TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2023-04-17, n. 202302326

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2023-04-17, n. 202302326
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202302326
Data del deposito : 17 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/04/2023

N. 02326/2023 REG.PROV.COLL.

N. 03413/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3413 del 2018, proposto da
Ing. A M Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marco Andreoli in Napoli, via dei Fiorentini n.21;

contro

Comune di Teverola (Ce), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G D B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

a) della nota prot. n. 3621 dell'11.5.2018 a firma del Responsabile dell'Area Tecnica di Teverola con la quale si sollecita il pagamento di € 146.911,00 a titolo di “contributo di costruzione: oneri di urbanizzazione – costo di costruzione” in relazione al p.d.c. n. 12/2011 del 21.03.2014 rilasciato alla società ricorrente;

b) dell'intimazione di pagamento prot. n. 2051 del 3.4.2017 a firma del Responsabile dell'Area Tecnica di Teverola con la quale è stato richiesto alla società ricorrente il pagamento dell'importo di € 104.936,70 a titolo di “contributo di costruzione: oneri di urbanizzazione – costo di costruzione” in relazione al p.d.c. n. 12/2011 del 21.03.2014 rilasciato alla società ricorrente;

c) di ogni altro atto ad essi preordinato, connesso e presupposto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Teverola (Ce) in persona del Legale Rapp.Te pro tempore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 23.2.2023 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Allega in fatto la società ricorrente, di essere titolare di un permesso di costruire (p.d.c.), prot.n. 12/2014, rilasciato dal Comune di Teverola, che autorizza la variazione di destinazione d’uso di 25 unità immobiliari, già esistenti, da alloggi di servizio a residenze, nonché il frazionamento di una unità immobiliare, a destinazione d’uso produttivo-commerciale, in due unità distinte.

Agisce in giudizio per sentire dichiarare non dovuti gli oneri concessori – connessi al rilascio del summenzionato p.d.c. - così come rideterminati dal Comune di Teverola, impugnando le note di intimazione di pagamento (prot.n. 2051/2017) e di sollecito di pagamento (prot.n. 3621/2018) con cui l’ente ne ha disposto la rettifica, rispetto a quanto stabilito al momento del rilascio del titolo.

La vicenda prende le mosse dal titolo, rilasciato all’odierna ricorrente (determina dirigenziale prot.n. 79/2009), in forza di convenzione sottoscritta in data 18.09.2002, per l’istituzione dei suddetti alloggi di servizio – assentiti con p.d.c. prot.n. 68/2009 - nell’area del P.I.P. (piano degli insediamenti produttivi) comunale (approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 32/2001).

A seguito della delibera del Consiglio Comunale di Teverola n. 33/2013 con cui è stato adottato il PUC (piano urbanistico comunale), poi, l’area interessata dall’immobile in oggetto è stata sottratta al perimetro del P.I.P. e ricompresa nella zona omogenea B1, che contempla, secondo quanto chiarito in punto di fatto nel ricorso, anche la destinazione residenziale.

Il 21.3.2014, pertanto, la società odierna ricorrente ha chiesto e ottenuto il titolo autorizzatorio (prot.n. 12/2014) per

-la variazione di destinazione d’uso delle 25 unità immobiliari già realizzate da alloggi di servizio a residenze;

-il frazionamento di una unità produttivo-commerciale in due distinte unità.

Al rilascio di detto permesso, è seguita la nota prot.n. 1955/2014 di quantificazione degli oneri concessori da corrispondere, i quali sono stati commisurati dall’Ente con riguardo ai soli costi di costruzione (euro 4.275,00), ritenendo non dovuti oneri di urbanizzazione, “trattandosi di variazione di destinazione d’uso da alloggi di servizio a residenze senza opere specifiche”.

Il Comune, tuttavia, a seguito di un controllo scaturito dalle verifiche della Corte dei Conti, ha successivamente ritenuto inesatto il calcolo degli oneri concessori così inizialmente operato e, con nota prot.n. 2051/2017, ha intimato alla deducente il pagamento, entro 15 giorni, della somma integrativa del contributo già versato, quantificandola in euro 104.936,70 a titolo di oneri di urbanizzazione relativi al sottotetto.

Con lettera del 19.9.2017, pertanto, la società ha contestato la fondatezza della pretesa avanzata dall’Ente e lo ha diffidato dall’inoltrare ulteriori richieste di pagamento.

