TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-08-30, n. 201809104

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-08-30, n. 201809104
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201809104
Data del deposito : 30 agosto 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/08/2018

N. 09104/2018 REG.PROV.COLL.

N. 06226/2016 REG.RIC.

N. 06495/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6226 del 2016, proposto da
C P, rappresentato e difeso dagli avvocati P P, M U, con domicilio eletto presso lo studio Avv.Ti Amministrativisti Adlaw in Roma, Lungotevere dei Mellini, 24;

contro

Comune di Lariano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, domiciliato presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, via Flaminia 189;



sul ricorso numero di registro generale 6495 del 2016, proposto da
C P, rappresentato e difeso dagli avvocati P P, M U, con domicilio eletto presso lo studio Avv.Ti Amministrativisti Adlaw in Roma, Lungotevere dei Mellini, 24;

contro

Comune di Lariano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, domiciliato presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, via Flaminia 189;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 6226 del 2016:

- del provvedimento di rimessa in pristino dello stato originario dei luoghi con la demolizione di opere edilizie eseguite in assenza di dia o permesso di costruire.

quanto al ricorso n. 6495 del 2016:

- del provvedimento prot. n. 2880 del 17.02.2016 avente ad oggetto l’accertamento dell'inottemperanza alla demolizione e conseguente avvio della procedura di acquisizione al patrimonio comunale di un immobile abusivo e dell'area di pertinenza.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Lariano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2018 la dott.ssa F R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente è proprietario di un terreno sito a Lariano, Via Roma 270/a, distinto in catasto al foglio 17 particella 172, ricadente, nel vigente PRG, in zona H3- sul quale ha realizzato un intervento edilizio che ha definito come “immobile completamente interrato destinato a ricovero attrezzi da lavoro”, di cui, con l’ordinanza impugnata, viene intimata la demolizione. L’interessato precisa di essere stato destinatario, in passato, di ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi n. 6 del 27.05.2010 (impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato non ancora deciso) che, però, aveva ad oggetto un diverso intervento edilizio, peraltro realizzato su altro terreno di sua proprietà (distinto in catasto al foglio 1712 particella 1206) e per il quale era stato anche condannato in sede penale dal Tribunale di Velletri con sentenza n. 108/2009.

Con ricorso n. 6226/2016 il predetto impugna l’ordinanza n. 6 del 12.2.2016, con il quale il Comune di Lariano ha ordinato la demolizione dell’immobile seminterrato sopraindicato così descritto: "Realizzazione di un manufatto in c.a. formato da n. 8 pilastri (tre lati sotto terra ed uno scoperto) delle dimensioni di circa ml 15,80 x 6,40 avente altezza media di circa ml 6,60, allo stato grezzo, avente n. 3 magazzini al piano S2, il piano S1 risulta aperto su un lato. Il solaio al piano di copertura appare sotto il piano di campagna per una misura media di ml 1,00 circa".

Detta ordinanza ingiunge la demolizione delle opere predette entro il termine di 90 giorni, avvertendo che, in caso di inottemperanza, sarebbe acquisita gratuitamente al patrimonio comunale l’area così indicata: una superficie pari a mq. 1113,44 "o la maggiore consistenza fino alla superficie dovuta pari a quella abusivamente eseguita (sup. coperta x 10 volte)".

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di censura: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10, 1. 241/90 in relazione alla sanabilità dell'opera. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e falsità dei presupposti. In via subordinata, violazione e falsa applicazione dell'art. 36, d.P.R. n. 380/01;
2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 31, d.P.R. n. 380/01 e dell'art. 15, l.reg. Lazio, n. 15/08. Violazione e falsa applicazione dell'art. 8, NTA — PRG Lariano. Violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6, d.m. 2/8/1969. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10, 1. 241/90. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata con memoria scritta a difesa del proprio operato. Per la discussione cautelare ha depositato una memoria reiterativa.

In vista della trattazione del merito, il Comune ha depositato una “memoria di replica” nella quale ha rappresentato che, siccome nelle more del presente giudizio parte ricorrente ha depositato istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 in data 12.09.2017, chiedendo l’accertamento di conformità dell’intervento oggetto dell’ordinanza demolitoria impugnata, il ricorso dovrebbe essere dichiaro improcedibile.

