TAR Palermo, sez. I, sentenza 2023-03-09, n. 202300742
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Testo completo
Pubblicato il 09/03/2023
N. 00742/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01769/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1769 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato S L M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e con domicilio fisico eletto presso lo studio del predetto difensore in Palermo, Cortile Benso n. 2;
contro
l’Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Palermo, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici, siti in Palermo, via V. Villareale n. 6, è per legge domiciliato;
per l'annullamento
- della informazione interdittiva antimafia n. 69465 del 15/06/2017, notificata a mezzo posta elettronica certificata in pari data, con la quale la Prefettura di Palermo ha informato che la Ditta di cui è titolare il ricorrente è interdetta ai sensi degli artt. 84 e 91, comma 6, del D.Lgs. n. 159/2011";
- di tutti gli eventuali atti, prodromici e/o consequenziali, ancorché non conosciuti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Palermo, e viste la documentazione e la memoria prodotte;
Vista l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS- del 30 ottobre 2017;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di un nuovo procuratore per il ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 il consigliere Maria Cappellano e uditi i difensori delle parti, presenti come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
A. – Con il ricorso in esame, notificato il 19 giugno 2017 e depositato il 18 luglio, l’odierno istante – titolare di una ditta esercente attività commerciale di gestione locali di somministrazione, stabilimenti balneari e similari – ha impugnato l’informativa interdittiva antimafia, adottata dalla Prefettura di Palermo il 15 giugno 2017 nei confronti della ditta di cui il predetto è titolare.
Espone in punto di fatto che:
- la ditta in interesse è stata costituita in data 9 giugno 2016 ed ha rilevato la gestione dello stabilimento balneare denominato “-OMISSIS-”, avente sede a -OMISSIS-, concessionario di un tratto di area demaniale;stipulando altresì regolare contratto di locazione con i proprietari dell’area privata su cui, in parte, si sviluppa lo stabilimento balneare;
- a tal fine, il 10 maggio 2016 la ditta ricorrente ha avviato presso l’Assessorato regionale Territorio e Ambiente la procedura di subentro nella concessione demaniale già rilasciata alla suddetta ditta costituita dai genitori dell’odierno istante, i quali hanno deciso per ragioni di salute di ritirarsi dal mondo del lavoro;
- di avere trasferito la propria dimora presso altra abitazione rispetto a quella genitoriale;
- nel mese di ottobre 2016 la madre è stata coinvolta in un procedimento penale quale imputata del reato di cui all’art. 378 c.p. aggravato dall’art. 7 del d.l. n. 152/1991.
Espone quindi che, sulla base di tale elemento, e di altri dati, l’intimata Prefettura ha adottato la gravata informativa interdittiva antimafia, avverso la quale l’odierno istante deduce la censura di Violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n° 159/2011 .
Ha quindi chiesto, previa sospensione dell’efficacia, l’annullamento del provvedimento impugnato, con vittoria di spese.
B. – Si è costituito in giudizio l’Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Palermo, depositando documentazione e chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato;con vittoria di spese.
C. – Con ordinanza n. -OMISSIS- del 30 ottobre 2017 è stata respinta l’istanza cautelare.
D. – Si è costituito in giudizio per il ricorrente un nuovo difensore, insistendo nelle conclusioni e nelle domande già formulate, con vittoria di spese da distrarre in favore del difensore antistatario.
E. – All’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023, il difensore di parte ricorrente ha rappresentato di avere tardivamente depositato una sentenza della Corte d’Appello di Palermo, in quanto il suo assistito ne ha avuto cognizione solo di recente;il difensore della resistente Amministrazione si è opposto a tale produzione documentale, e la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
A. – Viene in decisione il ricorso promosso dall’odierno istante – titolare della ditta esercente attività commerciale di gestione locali di somministrazione, stabilimenti balneari e similari – avverso l’informativa interdittiva adottata dalla Prefettura di Palermo il 15 giugno 2017.
B. – In via preliminare, come emerso in sede di discussione, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 73, co. 3, cod. proc. amm., deve essere dichiarata la tardività della documentazione depositata dalla difesa di parte ricorrente in data 6 febbraio 2023, in quanto prodotta oltre i termini prescritti dall’art. 73, co. 1, cod. proc. amm.;e, d’altro canto, la difesa di parte ricorrente ha genericamente fatto riferimento alla conoscenza e alla disponibilità di tale documento solo in tempi recenti, sebbene venga in rilievo una sentenza della Corte d’Appello di Palermo risalente all’anno 2019.
Pertanto, anche tenendo conto dell’opposizione fatta constare a verbale dal difensore della resistente Amministrazione, di tale documento non si terrà conto ai fini della decisione.