Con nota prot.n. 3621/2018, in ultimo, constatato il mancato pagamento degli oneri concessori integrativi nel termine stabilito, l’amministrazione ha inoltrato alla ricorrente sollecito di pagamento della somma intimata, maggiorata degli interessi moratori maturati, per un totale di euro 146.911,38.

Assumendo l’illegittimità della pretesa avanzata dal Comune, l’odierna deducente ha affidato il ricorso a due motivi di doglianza, sostenendo (questo - in estrema sintesi - il contenuto del ricorso):

-in primo luogo, l’infondatezza della rideterminazione degli oneri concessori operata dall’Ente, in quanto non sarebbero dovuti ulteriori contributi a titolo di oneri di urbanizzazione perché il cambio da alloggio di servizio a residenza non costituirebbe una variazione di destinazione d’uso rilevante ex art. 23 ter D.P.R. n. 380/2001, non determinando un aumento nel carico urbanistico;

-in secondo luogo, il difetto di motivazione, nonché la contraddittorietà con quanto precedentemente valutato, della nuova quantificazione degli oneri concessori;

-in terzo luogo, la tardività dell’atto impugnato, ritenendolo equiparabile ad un provvedimento di autotutela e, dunque, soggetto ai termini di cui all’art. 21-nonies L. n. 241/1990;

-in ultimo, in subordine, l’erroneità del calcolo effettuato ai fini della rideterminazione del contributo dovuto.

Il Comune, costituitosi in giudizio il 4.2.2019, ha difeso l’operato dei propri uffici, sostenendo:

-la doverosità, oltre che la tempestività, dell’atto di rideterminazione degli oneri di urbanizzazione precedentemente mal calcolati, in quanto il mutamento di destinazione d’uso autorizzato avrebbe determinato l’assegnazione delle unità immobiliari ad una diversa categoria funzionale (da produttiva a residenziale) e, dunque, avrebbe comportato un aumento del carico urbanistico, così qualificandosi come rilevante ex art. 23-ter cit.;

-che anche l’assentito frazionamento dell’unità immobiliare in due distinte unità ha concorso all’insorgere degli ulteriori oneri di urbanizzazione liquidati;

-la correttezza della quantificazione operata.

L’amministrazione, peraltro, ha preliminarmente eccepito la tardività del ricorso, per omessa impugnazione dell’atto di intimazione di pagamento (prot.n. 2051/2017) nei termini che questa assume applicabili (60 giorni), ritenendolo assoggettabile al regime di impugnazione tipico degli atti provvedimentali.

In ultimo, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità per tardività dei documenti depositati dalla ricorrente il 16.1.2023 (il d.d. n. 79/2009 e il p.d.c. n. 68/2009) e il loro stralcio dal fascicolo del presente giudizio.

All’udienza del 23.2.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’infondatezza nel merito del ricorso esime questo Collegio dal soffermarsi diffusamente sulle questioni di rito.

Giova, tuttavia, preliminarmente chiarire, cogliendo l'occasione offerta dalla sollevata eccezione di tardività del ricorso, che è opinione consolidata quella per cui “la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma (…) dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dell’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria del 30.8.2018, n. 12).

In altri termini, poiché l’atto di quantificazione/rideterminazione degli oneri concessori non è esercizio di una potestà autoritativa ma è atto iure gestionis, quella azionata dalla ricorrente è una posizione di diritto soggettivo e, come tale, oltre a soggiacere all’ordinario termine prescrizionale (10 anni), dà luogo ad un giudizio di accertamento del rapporto giuridico che lega le parti in causa, non di legittimità dell’azione amministrativa.

Va da sé, pertanto, che l’atto per cui si ricorre, non avendo natura provvedimentale, non rappresenta neppure esercizio del potere di autotutela.

Simile premessa consente di sgomberare il campo dalle sollevate censure – che, pertanto, devono essere respinte - di tardività (riferita ad un inesistente esercizio del potere di autotutela) e di difetto di motivazione dell’atto di intimazione di pagamento degli oneri concessori, poiché tipiche del giudizio impugnatorio-annullatorio e proprie di atti della p.a. che, a differenza di quello in parola, hanno carattere provvedimentale, nei confronti dei quali il privato assume una posizione di interesse legittimo anziché di diritto soggettivo.