Con memoria di replica il ricorrente ha contrastato le difese della resistente, eccependo tra l’altro l’inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione dell’atto impugnato ove l’Amministrazione rappresenta che, siccome la zona in cui sorge il manufatto abusivo è soggetta a vincolo paesaggistico - ambientale, trova applicazione l’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 sull’autorizzazione paesaggistica a sanatoria (inoltre trattandosi di territorio a rischio sismico sarebbe richiesto anche il nulla osta del Genio Civile).

Con memoria depositata in vista dell’udienza odierna il Comune ha rappresentato che sulla predetta domanda si è formato il silenzio-diniego di cui all’art. 36 comma 3 DPR 380/2001.

Con ricorso n. 6495/2016 il ricorrente impugna l’atto indicato in epigrafe, prot. n. 2880 del 17.2.2016, con cui il Comune di Lariano, a seguito dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi impugnata con il precedente ricorso, e facendo riferimento anche al precedente abuso ed alla relativa sentenza penale di condanna, ha dichiarato l’intervenuta acquisizione ope legis al patrimonio comunale del manufatto abusivo in questione e dell’area di sedime, oltre al terreno circostante, per una superficie pari a mq. 1113,44.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 DPR 380/2001 e dell’art. 15 LR 15/2008, nonché degli artt. 3 e 6 Legge n. 241/1990, difetto di istruttoria nonché di motivazione, violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 6 Legge n. 241/1990 e dell’art. 31 DPR 380/2001 in relazione alla mancata indicazione dell’area di sedime dell’abuso e all’erroneità dei calcoli. Difetto di istruttoria, perplessità ed indeterminatezza dell’azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 septies della Legge 241/1990 per mancanza dei requisiti essenziali del provvedimento;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 DPR 380/2001 e dell’art. 15 LR 15/2008 sotto il profilo dell’incompetenza del Comune a disporre l’acquisizione gratuita di area paesaggisticamente vincolata;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 co. 9 DPR 380/2001 e dell’art. 15 LR 15/2008 sotto il profilo dell’incompetenza del Comune a dare esecuzione al giudicato penale di condanna;
violazione dell’art. 4 prot. 7 CEDU: questione di legittimità costituzionale degli art. 31 co. 3 e 9, TUED, in relazione agli artt. 10, 117 e 27 Cost. (per contrasto con l’art. 4 prot. 7 CEDU), nonché dell’art. 27 Cost (per violazione del diritto di difesa ed alla riabilitazione);
5) violazione degli artt. 7 e ss. Legge 241/1990, nonché la violazione degli artt. 6 e 8 CEDU: questione di legittimità costituzionale dell’art. 31 co. 3 e 9 TUED, in relazione agli artt. 10 e 117 Cost. (per contrasto con gli artt. 6 e 8 CEDU).

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata con memoria scritta a difesa del proprio operato, al quale il ricorrente ha replicato con articolata memoria.

Con ordinanza n. 7044/2016 l’istanza di sospensiva è stata accolta.

In vista della trattazione del merito, il Comune ha depositato una memoria riproduttiva di quella già depositata, alla quale il ricorrente ha replicato richiamando il principio di sinteticità con propria memoria-nota d’udienza.

Con “memoria di replica” l’Amministrazione ha rappresentato che, siccome nelle more del presente giudizio, parte ricorrente ha depositato istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 in data 12.09.2017, riguardante proprio l’opera oggetto dell’ordinanza demolitoria n° 5 del 27.05.2010, il ricorso dovrebbe essere dichiaro improcedibile.

Con memoria depositata in vista dell’udienza odierna il Comune ha rappresentato che sulla predetta domanda si è formato il silenzio-diniego di cui all’art. 36 comma 3 DPR 380/2001.

All’udienza pubblica del 10.7.2018 le cause sono state trattenute in decisione per la decisione congiunta.

DIRITTO

Deve innanzitutto essere disposta la riunione dei ricorsi in esame per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

Va, in via preliminare, precisato che non ha alcun rilievo la vicenda processuale relativa all’impugnativa dell’ordinanza n. 6 del 27.05.2010 (avverso la quale il ricorrente ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato) dato che questa ha ad oggetto un diverso intervento edilizio, peraltro realizzato su altro terreno di sua proprietà e su diversa particella di terreno, come ammesso dalla stessa resistente nella propria memoria di costituzione.

Si può prescindere dall’esame dell’eccezione di improcedibilità, stante l’evidente infondatezza del merito del ricorso.

