TAR Lecce, sez. I, sentenza 2009-05-07, n. 200901004

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. I, sentenza 2009-05-07, n. 200901004
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 200901004
Data del deposito : 7 maggio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00343/2009 REG.RIC.

N. 01004/2009 REG.SEN.

N. 00343/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 343 del 2009, proposto da:
S Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Antonino Salvatore Isgro', U D L, con domicilio eletto presso Giulio Petruzzi in Lecce, via Taranto 243;

contro

Comune di Taranto, rappresentato e difeso dall'avv. A D T, con domicilio eletto presso T F in Lecce, piazzetta Montale,2;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

del provvedimento del Comune di Taranto - Struttura Unica Attività Produttive, SUAP, prot. n. 4738, del 10 dicembre 2008 e prot. n. 110372 del 15 dicembre 2008 del Comune di Taranto, a firma del Responsabile Struttura Unica Attività Produttive;
nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Taranto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22/04/2009 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti gli Avv.ti Saverio Sticchi Damiani, in sostituzione dell’Avv. Isgrò, e De Tommaso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

In data 17 giugno 2008 la società ricorrente presentava denuncia di inizio attività per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW.

Dopo avere ricevuto anche la comunicazione di inizio lavori, con nota 26 agosto 2008 il Comune di Taranto inibiva la realizzazione di lavori in assenza della documentazione richiesta con circolare della Regione Puglia 1° agosto 2008.

Con nota in data 8 settembre 2008, la società interessata dava riscontro alla richiesta istruttoria del Comune, sottolineando in ogni caso come la DIA fosse già maturata per effetto del decorso del termine di trenta giorni.

Con nota 16 ottobre 2008, il Comune di Taranto rinnovava la predetta richiesta istruttoria che veniva definitivamente esitata dalla società ricorrente il successivo 2 novembre 2008 (depositata il 6 novembre).

Con nota n. 4738 in data 10 dicembre 2008 la medesima amministrazione comunale, nel dare atto della positiva produzione, ad opera del privato, della documentazione richiesta in data 26 agosto 2008, faceva in ogni caso presente – attraverso il rinvio ad un parere interno della direzione urbanistica – che il Comune era in procinto di dotarsi di apposita regolamentazione di settore la quale avrebbe previsto, tra l’altro, la stipula di un atto di impegno concernente obblighi, garanzie, tempi e modalità di gestione.

Quest’ultimo atto è stato dunque impugnato per i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 23 del testo unico edilizia nella parte in cui non ha tenuto conto che al momento della adozione della nota gravata (10 dicembre 2008) il titolo edilizio si era ormai validamente formato per effetto del decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione dell’ultima DIA (6 novembre 2008);

b) difetto di motivazione e contraddittorietà con precedenti comportamenti della PA;

c) violazione di legge (239 del 2004) e dell’art. 23 Cost. nella parte in cui richiede nella sostanza un contributo che può essere ammesso solo per legge e non per effetto di singoli provvedimenti comunali, benché di natura regolamentare;

d) eccesso di potere per assenza di comparazione dei diversi interessi in giuoco.

Si costituiva in giudizio il Comune di Taranto il quale eccepiva innanzitutto l’inammissibilità del ricorso, in quanto la nota del 10 dicembre 2008 costituisce mera nota di trasmissione di un parere endoprocedimentale. Peraltro, il parere della direzione urbanistica fa parte di un procedimento che si concluderà con provvedimento unico. Nel merito, la PA conserverebbe sempre poteri di controllo successivo anche in ordine ai titolo edilizi formatisi per silentium.

Alla pubblica udienza del 22 aprile 2009 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni e la causa veniva infine trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va innanzitutto premesso che la nota in data 10 dicembre 2008, pur rinviando al parere della direzione urbanistica, nella sostanza ne fa propri i contenuti. Trattandosi di atto comunque proveniente dall’unità organizzativa (sportello unico attività produttive) istituzionalmente preposta alla adozione di atti con rilevanza esterna nella materia de qua (impianti di energia rinnovabile), se ne deduce che, seppure implicitamente, essa contiene una ulteriore forma di inibizione (o meglio una sospensione, come si vedrà) circa la realizzazione dell’intervento.

A ciò si aggiunga che il procedimento unico cui fa riferimento la difesa comunale si riferisce agli impianti superiori ad 1 MW, mentre nella specie si tratta di impianti di potenza senz’altro inferiore.

L’eccezione di inammissibilità deve essere dunque respinta, conservando la nota citata del 10 dicembre 2008 effetti direttamente ed immediatamente lesivi della posizione giuridica vantata dalla società ricorrente, essendo a quella data riconducibile la volontà compiutamente espressa dalla PA.

