TAR Parma, sez. I, sentenza 2020-01-14, n. 202000006

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Parma, sez. I, sentenza 2020-01-14, n. 202000006
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Parma
Numero : 202000006
Data del deposito : 14 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/01/2020

N. 00006/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00065/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 65 del 2019, proposto da
-OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati E S ed E C, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti

contro

Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna - Arpae, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati G F e M E B, domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato in atti;
Ministero della Difesa - Gruppo Carabinieri Forestale Reggio Emilia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato in Bologna, via Guido Reni, 4;

nei confronti

-OMISSIS-S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Benassi e Antonella Benassi, domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato in atti;
Comune di Fabbrico, non costituito in giudizio

per l'annullamento

dell'ordinanza n. 20976 del 21 dicembre 2018 con la quale l'ARPAE ha individuato “quale soggetto responsabile dell'inquinamento ai sensi dell'art. 244 del d.lgs. 152/2006 come in premesso esposto la ditta Ditta -OMISSIS-. di Lonato (BS)” e ordinato “alla sopraddetta ditta Ditta -OMISSIS-. di:

- provvedere ai sensi delle disposizioni del Titolo V della Parte IV del D. Lgs. 152/2006 in materia di bonifica di siti contaminati;

- ottemperare alle procedure amministrative ed operative ai sensi del Titolo V del D.Lgs.152/2006, in primo luogo con la presentazione entro 90 giorni dal ricevimento del presente atto, del Piano di Caratterizzazione conforme all'allegato 2 al titolo V del d.lgs. 152/2006”;

di ogni atto presupposto, consequenziale o comunque connesso a quello impugnato


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia Regionale per la Prevenzione, L'Ambiente e L'Energia dell'Emilia-Romagna - Arpae e di -OMISSIS-S.r.l. e di Gruppo Carabinieri Forestale Reggio Emilia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2019 il dott. R L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso depositato in data 21 febbraio 2019, -OMISSIS-. ha chiesto l’annullamento del provvedimento di cui in epigrafe.

La società ricorrente ha preliminarmente esposto di essere una società che, nell’ambito dell’attività di trattamento e recupero dei rifiuti per cui è autorizzata, utilizza dei capannoni nel Comune di Fabbrico per lo stoccaggio del fertilizzante (gessi di defecazione) da lei stessa prodotto.

Nell’ambito delle indagini penali che hanno fatto seguito all’attività di controllo, effettuata nell’agosto 2017 da parte della Regione Carabinieri Forestale “Emilia Romagna” - e che hanno portato al sequestro preventivo (misura confermata dal Tribunale del riesame) dei gessi di defecazione presenti nei capannoni ubicati nel Comune di Fabbrico -, l’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia ha disposto l’esecuzione di perizia nelle forme dell’incidente probatorio per l’accertamento analitico di natura e caratteristiche dei materiali in sequestro.

Ad avviso della ricorrente, le risultanze di tale incidente probatorio avrebbero avallato la sua tesi, secondo cui non sarebbe in alcun modo possibile individuarla come il soggetto responsabile della contestata contaminazione.

Tuttavia, Arpae, nell’ambito delle sue competenze, ha ritenuto attendibile, in applicazione del principio del “più probabile che non”, la correlazione fra attività presente nel sito e i superamenti nei terreni circostanti dei valori delle CSC, individuando la ricorrente quale responsabile dell’inquinamento ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 152/2006.

-OMISSIS-. ha dunque dedotto l’illegittimità del provvedimento adottato al riguardo da Arpae, censurandolo sotto molteplici profili.

Si sono costituiti in giudizio l’Agenzia convenuta e il Comando Regione Carabinieri Forestale Emilia Romagna, e la Sezione ha respinto la proposta domanda cautelare, mentre il Consiglio di Stato l’ha accolta ai limitati fini di una sollecita trattazione del giudizio di merito.