Con il primo mezzo di gravame il ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento, con lesione dell'esercizio dei diritti partecipativi sanciti dalla Legge n. 241/1990, che avrebbe impedito di rappresentare al Comune il carattere (a suo avviso) meramente formale degli abusi contestati, dato che gli interventi sarebbero “conformi con le previsioni urbanistiche di zona” (a tale riguardo il ricorrente rappresenta che l'opera in contestazione, destinata a ricovero attrezzi, è totalmente interrata, come risulta dagli accertamenti svolti e dall'ordinanza di demolizione, evidenziando che "il solaio al piano di copertura appare sotto il piano di campagna per una misura media di ml 1,00 circa". Ed infatti il manufatto sfrutta la notevole acclività del suolo, che digrada da est ad ovest dalla quota di 356,18 m (s.l.m.) a 342,85 rn, creando un dislivello di 13,3 ml., per cui, anche a giudizio del perito tecnico privatamente consultato dall’interessato, sarebbe conforme all'art. 8, c.7, NTA — PRG del Comune di Lariano che prevedono che “in tutte le zone del PRG sono esclusi dal computo della cubatura realizzabile .. i volumi ... relativi a locali interrati o seminterrati (non oltre un metro fuori ter¬ra) destinati esplicitamente a cantine ..."), con conseguente inapplicabilità dell'art. 21 octies della medesima L. n. 241/1990.

La censura va disattesa alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, condiviso dal Collegio secondo cui la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non consente l’annullamento giurisdizionale dell'ordine di demolizione - stante l’effetto della dequotazione introdotta dall'articolo 21- octies, l. 7 agosto 1990, n. 241 - in quanto quest’ultimo costituisce un atto dovuto e dal contenuto rigidamente vincolato, presupponente un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime per cui l’omissione di tale garanzia procedimentale non assume rilievo determinante, specie quando emerga che il contenuto dell'ordinanza conclusiva del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello che è stato in concreto adottato" (vedi, tra tante, da ultimo T.A.R. Napoli, Campania, sez. III, n. 4048/2018, con richiamo a Consiglio di Stato, sez. VI , 12 agosto 2016, n. 3620).

Questo è proprio il caso della controversia in esame, in cui, se anche ove non gli fosse stato precluso l'esercizio dei diritti partecipativi sanciti dalla Legge n. 241/1990, l’esito del procedimento non avrebbe potuto essere diverso, con conseguente piena applicabilità dell'art. 21 octies della medesima L. n. 241/1990, dato che la sanatoria dell’intervento in contestazione, realizzato su territorio soggetto a rischio sismico, presuppone l’approvazione del Genio Civile, e l’opera risulta comunque insanabile dato che è stata realizzata su un’area vincolata, per cui l’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 ed art. 22 LR 15/2008 non avrebbe potuto essere accolta, stante l’espressa esclusione sancita dal richiamato art. 22 che, al 5, sancisce che “Per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico resta comunque salvo quanto previsto dall'art. 146, comma 4, del d.lgs. 42/2004 e successive modifiche”. L'art. 146 del d.lgs. 42/2004, nella versione ratione temporis applicabile al caso in esame, prevede al comma 4 che “Fuori dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, l'autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi” ed, appunto, il richiamato art. 167, a sua volta, limita l’accertamento della compatibilità paesaggistica ai soli interventi minori, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati o comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.

Non può essere seguito, infatti, il ricorrente, ove ritiene che l’opera in questione possa essere ricompresa in quelle sopraelencate, dato che “Il concetto di utilità del volume può divergere nelle valutazioni urbanistiche e in quelle paesistiche. Ai fini urbanistici, è utile il volume (o la superficie) che consuma gli indici edificatori. Si tratta, quindi, di un concetto esclusivamente giuridico, che può talvolta contrastare con la realtà di fatto (ad es., un osservatore può percepire un volume fuori terra che per la disciplina urbanistica non esiste, perché accessorio o tecnico, e al contrario non percepire i volumi interrati, ma questi ultimi, in certi casi, devono essere computati negli indici edificatori). Ai fini paesistici è, invece, rilevante la percepibilità dell'opera come volume collocato in uno scenario. L'utilità del volume sotto il profilo paesistico non è, quindi, definibile solo in via astratta mediante categorie giuridiche, ma richiede anche l'accertamento in concreto di alcuni elementi materiali.” (vedi, tra tante, T.A.R. Lombardia- Brescia, sez. I, 08/01/2015, n. 14).

