TAR Milano, sez. III, ordinanza collegiale 2020-12-02, n. 202002361

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, ordinanza collegiale 2020-12-02, n. 202002361
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202002361
Data del deposito : 2 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/12/2020

N. 00727/2013 REG.RIC.

N. 02361/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00727/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 727 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da


Centro Cardiologico S.p.A. Fondazione Monzino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G C e M S C, con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, via Marina, 6


contro

Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S G e A S, domiciliata in Milano, piazza Città di Lombardia, 1

nei confronti

Azienda Ospedaliera "Istituti Clinici di Perfezionamento", non costituita in giudizio

per l'annullamento

della D.G.R. n. IX/4232 del 25 ottobre 2012, in parte qua , atto impugnato con il ricorso introduttivo;

della D.G.R. n. X/824 del 25 ottobre 2013, in parte qua , atto impugnato con motivi aggiunti.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia;

Visto l’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020;

Visto l’art. 79 c.p.a.;


Con ricorso depositato in data 22 marzo 2013, integrato da motivi aggiunti, la società Centro Cardiologico S.p.A. - Fondazione Monzino ha impugnato, in principalità, la deliberazione di Giunta regionale della Lombardia che ha previsto “l’abbattimento” di sistema applicato a tutti gli erogatori privati (quali la ricorrente) nella liquidazione degli importi riconosciuti nel 2012 per le “funzioni non tariffate” a ciascuno attribuite.

Si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso, la Regione Lombardia, e la causa è stata trattenuta in decisione in data 10 novembre 2020.

Ritiene il Collegio che, per le ragioni di seguito illustrate, debba essere disposta la sospensione del giudizio ai sensi del combinato disposto degli artt. 79, primo comma, cod. proc. amm. e 337, secondo comma, cod. proc. civ..

Le questioni poste dalla ricorrente nell’odierna controversia sono state infatti già esaminate e decise dalla Sezione con sentenza n. 1882/2019, che ha in parte respinto e in parte dichiarato improcedibili ricorso introduttivo e motivi aggiunti in quella sede proposti da altro operatore privato;
la stessa sentenza è stata appellata dalla ricorrente in primo grado e l’appello è attualmente pendente dinanzi al Consiglio di Stato nel giudizio RG n. 1843/2020.

La difesa dell’odierna parte ricorrente, con atti depositati in prossimità dell’udienza di merito, ha chiesto la cancellazione della presente causa dal ruolo in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato sul giudizio d’appello, o comunque la sospensione del giudizio, rilevando che l’esito di tale giudizio inciderà sulla permanenza del suo interesse alla decisione del ricorso in esame.

E’ opinione del Collegio che effettivamente sussista una nesso di interdipendenza fra esito del giudizio d’appello e interesse della ricorrente ad ottenere una decisione di merito nel presente giudizio.

A questo proposito si osserva che, come noto, la regola contenuta nell’art. 2909 cod. civ. (secondo cui il giudicato ha effetto esclusivamente nei confronti delle parti del giudizio) trova importanti eccezioni non codificate nel processo amministrativo. Queste eccezioni sono state individuate dal giudice amministrativo in epoca risalente e trovano la loro giustificazione nella constatazione che, in determinate ipotesi – in base a regole logiche prima ancora che giuridiche – l’effetto costitutivo della sentenza di annullamento non può essere soggettivamente frazionato.

Rientrano in questa casistica le sentenze di annullamento degli atti generali e cioè di quegli atti che, al pari degli atti normativi, non sono rivolti ad uno o più destinatari predeterminati. La modificazione giuridica operata dalla sentenza di caducazione di un atto generale non può infatti che estendersi a tutti i potenziali destinatari dell’atto stesso, compresi coloro che non siano stati parte del giudizio di annullamento, non essendo concepibile, sotto il profilo logico, che l’atto generale annullato possa continuare a produrre effetti nei confronti di chi non lo abbia impugnato.

Da quanto sopra discende che, qualora un atto generale sia già stato annullato con sentenza passata in giudicato, non è possibile proporre un altro giudizio finalizzato all’annullamento di quel medesimo atto, essendo evidente la carenza di interesse per chiunque ad ottenere tale risultato. Ne consegue che il nuovo giudizio non potrà che essere dichiarato inammissibile o improcedibile a seconda che l’annullamento sia intervenuto prima o dopo la sua proposizione.

