TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2023-03-27, n. 202301913

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2023-03-27, n. 202301913
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202301913
Data del deposito : 27 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/03/2023

N. 01913/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01950/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1950 del 2019, proposto da
M R, S T, rappresentati e difesi dall'avvocato M A Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Pozzuoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Coop. Edil Rinascita Flegrea S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, F L, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

della disposizione dirigenziale prot. n. 12552 del 19/2/2019 del Comune di Pozzuoli, Sportello Unico per l'Edilizia, notificata ai ricorrenti in data 20/02/2019, con la quale il Comune ha annullato: “…il provvedimento n. 81667 del 20/11/2018 di annullamento della segnalazione certificata di inizio attività edilizia relativa al cambio di destinazione d'uso di un locale, sito in Pozzuoli, Via Allodi n. 94, dalla categoria catastale A/10 foglio 9 p.lla 550 sub 66 ex 54 (studio medico) alla categoria A/2 (residenziale) n. 2017/32374 del 04/05/2017…” e disposto: “…l'annullamento dell'efficacia della segnalazione certificata di inizio attività edilizia relativa al cambio della destinazione d'uso di un locale, sito in Pozzuoli, via Allodi n. 94, dalla categoria catastale A/10 foglio 9 p.lla 550 sub 66 ex 54 (studio medico) alla categoria A/2 (residenziale), n. 2017/32374 del 04/05/2017 e, per illegittimità derivata, della CILA pratica n. 1143/2017 LAV n. 2017/88486…”.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pozzuoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 16 marzo 2023, svoltasi con modalità di cui all’art. art. 87 comma 4-bis del c.p.a., il dott. Gianluca Di Vita e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I ricorrenti espongono in fatto di aver acquistato dalla società cooperativa “Soc. Coop. Edil. Rinascita Flegrea”, la proprietà dell’unità immobiliare facente parte del fabbricato nominato “Corpo 3” sito in Pozzuoli (NA) alla Via Paolo Alfonso Allodi n. 100, località Monteruscello.

L’immobile è individuato quale “appartamento ad uso abitativo posto al piano primo, della consistenza catastale di 4,5 (quattro virgola cinque) vani catastali”.

Il fabbricato di cui fa parte l’appartamento è riportato nel N.C.E.U. al foglio di mappa 9 particella 550 e fu realizzato in virtù di concessioni edilizie n. 30/1978 e n. 15/1980 e di titolo in variante n. 97/1984.

Rappresentano che, in data 3.5.2017, antecedente all’acquisto dell’immobile da parte dei privati, la cooperativa dante causa aveva depositato presso il Comune di Pozzuoli – Sportello Unico Edilizia Privata una segnalazione certificata di inizio attività avente ad oggetto il cambio di destinazione d’uso dalla categoria A/10 (studio professionale) alla categoria A/2 (residenziale).

Si dolgono che, con disposizione dirigenziale prot. n. 12552 del 19.2.2019, il Comune di Pozzuoli abbia disposto l’annullamento dell’efficacia della predetta Scia e, per illegittimità derivata, anche della Cila presentata per i lavori di manutenzione.

Giova premettere che, a sostegno dell’avversata azione amministrativa, il Comune ha addotto i seguenti argomenti: I) in origine l’immobile era classificato in cat. C/1 e, nel 1997, vi è stata modifica della destinazione attraverso variazione catastale con passaggio alla cat. A/10 (studio professionale);
II) la nuova destinazione impressa con la Scia del 3.5.2017 (cat. A/2) colliderebbe con le NTA del PRG che, all’art. 5, non consentirebbe il cambio di destinazione delle lett. ‘b’ (produttiva, in cui rientrerebbe lo studio professionale) e ‘c’ (diverse da quelle residenziali e produttive;
es. religiose, amministrativa) a quelle di cui alla lett. ‘a’ (residenziale di cui alla cat. A/2);
tanto al fine di realizzare il c.d. “diradamento funzionale delle residenze attuato mediante il cambio dell’attuale destinazione d’uso degli immobili da residenziale a produttiva e ad altre finalità” (art. 10 delle NTA);
III) non sarebbe quindi possibile il cambio di destinazione d’uso da studio medico rientrante nella categoria “produttiva” di cui alla lett. ‘b’ ad abitativo rientrante nella categoria residenziale di cui alla lett. ‘a’;
IV) il cambio di destinazione non potrebbe ritenersi assentito dalla previsione di cui all’art. 23 ter del D.P.R. n. 380/2001 come modificato dal D.L. n. 133/2014 che consente il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale (nel caso in esame residenziale), in quanto la novella farebbe salve le diverse previsioni delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali;
V) la modifica della destinazione richiesta (da commerciale a residenziale) richiederebbe la presentazione di un permesso di costruire.