Peraltro, non si può neppure convenire con il ricorrente sul rilievo che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento gli avrebbe precluso di rappresentare al Comune che si tratterebbe di abusi solo formali, in quanto gli interventi sarebbero “conformi con le previsioni urbanistiche di zona”: tale possibilità non è affatto preclusa dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, dato che gli artt. 36 DPR 280/2001 e 22 LR 15/2008 consentono di conseguire il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (o di effettuare la denuncia di inizio attività in sanatoria), presentando l’istanza di accertamento di conformità fino alla scadenza dei termini assegnati per l’ottemperanza spontanea all’ingiunzione (e, comunque, fino all'irrogazione delle relative sanzioni amministrative);
facoltà di cui il ricorrente si è avvalso presentando l’istanza di accertamento di conformità in data 12.9.2017.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente contesta l’ordinanza di demolizione nella parte relativa all'acquisizione al patrimonio comunale dell'area ulteriore rispetto a quella di sedime nella misura massima prevista dalla legge, anziché in “quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”, senza fornire la benché minima motivazione al riguardo. Si tratta di una misura che la parte ricorrente considera eccessiva rispetto alle dimensioni dell’abuso realizzato (al riguardo precisa che “a tutto voler concedere” avrebbe dovuto essere proporzionata alle misure dell’opera, pari a 15,8 m x 6,4 m 101,12 mq.) e soprattutto non congruenti con la natura dell’intervento, dato che, trattandosi di locale seminterrato, non dà luogo ad alcuna cubatura e non sviluppa "superficie utile" (cfr. artt. 5 e 6, d.m. 2 agosto 1969, che appunto escludono dal computo della superficie utile, tra l'altro, le cantine).

La censura non può essere condivisa, essendo sufficiente, in questa sede, ricordare che secondo pacifico orientamento giurisprudenziale, la mancata indicazione, nell’ordinanza di demolizione, della delimitazione dell’area da acquisire al patrimonio pubblico non determina un vizio di legittimità dell’ordinanza di demolizione dato che “tali dati potranno essere indicati negli eventuali successivi provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza e di acquisizione del bene” (vedi, tra tante, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 755/2018) .

In conclusione, l’atto di demolizione impugnato risulta pertanto immune dai vizi dedotti con il ricorso in esame che risulta, pertanto, infondato e deve essere respinto.

Si passa ad esaminare il ricorso n. 6495/2016, con cui si deducono autonomi vizi di legittimità dell’atto dichiarativo dell’intervenuta acquisizione dell’area in contestazione, impugnato in questa sede.

Per convenienza espositiva, l’esame delle censure dedotte sarà svolto riordinandole a seconda della priorità, nonché dell’analogia, raggruppando quelle che, pur denunciate, sotto diversi profili, in più motivi di ricorso, fanno riferimento ad un’unica problematica di fondo.

Prioritariamente vanno esaminati i vizi di incompetenza denunciati con il terzo e quarto mezzo di gravame.

Va innanzitutto dissipato ogni dubbio in merito alla competenza del Comune resistente a pronunciare l’intervenuta acquisizione “di diritto”, in virtù di espressa previsione normativa, dell’area in contestazione, prospettato nel terzo mezzo di gravame, ove si lamenta che, trattandosi di area soggetta solo a vincolo paesistico-ambientale con DM 14.2.1959, l’acquisizione avrebbe dovuto essere disposta da e a favore del Soprintendente, nonché, all’inizio del quarto motivo, ove ugualmente si contesta la competenza del Comune a dare esecuzione al giudicato penale che ordina la confisca dell’area su cui è stato commesso l’abuso edilizio.

Orbene, quanto alla denunciata invasione nell’ambito di ciò che compete alla Soprintendenza dell’Amministrazione dei beni culturali, va osservato che l’art. 31 DPR 380/2001 – con previsione riprodotta dall’art. 15 LR 15/2008 – invocato dal ricorrente, al comma 6 prevede sì, al primo periodo, che “Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l'acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull'osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell'abuso”, però precisa anche, al periodo successivo, che “Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l'acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune”.