La causa è stata infine discussa e trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 18 dicembre 2019, dopo l’adempimento ad una richiesta di approfondimenti istruttori disposta di ufficio.

Preliminarmente, occorre esaminare la questione dell’applicabilità alla fattispecie in esame del decreto n. 46 dell’1 marzo 2019 adottato dal Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Con tale decreto è stata data attuazione all’art. 241 del d.lgs. n. 152/2006, che espressamente rimandava ad una fonte regolamentare distinta per la disciplina degli interventi di bonifica, ripristino ambientale e messa in sicurezza delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento;
si è introdotta dunque una disciplina specifica per gli interventi di bonifica relativi ad aree (agricole) che sino a quel momento risultavano prive di una regolamentazione ad hoc e che, come tali, venivano gestite mediante l’applicazione di indicatori e procedure mutuate da fattispecie considerate analoghe (vale a dire i parametri utilizzati per le aree verdi).

Dall’esame del decreto in questione, emerge che lo stesso si applica all’ “area agricola”, da intendersi come “porzione di territorio destinata alle produzioni agroalimentari” (art. 2, comma 1 lett. a);
la contaminazione dell'area agricola, così come sopra definita, è stabilita nel rispetto dei livelli di Concentrazioni soglie contaminazioni (CSC) prefissati dall'allegato 2 del decreto stesso.

Il Collegio condivide, sul punto, quanto affermato da ARPAE nella relazione alla stessa richiesta, secondo cui la definizione di area agricola contenuta nella normativa secondaria su richiamata abbia natura concreta e funzionale.

In altri termini, i nuovi limiti di CSC introdotti per le aree agricole non possono che riferirsi a porzioni di territorio fattivamente destinati alle produzioni agroalimentari, e non anche solo astrattamente a tanto destinabili.

Ciò d’altra parte appare compatibile con la riserva di disciplina operata dal codice dell’ambiente, che ha ristretto l’operatività della normativa secondaria ad un settore specifico e ben delimitato (anche l’art. 241 del d.lgs. n. 152 del 20006 parlava di aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento), caratterizzato dalla concreta destinazione di attività sul territorio e non dalla mera conformazione astratta del territorio comunale operata dagli strumenti urbanistici.

Nel caso che ci occupa, risulta pacifico che, pur trattandosi di eventuale contaminazione avvenuta su terreni urbanisticamente “agricoli”, tali terreni non sono mai stati destinati né alla produzione agricola né all’allevamento, ma sono stati in concreto lasciati in uno stato “neutro” e solo in minima parte affittati ad una società, che li ha poi usati a fini di mero deposito.

Modificando la prospettiva, e cioè ritenendo che qualsiasi terreno agricolo debba essere sottoposto alla nuova disciplina stabilita dal decreto n. 49 del 2016, si dovrebbe prescindere totalmente dalla destinazione concretamente operata su tale terreno, e così, di fatto, disapplicare quanto previsto specificamente dall’art. 241 del d.lgs. n. 152 del 2006 nella sua riserva di regolamento.

Il Collegio ritiene pertanto che i livelli di CSC previsti dal nuovo decreto non devono considerarsi rilevanti rispetto all’odierno contenzioso, e che sia corretta l’applicazione nel caso di specie, in difetto di una chiara destinazione industriale e in presenza di un terreno astrattamente a vocazione agricola, dei parametri previsti per le aree verdi.

Nel merito, con il primo motivo -OMISSIS-. ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato per errata valutazione dei presupposti di fatto volti all’individuazione del responsabile dell’inquinamento.

Il motivo è infondato.

Dalla lettura degli atti versati nel fascicolo di causa, emerge, innanzitutto, che la contaminazione dei terreni limitrofi ai capannoni in cui sono stati depositati i gessi di defecazione è oggettiva e confermata dalle stesse analisi (allegate nei rapporti di prova) di cui si è avvalso il perito del Giudice nel corso dell’incidente probatorio sopra citato.

