TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2017-05-09, n. 201700201

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2017-05-09, n. 201700201
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - L'Aquila
Numero : 201700201
Data del deposito : 9 maggio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/05/2017

N. 00201/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00296/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 296 del 2010, proposto da:
-OISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A P, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Isidoro Isidori in L'Aquila, via Giosue' Carducci, 30;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico;

per il risarcimento dei danni derivanti dall'illecita condotta tenuta dal datore di lavoro;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2017 la dott.ssa Paola Anna Gemma Di Cesare e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- -OISSIS-, afferma di essere -OISSIS-in servizio presso la -OISSIS-e riferisce, in punto di fatto che: nel 1992, a causa del comportamento vessatorio di un suo superiore chiedeva ed otteneva il distacco dalla -OISSIS-;
in conseguenza delle vessazioni subite sul lavoro la Commissione medica ospedaliera di Chieti gli diagnosticava “nevrosi d’ansia e nevrosi cardiaca”;
nel 2008 era nominato Direttore della -OISSIS-la stessa persona che nel 1992/1993 aveva tenuto comportamenti vessatori nei suoi confronti, sicché si troverebbe nuovamente a subire comportamenti persecutori e lesivi.

Tali comportamenti vessatori, spiega il ricorrente, si estrinsecavano:

a) nell’adozione di un provvedimento con il quale era escluso dalle funzioni di -OISSIS-, le cui mansioni erano affidate ad altro dipendente di grado inferiore, mentre il ricorrente era indicato come “sostituto”, senza che di fatto, gli fosse consentito di espletare tali funzioni sostitutorie, venendo inviato in missione presso la-OISSIS-al precipuo scopo di impedirgli l’esercizio di tali compiti;

b) nell’esclusione dal ruolo di formatore per “incompatibilità”, nonostante fosse in possesso dei titoli idonei per lo svolgimento di tale attività;

c) nell’illegittimo rigetto della richiesta di ottenere ore di permesso in recupero;

d) nell’assegnazione di mansioni fittizie e demansionamento, avvenuto con ordine di servizio del -OISSIS-, con il quale il ricorrente era costretto a forzata inattività, limitando il suo compito alla sola esecuzione di fotocopie e notificazioni;
l’assenza di compiti di lavoro risulterebbe provata dal fatto che l’unità operativa nella quale era stato assegnato era utilizzata anche da altri uffici;

e) con provvedimento 29 giugno 2009 al ricorrente veniva attribuito un giudizio di valutazione peggiore rispetto a quello dell’anno precedente, incompatibile con la nota di merito ricevuta in precedenza;

f) da marzo 2009 a settembre 2009 era sottoposto a due procedimenti disciplinari, poi esitati con l’archiviazione.

Con certificato del 3 dicembre 2009 -OISSIS-refertava a carico dell’odierno ricorrente un disturbo dell’adattamento di tipo misto riconducibile all’ambiente lavorativo.

Il ricorrente allega, altresì, perizia del -OISSIS-, che diagnostica un disturbo dell’adattamento di tipo misto, con sintomi di ansia e depressione.

Il ricorrente, in punto di diritto, lamenta di aver subito un danno da demansionamento (danno alla professionalità ed alla personalità morale), un danno biologico scaturito dalla patologia (“disturbo dell’adattamento” e “episodio depressivo maggiore”) contratta a causa delle avverse condizioni di lavoro, un danno esistenziale.

-OISSIS- chiede, pertanto, la condanna dell’Amministrazione -OISSIS- al risarcimento del danno per violazione degli obblighi, cui è tenuto il datore di lavoro, di protezione dell’integrità psicofisica di ciascun dipendente oppure ai sensi degli articoli 2049 e 2043 del codice civile, quantificato nella somma di euro -OISSIS-(o in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia) di cui: a) Euro -OISSIS-quale danno alla professionalità derivante da dequalificazione e forzata inattività, pari ad una mensilità della retribuzione per ogni mese per il quale si è protratta le dequalificazione;
b) Euro -OISSIS-, quale danno biologico dovuto ad una invalidità permanente del 20 per cento;
c) Euro -OISSIS-quale danno esistenziale.

2.- Per resistere al ricorso si è costituito il Ministero della Giustizia, il quale chiede il rigetto del ricorso, non avendo parte ricorrente fornito la prova relativo al danno subito, al nesso di causalità, alla reiterazione di condotte aggressive da parte del datore di lavoro.

3.- Con ordinanze 338/2016 e 747/2016 sono stati richiesti incombenti istruttori a carico dell’Amministrazione.

4.- Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2017 la causa è stata riservata per la decisione.



3. Il ricorso è infondato.

5.- Il ricorrente domanda il risarcimento dei danni che gli sarebbero derivati sia dall’illegittimo “demansionamento” sia dal complessivo comportamento di mobbing posto in essere nei suoi confronti.

Il demansionamento consiste nell’attribuzione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto a quelle della sua qualifica di appartenenza e tale condotta, qualora provochi danni morali e professionali, dà diritto al risarcimento indipendentemente dalla ulteriore sussistenza del mobbing (cfr., Consiglio di Stato, Sez. III, 12 gennaio 2015 n. 28 del 2015;
T.R.G.A. Trentino - Alto Adige, Bolzano, 23 settembre 2015, n. 279 del 2015;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 marzo 2015, n. 342).

Il mobbing, invece, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (Cons. Stato, Sez. VI, 12/3/2015 n. 1282).

Quanto al danno da demansionamento e al danno da mobbing, nel giudizio risarcitorio che si svolge davanti al giudice amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto degli artt. 2697 c.c. (secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e 63, co. 1 e 64, co. 1, c.p.a. (secondo cui l'onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità), non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio;
pertanto, il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica, deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda.

Con riferimento al danno da demansionamento, sul piano probatorio, sebbene l’obbligo del datore di lavoro di adibire il lavoratore alle mansioni rispondenti alla categoria attribuita o a mansioni equivalenti a quelle da ultimo svolte abbia natura contrattuale, tuttavia il contenuto del preteso demansionamento va comunque esposto nei suoi elementi essenziali dal lavoratore che non può, quindi, limitarsi genericamente a dolersi di essere vittima di un illecito, ma deve almeno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il Giudice amministrativo possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di una condotta illecita;
ciò, peraltro, sul presupposto che l'illecito di demansionamento non è ravvisabile in qualsiasi inadempimento alle obbligazioni datoriali bensì soltanto nell'effettiva perdita delle mansioni svolte (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 7 febbraio 2015, n. 2280).

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, il ricorrente, è tenuto a dimostrare la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, quali: a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo appositamente sistematico e reiterato contro il dipendente secondo un disegno intenzionalmente vessatorio;
b) l'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore;
d) l'elemento soggettivo consistente nell'intento persecutorio ovvero nel perseguimento di un disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito (Cons. Stato, Sez. III, 14/5/2015 n. 2412);
un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16/4/2015 n. 1945;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2016, n. 4509).

In relazione, poi, allo specifico pregiudizio professionale, biologico ed esistenziale lamentato dal lavoratore, esso deve essere parimenti allegato e provato dal danneggiato, in quanto non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nelle suindicate categorie. Non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, ma incombe sul lavoratore l’onere di allegare non soltanto gli elementi costitutivi del demansionamento o del mobbing, ma anche di fornire la prova, ex art. 2697 c.c., del danno non patrimoniale che ne è derivato e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (

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