La norma invocata dal ricorrente pertanto non trova applicazione in quanto nel caso in esame non sussiste il presupposto di inedificabilità dell’area in questione, previsto dal primo periodo della disposizione soprarichiamata per operare il reclamato trasferimento dell’area in capo alla Soprintendenza;
comunque, anche in caso contrario, tale evenienza sarebbe preclusa dall’insistenza, sulla stessa area, di altri e diversi vincoli, tra cui quello sismico, per cui resta ferma l’attribuzione al Comune dell’area in contestazione, come espressamente sancito dall’art. 31 co. 6 ultimo periodo.

Non è condivisibile nemmeno la doglianza con cui la parte ricorrente lamenta l’incompetenza del Comune sotto il profilo dell’interferenza con il potere dell’autorità giudiziaria a dare esecuzione alla sentenza penale che dispone l’acquisizione gratuita della medesima area.

Si tratta, infatti, di poteri distinti, esercitati in piena autonomia dall’Autorità giudiziaria e dall’Amministrazione, senza tuttavia che la titolarità di potere impedisca ad esse di coordinarne l’esercizio sul piano dell’esecuzione materiale;
che è cosa diversa dall’ingerenza di un potere nella sfera di attribuzioni altrui o dall’assunzione da parte del Comune del compito di portare ad esecuzione le sentenze del giudice penale (peraltro, se proprio si vuole lamentare la violazione del principio di separazione dei poteri, la riserva di attribuzione andrebbe riconosciuta a favore del Comune, come precisato, al riguardo osservato dalla giurisprudenza formatosi nel sistema previgente, in cui, prima che gli artt. 7 e 19 della legge n. 47/1985 attribuissero al giudice penale poteri di ordinare la demolizione e la confisca, si riteneva illegittima la confisca del manufatto abusivo disposta dal giudice penale perché “incompatibile con il corretto esercizio dei poteri repressivi di natura amministrativa spettanti per legge al Sindaco” Cass. SS.UU., 30.6.1983;
Cass. Pen., sez. III 12.1.1982).

Nel caso in esame non vi è alcun dubbio che il potere esercitato dall’Amministrazione comunale sia quello alla stessa conferito dall’art. 31 DPR 380/2001, come si evince chiaramente dalle premesse motivazionali dell’atto impugnato, che, appunto, fa riferimento all’ordinanza di demolizione rimasta inottemperata ed ai verbali con cui è stata accertata la mancata esecuzione di quanto con essa ingiunto, essendo del tutto irrilevante il riferimento al provvedimento del giudice penale, menzionato incidenter tantum nello stesso atto, senza intenderlo né come fonte attributiva del potere esercitato, né come obiettivo concomitantemente perseguito.

Una volta chiarita la spettanza al Comune del “potere” esercitato con l’atto impugnato, si passa ad esaminare i rimanenti motivi di ricorso, che invece attengono alle modalità di esercizio dello stesso, che costituiscono le censure dedotte con maggiore convinzione dal ricorrente dedotte:

con il primo motivo, con cui il ricorrente denuncia il difetto di istruttoria e di motivazione dell’atto impugnato in relazione all’indicazione dell’area da acquisire, lamentando che questa sia stata disposta nella misura massima prevista dal legislatore (10 volte l’area abusivamente realizzata) - che, comunque, risulterebbe addirittura superiore a quella di sua proprietà (finendo per assumere, in tale parte, valenza espropriativa);

con il secondo motivo di ricorso, con cui lo stesso afferma che l’atto impugnato è affetto da carenza di istruttoria, se non addirittura errore di calcolo, nella parte in cui non solo non localizza l’abuso, dato che non precisa quale delle particelle sia interessata dall’abuso, non consente di comprendere come sia stata determinata la misura dell’area da acquisire, tanto più ove si consideri la particolare natura dell’intervento abusivo in contestazione, trattandosi di locale seminterrato, per cui risulta problematica l’individuazione del criterio di calcolo rispetto alla "superficie utile" di riferimento.

La prospettazione del ricorrente, invece, non può essere condivisa ove poggia su una ricostruzione dell’atto impugnato come frutto dell’esercizio di un potere discrezionale, con conseguente obbligo di effettuare il contemperamento dei contrapposti interessi, nel rispetto del principio di proporzionalità, dandone congrua motivazione nel “provvedimento” finale. Tale impostazione non è condivisibile in quanto il legislatore nazionale ha previsto, invece, un meccanismo diverso, per cui l’acquisizione dell’area non è frutto di una scelta discrezionale affidata all’autorità procedente, ma costituisce un effetto giuridico che scaturisce, ope legis , dal mero fatto giuridico altrui (inerzia del destinatario dell’ordine di demolizione che omette di darvi esecuzione), per cui è sufficiente un atto di mero accertamento che dia atto dell’avveramento dei presupposti contemplati dalla norma affinchè si operi il trasferimento del bene.

