tipo B: bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari). La distinzione è pedissequamente riprodotta nell’art. 282 del regolamento fiorentino di igiene, che contiene una elencazione esemplificativa dei “prodotti di gastronomia” somministrabili negli esercizi di tipo B (antipasti, paste alimentari, riso, piatti unici, secondi piatti, contorni, verdure);
il successivo art. 283 classifica, quindi, gli esercizi pubblici di somministrazione in relazione ai rispettivi requisiti minimi igienico-sanitari, dividendo gli esercizi di tipo B in diverse categorie, in ragione dell’ampiezza dell’autorizzazione sanitaria richiesta dal genere di prodotti oggetto di preparazione e somministrazione (bar e caffè con somministrazione di piatti caldi anche precotti;
pizzerie non in possesso delle attrezzature tipiche degli esercizi di ristorazione;
bar caffè con preparazione di panini, tramezzini, tartine ecc.;
bar e caffè con sola pasticceria da colazioni e non;
pasticcerie e/o gelaterie artigianali;
mescite;
piccoli laboratori annessi all’esercizio di vendita di generi alimentari;
rosticcerie, gastronomie;
esercizi di generi alimentari;
chioschi): dal combinato disposto delle previsioni regolamentari appena citate, risulta dunque evidente che non tutti gli esercizi di tipo B sono per ciò solo abilitati alla somministrazione di tutte le preparazioni classificate come “prodotti di gastronomia” dall’art. 282 co. 1 n. 2), ma solo quelli muniti dei requisiti igienico-sanitari occorrenti ai sensi dell’art. 283.

Tanto premesso, è pacifico che la ricorrente C sia subentrata nell’autorizzazione sanitaria rilasciata in origine alla ditta Calzolari Stefano per l’attività di mescita di caffè e bevande di qualsiasi gradazione alcolica, somministrazione di primi piatti semilavorati surgelati di altrui produzione con stoviglie monouso, produzione di panini ripieni, tramezzini, toast, sandwich, produzione di panna montata, preparazione e somministrazione di primi piatti. Dall’accertamento della Polizia Annonaria di cui al verbale del 26 giugno 2004 emerge invece, come detto, che presso il “Cafè Pinar” erano presenti avventori intenti a consumare pietanze non contemplate dall’autorizzazione sanitaria (le cozze in guazzetto, per comune esperienza non assimilabili ad un primo piatto), e che il menù a disposizione della clientela illustrava una serie di preparazioni (secondi piatti di pesce, i cui ingredienti sono stati rinvenuti nel frigorifero dell’esercizio) parimenti estranee all’autorizzazione;
e tali circostanze di fatto sono del tutto idonee ad integrare la violazione contestata.

Se, infatti, è vero che la preparazione e somministrazione di secondi piatti è consentita dal regolamento di igiene anche ad esercizi che classifica di tipologia B (le rosticcerie e le gastronomie), è altrettanto innegabile che il rilascio dell’autorizzazione sanitaria costituisce uno dei presupposti per l’esercizio dell’attività di somministrazione, ma non coincide con l’autorizzazione all’apertura dell’esercizio, disciplinata dall’art. 3 della legge n. 287/91 e da questo condizionata al rispetto della pianificazione territoriale ed al principio del contingentamento numerico: basti osservare che la stessa classificazione degli esercizi contenuta nel citato art. 5 della legge n. 287/91 vale, per espresso disposto della legge, “anche ai fini della determinazione del numero delle autorizzazioni rilasciabili in ciascun comune e zona”, dovendosi allora concludere nel senso della reciproca autonomia dei requisiti igienico-sanitari e commerciali.

Ne discende che, sul piano commerciale, la natura dell’attività non può farsi dipendere, come pretenderebbe la ricorrente, dalla tipologia del servizio isolatamente considerata, bensì dalla combinazione di tutti gli elementi di cui si compone la prestazione offerta alla clientela. E, nella specie, tale prestazione non soltanto non è conforme all’autorizzazione sanitaria posseduta dalla società C, ma presenta i caratteri – somministrazione di pasti completi (primi e secondi piatti, bevande), con servizio ai tavoli – che notoriamente connotano l’attività di ristorazione di tipo commerciale A, piuttosto che quella di bar di tipo B, e che valgono anche a rendere l’attività svolta dalla ricorrente non assimilabile a quella degli esercizi che il regolamento di igiene qualifica di tipo B ed autorizza alla somministrazione dei secondi piatti (nelle rosticcerie e gastronomie, a tacer d’altro, tradizionalmente non si effettua alcun servizio ai tavoli). Del tutto corretta risulta, pertanto, la valutazione di fatto operata dall’amministrazione procedente, e consequenziale, in diritto, la determinazione assunta.

Con l’atto di motivi aggiunti, la società ricorrente sostiene che, essendo entrata in vigore nelle more del giudizio la legge regionale toscana n. 28/05, la quale ha abolito la distinzione fra autorizzazioni di tipo A e B e sancito il diritto dei titolari di autorizzazioni del secondo tipo di estendere la propria attività, dovrebbe ravvisarsi l’illegittimità sopravvenuta del provvedimento impugnato, quantomeno in relazione alla sua efficacia per il futuro.

Anche detta censura va respinta, con le precisazioni che seguono.

È noto che la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio tempus regit actum , con conseguente irrilevanza di eventuali sopravvenienze normative che determinino l’abrogazione della disciplina che aveva legittimato l’adozione del provvedimento stesso, fatta salva l'ipotesi eccezionale – e non ricorrente nel caso in esame – di invalidità successiva introdotta da una norma sopravvenuta espressamente retroattiva, nei limiti in cui ciò possa considerarsi costituzionalmente legittimo (da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 settembre 2009, n. 5195). Alla stregua di tali consolidati principi, dai quali non vi sono ragioni per discostarsi, lo jus superveniens rappresentato dalla legge regionale n. 28/05 non inficia la legittimità dell’ordine di cessazione qui impugnato e degli effetti da esso prodotti, pur precludendone di ulteriori una volta venuta meno la distinzione tra le diverse tipologie di esercizi. Vale dunque, ma solo per il futuro, la possibilità per la società ricorrente di estendere la propria attività, previo l’eventuale aggiornamento dell’autorizzazione sanitaria.

In forza di tutto quanto precede, l’impugnazione non può trovare accoglimento. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

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