Peraltro, occorre anche rilevare che, con il medesimo provvedimento, il Comune disponeva l’annullamento in autotutela di un precedente analogo atto di autotutela del 20.11.2018 (annullamento dell’efficacia della Scia), in quanto erroneamente indirizzato al legale rappresentante della società cooperativa dante causa, anziché ai privati che, nel frattempo, avevano acquistato il cespite, i quali avanzavano istanza di accesso agli atti e presentavano istanza di autotutela dolendosi della mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Avverso tale determina insorgono gli istanti che lamentano i profili di illegittimità di seguito rubricati: violazione di legge, violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, violazione della L. n. 241/1990, violazione dell’art. 21 nonies della L. n. 241/1990, eccesso di potere, ingiustizia manifesta, illogicità, violazione del D.P.R. n. 380/2001.

In sintesi, svolgono le seguenti argomentazioni:

- l’annullamento degli effetti della Scia attuato con il gravato provvedimento del 19.2.2019 (peraltro erroneamente riferito ad altro civico n. 94) si palesa tardivamente adottato oltre il termine di 18 mesi previsto dall’art. 21 nonies della L. 241/90, nella formulazione vigente ratione temporis, decorrente dalla presentazione della Scia (4.5.2017), non potendosi ritenere utilmente e tempestivamente esercitato il precedente annullamento in autotutela di cui al provvedimento n. 81667 del 20.11.2018 in quanto mai trasmesso ai ricorrenti;

- l’azione amministrativa sarebbe insufficiente, generica ed apodittica, essendosi il Comune limitato ad affermare “…dopo un’attenta ponderazione degli interessi in gioco, che l’interesse generale al diradamento funzionale di una zona satura, segnatamente l’esigenza pubblica di limitare la destinazione d’uso residenziale e di favorire la destinazione d’uso commerciale/produttiva, è prevalente rispetto a quello del privato dei coniugi R M e S T”, avendo tralasciato di tenere conto della situazione di affidamento dei privati, originato dall’acquisto di un immobile ad uso abitativo;

- non potrebbe ravvisarsi il dedotto interesse al “diradamento funzionale di una zona satura” (cioè contrario all’aumento del carico urbanistico), visto che la possibilità di realizzare frazionamenti e/o accorpamenti di unità immobiliari anche residenziali è stata espressamente esclusa dal Comune di Pozzuoli (delibera consiliare n. 7 del 13.3.2015) solo per le zone A, B1 e B2 e non per la zona B6 in cui ricade l’immobile;

- contrariamente a quanto affermato dal Comune di Pozzuoli, l'immobile in questione appartiene alla categoria residenziale ed è irrilevante il cambio d'uso da “studio” ad “abitazione”, in quanto relativo a categorie omogenee, attenendo entrambe alla stessa destinazione;
in proposito, gli istanti evidenziano che l’art. 5 delle NTA al PRG consente il cambio di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria omogenea, quindi anche dalla categoria A/10 alla A/2;

- il diradamento funzionale previsto dall’art. 10 delle NTA al PRG riguarderebbe solo le zone a più alto impatto sismico e, segnatamente, le zone A, B1, B1r, B2, B2r, ma non anche la zona B6 in cui si trova l’appartamento di cui si controverte;

- il cambio d'uso sarebbe sempre ammesso in quanto non comporterebbe aumento del carico urbanistico o di volumetria residenziale, aggravio di standard, non altererebbe il rispetto dei parametri di zona in quanto avviene all’interno della stessa categoria omogenea;

- l’intervento richiesto dalla Cooperativa, con il cambio di destinazione d’uso dalla cat. A/10 ad A/2, sarebbe consentito dall’art. 23 ter, introdotto dall’art. 17 co. 1 lett. n) del D.L. n. 133 del 12/09/2014 convertito in Legge dalla L. 11/11/2014 n. 164, che stabilisce quali sono i mutamenti della destinazione d’uso da ritenere “urbanisticamente rilevanti” i quali necessitano di uno specifico titolo abilitativo edilizio;
il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale risulterebbe urbanisticamente non rilevante e sarebbe pertanto sempre consentito;

- in relazione all’affermazione del Comune, secondo cui occorrerebbe una richiesta di permesso di costruire per un cambio di destinazione d’uso, parte ricorrente rammenta che la Regione Campania, con la L. Reg. n. 19/2001, art. 2, modificata dalla L.Reg. n. 16/2004, ha stabilito che possono essere realizzati in base a semplice denunzia d’inizio attività (oggi Scia) “i mutamenti di destinazione d’uso d’immobili o loro parti, che non comportino interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, e di volumi e superfici”, aggiungendo che “la nuova destinazione d’uso deve essere compatibile con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica per le singole zone territoriali omogenee” (comma 1, lett. f).