Così sgomberato il campo dalle censure di difetto di motivazione e violazione della normativa di settore in tema di autotutela, il ricorso si rivela infondato anche in relazione alle altre censure che ne rappresentano il vero punto nodale.

Con la prima doglianza, la società ricorrente, assumendo totalmente equivalenti i concetti di utilizzo abitativo e di categoria funzionale residenziale, ha sostenuto la non debenza di oneri di urbanizzazione connessi al rilascio del p.d.c. (prot.n. 12/2014) con cui il Comune ha assentito la variazione di destinazione d’uso delle 25 unità immobiliari da alloggi di servizio in residenze, in quanto – in tesi – la categoria funzionale sarebbe rimasta invariata, così escludendo il verificarsi di un’alterazione del carico urbanistico e, in definitiva, la rilevanza del mutamento di destinazione d’uso ex art. 23-ter D.P.R. n. 380/2001.

Il motivo è infondato.

Giova, per ragioni di chiarezza espositiva, primariamente inquadrare gli istituti coinvolti nel presente giudizio, cominciando dal contributo di urbanizzazione, dovuto all’Ente a titolo di corrispettivo per il rilascio del permesso di costruire, che rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica necessaria alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

La funzione degli oneri di urbanizzazione, in altri termini, è quella di partecipare alle spese che la collettività – e per essa il suo ente territoriale esponenziale- deve sostenere per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, dato dalla domanda di strutture ed opere collettive che deriva dall’insediamento primario.

In quanto tale, siffatto contributo deve essere qualificato come un’obbligazione di diritto pubblico, imposta al privato al momento del rilascio del permesso di costruire.

Tra l’amministrazione e il privato, quindi, si instaura, in questo caso, un rapporto paritetico, per cui, come anticipato, l’atto di quantificazione degli oneri di urbanizzazione (e, in generale, degli oneri concessori) non è espressione di una potestà autoritativa, ma esercizio della posizione creditoria in cui si trova la p.a. nei confronti del privato che ha ottenuto il titolo edilizio.

Ciò detto, è da osservare che la società ricorrente - nell’assumere che la variazione di destinazione d’uso assentita con il p.d.c. prot.n. 12/2014 non ha determinato un mutamento anche della categoria funzionale delle unità immobiliari coinvolte, sostenendo che gli alloggi di servizio, in quanto adibiti ad uso abitativo, appartengono a tutti gli effetti alla categoria residenziale - confonde l’utilizzo cui è destinato l’immobile con la sua categoria funzionale.

Ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione dovuti e, dunque, della valutazione sull’alterazione del carico urbanistico, va considerato l’immobile in relazione al tipo di insediamento che determina e, dunque, per la sua categoria funzionale.

Che le unità immobiliari, in quanto alloggi di servizio, avessero uso abitativo già prima della variazione di destinazione non consente di inquadrarle de plano nell’ambito della categoria residenziale, visto che il profilo relativo all’utilizzo dell’immobile lo definisce in quanto entità autonoma, ma nulla dice sul suo rapporto con la zona in cui insiste e, ancor prima, sulla destinazione funzionale dell’immobile principale cui accedono (di cui gli alloggi di servizio ripetevano la destinazione funzionale) e dunque, sul carico urbanistico che produce.

Per comprendere, dunque, a quale categoria funzionale fossero ascrivibili gli alloggi prima che diventassero residenze, bisogna considerarne il rapporto di accessorietà (potenzialmente pertinenziale) con le strutture produttive al servizio delle quali erano stati realizzati e, quindi, ritenere che ne abbiano mutuato la natura produttivo-direzionale.

Tanto deriva dalla considerazione che, al tempo in cui le unità immobiliari erano ancora alloggi di servizio, l’insediamento, nel suo complesso, aveva carattere produttivo (tant’è che erano stati realizzati in esecuzione di un PIP), mentre con la variazione di destinazione d’uso è mutato anche il tipo di insediamento e, con esso, la domanda di strutture e opere collettive, così determinando un’alterazione del carico urbanistico.

D’altro canto, appare perfettamente logico che un’area che accoglie immobili residenziali necessiti di opere di urbanizzazione primaria e, soprattutto, secondaria diverse da quelle richieste da un’area destinata ad attività produttive, dove la presenza di alloggi è esclusivamente limitata alla necessità che alcune categorie di dipendenti abitino nei pressi del luogo di lavoro.