Quanto alla causa di tale contaminazione, le amministrazione resistenti hanno dimostrato in giudizio che la segnalazione del Nucleo investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale intervenuto, sulla cui base è stata adottata l’ordinanza impugnata, era sorretta da elementi idonei a dimostrare, secondo il principio del più probabile che non (principio diverso da quello della dimostrazione del nesso di causalità al di là di ogni ragionevole dubbio, che è pacificamente “confinato” al giudizio penale), che l’inquinamento oggettivamente rilevato fosse riconducibile ad un fenomeno di dispersione nei terreni di alcune sostanze inquinanti riconducibili ai gessi di defecazione (nello specifico, composti organici Idrocarburi C10-C40 e Toluene).

In particolare, gli elementi non contestabili che suffragano tale tesi sono i seguenti:

- l’area di riferimento non era stata interessata da precedenti attività agricole o produttive da parte del proprietario o di altri soggetti;

- la ricognizione fotografica del nucleo investigativo intervenuto sul luogo, e nell’immediatezza dei primi accertamenti, ha fatto emergere fenomeni di dispersione (cd. “percolato”) dal sito in cui erano stati depositati i gessi di defecazione;

- le condizioni dei capannoni (anche per la evidente precarietà della copertura superiore, che ha potuto facilitare l’ingresso di acqua piovana) e le modalità impiegate per la conservazione dei gessi all’interno degli stessi (mancanza di ordinati sistemi di contenimento) erano tali da potere ragionevolmente determinare fenomeni di fuoriuscita dei materiali dall’interno verso l’esterno;

- la presenza di schiuma di poliuretano espansa in corrispondenza delle zone in cui è stata rilevata dal nucleo investigativo la dispersione dei gessi attesta l’utilizzo di un rimedio volto a limitare le fuoriuscite di liquido, come dichiarato anche dal dipendente della Società -OMISSIS-. in sede di sopralluogo (cfr. documento depositato in data 16 agosto 2019 dalla difesa erariale), rimedio che può avere un senso soltanto se tale dispersione era stata ritenuta possibile ed effettiva dalla stessa società ricorrente.

E’ dunque lecito sostenere che le circostanze riscontrate indichino in modo univoco o comunque molto probabile (sicuramente, con una possibilità superiore al 50%) che il fenomeno di dispersione nei terreni limitrofi ai capannoni ci sia stato, che l’unico elemento che poteva ragionevolmente produrre “percolato” era il liquido appartenente ai gessi di defecazione, e che la contaminazione accertata è riconducibile proprio al materiale detenuto dalla ricorrente, dal momento che gli agenti inquinanti rinvenuti in tale terreno corrispondono scientificamente alle sostanze ritrovate nei gessi di defecazione.

Tali conclusioni non sono smentite né sono smentibili, sul punto, dalla perizia invocata dalla società ricorrente, perizia, che, come evidenziato in fase cautelare, non ha offerto conclusioni decisive né in un senso né nell’altro, ma ha comunque precisato che la presenza costante e in quantità non trascurabili di un inquinante come il p-metilfenolo “potrebbe dipendere da idrolisi proteica o da reazioni non controllate all’interno del processo produttivo stesso che andrebbero indagate maggiormente”.

Con il secondo motivo, la società ricorrente ha evidenziato che Arpae avrebbe violato altresì la Tabella 1 dell’Allegato 5, parte quarta del d.lgs. n. 152/2006, in quanto, ai fini della valutazione dei valori di inquinanti da considerare per stabilire l’eventuale superamento delle CSC nei terreni, avrebbe applicato all’area di ubicazione dei capannoni quelli previsti per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (colonna A della Tabella) e non quelli stabiliti per i siti ad uso commerciale e industriale (colonna B della Tabella).

Anche questo motivo è infondato, come già anticipato.