Allo stato, il legislatore nazionale ha disciplinato l’azione amministrativa prevedendo all’art. 31 che “3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

4. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”.

De jure condito , pertanto, l’atto impugnato ha mera natura ricognitiva, a questo riguardo, essendo esclusa ogni discrezionalità nell’ an dell’autorità procedente. Anche per quanto riguarda la determinazione della misura dell’area da acquisire, l’amministrazione comunale non gode di alcun margine di scelta autonoma, essendo anche questa già predefinita dal legislatore per relationem , mediante il riferimento alla disciplina dell’attività costruttiva dettata dalla normativa e dagli strumenti urbanistici, per cui non resta all’autorità procedente che dare atto nel “provvedimento” impugnato dei criteri di calcolo applicati, senza godere di alcuna discrezionalità nel quantum , che le possa consentire di “modulare” la sanzione per adattarla “secondo canoni di ragionevolezza e proporzionalità” alle circostanze del caso di specie, avendo il legislatore esaurito, a monte, ogni “potere di scelta”. In conclusione, si tratta di attività vincolata, di natura tecnica, che consiste nella mera ricognizione della disciplina urbanistica dettata per l’area in questione e di applicazione dei criteri di calcolo da questa desumibili, sicchè l’unico vizio configurabile è l’errore di diritto (relativo all’individuazione della normativa applicabile) e l’errore di calcolo, non essendo, in radice, configurabile l’eccesso di potere. Il difetto di motivazione, infatti, riguarda esclusivamente l’evidenziazione, nell’atto che dichiara l’intervenuta acquisizione “di diritto” dell’area, dei “criteri” seguiti per individuare la sua estensione, che, restano, appunto, predefiniti dalla disciplina urbanistica, che costituiscono la base di calcolo, al fine di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e consentire al destinatario di difendersi dall’eventuale errore commesso dalla PA ed al giudice di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito da quest’ultima.

In tale prospettiva si è formato un consolidato orientamento giurisprudenziale, che ha chiarito che "l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, prevista dall'art. 31, comma 3, d. P. R. 380 del 2001 è atto dovuto senza alcun contenuto discrezionale, ed è subordinato unicamente all'accertamento della inottemperanza ed al decorso del termine di legge (novanta giorni) fissato per la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi" (T. A. R. Campania Napoli, sez. IV, 19 ottobre 2010, n. 20263);
cfr. anche la seguente ulteriore massima, sia pur riferita alla previgente disciplina, ex art. 7 della l. 47/85: "Decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni assegnato al proprietario per la demolizione di un manufatto abusivo, l'effetto acquisitivo al patrimonio comunale, ai sensi dell'art. 7, l. n. 47 del 1985, si produce di diritto, con conseguente carattere meramente dichiarativo e vincolato del successivo provvedimento amministrativo" (T. A. R. Lazio Roma, sez. II, 9 novembre 2005, n. 10874) ed in tale ottica è stato ribadito, in merito alle modalità di applicazione dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001, che “la sanzione della perdita della proprietà per inottemperanza all'ordine di remissione in pristino, pur se definita come una conseguenza di diritto dall'art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, richiede, in ogni caso, un provvedimento amministrativo che definisca l'oggetto dell'acquisizione al patrimonio comunale attraverso la quantificazione e la perimetrazione dell'area sottratta al privato (cfr., ex multis , Cons. St., Sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 13;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 maggio 2016 n. 2279).

Al riguardo è stato ricordato che il trasferimento a titolo gratuito dell’area al patrimonio comunale costituisce una sanzione che l’ordinamento pone come conseguenza automatica e doverosa dell’inottemperanza all’ordine di demolizione dell’opera abusiva (salvo i casi in cui venga ad incidere sui diritti dei terzi o sulle porzioni di manufatti legittimi, nel qual caso l’acquisizione è limitata al manufatto abusivo e alla sua sola area di sedime: cfr., in tal senso, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 10 gennaio 2014 n. 159;
TAR Lazio, Latina, 26 marzo 1997 n. 236 e TAR Lazio, Sez. II, 22 ottobre 1991 n. 1607) e non è, come tale, soggetta a specifici obblighi motivazionali sulle ragioni di pubblico interesse che assistono e legittimano l’estensione dell’acquisizione per la parte di terreno ulteriore rispetto allo stretto spazio di superficie occupato dalle opere abusive (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2013 n. 1881 nonché TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 159 del 2014 cit.);
ciononostante l’applicazione della norma in esame postula, a carico dell’amministrazione comunale, l’obbligo di esplicitare le modalità del calcolo (in relazione ai richiamati parametri urbanistici in astratto applicabili per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusivamente realizzate) con cui l’ufficio tecnico dell’ente locale perviene alla individuazione di tale area ulteriore.

