TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-12-09, n. 201914080
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Pubblicato il 09/12/2019
N. 14080/2019 REG.PROV.COLL.
N. 02451/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2451 del 2013, proposto da
Comune di Mascalucia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio eletto presso Pierfrancesco Torrisi in Roma, via Crescenzio, 42;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione e Istat - Istituto Nazionale di Statistica, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
in parte qua del d.P.R. 6 novembre 2012, recante determinazione della popolazione legale della Repubblica italiana;
della nota 30 gennaio 2013 prot. n. 2832/sp/70.2013 del presidente dell'ISTAT.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione e dell’Istat - Istituto Nazionale di Statistica;
Vista l’ordinanza cautelare n. 1620 del 12 aprile 2013;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2019 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, il Comune di Mascalucia (CT) impugna, chiedendone l’annullamento, il D.P.R. 6 novembre 2012, recante la “determinazione della popolazione legale della Repubblica in base al 15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni del 9 ottobre 2011, emesso in esecuzione dell’art. 50, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla Legge 30 luglio 2010 n. 122”, nella parte in cui dichiara che la popolazione legale del Comune ricorrente alla data anzidetta e fino al censimento successivo è di 29.984 abitanti.
Al primo motivo, parte ricorrente, dopo avere premesso di avere compilato nella fase “precensuaria”, come richiesto dall’Istat, un apposito “bilancio”, redigendo il modello predisposto dal medesimo Istituto, dal quale risultava che il Comune contava 30.080 abitanti, lamenta la mancata individuazione dei criteri adottati dall’Istat nell’esecuzione della validazione dei dati trasmessi dal Comune.
Sostiene, quindi, che da verbali di accertamento eseguiti dal Corpo di Polizia Municipale del Comune risulterebbe l’errore compiuto dall'Istituto di statistica nella fase di validazione dei dati raccolti dall’ente comunale e trasmessi al suddetto Istituto per mezzo del relativo bilancio.
Afferma, inoltre, che il censimento avrebbe dovuto eseguirsi prendendo quale unico punto di riferimento le dichiarazioni rese dai cittadini attraverso i questionari consegnati ai rilevatori comunali e, qualora fossero emerse irregolarità, esse avrebbero dovuto essere risolte, in ossequio alle disposizioni comunitarie e nazionali, attraverso un confronto incrociato dei dati contenuti nelle liste anagrafiche comunali.
Nel secondo mezzo di gravame, il Comune lamenta la violazione e mancata applicazione del Regolamenti CE n. 763/2008 e n. 1201/2009, nonché dei principi desumibili dagli articoli 10, comma 1, e 11 della Costituzione. Dalle predette fonti si evincerebbe l’obbligo di fare riferimento, ai fini censuari, del concetto di “dimora abituale” e di adoperare quale criterio discretivo, nei casi dubbi, quello della residenza legale o dichiarata nei registri.
Al terzo motivo, si deduce la violazione del D.L. n. 50/2010, con il quale è stato indetto il censimento, nonché del piano generale di censimento (“PGC”) adottato dall’Istat in forza di tale decreto legge. La fonte legislativa non sarebbe stata rispettata nella parte in cui prevede il “confronto contestuale tra dati rilevati al censimento e dati contenuti nelle anagrafi della popolazione residente”, mentre il PGC sarebbe stato disatteso nella misura in cui imponeva che il campo di osservazione fosse costituito “dalla popolazione dimorante abitualmente, ossia residente (…)”.
Si sono costituite le amministrazioni intimate, chiedendo la reiezione del ricorso siccome infondato.
Alla camera di consiglio del 10 aprile 2013, la domanda cautelare presentata unitamente al ricorso è stata respinta, in ragione della rilevata ragionevolezza del criterio adottato dall’Istat ai fini dell’assegnazione a un ente comunale di quei soggetti che avevano compilato più questionari, dichiarando in ciascuno un diverso Comune di appartenenza. La decisione cautelare è stata confermata in appello, ove, oltre a rilevare l’assenza di un pregiudizio grave e irreparabile, si è osservato che l’attività dell’Istat è “caratterizzata da un alto grado di discrezionalità tecnica” e che, ad una cognizione propria della fase cautelare, non risultavano presenti profili di “evidente illogicità, errore sui presupposti o travisamento di fatto” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, ord. 31 luglio 2013, n. 3078).
In vista dell’udienza di trattazione del merito della controversia, parte ricorrente ha depositato una memoria difensiva, insistendo nell’accoglimento del ricorso.
Alla udienza pubblica del 20 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che la funzione tipica del censimento generale della popolazione, demandato all’Istat, è quella di “fotografare”, avuto riguardo a un preciso momento temporale, i fenomeni di carattere demografico, economico e sociale riguardanti la nazione. Tra le norme che attribuiscono rilevanza al dato censuario sono di particolare importanza gli articoli 56 e 57 della Costituzione, secondo cui ai fini della ripartizione dei seggi elettorali si fa riferimento, per l’appunto, alla popolazione risultante “dall’ultimo censimento”.
La disciplina della modalità di svolgimento del 15° censimento generale della popolazione del 9 ottobre 2011, oggetto della presente controversia, si rinviene da un coacervo di norme, alcune di rango comunitario (i Regolamenti CE n. 763/2008 e n. 1201/2009) e altre nazionali, quali, in primo luogo, l’art. 50 del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010 n. 122, con cui è stato indetto il censimento in questione. La richiamata disposizione ha previsto che le concrete modalità di svolgimento delle operazioni censuarie fossero definite nel Piano Generale di Censimento (“PGC”), successivamente adottato con la deliberazione n. 6 del Presidente dell’Istat del 18 febbraio 2011.
Il PGC prevedeva, per i profili di interesse, che i Comuni inviassero la lista anagrafica della popolazione residente riferita al 31 dicembre 2010, sottoposta a validazione dell’Istat;successivamente alla somministrazione e compilazione dei questionari alle famiglie inserite nelle liste, i Comuni avrebbero provveduto alla revisione dei questionari sulla base di specifiche istruzioni fornite dall’Istituto. Infine, a chiusura delle operazioni di rilevazione, i Comuni avrebbero provveduto “alla compilazione e trasmissione all’Istat di bilanci ad hoc relativi agli esiti del confronto censimento-anagrafe” (cfr. art.