C. – Nel merito, ritiene il Collegio di confermare la delibazione assunta in fase cautelare, in quanto il ricorso non è fondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, “… la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire una ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata;d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).
Come ribadito dalla Sezione (27 dicembre 2019, n. 8883, riprendendo un ormai consolidato orientamento del giudice di appello), l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (n. 8883 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori …” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7890).
Per quanto attiene agli elementi indiziari, deve rammentarsi che i dati e i fatti valorizzati dal Prefetto devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità della struttura imprenditoriale a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione;e, d’altro canto, non è necessario che la Prefettura fornisca la “effettiva prova” del condizionamento, per quanto sopra rilevato dalla costante giurisprudenza.
Con riferimento, poi, ai legami familiari e ai rapporti di parentela o affinità, è stato rilevato che il rapporto parentale riveste rilevanza ai fini dell’emanazione dell’informazione antimafia solo laddove lo stesso “… per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto …” (da ultimo Consiglio di Stato, Sez. III, 13 aprile 2018, n. 2231).
Applicando i su esposti principi al caso di specie, osserva il Collegio che l’informativa si basa sui seguenti elementi:
- il procedimento penale a carico della madre del ricorrente, la quale è stata rinviata a giudizio per il reato di favoreggiamento personale aggravato, ai sensi dell’art. 7, del d.l n. n. 152/1991, convertito dalla l. n. 203/1991, nell’ambito dell’attività di indagine confluita nella operazione denominata “-OMISSIS-”, che ha condotto all’arresto di numerosi capi e gregari appartenenti al clan del mandamento mafioso di “-OMISSIS-”;
- la conseguente adozione da parte della Prefettura, in data 24 ottobre 2016, dell’informazione interdittiva antimafia a carico della società di cui i genitori sono titolari quali socio accomandatario (il padre) e socio accomandante (la madre);
- la identità dell’oggetto sociale e dell’indirizzo della ditta individuale del ricorrente con quello della società interdetta in data 24 ottobre 2016;
- la giovane età e la mancata percezione, da parte dell’odierno istante, di alcun reddito negli anni tra il 2011 e il 2015, rispetto alla ditta individuale di cui è titolare, iscritta al Registro Imprese il 24 marzo 2016;
- la convivenza del predetto con i genitori.
Sostiene il ricorrente di non convivere con i genitori, in quanto già nel 2015 si sarebbe trasferito dalla casa genitoriale ad altro indirizzo, formalizzando anche il cambio di residenza presso il Comune;e che conviverebbe con soggetti incensurati, né coinvolti in procedimenti penali pendenti per reati di stampo mafioso e nella forma di cui all’art. 7 del d.l. n. 152/1991.
Sostiene inoltre che non vi sarebbe alcun rapporto tra la ditta di cui il predetto è titolare e la società di cui erano titolari i genitori.
Osserva tuttavia il Collegio che, per quanto attiene al presunto cambio di residenza, il ricorrente non fornisce neppure un principio di prova di quanto labialmente asserito;e, peraltro, a fronte della labiale affermazione in ordine alla cessata convivenza con i genitori, dalle due richieste di informazione antimafia – l’una, inoltrata il 20 settembre 2016 dal Comune di -OMISSIS- tramite B.D.N.A.;l’altra inoltrata dall’ARTA tramite BDNA in data 13 maggio 2016 con riguardo alla società di cui erano titolari i genitori del ricorrente – risultano indicati, nella prima, i genitori quali familiari conviventi dell’odierno istante;nella seconda, il predetto ricorrente è indicato quale convivente dei due genitori titolari della società.
Per quanto attiene ai rapporti tra le due ditte – di cui il ricorrente nega la sussistenza – deve rilevarsi che nella stessa narrazione del fatto in seno al ricorso l’odierno istante ha dato atto della procedura di subentro, da parte della ditta di cui è titolare, nella concessione demaniale già rilasciata alla suddetta ditta costituita dai genitori.
Ne consegue che il giudizio prognostico si basa sulla valutazione complessiva di plurimi elementi che giustificano la valutazione di permeabilità mafiosa e, ad avviso del Collegio, il provvedimento non si basa solo sul rapporto di parentela, ma su plurimi dati concreti – che parte ricorrente tenta di “atomizzare” – con conseguente assenza del denunciato difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
D. – Conclusivamente, per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso, in quanto infondato, deve essere rigettato, con salvezza degli atti impugnati.
E. – Le spese di giudizio, ai sensi degli articoli 26 cod. proc. amm. e 91 cod. proc. civ., seguono la soccombenza e si liquidano nella misura quantificata in dispositivo, tenuto conto del valore indeterminabile della controversia e della media complessità delle questioni giuridiche affrontate.