In tale prospettiva è stato costantemente ribadito che l’amministrazione procedente è tenuta ad indicare puntualmente, nell’atto di acquisizione, la classificazione urbanistica ed il relativo regime per l’area oggetto dell’abuso edilizio e quindi sviluppare (in base agli indici di fabbricabilità, territoriale o fondiaria, conseguentemente applicabili) il calcolo della superficie occorrente per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, disponendone comunque l’acquisizione - laddove dovesse risultare una superficie superiore - nel limite massimo del decuplo dell’area di sedime (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1881 del 2013 cit.).

È stato così chiarito che “La circostanza che il legislatore non abbia predeterminato l'ulteriore area acquisibile, ma si sia limitato a prevedere che tale area <<non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita>>, si giustifica per il fatto che l'ulteriore acquisto sia funzionale e strumentale rispetto all'acquisto del bene abusivo e della relativa area di sedime. In altri termini - non potendosi ritenere che la determinazione dell'ulteriore area acquisibile sia affidata al puro arbitrio dell'Amministrazione - la circostanza che sia stata predeterminata solo la superficie massima di tale area (comunque non superiore a dieci volte quella abusivamente costruita) può spiegarsi solo ipotizzando che l'ulteriore acquisto sia necessario al fine di consentire l'uso pubblico del bene abusivo acquisito al patrimonio comunale. Ne consegue che il nesso funzionale tra i due acquisti implica che l'Amministrazione sia tenuta a specificare, volta per volta, in motivazione le ragioni che rendono necessario disporre l'ulteriore acquisto, nonché ad indicare con precisione l'ulteriore area di cui viene disposta l'acquisizione (cfr. C.d.S., Sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1881, in motivazione, secondo cui: <<… l'individuazione dell'ulteriore area la cui acquisizione è parimenti doverosa secondo la disciplina dettata ….. va motivata, volta per volta, con l'esplicitazione delle modalità di delimitazione della stessa, proprio perché il legislatore non ha predeterminato, se non nel massimo, l'ulteriore area acquisibile, ma ha indicato un criterio per determinarla rapportato alla normativa urbanistica rilevante nel singolo caso;
viene, dunque, delineato un procedimento di determinazione della c.d. pertinenza urbanistica da condurre di volta in volta sulla base di criteri di individuazione che tengano conto di quanto previsto dalle vigenti disposizioni urbanistiche "per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive">>
(vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. II quater n. 10292/2017, con richiamo a C.d.S., Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3097;
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 9 maggio 2014, n. 2589;
TAR Campania, Napoli, Sez. II, 6 marzo 2014, n. 1357;
TAR Piemonte, Sez. II, 21 luglio 2014, n. 1288)”.

In applicazione dei principi soprarichiamati il provvedimento impugnato risulta affetto dai vizi di legittimità dedotti, nella parte in cui dispone l'acquisizione gratuita dell'ulteriore area di proprietà del ricorrente nella misura massima prevista dalla legge, senza specificare le modalità seguite per determinare l’effettiva estensione dell’area acquisibile oltre quella di sedime.

Orbene, nel caso in esame, tali passaggi non sono stati evidenziati nell’atto impugnato, per cui non risulta possibile comprendere come le regole per individuare l’esatta estensione del bene apprensibile siano state applicate, risultando impossibile ricostruire le modalità di determinazione dell’estensione dell’area acquisibile ulteriore, rispetto a quella “occupata” dalle opere abusivamente realizzate, dato che questa “eccedenza” non viene “giustificata” come richiesto dalla giurisprudenza in materia.

Ne consegue che le doglianze dedotte dal ricorrente con il primo ed il secondo motivo di ricorso risultano fondate sotto tale, assorbente, profilo di censura.