Concludono con le richieste di accoglimento del gravame e di conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Resiste in giudizio il Comune di Pozzuoli che replica alle censure e chiede il rigetto del gravame.

All’udienza del 16.3.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato.

In tema di Scia giova rammentare che, secondo consolidata giurisprudenza. una volta decorso il termine ordinario previsto dall'art. 19, comma 3 e 6-bis, della L. n. 241/1990 per l'esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione conserva un residuale potere di autotutela;
tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dagli artt. 21-quinques e 21-nonies della L. n. 241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. II, 4 febbraio 2022, n. 782).

Come chiarito anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 45 del 13 marzo 2019, "il comma 3 dell'art. 19 attribuisce alla P.A. un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi;
il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili "in presenza delle condizioni" previste dall'art. 21-novies della stessa legge n. 241 del 1990. Quest'ultimo articolo, a sua volta, disciplina l'annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi. Il comma 6-bis dell'art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni e prevedendo, inoltre, che, "restano [...] ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali".

Orbene, nel caso in esame, il provvedimento oggetto di gravame del 19.2.2019 è stato pacificamente adottato oltre il termine di 18 mesi (vigente ratione temporis) dalla presentazione della Scia (3.5.2017) sicché l’autotutela si palesa illegittima in quanto tardivamente adottata.

Si aggiunga che la ragione addotta dal Comune per giustificare detto ritardo (erronea individuazione del destinatario del provvedimento che aveva dato luogo al provvedimento di annullamento del 20.11.2018 e alla successiva riedizione del procedimento di secondo grado nei confronti degli odierni ricorrenti) non assume rilievo scriminante.

Al riguardo, non si ravvisano le condizioni che, secondo orientamento consolidato, consentono il superamento del rigido termine per l’autotutela che, come noto, è consentito: a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerente ai presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive), nel qual caso sarà necessario l'accertamento definitivo in sede penale;
b) qualora l'acclarata erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente alla mala fede oggettiva) della parte, nel qual caso - non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione dell'iniziativa rimotiva - si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco;
c) oltre ai casi di falsa attestazione, in casi di dichiarazione resa in modo "tale da non permettere una completa verifica di conformità".

Difatti, alcuna delle summenzionate ipotesi sussiste nel caso in esame, non essendo stata contestata una falsa attestazione del privato, una condotta dolosa del dichiarante nella rappresentazione dei luoghi, ovvero ancora una erroneità dei presupposti non imputabile all’amministrazione.

Per l’effetto, non resta che fare applicazione dell’indirizzo pretorio secondo cui l’attuale versione dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 ha riconfigurato il potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti rispetto ai provvedimenti attributivi di utilità giuridiche od economiche, fissando altresì il detto termine massimo. A tale interpretazione conduce sia la lettera del comma 1 (secondo cui trattasi di termine “comunque non superiore a diciotto mesi …” nella formulazione vigente ratione temporis) sia dal contenuto del comma 2 - bis (secondo il quale le eccezioni sono soltanto quelle ivi previste);
ed invero, la natura perentoria del termine è stata affermata da diversi precedenti (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017 n. 3462;
26 giugno 2018 n. 3940), dovendosi ribadire che si è in presenza di un limite temporale assoluto, il cui superamento preclude definitivamente l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio …” (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2129/2019).

Infine, si aggiunga che alla predetta decisione non ostano i precedenti di questo Tribunale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, n. 3314 e n. 3316 del 2020) con cui, in riferimento alla medesima vicenda, sono stati dichiarati in parte improcedibili ed in parte sono stati rigettati analoghi gravami proposti da altri ricorrenti, ritenendo nella sostanza legittimo il potere di autotutela esercitato dall’ente locale. Ciò in quanto la decisione di accoglimento del presente giudizio si fonda su un profilo di illegittimità specifico (violazione del termine per l’esercizio dell’autotutela) che non risultava espressamente dedotto nei precedenti, come risulta dall’esame delle precitate sentenze.

In conclusione, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3225/2017;
n. 3229/2017;
Cassazione civile, Sez. V, n. 7663/2012). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

La peculiare natura delle questioni esaminate e l’esistenza di precedenti decisioni di questo T.A.R. di diverso tenore giustificano la integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.

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