2.1. Nel merito si rileva in via assorbente che il predetto ordine (nella sostanza, sospensione) è stato adottato a seguito della scadenza del termine previsto per la formazione del titolo edilizio, che la legge fissa in trenta giorni dalla presentazione della DIA.

Quest’ultima è stata infatti (ri)presentata in data 6 novembre 2008.

Da tale data il termine di trenta giorni è dunque venuto a scadenza il successivo 6 dicembre 2008.

La nuova sostanziale inibitoria, sotto forma di implicita sospensione, è invece intervenuta il 10 dicembre 2008, dunque ben oltre il prescritto termine di trenta giorni.

A tale riguardo, è ius receptum che la DIA prevista dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento: in merito ad essa la PA svolge una eventuale attività di controllo – nel termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA stessa – che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo) del titolo legittimante l’inizio dei lavori.

Ora, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà;
dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004). Pertanto, detta limitazione temporanea non può che avere carattere perentorio, non potendo lasciarsi al mero arbitrio dell’amministrazione la disponibilità dei diritti sopra indicati, costituzionalmente garantito. Ove, pertanto, dopo la presentazione della denuncia di inizio attività decorra infruttuosamente il termine di 30 giorni previsto, la conseguenza che da ciò deriva è la formazione dell’autorizzazione edilizia implicita (cfr., in termini, T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 8 giugno 2005, n. 433).

Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990. E ciò in quanto con il decorso del termine fissato dal legislatore si forma una autorizzazione implicita di natura provvedi mentale.

Circa l’esercizio di siffatto potere non v’è tuttavia traccia nel caso di specie: avuto riguardo allo specifico contenuto del provvedimento impugnato, infatti, emerge inequivocabilmente che il Comune ha tardivamente esercitato proprio quel controllo sul progetto che l’ordinamento colloca – come già detto – perentoriamente in una fase precedente alla formazione del titolo edilizio. In altre parole, la rappresentazione delle cause ostative (sulla cui legittimità in sé, peraltro, ci si soffermerà più avanti) è stata intempestivamente posta in essere solo dopo la chiusura per silentium della fase istruttoria, ossia allorquando il tiolo edilizio doveva ritenersi già positivamente assentito.

2.2. In secondo luogo – e ferma restando la già rilevata scadenza del termine perentorio – secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che – pur afferenti a precise finalità tutelate dalla legge e sulla cui legittimità il collegio non ritiene di soffermarsi, stante la loro attuale inapplicabilità – allo stato risultano solo in corso di predisposizione.

2.3. Peraltro, un simile potere soprassessorio (sospensione della pratica DIA in attesa della adozione del regolamento di settore) non appare altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento (d.lgs. n. 387 del 2003 e DPR n. 380 del 2001). Infatti, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste. E ciò tanto più ove si tratti – come nella specie – di incidere su attività economiche: a) in via di principio soggette a (parziale) liberalizzazione (citato art. 1 della legge n. 239 del 2004);
b) ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE, la quale prevede inoltre la riduzione di qualsivoglia ostacolo normativo) e ancor prima a livello internazionale (v. Protocollo di Kyoto).

In questa prospettiva, il provvedimento sospensivo-inibitorio si appalesa anzi oltremodo posto in violazione di principi fondamentali di semplificazione stabiliti dalla legislazione statale in materia di energia (d.lgs. n. 387 del 2003), la quale prevede termini come visto perentori (in particolare, 180 gg. per gli impianti superiori ad 1 MW e 30 gg. per quelli di potenza inferiore) per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione, quand’anche ad tempus e non sine die (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006).

Si tratta in conclusione, come correttamente evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, di una inammissibile sospensione atipica della funzione amministrativa.

Le censure qui complessivamente affrontate debbono dunque essere accolte.

3. Il collegio si esime dall’affrontare le ulteriori censure riguardanti il parere del settore urbanistico e, in particolare, alcuni degli aspetti che si intenderebbe disciplinare con regolamento comunale di settore (es.contributo di costruzione), stante la chiara assenza di lesività di disposizioni che allo stato sono ancora in corso di elaborazione e di adozione.

4. Per tutte le ragioni sopra esposte il ricorso è fondato e deve essere accolto. Per l’effetto debbono essere annullati la nota n. 4738 in data 10 dicembre 2008, adottata dallo sportello unico attività produttive del Comune di Taranto, nonché il presupposto parere n. 105371 del 3 dicembre 2008 della direzione urbanistica dello stesso Comune.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo

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