Risulta infatti corretta l’operazione di inquadramento normativo effettuata dall’amministrazione che ha adottato l’ordinanza impugnata, in relazione al fatto che trattasi pacificamente di terreni ad astratta destinazione agricola, come tali equiparabili, secondo la consolidata giurisprudenza che si è sviluppata in materia (congruamente richiamata da ARPAE nella sua ordinanza, e non inficiata, come visto, dalle sopravvenienze normative), ai siti destinati ad uso di verde pubblico, privato e residenziale, e che la destinazione di tale aree non è mai stata incerta oppure oggetto di modificazione nel corso degli anni.

Tali aree sono poste in un contesto completamente scevro da fattori di industrializzazione, circondato da terreni sfruttati con colture agricole destinate direttamente al consumo umano o al mondo della zootecnia da reddito, e non hanno ovviamente mutato la propria natura urbanistica in relazione alla circostanza di fatto, del tutto contingente, del deposito di materiali a fini produttivi.

E’ stata dunque corretta l’applicazione, come parametro di riferimento per stabilire se vi sia stato inquinamento dei terreni, del limite massimo di superamento dei livelli di contaminazione previsto dalla colonna A della Tabella 1 dell’allegato 5 sopra citato, e, conseguentemente, corretto è stato pure l’inquadramento delle sostanze rinvenute nei terreni come fonte di contaminazione non consentita.

Né è applicabile al caso di specie l’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018 – pure invocato dalla ricorrente -, in quanto si tratta di norma che contiene la previsione di limiti più favorevoli soltanto con riferimento agli inquinanti consentiti per i fanghi di depurazione, mentre non si occupa del diverso profilo della contaminazione dei terreni.

Con il terzo motivo, infine, la difesa di -OMISSIS-. ha evidenziato che le caratteristiche del prodotto fertilizzante “gesso di defecazione” sono disciplinate a livello nazionale dal d.lgs n. 75/2010 e resterebbero nettamente distinte dai fanghi di depurazione (i quali sarebbero da considerarsi rifiuti), di modo che l’assimilazione tra questi due “prodotti” – assimilazione che in tesi sarebbe stata compiuta dall’ordinanza impugnata -, violerebbe la disciplina di cui citato d. lgs. n. 75/2010, inerente alla definizione di gessi di defecazione.

Il motivo non coglie nel segno.

Invero, non vi è traccia nell’ordinanza di Arpae dell’assimilazione tra gessi di defecazione e fanghi di depurazione, ai fini dell’individuazione dei limiti soglia da considerare per accertare la contaminazione dei terreni.

Tecnicamente, i gessi di defecazione sono qualificabili come correttivi ottenuti mediante il trattamento dei fanghi di depurazione attraverso idrolisi alcalina, precipitazione con acido solforico, ed integrazione con additivi in una complessa sequenza di processo produttivo e di conseguenti reazioni chimico-fisiche fra fanghi e sostanze reagenti aggiunte.

Il rapporto tra fanghi di depurazione e gessi di defecazione è dunque di derivazione dei secondi dai primi, con la conseguenza, peraltro, di una differenza sostanziale dei rispettivi “prodotti”, in quanto i fanghi di depurazione sono assimilabili a rifiuti e i gessi di defecazione hanno la natura di correttivo del terreno, cioè di materiale che si può aggiungere al suolo per migliorare le sue proprietà.

Stante peraltro l’assenza di disciplina specifica sui limiti di inquinamento, con riferimento specifico ai gessi di defecazione, correttamente Arpae ha ritenuto di applicare i valori di cui alla Tabella 1, Allegato 5 alla Parte Quarta del T.U.A. per toluene ed idrocarburi, ai fini della valutazione sull’eventuale contaminazione dei terreni.

Si tratta infatti di valutazione connessa ai terreni, e non ai materiali, che in quanto tale non può essere messa seriamente in discussione.

Il ricorso è dunque da respingere in quanto complessivamente infondato, con spese della fase di merito che possono essere compensate, in ragione della novità e complessità delle questioni esaminate.

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