TAR Campobasso, sez. I, sentenza 2013-11-08, n. 201300645
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N. 00645/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00017/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 17 del 2006, proposto da:
T L, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ennio Mazzocco e M Cni, con domicilio eletto in Campobasso, presso lo studio De Angelis, via De Attellis n. 11,
contro
Comune di Pesche (Is), in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall'avv. V C, con domicilio eletto presso V C, in Campobasso, corso Umberto I, n. 43,
per l'annullamento
del provvedimento di riduzione in pristino di opera edilizia adottato con ordinanza n. 14 del 05/10/05, prot. n. 4083;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Pesche (Is);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 ottobre 2013 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato al Comune di Pesche il 24 dicembre 2005 e depositato in Segreteria l'11 gennaio 2006, la ricorrente espone di aver acquistato un appartamento per civile abitazione situato in Pesche, facente parte di un fabbricato realizzato in virtù della concessione edilizia numero 11 del 1985 e successiva variante numero 47 del 1994, rilasciata ai suoi dante causa.
La ricorrente evidenzia di non aver mai effettuato alcun intervento edilizio sull'immobile oggetto dell'acquisto.
Con ordinanza numero 14 del 5 ottobre 2005, il responsabile dell'Ufficio tecnico comunale, richiamato il verbale di sopralluogo effettuato sul fabbricato in data 27 settembre 2005, da cui è emerso che divisori interni sono stati realizzati in difformità al progetto autorizzato con concessione edilizia - in quanto in luogo della prevista camera da letto era stato realizzato un salotto e in luogo del previsto soggiorno era stata realizzata una camera da letto;rilevato che l'immobile ricade in zona D-2 (insediamenti terziari) e che, ai sensi dell'articolo 12 delle Norme tecniche di attuazione, in tale zona è consentita la realizzazione di costruzioni ad uso artigianale, commerciale e direzionale, con possibilità di realizzare le abitazioni del personale di custodia o delle famiglie del titolare dell'azienda, in misura non superiore a 40% dell'intero volume da edificare;considerato che l'interessata non esercita alcuna attività artigianale negli altri locali costituenti il fabbricato oggetto di sopralluogo, ha ordinato la riduzione in pristino delle opere eseguite in difformità dalla concessione edilizia in variante numero 47 del 1994, in contrasto, per quanto attiene all'utilizzo, con l'articolo 12 delle citate Norme tecniche di attuazione.
Avverso tale ordinanza, la ricorrente ha proposto il ricorso sopra indicato, chiedendone l'annullamento, per i seguenti motivi:
Primo motivo: violazione degli articoli 22 e 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, della legge n. 47 del 1985, eccesso di potere sotto vari profili, difetto di istruttoria e di motivazione.
Secondo motivo: violazione dell’articolo 10 del D.P.R. n. 380 del 2001 ed eccesso di potere sotto vari profili, difetto di istruttoria di motivazione
Il Comune intimato si è costituito in giudizio e ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
All’udienza pubblica del 31 ottobre 2013 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di impugnazione, la ricorrente deduce la violazione degli articoli 22 e 37 del Testo unico dell’edilizia nella parte in cui stabiliscono che sono realizzabili, mediante denuncia di inizio attività, gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6 e che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico edilizia vigente;la realizzazione degli interventi in assenza della denuncia di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria e non quella demolitoria.
Secondo la difesa della ricorrente, gli interventi edilizi contestati, peraltro già esistenti all’atto dell’acquisto, non rientrando in nessuna delle ipotesi di cui agli articoli 6 e 10 del Testo unico dell’edilizia, consistendo semplicemente in una diversa disposizione dei divisori interni, non giustificherebbero l’ordinanza di riduzione in pristino, essendo applicabile, al più, la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 37 comma primo, per mancata presentazione della denuncia di inizio attività.
Con il secondo motivo di ricorso, la difesa della ricorrente deduce la violazione dell’articolo 10 del Testo unico dell’edilizia, in quanto la ricorrente stessa non avrebbe effettuato alcun cambiamento di destinazione d’uso, poiché l’uso abitativo dell’appartamento acquistato sarebbe stabilito dalla stessa concessione edilizia rilasciata per la costruzione del fabbricato.
Inoltre, in mancanza di normativa regionale che stabilisca, con legge, quali mutamenti connessi o non connessi a trasformazioni fisiche siano subordinati a permesso di costruire ovvero a denuncia di inizio attività, l’ordinanza impugnata sarebbe illegittima, pur ammettendo che vi sia stato un mutamento di destinazione d’uso.
L’uso abitativo, comunque, sarebbe stato sancito proprio dalla concessione edilizia in variante numero 47 del 1994.
I motivi di ricorso, strettamente connessi tra essi, possono essere esaminati e decisi congiuntamente.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che l’appartamento acquistato dalla ricorrente ricada nella zona D-2 (insediamenti terziari).
In tale zona, come risulta dall’articolo 12 delle Norme tecniche di attuazione, è consentita la realizzazione di costruzioni a uso artigianale, commerciale e direzionale, con possibilità di realizzare le abitazioni del solo personale di custodia o delle famiglie del titolare dell’azienda.
La concessione edilizia in variante, rilasciata dal Comune di Pesche con provvedimento numero 47 del 1994, nel rispetto della regolazione urbanistica, aveva, appunto, a oggetto, la costruzione di un fabbricato per attività artigianale.
Appare evidente, dunque, che le opere edilizie che sono state oggetto del provvedimento di demolizione risultano realizzate in difformità rispetto all’originario progetto. D’altro canto, come evidenziato, le norme urbanistiche consentono, nella zona dove insiste il manufatto in oggetto, la realizzazione anche di modesti immobili residenziali, ma a condizione che siano posti al servizio di attività commerciali.
Richiamando una recente decisione di questo stesso Tribunale amministrativo regionale su controversia analoga alla presente (la sentenza numero 759 del 18 dicembre 2012) deve ritenersi <<evidente il contrasto con il diritto dell’immobile in oggetto atteso che, pur abitandovi, la ricorrente non svolge attività commerciali nelle adiacenze>>.
Al riguardo, si deve considerare che la giurisprudenza ha costantemente affermato, con orientamento condivisibile, che, in materia edilizia, le opere interne e gli interventi di ristrutturazione, come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qual volta comportino mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e, qualora debbano essere realizzati nei centri storici, anche nel caso in cui comportino mutamento di destinazione d'uso all'interno di una categoria omogenea (cfr. T.A.R. Cagliari, Sardegna , sez. II, 6 ottobre 2008, n. 1822).
Deve ritenersi, dunque, che, nella fattispecie, le opere edilizie interne realizzate nell’immobile abitato dalla ricorrente, comportando il mutamento di destinazione d’uso tra la categoria urbanistica originaria dell’edilizia artigianale, commerciale e direzionale e la sopravvenuta destinazione d’uso residenziale, avrebbero dovuto essere realizzate, previo rilascio del permesso di costruire.
Si configura, infatti, un’ipotesi di ristrutturazione edilizia, secondo la definizione fornita dall’articolo 3, comma 1, lettera D del Testo unico numero 380 del 2001, in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, accompagnata al mutamento della destinazione d’uso tra categorie autonome per diversa funzione economica, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Non essendo stato rilasciato alcun permesso di costruire per apportare le modifiche realizzate, si è in presenza di un abuso edilizio, cui sono applicabili le sanzioni amministrative di cui all’articolo 31 del testo unico numero 380 del 2001.
Ne deriva l’infondatezza di tutti i motivi del ricorso che, di conseguenza, deve essere rigettato.
Le spese di giudizio devono essere poste a carico della ricorrente, per il principio della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.