Resta da esaminare il gruppo centrale di censure dedotte con i restanti motivi con cui il ricorrente pretende, invocano i principi elaborati dalla CEDU in alcune recenti decisioni, di escludere, o limitare ulteriormente, il potere acquisitivo in contestazione, contestandone le modalità di esercizio da parte dell’Amministrazione – lamentando l’eccesso di potere sotto il profilo della violazione del principio di proporzionalità - e, più in radice, contestando la stessa normativa italiana, nella parte in cui conforma l’azione amministrativa come attività vincolata, denunciandone l’illegittimità costituzionale per contrasto con i principi sanciti della Carte Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretati dalla giurisprudenza dell’Alta Corte sulla base del riconoscimento della natura sanzionatoria dell’atto di acquisizione in questione e dell’attribuzione del carattere discrezionale al “potere” con cui viene disposta la “confisca” del bene.

Si tratta di una considerazione del ricorrente che viene riproposta, sotto diversi profili:

a chiusura del primo motivo di ricorso, ove lamenta che l’atto impugnato, nella parte in cui eccede l’area acquisita di diritto dal Comune comporta la violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, secondo la giurisprudenza della CEDU (caso Ivanova vs. Bulgaria) che

ha qualificato il provvedimento in parola come avente natura sostanzialmente sanzionatoria ed il potere esercitato dalla PA abbia natura discrezionale (con la conseguenza che il suo corretto esercizio richiedere la ponderazione ed il contemperamento dei diversi interessi pubblici e privati in gioco al fine di determinare l’entità della sanzione da irrogare, imponendosi un duplice bilanciamento sia in relazione all’ an dell’acquisizione che al quantum);

nella seconda parte del quarto motivo di ricorso, ove sostiene che il Comune avrebbe operato in violazione del divieto di essere giudicato o punito penalmente due volte consacrato dall’art. 4 prot. 7 CEDU, la quale ha ritenuto che la garanzia del principio del ne bis in idem è incompatibile con il sistema del doppio binario amministrativo e penale (sentenza Grande Stevens c. Italia);
principio che, secondo la parte ricorrente, vale non solo per la repressione degli abusi di mercato, ma anche degli abusi edilizi. Pertanto sarebbe illegittima la sanzione irrogata dal Comune con l’atto di acquisizione dell’area di proprietà del ricorrente in quanto colpirebbe un abuso già punito dalla sentenza di condanna del giudice penale (sentenza Tribunale di Velletri n. 580/2011), trattandosi di misura che ha natura di natura repressivo-punitiva, con evidente funzione dissuasiva, comportando la confisca dell’intero immobile di proprietà del ricorrente come già affermato dalla CEDU con riferimento alla sanzione della confisca ai sensi dell’art. 44 DPR 380/2001 per il reato di lottizzazione abusiva (sentenza Sud Fondi c. Italia 20.1.2009 e Varvara c. Italia 29.10.13);

con il quinto motivo di ricorso ove, riproponendo le considerazioni poste dalla CEDU a fondamento della sentenza Ivanova, lamenta che il Comune non avrebbe tenuto conto della situazione personale del ricorrente, che risiede da anni nell’immobile in questione e che non dispone di mezzi per reperire alternative soluzioni alloggiative;
circostanze personali che invece avrebbe dovuto attentamente ponderare, operando quel bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e privati, in particolare il diritto al rispetto alla vita privata e familiare dell’interessato, che la CEDU impone di effettuare anche nel caso di repressione di abusi edilizi.

La prospettazione del ricorrente solleva delicate questioni giuridiche, che sono state ripetutamente proposte davanti alle Corti nazionali, ma che, allo stato, non hanno trovato ingresso nella giurisprudenza nazionale (vedi, tra tante, TAR Lazio, sez. II bis n. 5825/2015).

La problematica è stata di recente oggetto di un’accurata analisi da parte della giurisprudenza italiana, su cui da ultimo, è intervenuto il TAR Puglia, Bari, sez. III, con la sentenza n. 401/2018 del 21.3.2018 alle cui considerazioni e conclusioni si fa integrale rinvio, in particolare ove chiarisce, in merito al contrasto della previsione normativa dell’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune dell’area in caso di omessa ottemperanza all’ingiunzione di demolizione con i principi sanciti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che “ occorre, innanzitutto, rilevare che ai principi affermati dalla Corte EDU nella nota sentenza "Sud Fondi" (Sez. II sent. 20 gennaio 2009 Sud Fondi s.r.l. e altri

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