TAR Bologna, sez. I, sentenza 2016-07-08, n. 201600693

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bologna, sez. I, sentenza 2016-07-08, n. 201600693
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bologna
Numero : 201600693
Data del deposito : 8 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00098/2012 REG.RIC.

N. 00693/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00098/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 98 del 2012, proposto da:
E V e C G , rappresentati e difesi dagli avv. G F e M G A, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Bologna, via S. Stefano n. 43;

contro

Comune di Bologna, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. M M e G C, con domicilio eletto presso l’Ufficio legale comunale, in Bologna, piazza Maggiore n. 6;

per l'annullamento

- dell'ordinanza di rimessione in pristino ex art. 31

DPR

380/01 P.G. n. 269386/011 adottata dal Comune di Bologna nei confronti degli odierni ricorrenti, avente ad oggetto n. 2 opere edilizie abusive realizzate in Bologna, via Cavalieri Ducati n. 120/3.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Bologna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2016, il dott. U G e uditi, per le parti, i difensori avv. G F e avv. M M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

E’ oggetto del presente gravame l’ordinanza in data 18/11/2001, con la quale il comune di Bologna ha ingiunto agli odierni ricorrenti – ciascuno proprietario del 50% di un fabbricato principale ad uso abitativo sito in Bologna via Cavalieri Ducati n. 120/3 – la riduzione in pristino dell’area su cui insiste detto immobile, limitatamente a n. 2 manufatti pertinenziali realizzati abusivamente sull’area stessa, dei quali è ingiunta ora la demolizione ed in relazione ad uno dei quali era stata chiesta al Comune (e da questo negata) la concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. n. 326 del 2003 e della L.R. Emilia – Romagna n. 23 del 2004.

Il Collegio osserva, in via preliminare, che detto provvedimento comunale di diniego di condono edilizio è stato impugnato dinanzi a questo T.A.R. con ricorso R.G. 8/2008 dal sig. Mario Camassi, nella sua qualità di precedente proprietario dei fabbricati siti in via Cavalieri Ducati n. 120/3 a Bologna e dalla sig. ra E V attuale comproprietaria al 50% dell’immobile;
ricorso anch’esso posto in discussione all’odierna udienza pubblica del 18/5/2016. Avverso il consequenziale provvedimento ripristinatorio – rispetto al citato presupposto diniego di condono edilizio - adottato dal Comune di Bologna, gli odierni ricorrenti hanno proposto il presente gravame, a sostegno del quale essi deducono sia motivi di illegittimità in via derivata da quelli che, a loro dire, affliggono il provvedimento di diniego di condono edilizio, sia ulteriori censure direttamente afferenti l’ordinanza di rimessione in pristino dell’area in parola e, in particolare, motivi rilevanti violazione degli artt. 10 bis, 7, 8, 9 e 10 L. n. 241 del 1990;
violazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa;
eccesso di potere per difetto di presupposto, carenza di motivazione circa la permanenza e prevalenza dell’interesse pubblico alla demolizione dei 2 manufatti.

Il comune di Bologna, costituitosi in giudizio, chiede che il ricorso sia respinto, in quanto ritiene infondate tutte le censure ivi rassegnate.

Alla pubblica udienza del giorno 18 maggio 2016, la causa è stata chiamata ed è stata quindi trattenuta per la decisione come indicato nel verbale

Il Collegio osserva che il provvedimento di riduzione in pristino dell’area di proprietà dei ricorrenti, con relativa conseguente ingiunzione di demolizione dei n. 2 manufatti pertinenziali realizzati abusivamente, è immune dai vizi di illegittimità (in via derivata e diretti) rassegnati in ricorso.