Peraltro, il fatto che la società ricorrente non ha allegato il versamento di oneri di urbanizzazione residenziale al momento dell’ottenimento del p.d.c. prot.n. 5351/2009 per l’istituzione degli alloggi di servizio, lascia intuire che siano stati, viceversa, versati unicamente gli oneri di urbanizzazione commisurati al carattere produttivo dell’insediamento.

Tanto ad ulteriore conferma dell’originaria natura produttivo-direzionale degli stessi alloggi di servizio, ancorché adibiti ad abitazione dei dipendenti.

Da tanto, la sicura debenza degli oneri di urbanizzazione connessi al rilascio del p.d.c. prot.n. 12/2014, circostanza che doveva necessariamente indurre il Comune ad un atto di rideterminazione degli stessi, a correzione di quanto precedentemente erroneamente valutato con la nota prot. n. 1955/2014.

Con ulteriore motivo di ricorso, in subordine, la deducente contesta la quantificazione, operata dall’Ente, degli oneri di urbanizzazione inevasi, giudicandola erronea perché – in tesi - disancorata dai criteri imposti dalla delibera consiliare n. 23/2014 e sostenendo, invece, applicabile, ai fini del corretto calcolo, il coefficiente 0,9 (€/mc) fornito dalla tabella di cui all’allegato A della stessa delibera per l’ipotesi di “interventi di ristrutturazione con variazione di destinazione d’uso”.

Il motivo è infondato.

La contestazione non è sufficientemente specifica.

Occorre, infatti, preliminarmente rilevare che l’amministrazione ha liquidato gli oneri concessori ancora dovuti in euro 104.936,70 a titolo di “oneri di urbanizzazione relativi al sottotetto” (così testualmente nella prima ingiunzione di pagamento), cioè ad una parte ben precisa della costruzione.

La relazione tecnica (depositata in data 12.1.2023) cui si riporta, per la reclamata quantificazione, la ricorrente, invece, si esprime come segue: “ Volendo considerare comunque in ogni caso essenziale tale variazione si dovrebbe far riferimento al vigente regolamento comunale per gli oneri di urbanizzazione che prevede espressamente un valore unitario per mc. di volume interessato per la specifica attività di variazione di destinazione d’uso.

Tale valore è pari a 0,90 €/mc. e quindi porterebbe ad un complessivo per l’intervento pari ad € (8606x0,90) 7.745,40.

Tale importo è ben lontano dai € 104.936,70 richiesti senza alcuna specifica.

A voler approfondire tale aspetto della fantasiosa valutazione effettuata si rileva che anche se si volesse applicare al volume oggetto di intervento il valore degli oneri urbanizzazione previsto per la nuova edificazione nella zona territoriale omogenea “B” si giungerebbe a:

8606 mc. x € 5,61 = € 48.279,66

Ancora ben lontano dalla richiesta somma di € 104.936,70.

In nessun modo, dunque, si fornisce specifico riferimento al sottotetto, così escludendo qualsiasi profilo di persuasività della quantificazione prospettata in ricorso, la quale nulla indica rispetto agli oneri di urbanizzazione connessi al mutamento di destinazione d’uso di quella determinata porzione di immobile.

A ciò si aggiunga che il sottotetto, per sua natura, non è abitabile e ciò lascerebbe intendere, in mancanza di allegazione di alcun progetto, né quello originario, né quello proposto in sede di variazione, (mai versato in atti dalla ricorrente), che vi sia stato un certo qual tipo di intervento edilizio per renderlo compatibile con la nuova destinazione d’uso assegnatagli: quella residenziale.

Questo conferma l’incongruenza del calcolo proposto dalla ricorrente, la quale fa applicazione di un coefficiente che non appare pertinente al caso di specie.

La società, pertanto, per efficacemente evidenziare un eventuale errore dell’amministrazione nella liquidazione degli oneri concessori inevasi, avrebbe dovuto specificamente argomentare in ordine al sottotetto e agli eventuali interventi cui è stato sottoposto per renderlo adeguato alla nuova destinazione.

Per le ragioni suesposte il ricorso non può trovare accoglimento.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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