Applicando questi principi al caso in esame, si deve ritenere che, avendo i provvedimenti odiernamente impugnati natura di atti generali, qualora il giudizio d’appello proposto contro la sentenza n. 1882 del 2019 venisse accolto, l’effetto di annullamento avente ad oggetto tale delibera non potrebbe che estendersi anche nei confronti dei soggetti che non sono stati parti di quel giudizio, compresi l’odierna ricorrente, la quale perderebbe interesse alla decisione del presente ricorso.

La questione principale del giudizio d’appello costituisce dunque questione pregiudiziale da vagliare nel presente giudizio al fine di accertarne l’ammissibilità posto che, come ripetuto, il definitivo annullamento in altro giudizio dell’atto impugnato in questa sede priverebbe la ricorrente dell’interesse a ricorrere.

Ciò precisato, va ora osservato che, in base all’art. 337, secondo comma, cod. proc. civ. – applicabile anche nel processo amministrativo in virtù del richiamo operato dall’art. 79 cod. proc. amm. (cfr. Consiglio di Stato, IV, 4 settembre 2018, n. 5185) – quando l’autorità di una sentenza è invocata in altro processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata. Come chiarito dalla giurisprudenza, questa norma, a differenza di quella analoga contenuta nell’art. 295 cod. proc. civ. (la quale presuppone la contemporanea presenza di due giudizi di primo grado e non lascia alcuna discrezionalità), conferisce al giudice un potere discrezionale di sospensione, e si applica quando, per legge o volontà delle parti che ne chiedono l'accertamento in via principale, un determinata questione oggetto del vaglio del giudice d’appello, si ponga a sua volta come fatto costitutivo o per contro impeditivo di un diritto sostanziale o processuale controverso od esercitato in altro giudizio (cfr. Cass. Civ,. sez. un., 19 giugno 2012, n. 10027).

La disposizione, in altri termini, nell’evidente logica di prevenire lo svolgimento di attività processuali che potrebbero poi perdere ogni utilità, consente al giudice investito della causa pregiudicata di sospendere il processo in attesa che il giudizio pregiudiziale sia deciso “venendo in tal modo bilanciata l’esigenza di ragionevole durata del processo con l’esigenza – parimenti meritevole di attenzione – di coerenza dell’ordinamento, sub specie di prevenzione del contrasto tra giudicati” (cfr. Consiglio di Stato, VI, ord. 30 dicembre 2019, n. 8901).

Si è detto che, in base all’interpretazione giurisprudenziale, deve considerarsi questione pregiudicante sottoposta al vaglio del giudice d’appello, non solo quella che abbia ad oggetto fatti costitutivi od impeditivi di un diritto sostanziale, ma anche quella che abbia ad oggetto un fatto impeditivo del sorgere di un diritto processuale;
ne consegue che, a parere del Collegio, la sospensione del processo può essere disposta anche quando l’esito del giudizio d’appello vada ad incidere su una condizione dell’azione propria di tale processo, quale è l’interesse a ricorrente (nel senso che la sospensione può essere disposta nel caso in cui l’esito del giudizio d’appello incida sulla legittimazione ad agire si veda T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, ord. 15 maggio 2020, n. 822).

Ne deriva, in tale quadro, che il Collegio ritiene più appropriato disporre, in luogo della cancellazione della causa dal ruolo, la sospensione del processo ai sensi del combinato disposto degli artt. 79 cod. proc. amm. e 337, secondo comma, cod. proc. civ., posto che, per le ragioni sopra illustrate, l’esito dell’appello proposto contro la sentenza RG n. 1882 del 2019 incide indubbiamente sull’interesse della parte alla coltivazione del presente giudizio (in caso di accoglimento dell’appello non potrà che essere dichiarata l’improcedibilità del presente giudizio).

Quanto alla disciplina applicabile alla successiva attività di riassunzione, si deve applicare l’art. 80, comma 1, cod. proc. amm. (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, ord. 11 marzo 2019, n. 210);
pertanto, l’istanza di fissazione di udienza per la prosecuzione del presente giudizio dovrà essere presentata, a cura della parte interessata, entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa della sospensione, ovvero la definizione del giudizio pendente davanti al Consiglio di Stato (R.G. n. 1843/2020).

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