Per quanto concerne l’illegittimità che affliggerebbe, secondo la tesi degli odierni ricorrenti, il provvedimento ripristinatorio in via derivata rispetto alle censure proposte avverso il presupposto diniego di condono edilizio, il Collegio ritiene di dovere riproporre, in questa sede, le stesse considerazioni esposte esaminando il già citato ricorso n. 8 del 2008. E’ infondato il primo mezzo d’impugnazione, stante che il manufatto oggetto di istanza di concessione edilizia in sanatoria (contraddistinto sub A nel verbale di accertamento di violazione urbanistico edilizia n. 393/2004 redatto da Isp. Polizia Municipale di Bologna in data 16/11/2004 e nel diniego di sanatoria) risulta effettivamente adibito ad uso abitativo e non a quello di autorimessa e deposito come indicato nella domanda di condono edilizio. Detto utilizzo ai fini abitativi del manufatto è comprovato dalla documentazione fotografica allegata al suddetto verbale, la quale evidenzia inequivocabilmente che, mentre la parte frontale dell’edificio identificato sub “A” è effettivamente adibita ad autorimessa, la parte retrostante è invece utilizzata quale abitazione, essendo dotata di porta d’ingresso, finestra e, all’interno, di arredi e suppellettili per uso abitativo nonché di locale ad uso bagno. La suddetta opera abusiva si pone si pone, pertanto, in evidente contrasto con la disposizione di cui all’art. 85 delle N.T.A. dell’allora vigente P.R.G. del comune di Bologna, che vietava la creazione di nuova superficie residenziale (U1) nella zona in cui è ubicato il manufatto da sanare. Il Collegio deve inoltre osservare, sempre in relazione all’esaminato motivo di quel ricorso, che non è condivisibile l’ulteriore argomentazione dei ricorrenti, diretta a sostenere l’irrilevanza - nel contesto della disciplina relativa al condono edilizio – della questione relativa all’individuazione di quale sia l’effettiva destinazione d’uso al quale è effettivamente adibito il manufatto in oggetto. Il Collegio osserva che ai sensi dell’art. 33, comma 1, della L.R. Emilia - Romagna n. 23 del 2004 (legge regionale in materia di condono edilizio) nella regione Emilia – Romagna, ai fini dell’ammissibilità della domanda di condono edilizio riguardante interventi di nuova costruzione, è espressamente richiesta la conformità dell’intervento rispetto alle prescrizioni urbanistiche (anche locali) vigenti al 31/3/2003, con conseguente non sanabilità dell’abuso edilizio oggetto di causa, secondo quanto espressamente prevede - su tale questione- la più restrittiva disciplina regionale di sanatoria enunciata nel già citato art. 33 c. 1 L.R. n. 23 del 2004, rispetto alla normativa nazionale in tema di condono edilizio (v. in termini: T.A.R. Emilia – Romagna -BO- sez. I, 6/5/2016 n. 483 e 20/4/2016 nn. 434 e 425). In relazione, poi, all’asserito travisamento di fatti in cui sarebbe incorsa l’amministrazione comunale nel qualificare l’effettivo uso al quale è adibito il manufatto in questione, la Sezione ritiene che detta censura sia del tutto infondata, risultando dagli atti di causa accertato e documentato, con particolare riferimento al materiale fotografico allegato al verbale di sopralluogo n. 393/2004 redatto il 16/11/2004, che una parte del manufatto realizzato abusivamente contraddisatinto sub “A” consiste effettivamente in un “bilocale rifinito ed arredato ad uso abitativo” (v. verbale sopralluogo e diniego sanatoria docc. n. 2 e n. 16 del Comune di quel ricorso).

Ritiene inoltre il Collegio che anche il secondo mezzo d’impugnazione del ricorso n. 8 del 2008 non colga nel segno, stante la sostanziale condivisibilità del secondo autonomo capo di motivazione che supporta il provvedimento comunale di diniego di sanatoria, laddove si sostiene l’inderogabilità della distanza minima tra fabbricati che deve essere rispettata, nel caso di interventi di nuova costruzione ricadenti in zone omogenee diverse dalla zona “A” (come avviene nel caso in esame), sia ai sensi di quanto dispone l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 sia in riferimento alla prescrizione contenuta nell’art. 40 dell’allora vigente Regolamento edilizio del comune di Bologna (v. sent. T.A.R. Bologna antea citate). Le suddette disposizioni impongono, in caso di nuova edificazione, ed ai fini di tutelare l’interesse pubblico all’igiene e alla salubrità delle costruzioni evitando il formarsi di insalubri intercapedini tra gli edifici, il rispetto di una distanza minima inderogabile di ml. 10 tra le pareti finestrate e le pareti degli edifici antistanti. Di qui, essendo detta distanza imposta nell’interesse pubblico alla salubrità dei luoghi e non nell’interesse dei proprietari dei fabbricati alla riservatezza, è irrilevante la circostanza che gli edifici a tal fine posti a raffronto, appartengano al medesimo proprietario, con conseguente infondatezza della corrispondente censura del ricorrente. Più in generale si deve osservare che il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile formatosi in riferimento alle previsioni di cui all’art. 9

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi